Sola andata

Sola andata

sabato 30 aprile 2016

Ordinarie amministrazioni e soluzioni fuori dal "Comune"

Nella piazzetta proprio fuori casa si sta tenendo un piccolo concerto con le canzoni di Battisti, credo che sia in concomitanza di uno dei comizi pre elettorali durante i quali le cosiddette zone della periferia problematica sono all'improvviso un interesse prioritario della futura amministrazione. Io sto aspettando ancora la fine del centro polifunzionale firmato Renzo Piano che va così piano che non ha mai smesso di essere un lavoro in corso...mah staremo a vedere, ma Sala io non posso votarlo. È ancora troppo viva la memoria di quella insignificante esperienza costata quanto il Pil del Brasile che è Expo...comunque vada prevedo un futuro piuttosto opaco per la futura amministrazione milanese. Ma tant'è.

Ieri invece, con appena quattro mesi di ritardo, abbiamo fatto l'assemblea di condominio. Stavolta nel garage di uno dei condomini "riadattato" a magnifica abitazione stile ruote 66, con bidoni per il petrolio al posto del tavolo, sedie ricavate da ruote di camion, bandiere americane al posto delle tende, mobili decorati con gli stemmi dell'harley, modellini di auto ovunque...una delle abitazioni più ganze mia viste in vita mia. Io abito in una specie di corte con un ampio cortile centrale dove stendiamo i panni al sole manco fossimo a forcella negli anni '60, e le case sono disposte solo su due piani secondo una specie di semicerchio. Io sono appassionatissima di questo posto, per metà composto da famiglie di latinos e filippini. Per ridurre all'osso le spese, che non tutti riescono a sostenere con la necessaria puntualità, ci facciamo da soli pure le pulizie, chi non riesce a pagare qualche rata fa lavori di manutenzione o di gestione dei sacchi della differenziata...e tutto funziona in un modo che mi affascina e mi diverte tra persone così tanto diverse che alla fine un modo di capirsi sono riuscite a trovarlo. Ma senza la mia crostata di mandarini tutto questo sono certa che non sarebbe stato possibile :)

Da più di una settimana Nicola ed io abbiamo visto un film che ancora ci portiamo dentro, per quanto
era vasto il carico di poetica tenerezza. Il film si chiama "Il condominio dei cuori infranti". Una cosa francese fino al midollo, per quella capacità unica di raccontare il disagio attraverso l'arma del surreale. Un film splendido, assurdo ma limpido nel descrivere la solitudine, la fatica e spesso l"impossibilità di accettarla, i rimedi bizzarri per darsi delle pause di paura e diffidenza. Un'altalena magnificamente oscillante tra commozione e sorriso.

Io non sono quasi mai in casa. Esco alle sei e mezza e torno quasi sempre almeno 12 ore dopo per precipitare quasi subito in uno stato di semiincoscenza e rimbambimento sul divano che quasi sempre mi trattiene per tutta la notte. Le riunioni di condominio mi servono pure ritrovare persone così tanto vicine a me ma che mi capita di non incrociare per mesi, mi aggiorno su faccende che accadono sotto il mio naso e di cui io mai potrei accorgermi (abbiamo dei fili di corrente scoperti!?!? Dobbiamo comprare le pasticche per il tombino?!?!si è perso il lucchetto del cancello grande!?!?...).
Non mi risulta che in altri condomini le dinamiche siano le stesse e i miei genitori vivono in una casa indipendente proprio perché terrorizzati da ogni possibile forma di mediazione per la gestione di spazi condivisi. Pare che la parte più folta delle cause civili in questo paese abbiano la loro matrice nelle beghe condominiali...non sono così ingenua da pensare di scoprire l'acqua calda, ma siccome pure la mia piccola esperienza conta, mi piace pensare che persino da basi di partenza fortemente problematiche si possano proporre casi di esempi virtuosi, creativi ed efficaci. Pure quando ci si conosce poco e ci si capisce anche meno...si può fare...
Chi lo sa se terrà conto di questo la per ora poco promettente amministrazione milanese...




mercoledì 27 aprile 2016

Una giornata in particolare

Mica lo so davvero come si fa. Quando il rischio è quello di scadere nella retorica vuota o di parlare di cose che non posso davvero conoscere è come se il mio cervello si screpolasse ad ogni mio tentativo di elaborazione originale. Forse è questo il motivo per cui parlo quasi sempre e solo dei fatti miei pure quando voglio dire tutt'altro. Però ci stanno delle cose che si possono raccontare solo se si fa lo sforzo di prescindere da se stessi, almeno per una piccola parte.

Io non vado quasi mai alle manifestazioni (da solitaria tendente all'isolamento ho sempre avuto problemi di allineamento al sentimento collettivo), ho già detto che non credo negli scioperi, che diffido moltissimo del l'operato dei sindacati. Ma nonostante tutto questo ho sempre votato a sinistra e da quando vivo a Milano il mio 25 Aprile è sempre stato in piazza Duomo a rendere onore e a commemorare. Al sud non ho memoria di eventi così ben organizzati come fanno qui. Ma questo lo comprendo...la liberazione è faccenda del Nord...noi laggiù le cose potevamo capirle solo molto dopo...

Io sono cresciuta in una famiglia che ha sempre votato a destra, al liceo col programma di storia si arrivò fino alla prima guerra mondiale e non ho mai ascoltato storie di partigiani da nessuno dei miei parenti anziani. Neppure io saprei davvero dire come mai per me sia scontato che il 25 Aprile sia una giornata da celebrare. Forse perché ci sono pezzi di storia con i quali nasciamo tutti in dotazione, perché esistiamo e siamo ciò che siamo grazie al fatto che certe giornate hanno consentito alla storia di non rassegnarsi ad un destino di sottomissione. Credo che anche questa si possa chiamare memoria condivisa.
Il mio 25 Aprile è trascorso tra amici che quella memoria la custodiscono con devozione angelica e ad ascoltare le parole di un signore di 93 anni, il presidente dell'Anpi Smuraglia, che ha una coscienza del presente e del suo paese che può essere solo degli illuminati e di quelli che hanno visto cosa stava per diventare questo paese se non fosse stato liberato.

Una volta, durante un 'intervista ad un partigiano, il giornalista chiese se vi fosse qualche rimpianto per una giovinezza negata. E lui rispose: "No. Perché cosi è la vita". Mi colpì moltissimo quella risposta è ci pensai per tanto tempo a cosa davvero intendesse. Poi ho capito. Così è la vita significa che quando ti chiama e ti dice di andare, anche a dispetto della tua di vita, tu ci vai come in preda a un richiamo insopprimibile.

E così ho pensato che anche a me piace tanto l'espressione "così è la vita". Il problema sorgerebbe se dopo mi chiedessero "così come?"...






domenica 24 aprile 2016

Previsioni (impreviste) del tempo.

A Milano è una giornata di piena estate e il piacere di una domenica così illuminata è tanto maggiore se arriva a smentire previsioni meteo funeste a cui molti di noi si erano rassegnati pensando a clausura e faccende domestiche, magari ad assecondare il grigiore e la tristezza di un tipico week end autunnale. E invece ho passato la mia prima mattina senza cappotto tra la mia panchina "personale" che l'anno scorso ha gentilmente ospitato il mio sedere per interi pomeriggi d'estate, con libri, musica, il "fumo" e il profumo della frutta per sostenermi delle tante ore trascorse lì sopra.

E poi, sempre oggi,  ho percorso  i circa otto chilometri a piedi che mi separano dall'agenzia di viaggi dei soci coop. Sono due anni che non faccio un viaggio e oggi mi sono resa conto che sono troppi, che ho fatto male a far passare tanto tempo a sentirmi altrove senza muovermi. Credo di aver bisogno di dare ai miei occhi qualche scenario nuovo, di sentire profumi diversi, sento la mancanza persino di tutti i casini e dei tanti guai in cui ho il talento di cacciarmi pure durante il viaggio meglio pianificato al mondo. Che poi alla fine sono sempre quelle le cose che mi ricordo con più emozione e sulle quali sono capace di ridere sempre con lo stesso gusto pure a distanza di anni.
Ho preso in considerazione tre mete. Un tour per il Portogallo, uno per Mosca - San Pietroburgo e uno per il Giappone. Stranamente il costo è praticamente lo stesso per tutte e tre, per cui devo solo decidere quanta voglia tengo di massacrarmi di ore e ore di percorso di destinazione. Che bello. La sola idea mi accelera il battito cardiaco.

E poi, già che c'ero, ho fatto la spesa. Ho trovato una strenna natalizia della Sapori scontata del 74%. L'ho pagata 3 euro e dentro ci stavano: un pacco di cantucci alla mandorla, uno  di cantucci al cioccolato, un pacco di ricciarelli, un panforte, uno spumante...sono i preparativi per la mia festa "Natale in pod cast"...

E poi sono tornata in questa cuccia che è casa mia, oggi così piena di luce che me la rende più simpatica e vivibile che durante il lungo e umidissimo inverno. Ho cominciato a mettere tutto a posto, ho lavato il pavimento col nuovo detersivo all'eucalipto, ho messo via un po' delle tante coperte in giro, ma non tutte che non si sa mai, e intanto pensavo al fumetto di Andrea Pazienza che mi son portata da Napoli. Come tutte le cose che amo ne ritardo la fine perché poi dopo mi sento troppo sola. Tanto tra tre giorni mi arriva l'ultimo di Zerocalcare e Non sarò più così sguarnita.

Nel frigo ho della panna da montare. Volevo fare una bella torta, con almeno tre strati, con crema chantilly e cioccolata e decorarla con i numeri e le lettere al cioccolato fondente che ho comprato già da un po di tempo. Ma non ne ho più voglia e ora di quella panna non so più cosa farmene. Potrei montarla lo stesso e mescolarla col cioccolato fuso dell'uovo ancora da aprire e magari mettere tutto nel congelatore...magari ad onorare un altro Natale fuori stagione.

Sono soltanto le quattro del pomeriggio. E così ho pensato che forse quando il tempo è bello e tu non te lo aspettavi, ti viene voglia di usare il tuo di tempo in un altro modo, nuovo e inaspettato pure quello. A volte veramente "basta 'na jurnat''e sol"
(...Perdonate, se potete)







giovedì 21 aprile 2016

Gelosia (solo se gelo sia)

Avrei tanto voluto sbagliarmi. E invece tutte le volte che è successo c'ho sempre preso. Ormai è da tantissimi anni che ho imparato ad usarla come uno strumento e un'opportunità piuttosto che come un mero blocco emotivo che mi paralizza e risveglia mostri dentro di me.

Io sono una persona gelosa. Lo sono sempre stata. O meglio, è sempre stato questo il mio modo di pesare gli affetti. Credo che sia un sentimento orrendo, a me prende alla gola, mi soffoca, mi offusca la vista, ma raramente mi ha visto esplodere in scenate. Mi si forma una specie di palla arroventata sullo sterno e rimane lì, latente, fino a quando non smetto di voler bene. Perché poi questo succede: che ho sempre avuto ragione, che il mio intuito era infallibile e io stavo male perché sapevo che era così. La gelosia è il mio metodo inattaccabile con cui la mia coscienza soffocata prende la parola e mi dice "se stai così male è perché lo hai già capito benissimo che lui non ti restituirà mai il bene che gli vuoi". Il dolore che provo è la mia incapacità di accettarlo. Poi finalmente il tempo mi aiuta e ne esco. Mi dico che non lo merito, che non ci ricascherò mai più con nessuno, ma dentro di me so che non sarebbe così e allora mi limito a sperare che la sorte non mi riservi mai più altri mascalzoni da incrociare e "incorniciare" come tali per l'ennesima volta.

È sempre bastato troppo poco, tutto fin troppo semplice per capire:
1) interesse eccessivo per l'universo femminile in generale, quando da sempre sono convinta che il vero uomo innamorato nella  testa ne tiene solo una. I confronti non sono manco contemplati.
2) sbirciare il telefono in mia presenza. Ho giurato a me stessa che non frequenterò mai più qualcuno che fa una cosa del genere mentre sta con me. No, non è una pretesa assurda. E se lo è ok, pretendo l'assurdo...
3) pochi abbracci, pochi baci, poca presenza, poco cuore e pochi silenzi capaci di dire tutto.

Io sono una gelosa, ma forse solo perché la vera traditrice di me stessa sono sempre stata io, tutte le volte che ho assecondato e sopportato il non-amore che non meritavo. E così ho pensato che se davvero avessi trovato l'amore che credevo di meritare sono sicura che sarebbe stata la gelosia ad essere molto gelosa di me


mercoledì 20 aprile 2016

"Le confessioni" che non ti svelo

Facciamo così. Io il film non te lo racconto proprio, che tanto domani esce in tutta Italia e direi che sarebbe vagamente imperdonabile non andare a vederlo. Tanta evocazione di "Todo Modo", una magnifica luce nordica, un messaggio filosofico potente, affascinante e - per quel che mi ha riguardato - piuttosto disarmante. Per Servillo, invece, qualsiasi superlativo assoluto non mi basterebbe per descriverne l'aura divina sempre più luminosa.

La cosa che mi ha stupito tantissimo è stato il silenzio glaciale della platea alla fine del film. Il regista era già in sala e credo che ci sia rimasto molto male. In realtà quando poi è partito il dibattito e le osservazioni si sono accavallate in modo sempre più incalzante e interessante, si sono susseguiti applausi alle sue risposte sempre più fragorosi. Ho fatto una domanda pure io e sono stata contenta che gli sia piaciuta molto. Facevo un parallelo tra la finzione dei modelli economici imposti e basati su impianti logici fittizi perché creati ad hoc per risultare perfettamente funzionali al controllo dell'incertezza dai grandi poteri economici e la creazione dei mondi generati dalla letteratura per offrire una chiave di lettura del mondo e, magari, attribuirgli un senso. Nel film interagiscono, tra gli altri, degli economisti e una scrittrice ed è stato questa strana connessione ad ispirarmi quella domanda. Gli chiedevo quanto secondo lui fosse necessario per una compagine sociale assecondare la finzione come fondamento necessario degli equilibri umani, per non precipitare in un baratro come il suicidio o le nevrosi, e se davvero la sola possibilità che ci è data di essere autentici sia quella di decidere star soli e al di fuori del "patto sociale" per sempre. Se ne avete voglia, dopo che avete visto il film, fatemi sapere.
È stato un pomeriggio bellissimo





martedì 19 aprile 2016

Cambi di stagioni

Secondo me bisognava dare molta più enfasi alla notizia. Non tanto per il suo valore intrinseco, visto che tutto sommato alla fine la cosa potrebbe non interessare molto neppure a me, che pure quando ero ragazza lo seguivo molto e ne ero affascinata. Dice che Bertinotti si è avvicinato a CL. Dice, non ti devi scandalizzare, nella vita si può cambiare idea, fa parte dell'evoluzione individuale, può capitare...il mio collega cattolico mi ha detto che l'uomo è imperfetto e quindi può rimanere preda di deviazioni e cedimenti dalle convinzioni più granitiche e non per questo va biasimato...

Ok. Va bene. Io ho seguito e votato per Bertinotti per molto tempo, gli ho perdonato l'abbigliamento di lusso, la moglie cattolica e sempre ingioiellata, il buen retiro nella cascina in Umbria, la colpa per caduta del governo Prodi e la conseguente vittoria di Berlusconi....giuro, ho sempre cercato di comprendere perché anch'io dentro di me ho assecondato questa idea insana che si possa sostenere con forza un principio pure se la condotta non sempre appare perfettamente coerente, pure se ogni tanto le contingenze appaiono offuscare l'orientamento di fondo. Il principio prevale su tutto e può anche bastare a ridimensionare certe incoerenze stonate.
Mi sbagliavo clamorosamente. Di Bertinotti non avrei dovuto fidarmi mai, ma proprio mai, dal primo istante che mi sono messa ad ascoltarlo e a lasciarmi convincere da quel suo argomentare sofisticato, ma che a un giudizio meno ingenuo sarebbe risultato subito vuoto e ingannatore.  Non è sbagliato quello che è diventato oggi: è colpa mia che non ho intuito ieri ciò che avrei visto oggi. Mea culpa mea culpa.

L'anno scorso sono andata ad una conferenza in cui veniva presentato un piccolo caso editoriale: un libro su Berlinguer scritto da un ventenne che di Berlinguer sapeva assolutamente tutto e che cura con scrupolo e precisione pure il suo sito ufficiale si fb (seguitissimo pure da giovanissimi che lo hanno scoperto solo oggi e lo amano come un padre eterno). Io ascoltavo quel ragazzo appassionato di un uomo che stava dentro a tutta un'altra storia di questo paese, eppure lui lo sentiva come l'unico interprete del suo tempo e grazie al quale trovava ogni risposta ai drammi della sua generazione. Io ascoltavo quel ragazzo appassionato e lucidissimo, mentre parlava di un uomo che di tentennamenti non ne ebbe mai, che la strada da percorrere la vedeva chiara e senza deviazioni. Io credo che ci sia una bella differenza tra il cambiare radicalmente rotta- rinnegando tutto quello che si è stati fino a ieri- e l'osservazione attenta del mondo, l'ascolto e l'inclusione di modi di pensare differenti conservando la fede granitica ad una visione del mondo e al tuo modo di starci dentro. Ci sono intransigenze che vanno preservate, sennò si diventa poco credibili. Dice, ma scusa...perché un comunista non può decidere di diventare
cattolico? Ma sì, certo che può., mica è vietato. È tutta colpa mia se mi sento presa in giro...ma sono quasi certa che nessun ventenne del 2050 scriverà mai qualcosa su di lui.

domenica 17 aprile 2016

vincitori e vinti. Cronaca di una sconfitta

Mentre scrivo ascolto i dati dell'affluenza alle urne. Alle 14:00 non si arriva al 10%, per cui è abbastanza ragionevole pensare che il quorum non si riuscirà a raggiungere. La speranza a questo punto è che si arrivi comunque ad una percentuale alta perché ciò favorirebbe l'analisi del fenomeno in modo critico. Una cosa è la partecipazione al 3% e un'altra cosa sarebbe al 30% o meglio ancora al 45%...ciascuno di questi dati racconterebbe storie completamente diverse sul polso del paese e del suo senso di partecipazione.

Qualche giorno fa ho trovato e condiviso una splendida analisi sul significato e valore della sconfitta secondo Pasolini. Lui raccontava di quanta dignità e di quale grande lezione si possa trarre dalla sconfitta quando è conseguita dopo che si è dato tutto ciò che si poteva e senza cercare scorciatoie verso risultati "drogati".

Certe volte è la sconfitta il vero risultato, per quanto non coerente con gli obiettivi. Perché le variabili possono essere così tante e spesso così imprevedibili, o i tempi e i modi talmente sbagliati...però poi l'anima ci stava tutta, il cuore e le ragioni parevano parlare per una volta la stessa lingua e quindi tu sei lì con la fermezza incrollabile di ottenere quello che vuoi a dispetto di ogni ragionevole raccomandazione contro le tue utopie, il tuo amore, la tua realizzazione individuale. E invece niente. Quello che vuoi non arriva. E tu ritenti, cambi metodo, il passo, la strategia, provi a fare altre previsioni...ma niente. Ciò che non è destinato non accetta nessuna forma di ostinazione. Può anche non arrivare mai nonostante ogni tipo di sforzo, di amore e dedizione. Non accettare la sconfitta significa perdere due volte. Accettarla significa dare spazio ad altre sfide, nuovi modi di vedere il mondo, nuovi modi di vedere te stesso, nuovi amori. Significa dignità.

Io sono una cocciutona. Quando voglio tantissimo una cosa mi ostino senza arrendermi per un tempo incalcolabile pur di ottenerla, ci metto dentro tutto, fingo di non rendermi conto di quanto di sbagliato ci sia in certi miei desideri e in tutto quello che in loro nome decido di sopportare.
Però poi ad un certo punto capisco. Capisco che quando è tutto così difficile, faticoso, mortificante e non accenna ad arrivare allora forse è soltanto perché era un desiderio sbagliato. Riconoscere le mie sconfitte è stata la mia vera salvezza, il vero recupero della mia dignità.
E così, piano piano, smetto di lottare, smetto di desiderare cose sbagliate, il cuore e le ragioni cominciano a parlare lingue diverse come è spesso normale che sia e io mi rassegno agli eventi, sfiancata ma cresciuta. La sconfitta è un vuoto tremendo. Ma è quasi sempre colmabile.

E così ho pensato che un referendum che fallisce è l'occasione mancata di un desiderio forte, del gusto della partecipazione ad una visione collettiva, di accogliere la sfida di stimoli nuovi.
Però un referendum che fallisce in realtà non fa vincere e perdere nessuno secondo gli strumenti onesti della lotta. Io non credo affatto che la sconfitta di cui parlava Pasolini fosse quella in cui perdono tutti soltanto perché nessuno ha avuto abbastanza voglia di lottare per davvero.





sabato 16 aprile 2016

bellezza inossidabile. Due pesi e nessuna misura

È un sacco di tempo che ripenso a quella bella intervista che ho ascoltato in radio ormai mesi fa. Ci stava un cantante che è stato abbastanza famoso negli anni sessanta, ma poi ha avuto davvero fortuna come produttore discografico in America. Non ne faccio il nome perché potrebbe non essere carino quello che sto per dire ricordando la sua esperienza, pure se in realtà la mia intenzione è quella di portarlo ad esempio assoluto di uomo ideale. Tanto, se si vuole, si può risalire abbastanza facilmente al personaggio.
Ad un certo punto l'intervistatore, a conclusione di quella bella storia costellata di successi professionali e di progetti riusciti per il discografico di cui parlo, gli chiede "a chi è che devi dire grazie più che ad altri". E lui risponde "A mia moglie" . L'intervistatore gli chiede il perché e lui dice semplicemente:" Perché mia moglie è una donna straordinaria". Lo disse col vigore e la convinzione di chi sa di avere argomenti inattaccabili contro la sua affermazione. E poi cominciò a raccontare la sua storia d'amore ormai quarantennale, dal corteggiamento ostinato a quella magnifica prima ballerina della scala di Milano, ai progetti, i traslochi continui, la passione mai sopita, l'incanto per il suo sorriso...e altre gentilezze magnifiche che catturano sempre troppo la mia attenzione e la mia commozione quando sento un uomo parlare così della propria compagna. Mentre ascoltavo pensavo "vabbè, la moglie di questo sarà una specie di Venere che si è mantenuta come a vent'anni a forza di siliconi ed elisir di eterna giovinezza". E così mi sono presa la briga di andare su internet a vedere come fosse questa donna fortunata così tanto osannata dal suo uomo. Ho trovato prima una sua foto da giovane e confermo che è una delle donne più belle che abbia mai visto in vita mia. Poi ho trovato una foto di oggi. È una donna che dimostra tutti quanti i suoi anni,anzi forse anche di più dati i canoni odierni, e ha circa una trentina di chili di più. L'ho riconosciuta soltanto dal suo sorriso. È stato soltanto in quel momento che l'ho davvero invidiata. Ho pensato che se il suo compagno, dopo tutti quegli anni e quei cambiamenti la guarda e pensa a lei ancora con tutto quell'ardore e quella stima, allora il vero amore esiste e davvero non si ossida assieme a quelli che ne hanno fatto da
combustibile.

E poi mi sono ricordata di una giovane coppia di sposi, conosciuta per caso tanti anni fa. Entrambi molto belli. Ad un certo punto lei fa:"io sono sempre a dieta e muoio sempre di fame perché lui un giorno mi ha detto <<un chilo in più e io me ne vado>>". Già all'epoca trovai quella pretesa totalmente stonata e fuori luogo, però pensai che in fondo gli equilibri amorosi sono tarati dalla condivisione di chi li stabilisce...oggi invece la mia indignazione sarebbe totale e senza appello e sono sicura che, piuttosto che quel mesto sorrisino di circostanza che mi dipinsi in volto, le direi: "quel chilo in più fai bene a non prenderlo mai, ma per favore, a questo scemo lascialo subito che stai perdendo del preziosissimo tempo da destinare alla ricerca di qualcuno che tra quarant'anni ti dirà che sei straordinaria perché avrà il potere vederti giovane e magra senza la necessità che tu lo sia agli occhi di tutti".

E così ho pensato che sono proprio fortunata ad accorgermi per tempo di tutto quello che non va.
Perché le brutte coppie sono tali da subito. Già da quando sono giovani e belle...

mercoledì 13 aprile 2016

Risalita

In treno. Ormai da due ore e mezzo. Sono finalmente riuscita a far capire ai miei che non posso tornare a Milano sempre piena di sottaceti e marmellata e come se dovessi andare in un rifugio antiatomico da cui è impossibile provvedere al recupero di mezzi di sostentamento. Per colpa di questa abitudine arcaica e assurda una volta  che stavo andando in Inghilterra, quando ero una giovane viaggiatrice fiera della mia conquistata autonomia, mi fermarono in aeroporto e mi perquisirono i bagagli perché avevano confuso la forma del galbanino per una bomba...

Come sempre, quando si concludono le mie vacanze napoletane, mi prende molto male ritornare su a Milano. Poi mi passa, perché riprendo le belle abitudini metropolitane: il cinema con Nicola, le cene al'arci, l'imminente apertura del carroponte, la mia casa "povera ma bella" e che in quanto tale rappresenta il paradosso della mia vita: una casa tanto grande al sud ma in cui mi è impossibile vivere contro una casa tanto piccola al nord che invece mi consente di vivere...

Ho un fortissimo mal di schiena da tre giorni: credo di avere spinto troppo con le mie corse. Secondo me è successo quando stavo sul tapis roulant durante le ricette della Parodi. Correvo e mi lasciavo ipnotizzare da quella simpatica donna, che prepara piatti facilissimi ma molto golosi e così mi sono lasciata ipnotizzare pensando che mentre facevo tutta quella fatica potevo pregustare i premi che mi sarei concessa subito dopo. C'è una strana perversione in questo approccio motivazionale all'allenamento. Nel mio delirio da stress ho addirittura pensato che alla base di tutte le religioni ci sia una idea parecchio simile a questa connessione automatica sacrificio/paradiso...che di automatico non tiene proprio niente di niente... Però alla fine mi sono divertita molto, soprattutto nella lotta impari col babbo, che si è dotato di scarpe da runner professionista pure se sul tapis roulant, di fatto, ci cammina soltanto. Ma a lui basta per dire che fa sport tutti i giorni senza sentirsi bugiardo. Chi sono io per contestarlo o per ritenere che stia mentendo? E comunque quelle scarpe sono bellissime.

I giorni sono trascorsi così, tra lo sforzo sincero di mia madre di garantirmi un soggiorno da principessina, passeggiate molto belle nei piccoli paradisi della mia martoriata terra, cibo buono e belle letture sul tetto. Sono stata bene. Sono di nuovo pronta a sopportare tutto ciò che mi offende e che riesco ad evitare solo in parte, ahimè.
Il cambio di scenario sarà piuttosto repentino: si fa in poco più di quattro ore di treno e si torna a faccende tutto sommato altrettanto familiari e ricche di significato.
Stasera ritorno nel mio letto ortopedico, che è molto meno comodo di quello in cui ho dormito giù a casa. Sono sicura che il mal di schiena su questo mi passerà.





lunedì 11 aprile 2016

"Ma ci devi credere!"

Il lunedì in ferie vale almeno due venerdì pomeriggio. Questa cosa che il mio ufficio non mi manca mai mi immalinconisce sempre di più, eppure sono sicura che se trovassi altri spunti potrebbe piacermi moltissimo. Qualche giorno fa raccontavo a mia madre della bella lettera del direttore a risposta del mio rammarico a quel rifiuto di andare all'estero. Le dicevo che se fossi stata propositiva, magari presentandogli un piccolo progetto, scritto e strutturato con cura, si sarebbe reso conto che avrebbe senso darmi un po' di fiducia e mandarmi all'estero. E lei mi ha risposto: "Si, Lucia, può darsi che ti prendano in considerazione come dici tu. Ma ci devi credere...".  Ci devo credere. Sì, in effetti io mi sto limitando ad elaborare una strategia di persuasione, una qualsiasi proposta mi sarebbe utile solo perché funzionale ad un altro scopo. E così cascherei come al solito nella solita trappola: fare cose che non mi piacciono, che non mi interessano, che mi succhiano energia, soltanto per ottenere qualcos'altro, che di certo non arriverà perché il modo di raggiungerlo non è stato intellettualmente onesto. Va bene, va bene, stavolta prometto di non fare la piagnona e provo a fare una cosa che ho letto su uno di quei "magnifici" siti sull'autostima, quelli che mi divertono tanto perché l'autostima mi viene proprio leggendo le boiate che scrivono quelli che si "autostimano" seriamente.
Uno degli esercizi che vengono proposti da questi campioni della motivazione è quello di provare a mettere per iscritto le cose per cui si ritiene di essere davvero bravi o di cui compiacersi in modo convinto. Ecco cosa penso io di me:
1) Sono molto costante. Se mi cimento in qualche attività che ritengo interessante non la mollo mai più. In questo momento penso a certe "pratiche" mattutine di cui ho già raccontanto
2) mi piace molto quello che cucino e l'immancabile cura nella preparazione delle mie schiscette.
3) non rompo mai le scatole a nessuno e non sono logorroica
4)  ho cercato casa e poi comprata e sistemata tutta da sola
5) credo solo nei risultati di lungo periodo

Ecco, io credo di avere queste cinque faccende tra quelle che mi rendono più o meno sopportabile a me stessa.  E se ci faccio caso trovo che hanno tutte un denominatore comune che è quello della stabilità temporale. Mi piace l'idea di non stancarmi di ripetere le cose come se fossero un rito, che i gesti praticati con cura e senza l'indulgenza di una scarsa tenacia siano una certezza che si consolida nel suo stesso riproporsi, mi piace l'abitudine che si perfeziona, la solidità di cose che vogliono restare come una casa piccola ma molto molto mia, mi affascianano le cose e le persone che si ostinano a non volersi definire effimere o incompiute. E poi mi piace l'idea di provarci da sola, pensare che quasi tutto si possa fare senza un aiuto esterno. Mi piace pensare che gli altri non siano un sostegno che mi faciliti la strada ma qualcosa che, semmai, me la allunghi e me la renda più interessante da percorrere.

E così forse ora ho capito cosa intendeva mia madre quando mi diceva "Ci devi credere".
Il vittimismo, il lamento lagnoso di cui spesso sono preda io stessa sono il prodotto scadente di un certo modo opportunistico di ottenere un risultato fatto di tempi brevi e di operazioni di facciata o, peggio, di aiuti dall'esterno per garantirmi delle scorciatoie. E invece io, se non voglio prendermi in giro, ho bisogno di tempo, di applicazione e di silenzio. Ovviamente non ho mai pensato che l'autostima passi davvero per i risultati che ottieni, credo piuttosto che faccia parte di quel pacchetto che apriamo nell'infanzia e da cui attingiamo durante la vita. Malgrado questo sono quasi sicura che  pure senza una considerazione troppo alta di se stessi si possa riuscire a sentirsi bene nei propri panni stropicciati. E così ho pensato che se la mia fortuna è quella di credere solo nei risultati di lungo periodo, non posso che essere felice di non averli ancora raggiunti. Perché questo solo posso fare io: "ci devo credere"...

sabato 9 aprile 2016

Una leggerezza...per ora insostenibile...

Quando me ne sono resa conto ho subito pensato "oddio, cos'ho fatto!?!?",  come se tenerle sempre lì,  sotto cumuli stratificati di tanto altro ciarpame che mi piace conservare, mi aiuti a sentirmi meno "sguarnita". Sono stata per più di un minuto in silenzio a riflettere su quell'attimo di distrazione "fatale" , quella che mi ha portato a cancellare tutte le mail che tenevo archiviate perché meritevoli di ricordo e affettuosa evocazione. Roba risalente ad almeno cinque anni fa, spesso scritta da persone che non vedo da tanto tempo, con le quali i rapporti si sono indeboliti in modo non proporzionale al ricordo, frasi bellissime, notizie  che mi hanno sorpreso. Quelle mail erano state sempre lì, in quella scatola virtuale che credo di aver aperto solo due o tre volte, ma l'importante era sapere che ci fosse dentro tutto ciò che avevo deciso di custodirci. Mi ricordo di una lettera di auguri magnifica per il mio compleanno, del tutto inattesa e piena di una dolcezza atipica -  data la "penna" che la componeva. Ma poi anche di un abbandono e di tutti gli inutili chiarimenti che ne seguirono. E poi di un viaggio che avevo fatto e del quale condividevo i ricordi con le persone che avevo  conosciuto in quell'occasione. Un piccolo patrimonio di parole, sensazioni, lacrime, arrabbiature, stupore e affetto...che è andato via con un click.
Ci stava in quel gesto di un attimo tutto il bisogno di un "reset" simbolico, ma anche concreto, che mi togliesse pure la tentazione di tornare a quel passato ingabbiato e traviato da emozioni ormai estinte. Ho aperto quella "scatola", l'ho buttata nel "cestino" e ho fatto un "elimina tutto". Senza fare neppure un rifiuto, è scomparso tutto come succede con la magia di cui però vorresti conoscere anche il trucco per poter rimediare. Invece stavolta niente, tutto sparito per sempre e senza lasciare la minima traccia.

Per un po' mi ha fatto impressione, io quella lettera per il mio compleanno me l'ero riletta tante volte, era così bella, mi raccontava così tanto di me con gli occhi di un altro...ma poi se ne stava lì, senza riuscire a sbiadire e ingiallire come la carta da lettere che invecchia e per questo io poi non capivo mai, o mi faceva comodo non capirlo, che il tempo ne aveva minato inesorabilmente la forza e il significato. Le mail invecchiano in modo strano, rimangono congelate nella cronologia, sono facilmente rintracciabili, ma poi pure quelle, quando le cerchi e le trovi subito,  cominciano a raccontare storie diverse, sembrano diventare tutt'altro, mostrano la loro vecchiaia pur senza i segni evidenti dell'usura.

Io ho sempre odiato festeggiare il mio compleanno, la cosa che mi salva è che capita a ridosso di ferragosto, quando non ci sta nessuno e io posso far finta di niente. Quasi nessuno, al netto degli aggiornati di fb, se ne ricorda, e in ogni caso la candelina la spengo sempre da sola, per fortuna. Però qualche volta, tanto tempo fa, qualcuno a cui tenevo se ne era ricordato e mi aveva scritto un sacco di belle cose. Con gli anni ho scoperto che non erano vere e io andavo nel mio archivio a leggermele giocando a crederci. Poi stamattina ho deciso che il mio spazio di memoria meritava di essere liberato.
 Se fosse stata una lettera di carta sono sicura che avrei ripreso il cestino e reincollato tutti i pezzi. Per fortuna con le lettere moderne questo non si può fare. E meno male che non l'ho stampata. Ho riprovato a fare la mia ricerca nel mio cestino visrtuale. E niente, è sparita per sempre. Ecco, mi sento davvero leggera. Diciamo pure vuota. Ed è una cosa tremenda.

giovedì 7 aprile 2016

Chi va veramente a "genio"?

Alla fine il dubbio ti viene. Quando ti appassioni a personaggi che trovi geniali al punto da provare a figurarteli nel loro momento creativo, ti chiedi da dove venga tutta quella magnifica ispirazione. Dice che il genio ha una sua matrice insondabile e misteriosa, che non è il frutto di una educazione, esercizio o istruzione, che conta poco pure quanto il soggetto in questione sia colto. Il genio è tale perché c'è in lui qualcosa di divino che gli consente di leggere il mondo secondo una chiave del tutto nuova, aggiungendo altre verità e nuove prospettive. Ok, mi piace perché mi fa sentire meno in colpa, nel senso che è inutile che mi sbatto e mi impegno per diventare genio che tanto è una cosa che non si può imparare. Tutto quello che avrei potuto fare se proprio avessi voluto essere un po' più felice di come sono (ma manco è detto) era capire quale fosse la mia attitudine principale e lavorare solo su quella. Perché si sa, tutti noi umani, anche quelli semplicemente normodotati, siamo felici se riusciamo ad essere la massima espressione di ciò che siamo. Che ci vuole?...non chiedetelo a me (tendo alla violenza quando non conosco le risposte)

Invece per i geni è diverso. Loro sono già la massima espressione di se stessi e pure di quello che riescono a fare. E allora ho cominciato a chiedermi come possono mai articolarsi delle giornate-tipo dei geni: sono così sregolati come vuole la letteratura più banale al riguardo? Oppure ci sono considerazioni più sottili sulla condotta di questi invidiabili "macrocefali". Ho provato così a considerare le abitudini di alcuni famosi "intellettuali"  (facciamo che uso la parola genio con più cautela da ora in avanti) contemporanei che trovo estremamente interessanti, se non altro perché per tutti loro si tratta di autentiche ossessioni da cui non possono prescindere per poter lavorare ai loro altissimi livelli.
Ci sta la Amelie Nothomb, di cui ho appena finito l'ultimo delizioso libro (il primo per me), che scrive tutti i giorni dalle 4 alle 8 del mattino e poi basta. Passa poi il resto della sua giornata a scrivere a mano lettere di risposta ai sui ammiratori. Pubblica rigorosamente un libro all'anno. Non uno di più né uno di meno
L'altro famosissimo scrittore Murakami dice riesce a mettere la penna sul foglio soltanto dopo aver corso almeno per dieci chilometri. Anche per lui questa è una pratica quotidiana.
Woody Allen scrive tutti i suoi film in una camera d'albergo, con una macchina da scrivere, poi taglia i fogli a pezzettini e ricostruisce i dialoghi facendo dei grossi collage. mai usato il pc, mai scritto a casa sua.
Il mio amatissimo Zerocalcare non conosce resa: è capace di tenere la matita in mano per dodici ore di fila, sudare, non mangiare non avere necessità primarie, fino a quando non decide di aver finito. C'è una mistica zen nella sua concezione del disegno e se non l'avessi visto con i miei occhi non lo crederei possibile.
Superfluo dire di Kubrick che viveva in un labirinto inespugnabile da chiunque e della cui maniacalita' ha risentito il sistema nervoso di chiunque abbia lavorato con lui.
Haminguay e Bukowsky (ma in realtà moltissimi altri) non scrivevano mai niente senza almeno un gatto tra i piedi.
Non vado oltre che tanto mi bastano questi esempi per pensare che pure quella degli intellettualmente eletti è 'na vitaccia e trova le su ragioni di completezza nelle sue stesse ossessioni.

Io non posso sapere cosa significhi essere un genio, trovo già una conquista enorme riconoscerlo e apprezzarlo, ma credo che la questione stia proprio tutta qui: alla base di ogni talento innato, pure di quello rivolto a sovvertire le regole auree fino ad ora conosciute in quel campo del sapere, c'è anche una forma ossessionata di rigore e di disciplina che trova sfogo in attività anche molto strane e improbabili. Forse perché è vera la storia che tutto si tiene assieme secondo legami non banali, misteriosi  o magici di cui solo gli illuminati comprendono il senso.

E niente. Volevo solo aggiungere che sapete tutti che io mi alzo all'alba, faccio sport tutte le sante mattine, amo i gatti...e che quella del genio "incomprensibile" è una carriera che si costruisce piano piano...prima di riuscire generare una perfetta "Arancia meccanica" o anche un'"Irrational man" di tutto rispetto.
(Ahahaha....ahahaha)









martedì 5 aprile 2016

Amori "universali" molto "provinciali"

La cosa più ingenua che possa pensare una persona che è vissuta per trent'anni in provincia e poi va a vivere a Milano è quella di credere che quando torni un po' a casa non troverai mai delle novità sorprendenti.
Sono qui da due giorni e dalle amabili conversazioni con i miei parenti ho sentito solo di storie di abbandoni e tradimenti. Credo che un bravo romanziere avrebbe materiale per una collana intera.

Matrimoni da sogno infranti così all'improvviso e quasi senza un perché, relazioni pericolose, fughe di mezzanotte, intrighi, inganni, bugie...tutto questo è successo davvero, a persone reali e in situazioni precise che hanno dato al mio paesello un volto e un fascino che mai gli ho attribuito prima.

Il tema di fondo è sempre lo stesso che mi ossessiona da sempre, dato il mio scarso talento in materia sentimentale: l'incapacità del maschio di rimanere fedele per sempre alla donna scelta come moglie, le incomprensioni, l'incomunicabilità, l'impossibilità di congelare i sentimenti al loro magnifico stadio di incanto iniziale. 
Quello che trovo stranissimo è che quando penso a queste cose mentre sono a Milano mi sembra un fatto normale. Io alla città associo immediatamente  una certa impossibilità nel consolidamento dei rapporti profondi, perché tutto corre più veloce, gli incontri sono moltiplicati ma spesso troppo effimeri per riuscire ad arrivare a strutturarsi. Forse perché sono convinta che i legami che ti costruisci da adulto e in una città che non conosci da tutta la vita richiedono un tipo di collante tanto difficile da fabbricare. E io in verità non so neppure di che pasta sia fatto.

E poi arrivo qui e in un paio di amabili conversazioni coi parenti, scopro che c'è tutto un mondo di intrecci romantici a fare da sfondo alla noia, all' abbandono e al niente...
Mica me ne compiaccio poi così tanto. Tornare a casa per me vuol dire avere la certezza che ci sia un luogo che a dispetto delle pochissime opportunità che mi offre, si faccia vanto di affetti consolidati,  di legami tenaci e protetti con la stessa cocciutaggine contadina che garantiva frutti pure da una terra 
dispettosa e che anzi mi venga a rinfacciare la mia incapcita di trovare queste cose in una città che non sarà mai la mia perché a certi valori non riesce ad arrivare.

E invece no. In paese succedono le stesse cose che a Milano. Ci si incontra, ci si illude di amarsi alla follia, passa un po' di tempo ma neppure troppo...noia, abbandono...e niente...non ti voglio più.

Però le storie di tradimenti che succedono al paesello a Milano se le sognano...e poi ci sta quel'"indotto" ineguagliabile fatto di pettegolezzo, ricami romanzati, travisamento dei fatti...di cui solo un provinciale può capire l'essenza.

P.S. Io per amore sarei disponibile a trasferirmi pure ai polI. Basta che mi garantisci che almeno là durerà per sempre




lunedì 4 aprile 2016

Scelte insindacabili

Avevo pianificato questa vacanza da un sacco di tempo. Mi piace moltissimo andarmene via dall'ufficio subito dopo le feste comandate. Credo che sia una specie di splendido paradosso quello di riuscire a moltiplicare il beneficio delle date da onorare proprio perchè non le si onora. E cosi appena sono tornati tutti al pieno regime delle loro attività, mentre io occupavo gli spazi di un ufficio semivuoto e a basso impatto produttivo, ho salutato tutti per farmi finalmente i fatti miei con i tempi totalmente anarchici che mi posso permettere e che per questo mi risultano molto più dilettevoli.

Questa premessa un po' gradassa mi serve per dire un paio di cose alle quali mi sono resa conto di tenere molto perché causa di forti dilemmi in passato.
Ho già avuto modo di dire un sacco di volte del mio rapporto di totale diffidenza verso i sindacati, realtà che apprezzo soltanto sulla carta e non per le persone che li rappresentano (la mia piccolissima esperienza per la questione estero e il parere, che ho trovato sbrigativo e persino un po' seccato della collega/sindacalista che all'epoca ebbe pure il mio voto, non è che un piccolissimo e insignificante esempio personale. In realtà purtroppo la mia idea è sempre stata questa).

Il 7 Aprile pare che ci sarà uno sciopero per rivendicare questioni fondamentali e, indipendentemente dal fatto che siano dei sindacati a promuoverlo, credo che stavolta avrebbe visto in piazza anche me.

Da quando lavoro ho scioperato una sola volta. Ero al mio primo impiego nella rossa Coop Adriatica, credevo ancora che lavorare in certe realtà avesse un significato, avevo sempre votato comunista...ed ero tanto entusiasta. Ho imparato troppo presto che l'ingenuità ti salva la vita solo fino a quando non scopri che era ingenuità se non addirittura meschina presa per i fondelli. Da allora giurai che non avrei mai più fatto un solo sciopero in tutta la mia vita lavorativa, neppure per giustissima causa. Tuttavia, per stemperare il senso di colpa da mancata partecipazione ad azioni di contrato dimostrative, ho adottato questa strategia: il denaro guadagnato in ogni mancato sciopero l'ho sempre destinato ad una causa "umanitaria". L'ultima volta per esempio è stato per il canile di Milano devastato dall'alluvione. Lo hanno riaperto due mesi più tardi e ho sentito la cosa come una conquista personale molto concreta. La volta precedente il mio bonifico da giornata lavorativa fu per i profughi della Palestina...ma temo che per là vedere dei risultati dovrò attendere ancora molto...

Ebbene sì, io non credo affatto nel valore dello sciopero per esprimere la propria voce e il proprio malcontento, credo che i sindacati facciano solo ed esclusivamente i propri interessi come tutte le lobby dall'impianto arcaico che si consolidano in questo Paese, credo che lo Stato ci guadagni molto da una giornata di lavoro non pagata, credo che il cosiddetto Sistema Italia risenta moltissimo dei disservizi creati dallo sciopero generando ancora più odio e disordine sociale - abbassando il benessere generale in modo irrimediabile, credo che bisognerebbe fare uno sforzo molto più serio per inventarsi una maniera più efficace per rivendicare pretese ragionevoli.
A farla breve, mi sono stancata di essere una persona di sinistra che non apprezza più niente del suo essere di sinistra.

Il 7 Aprile ci sarà uno sciopero. Ma io per fortuna sono in ferie. E, almeno per una volta, sono proprio contenta di non avere la colpa di fare la solita scelta giusta che tenta di farmi sentire sempre un po' più sbagliata di quelli che trovo sbagliati.
          

venerdì 1 aprile 2016

Pablito (che cosa sei...che cosa sei...) (o chi?)

Era il 13 giugno del 2013. Avrei giurato molto di più. Quella mattina ero contenta e tanto curiosa. Avevo chiesto al mio amico Paolo di accompagnarmici, che da soli queste cose non si fanno. Mi ero imposta di non immaginare nulla, soprattutto di non avere pretese estetiche. Doveva essere tutto una sorpresa, come quando si diventa genitori.
Avevo promesso al signor Franco, uno dei tanti anziani che, per arrotondare la pensione, vengono in agenzia a portare gli atti da registrare, che avrei preso uno dei micini salvati dall'associazione a cui appartiene anche sua figlia.
Entro nell'abulatorio veterinario, dalla piccola gabbia sgusciano fuori due mici gemelli e uno di loro mi salta addosso con la determinazione di chi vuole assolutamente essere il prescelto. È stato molto più facile di quanto pensassi. Fu lui a scegliere me. La figlia di Franco mi regalò un topolino di pezza e la sportina per il trasloco. Fu così che il mio sfortunato micino  abbandonato in un cassonetto di San Donato ebbe una casa e tante mensole su cui saltare e da cui far precipitare i ninnoli accuratamente scelti a rappresentare la mia estetica domestica.
Aveva meno di due mesi e io non mi ero neppure ancora dotata di una lettiera per una dignitosa accoglienza. Così io e Paolo andiamo alla Coop e prendiamo tutto quello che serve al nuovo arrivato, oltre ad un bel traspostino fucsia per quelli che sarebbero stati dei viaggi abbastanza frequenti.

Pablito è rimasto con me un anno, poi, una delle volte che tornai giù a casa con lui mi resi conto che era davvero una crudeltà quella di tenerlo rinchiuso in un bilocale, solo tutto il giorno, senza mai uscire, mentre ora nella casa di giù scorrazza felice per il giardino, socializza con i tanti mici dei miei, fa la pennica con mio padre, con cui ha un rapporto molto più speciale che con me. Quella volta, ormai due anni fa, me ne tornai a Milano da sola, mentre lui prendeva immediatamente possesso di tutto laggiù, soprattutto del cuore dei miei familiari. Io ne sono stata felice, pure se ogni tanto penso a come era vivere con lui, che aveva trovato quella maniera strana di aprire i cassetti della cucina, che non ha smesso mai di rubarmi gli elastici dei capelli e nascondermeli dietro ai mobili, di salire e  scendere mille volte e senza sosta dalla scala del soppalco, di farmi le fusa tutte le volte che mi vedeva scrivere al computer. Era un'adorabile canaglia. Tutte le volte che ci rivediamo si lascia prendere in braccio, Mi mordicchia il collo e mi illude che sa bene chi io sia, ma a me dà sempre l'impressione che mi voglia ringraziare per avergli donato un vita da gatto e non da pesce rosso a cui sembrava destinato nel mio posto senza sole milanese.

Domani lo rivedo e questo fatto aggiunge sempre tanta allegria al mio tornare a casa. Chi lo sa se se la ricorda veramente la sua vita precedente. Non può aver dimenticato momenti fondamentali come gli addominali della mattina che faceva assieme a me imitandomi benissimo, o il rito serale della corsa verso la porta appena sentiva il rumore delle chiavi.
Chi lo sa se se lo ricorda perché lo chiamai Pablito.

Ma in fondo che importanza ha, quello che conta è che lui fa parte della mia vita anche così, senza che ci ostacoliamo a vicenda, ritrovandoci se e quando è necessario. Lui con me non ci può stare, io con lui non ci so stare, lui di me si ricorda, ma forse è solo che a me piace pensare che sia così. Io lo cerco, ma poi lo lascio andare. Perché è meglio, perché sarebbe peggio se così non fosse.
E nessuno ricorda perché l'ho chiamato così.