Sola andata

Sola andata

mercoledì 31 agosto 2016

"Noi viviamo dei vostri successi"

Credo che il problema siano certi dettagli piccoli, quasi impercettibili, che piuttosto che passare inosservati ed essere dimenticati subito, ti si ficcano nella testa come questioni definitive. E tu passi una vita intera a rinnegare ogni meccanismo di compensazione perché ormai non ti serve più, tu pensi solo a quel dettaglio piccolo piccolo e basta.

Quando conclusi il mio percorso di studi con la fatica titanica di chi non si è mai capacitato cosa ci facesse in quel luogo per cinque anni, il mio papà faceva quella cosa che di solito imbarazza moltissimo i figli: andava a raccontare agli altri dei miei risultati. Un giorno, mentre eravamo in spiaggia con delle persone appena conosciute, lui come al solito trovava la maniera di parlare dei miei risultati. Io gli chiesi di smetterla, perché ero sinceramente imbarazzatissima (oltre al fatto che io quei meriti non me li sono mai davvero sentiti). E quella signora mi disse così: " ma non devi mica vergognarti. Noi genitori viviamo dei vostri successi".
Il mio istante zero credo che sia stato quello. Una frase banalissima, profferita in modo rilassato, su una spiaggia, da una signora che non conoscevo e che mi stava raccontando esattamente quello che mai avrei concepito come etico, sensato, giusto: vivere dei successi di un figlio. Io pensavo che si vivesse della loro felicità o del loro stesso stare al mondo e invece pare che serviamo solo all'ego di chi ci ha tirato lo scherzo di portarci qui senza manco chiederci il permesso. Ma forse esagero...chissà che voleva dire davvero quella tizia. Intanto io mi ficco queste frasi nella testa e non me le scordo più. Che ci posso fare?

Però poi mi ricordo pure della mia dirimpettaia del paesello. Faceva la casalinga e teneva due figli. La vedevo sempre tutta perfettina e composta, la mammina ideale, come quelle degli anni cinquanta, devote e presenti in mezzo a cup cake e nastrini colorati. E invece una volta la incontro per strada con i due pargoli e mi dice: "meno male che è ricominciata la scuola. A questi due non li sopportavo più". Ma come!?! E gli anni cinquanta? E i nastrini? Che c'entra questa cosa che dici. Davanti a loro per giunta?!?E se poi pure loro ricordano tutto come me? Da allora, quando ripenso a quell'episodio mi viene sempre in mente un passaggio del film "Hannah e le sue sorelle" , nel punto in cui la Farrow parla dei suoi genitori e dice "forse a loro piaceva l'idea di avere dei figli, ma non anche quella di crescerli".

E poi mi ricordo pure di una mamma a passeggio con la figlioletta per le stradine tirate a lucido di Conegliano Veneto. "Mamma mi compri quella collanina?" "Si amore. Te la compro solo ad una
condizione" "quale?" "Che non la fai provare alle tue amiche". Forse fu allora che cominciai a capire come facesse il Veneto a partorire tutti quegli..."stereotipi". A me nella testa questi episodi si sono insinuati fissandosi su un basamento granitico sul quale hanno costruito la mia idea di famiglia, di società e di stato. Quello stesso Stato che intercetta i punti più deboli delle prime due perché sa che quelli sono facili facili da gestire, controllare e poi forgiare in tutta comodità.
 
 Non so bene su cosa punti concretamente la proposta così fuori contesto della Lorenzin sul fare figli presto...davvero, ora che ho sbollito la rabbia iniziale, mi chiedo cosa intendesse veramente.
Pure io penso che i figli si possano fare in giovane età e che se ne possano anche fare tanti. Non è mica un reato. Se li vuoi, se hai qualcuno con cui farlo, se ti senti all'altezza, se riesci a mantenerli,...se ti senti all'altezza, se ti piacciono i bambini...se ti senti all'altezza, se i tuoi ideali e il
tuo stile di vita rendono tutto questo possibile...se ti senti all'altezza.

Come fa un ministro, ma pure un Papa, a pretendere di entrare a gamba tesa nelle scelte individuali di ciascuno di noi in nome di chissà quale progetto comune E senza sapere nulla del percorso di ciascuno, di quello che gli capita nella vita, di ciò che davvero desidera, di come pre visualizza se stesso nell'avvenire?

Forse sono io a non aver capito bene le intenzioni di questo evento dal nome così squallido che anche da solo basterebbe a raffreddare ogni intento dialettico. E d'altra parte riconosco pure che sia vera la cosa che se i figli non li tieni non puoi capire davvero di che stai a parlare.

E così ogni tanto lo faccio. Provo a chiedermi quanto sarei capace, io, di accettare tutto , ma proprio tutto da un figlio : un  cattivo carattere, una malattia, una malformazione,  delle scelte scellerate, gli insuccessi, l'ingestibilita'. E la risposta non mi soddisfa mai. Non sono mai riuscita a darmi un convinto sì. E questo per me già vale come un no categorico che mi serve solo a ricordare meglio quei piccoli insignificanti dettagli di quei genitori che sono diventati tali meritandolo, forse, ancor meno di me.









lunedì 29 agosto 2016

Voglio vivere così. O così...ma forse è meglio cosi

Secondo me non può valere la storia del "rispetto" per diritto anagrafico acquisito. Questa cosa che se sei vecchio necessariamente costituisci un esempio per qualcuno perché di certo hai un'esperienza e uno sguardo sul mondo che i giovani non hanno e della quale necessitano assolutamente. Faccio presente che Riina è arrivato ad una "rispettabile" età, pure Andreotti, pure Cossiga...tutta maestri  "venerabili" delle cui magistrali lezioni questo paese vivrà in eterno di "rendita passiva" .
Così come non credo affatto che i bambini siano tutti adorabili o autorizzati a sentirsi liberi di esprimersi come credono senza mai ammonimenti. Le fasi della vita non hanno meriti o demeriti di per se', sono semplicemente delle occasioni che ciascuno di noi si gioca più o meno consapevolmente sulla scorta di una base innata che ci rende unici ma che non è sufficiente per raccontare tutto di noi.
 Io credo di essere stata una grandissima rompiscatole da piccola e forse è per questo che mi ricordo ad uno ad uno gli schiaffi e le lavate di capo che ho ricevuto da bambina. Non credo mi abbiano fatto bene ma neppure posso sapere cosa sarei diventata se non ne avessi prese così tante. In Giappone vige un rigidissimo sistema educativo che impone assoluto rispetto delle regole imposte fin da piccolissimi perché l'asilo in cui riusciranno a farsi ammettere deciderà l'intero percorso scolastico e poi lavorativo e di prestigio sociale. Una vita senza scelta. Se riesci a non suicidarti o non diventare un hikikimoro ( uno che si isola dal mondo e rimane nella sua camera senza uscire mai. I genitori per la vergogna di solito assecondano la "scomparsa" e dicono ai vicini che sta studiando all'estero) forse poi davvero diventi un vecchio meraviglioso e saggio di cui quella cultura ha giustamente un enorme rispetto.

In questo ultimo periodo c'è una cosa che mi piace fare più di ogni altra al mondo, spero che mi passi perché sta diventando una piccola ossessione: mi incanto a guardare video di animali che interagiscono tra loro in modo più o meno buffo, tenero e apparentemente improbabile. Io stessa stento a credere a quanto piacere provi nel cercarmi questi video. Forse perché non amo gli animali proprio da sempre. È una scoperta che ho fatto abbastanza di recente, con il mio primo micio che occupò la mia casa nel 2005. Mi ricordo che solo pochi anni prima, incontrando in treno un mio amico, pensai che fosse completamente pazzo per il tono con cui mi raccontava del pediggree che aveva fatto avere al suo cane. Giuro che rimasi impressionantissima da quel suo sguardo così illuminato. Soltanto dopo ho capito davvero cosa c'era in quella luce e che se ti innamori di un animale è del tutto normale provare quel tipo di empatia.

Perché è così che funziona quella che i bravi definiscono "competenza emotiva". Un po' torna utile una sensibilità innata, un po' i casi della vita che ciascuno di noi prova a trasformare in bagaglio di esperienza, e un poco, anzi parecchio, devi avere voglia di fare lo sforzo di capire quanto davvero sei capace di provare un sentimento che ancora non ha preso forma ma che sta lì, latente in attesa.
E così ho pensato che per diventare una persona buona sia necessario un esercizio consapevole di volontà e che quella parte di umana compassione di cui siamo tutti più o meno naturalmente dotati non puo essere sufficiente a renderci ciò che è giusto che diventiamo. È per questo che per me l'età è, oggi più che mai, in questa specie di eterno presente da cui tutti abbiamo paura di sganciarci, un indicatore della portata umana alquanto poco rappresentativo.

L'ho capito solo ora, quando ritrovo nello scambio di effusioni tra un cane e una gattina maliziosa la sintesi perfetta di un legame senza filtri, che travalica il genere, gli stereotipi, il calcolo e direi la natura stessa per come noi l'abbiamo mal codificata fino ad ora. Per gli animali è normale. Io l'ho dovuto imparare. E cosi mi incanto e poi non mi distrae nient'altro, non i bambini-tiranni di genitori indolenti, non i vecchi incarogniti da progetti non realizzati, resi diffidenti, abbandonati sulle panchine a lasciarsi morire lentamente, o a sparare a zero contro la crisi dei valori dei giovani. La meglio umanità lascia che il tempo restituisca all'età ciò che merita, altrimenti passerà inosservato fingendo che non siamo mai esistiti davvero.
Noi non sappiamo tutto e subito come gli animali. Per essere migliori pare che ci dobbiamo sforzare. Sempre. Da quando siamo piccoli piccoli fino all'ultimo alito di esistenza. E pare che certe volte si soffra. Un bel po'...







sabato 27 agosto 2016

Di "gommoni" , di pomeriggi in panchina e di tagli mancati

Ma insomma...non faccio in tempo ad appassionarmi alle storie d'amore che nascono e alle quali mi appassiono come una fanciullina che si augura che funzionino ancora secondo lo schema classico della fiabe a lieto fine, che già la trama vira in senso illogico e si mette a raccontare cose che predispongono ai più antichi stereotipi sul maschio inutile. No, non parlo di me, che nelle favole ho deciso di non entrarci neppure per fare il folletto sfigato, però se un'amica mi racconta di un incontro bello, di un uomo che la fa ridere, di conversazioni telefoniche che durano tutta una notte, poi alle puntate successive mi pare ovvio che voglio che lo sviluppo sia coerente con i presupposti. E invece niente. Pare che le storie appassionanti non vadano più di moda, che il protagonista maschile si riveli sempre per il meschino approfittatore di tutte le donne che si innamorano di lui solo perché non riesce a scordarsi dell'unica che lo ha abbandonato. È così. Se hai più di 15 anni, incontrerai solo e sempre tipi così. Fine della favola. E sopravvissero tutti abbastanza infelici e con qualche contentino.

Meno male che ci sono i sabato pomeriggio al sole sulla mia panchina di fiducia, a leggere storie più appassionanti della vita. Meno male che ci sta l'Esselunga con gli sconti fino al 50% e poi un anziano signore che ti dice che sei bella e brava solo perché gli hai dato la precedenza alla cassa. Meno male che ci stanno i muratori di via mecenate a fermare l'aggeggio con cui stavano scavando nella strada per dirti tutti assieme con una sola voce che hai un bel prendisole...se avessero avuto uno smartphone non lo avrebbero mai fatto. Meno male che vivo in un quartiere dove si cucina ancora per  famiglie numerose senti gli odori, le conversazioni accese, lo spignattare tipico di quando non usi soltanto il microonde come faccio io.

Era previsto che andassi dal parrucchiere oggi pomeriggio. Voglio farmi la frangia e scalare ancora un po' il taglio che ho senza accorciarlo. Ma ci vado mercoledì. La panchina non va trascurata e almeno di sabato io devo stare qui seduta con soltanto tre cose: una bottiglietta d'acqua, un libro e l'i pad per prendere appunti. Per almeno un'ora il mio compito è stare seduta qui al sole e senza nient'altro a disposizione. Sono qui da circa mezz 'ora è non è successo ancora niente, ma questo lo sapevo e poi è uno dei motivi per cui mi piace starmene qui. E poi penso sempre a una parola nuova che ho sentito dire dalla mia amica simpatica con le storie travagliate. Ha detto che certi ragazzi sono proprio dei "gommoni". E quando le ho chiesto cosa cavolo significasse, lei mi ha detto che in Puglia si dice così per gli uomini che "non tengono voglia di prendersi gli impegni. Gli piace sfruculiare senza quagliare" (garantisco che questa frase con l'accento barese fa riderissimo).

Ho riso tantissimo e in quel momento ho pensato che pure se è molto divertente leggere le favole, può esserlo altrettanto ascoltare le storie che non finiscono esattamente come vorremmo noi, perche è come ce la raccontiamo a fare poi la differenza.
E pensare a tutto questo, di sabato pomeriggio e sulla mia panchina prediletta, non ha prezzo. A cambiare testa ci pensiamo mercoledì.





venerdì 26 agosto 2016

La seconda migliore scelta possibile

Ormai sono tanti anni che ho fatto mia la convinzione che raccontare i fatti propri e decidere di condividerli con chiunque trovi la cosa divertente/interessante/discutibile/detestabile o anche solo la maniera più efficace per confrontare l'esaltante vita di un vip da rotocalco con quella di una anonima sconosciuta, emigrata da una provincia del sud nella scintillante Milano e che si muove nel mondo incespicando e cadendo...e ridendo delle sue ricadute.

Però certe volte è proprio imbarazzante. Da un po' di giorni, prima dell'ennesimo terremoto che ci ha colti impreparati come sempre, riflettevo su quello che è stata questa strana estate per me. Pensavo che è stata bella perché mite. Mite nella temperatura, negli imprevisti, nel traguardo tanto temuto dei quaranta e invece alla fine me li tengo con tanto piacere. Sì, mite è la mia parola chiave di questa estate. Mite anche per l'accettazione atutte le mie attese mal riposte, per il cuore mai appagato ma alla fine...fa' niente, per gli obiettivi che voglio raggiungere ma stavolta con un passo diverso. Avevo bisogno di un'estate così per riparametrare tutto. Ma è imbarazzante. Mentre scrivo sono fresca delle immagini di blob, che è il mio unico canale di informazione televisiva. Raccontava il terremoto cucendo i servizi abominevoli della nostra peggiore televisione, alternandoli ad immagini non commentate che finalmente rendevano giustizia a tutti i racconti mancati.
È imbarazzante non trovarsi mai in sintonia con gli umori del mondo, questa colpevole percezione che la mia quotidiana battaglia individuale per mantenermi più viva che posso è spesso in netto contrasto con gli accadimenti della storia collettiva.

A me piace parlare delle cose che mi succedono, pure di quelle che dal mio personalissimo punto di vista sono dolorosissime, perché uno dei piccoli miracoli che può fare il racconto è proprio quello di restituire nuove forme ai fatti, spesso rendendoli buffissimi ed esorcizzandone quasi del tutto il peso. Ma come si fa davvero a raccontare il dolore che non sai codificare e che puoi immaginare solo come ipotesi remota perché quando succede, e gli sopravvivi, poi di quello che eri prima ormai non rimane più nulla?

Io vivo sola ormai da tantissimi anni, eppure mi succede ancora, ogni tanto, di notte di svegliarmi di soprassalto. Forse perché raggiungo dei picchi di solitudine così insopportabili che si trasformano in incubi spaventosi. E mi dico sempre che è vera la storia che fa più paura avere paura, da soli, di notte. Poi passa, ma non ha senso lo stesso.

E così ho pensato che è davvero strano provare questa riconoscenza gratuita per una stagione, un'età, uno stato d'animo pacificato, un cuore che si è fatto consigliare dalla ragione e ha deciso che è più forte lei...in aperta contraddizione con un mondo che procede spedito verso imprevisti ingestibili ma prevedibilissimi, l'odio rancoroso e infondato per tutto ciò che è diverso , il chicchiericcio ipocrita e incompetente, lo sciacallaggio.

Io non sono in grado di fare molto per impedire tutto questo, se non provare ad agire secondo una sensibilità e una coscienza che presumo essere aderenti a quella collettiva. Ma non lo so come si risolvono i problemi e mi piacerebbe, una volta tanto, che quelli che sono delegati a farlo ci riuscissero con fare illuminato. Però posso provare a fare una cosa a cui non avevo mi pensato. Posso provare ad essere meno triste che posso che, ti assicuro, è una roba quasi impossibile quando la tua pretesa è quella di essere felice a tutti i costi. Non è questo il tempo per essere felici. Se non lo siamo tutti non può esserlo davvero proprio nessuno.

E niente. Tutto qui: essere meno triste che posso è la mia migliore seconda scelta possibile che posso fare per pensare che una nuova estate mite per tutti sia possibile. A me per oggi basta anche soltanto non svegliarmi all'improvviso in piena notte


  

martedì 23 agosto 2016

Le ragioni. Se sono buone non sono quelle giuste

Un paio di giorni fa ho salutato le conduttrici di un programma radiofonico della primissima mattina inviando loro una mia foto. Mi ero appena svegliata e avevo la maglietta di radiodue. A ferragosto avevo trascorso mezza giornata con loro al parco assieme ad altre persone molto simpatiche. Durante il programma hanno ricambiato il saluto e poi si sono anche ricordate di dettagli riferiti mentre stavamo assieme in quella giornata di festa. Per esempio avevo detto che trovavo geniale la canzone di zucchero "tredici buone ragioni" e pure che ad un certo punto della trasmissione io ero in una zona precisa di via Mecenate perché quella fase della mattina così delicata è cadenzata dai vari momenti in cui è suddiviso il loro programma. Mi pareva di parlare con delle amiche di sempre...loro ricordavano tutto questo e lo hanno riferito durante la trasmissione. E io le ho trovate carinissime.

Mi piacciono molto le connessioni immediate, certe affinità che non hanno bisogno di conferme o della continuità di legami consolidati da esperienze comuni.
Ho passato anni a cercare di comprendere rapporti di cui pretendevo la riuscita, e invece niente, sono rimasti soffocati dalla stessa ostinazione di certe aspettative mal riposte. Vai a capire perché decidono di nascere e insinuarsi nel cuore con quella insana idea che aggiustando il passo riescono poi a diventare il legame su cui costruisci il tuo sogno di completezza.

Moretti dice sempre che se potesse rifarebbe sempre lo stesso film ma fatto meglio. Lui dice che "Ecce bombo" è il film che lo rappresenta più di tutti e rifarebbe soltanto quello all'infinito perfezionandolo ogni volta.
Ecco, forse anche io in amore farei così: passerei dallo stato grezzo al sublime sempre con la stessa persona. Resetterrei tutto ogni volta e ricomincerei da capo, ma sempre e solo con lui. Una specie di mio personale "Se mi lasci ti cancello" abbinato alla convinzione decisamente radicale (come purtroppo mi ostino ad essere su certe questioni) che ognuno di noi è nato solo per una persona e che se la trova poi lo capisce pure immediatamente. Per questo per me non hanno senso le migliaia di incontri inutili che in una vita intera possiamo illuderci di fare per consolarci di quel l'unico incontro che troppi di noi non non hanno ancora fatto. Io credo che simili tentativi siano talmente insensati e che le ragioni per preferire un panino al salame siano molte di più di quelle che ha recuperato Zucchero... No. No voglio neppure che la pensi questa cosa che se non fai degli incontri poi come lo fai l'Incontro? Non lo so...davvero non lo so. Ma sono certa che non può essere dalla confusa e ossessionata ricerca di qualcuno che si arriva a trovare chi ci aspetta. Un giorno. Per Caso. Senza una buona ragione.

lunedì 22 agosto 2016

Partorire il cambiamento (ovvero se rinasco lo faccio per scelta)

Chi lo sa cosa scatta davvero nella testa di chi decide progressivamente di demolire le convinzioni su cui aveva impostato l'intera sua vita fino a quel momento. Voglio dire, riesco ad immedesimarmi in chi decide di cambiare orientamento politico, religioso, regime alimentare, lavoro...in tutte queste cose percepisco lo sforzo di un percorso più o meno serio, spesso addiritttura doloroso, fatto di tormenti, dubbi, valutazioni da ponderare cercando di tenere assieme in modo coerente ciò che si sente di essere con quello a cui si sta decidendo di aderire. Si tratta di veri e propri passaggi esistenziali che posso comprendere e che spesso trovo ammirevoli.

No, io mi riferisco a "mutazioni" individuali differenti e delle quali io stessa sono molto spesso preda involontaria. Ci sono libri letti in gioventù che ripresi oggi mi lasciano fortemente dubitare della mia sanità mentale dell'epoca, abiti che io stessa fatico a credere di aver trovato il coraggio di indossare, persone che ho amato, amiche che ho adorato, film che ho visto mille volte...c'è un elenco fittissimo di cose fatte in qualche età della mia vita con trasporto e passione estremi e che mi sembrano riguardare un'altra persona in cui oggi non vorrei o potrei mai riconoscermi. Quando ci penso quasi mi stranisco.

Io non sono una malinconica: non c'è un solo nanosecondo della mia vita passata, anche appena passata, che avrei voglia di rivivere. Se potessi, rinascerei ogni giorno in un posto diverso e tra persone diverse e non avrei alcun rimpianto di niente e nessuno. E non per mancanza d'amore o di radici. È che ogni tanto mi piglia la lacerante convinzione che nulla sia valso veramente la pena, che tutto poteva essere tutt'altro e non avrebbe fatto nessuna differenza, o peggio, che tutto poteva essere migliore lasciando che il tempo rimanesse sprecato senza rimedio.
Si, credo che il mio vero dramma stia in quelle cose che mi son piaciute senza continuare a farlo con la stessa forza ed intensità iniziali, sfumando così nel nulla, vanificando passioni e dolori, rendendo tutto farlocco perché temporaneo. Pare che questo rinnegarsi continuo si chiami crescere, evolversi, progredire. Morire ogni volta per rinascere ancora. Ma io credo di no. Credo che abbandonare progressivamente lo sguardo infantile, semplice ma non semplicistico, sulle cose che ho amato, mi abbia reso peggiore perché sempre meno felice.

Non sono una madre e confesso che non ho mai desiderato davvero esserlo. Mi piacciono quelle che lo diventano non per istinto ma perché ritengono l'esperienza generatrice una faccenda interessante. Probabilmente avrei seguito anche io questo approccio, ma mi sono sempre chiesta quanto sia lecito per una persona non ottimista, non sufficientemente entusiasta del mondo e della sua inutile complessità e carico di dolore, soddisfare la curiosità di vedere una propria creatura districarsi da queste parti. E se poi cambiassi idea pure su questo? Se poi non trovassi così interessante restituire al mondo un altro generatore di idee che contraddicono continuamente se stesse?
Forse è proprio per questo che non sono madre: se mai mi qualcuno mi avesse chiesto di diventare figlia non avrei saputo che rispondere.


venerdì 19 agosto 2016

Abiti ed ebeti

Non fingerò di appassionarmi all'argomento. Potrei ammetterne  la rilevanza se fosse stato impostato in altro modo, ma così non mi risulta e quindi mi pare soltanto un'altra occasione persa per un dibattito serio e depurato dai soliti pregiudizi.

Però posso riferire di un paio di episodi vissuti in prima persona e che mi ricordo che mi procurarono parecchio disagio. Il primo è stato durante la mia prima e unica crociera nei Caraibi. Mi stavo rilassando in una di quelle piccole vasche idromassaggio nelle quali ci si sta al massimo in quattro. Ero sola e ad un certo punto due donne completamente coperte con indumenti di tessuto semipesante entrarono nella vasca dove ero io. La mia reazione fu di uscire immediatamente per ragioni meramente igieniche. Ovviamente. Ma la mia indignazione era palese e dal mio punto di vista sacrosanta. E continuerò ad indignarmi sempre per una zozzeria simile. Un secondo episodio è accaduto qualche mese fa in un centro estetico di Milano, quando il marito di una donna col velo spiegava alle estetiste i trattamenti che LUI voleva che facessero a sua moglie e pretendeva che tutti i dipendenti maschi uscissero dal negozio...
Al netto di questi accadimenti vivo senza alcun interesse né partecipazione emotiva l'osservazione delle tantissime donne, spesso molto femminili, belle e sensuali che incontro ovunque e senza la costante necessità di ipotizzare chissà quale forma di costrizione o sottomissione al maschio dominatore. Quasi tutte le volte sento che si tratta di libere scelte esercitate in un contesto culturale molto connotato a cui si può anche voler aderire per intimo convincimento e non per terrore o manipolazione.
Le religioni sono così...irrazionali e ci sta poco da dibattere quando si accetta la possibilità che abbia senso ammetterne il senso...nessuno pensa mai allo sforzo enorme di tolleranza che un povero ateo compie nell'accettare l'immane stupidità che ritrova in ogni forma di credenza religiosa...

Per il resto direi che c'è poco da essere spensierate pure dalle mie parti. A me capita ancora oggi di sentirmi dire che sono da sposare solo perché scoprono che so cucinare o non dimostro la mia età. Ci sono forme striscianti di maschilismo che si annidano in espressioni innocue, considerazioni fatte distrattamente (e forse per questo ancor più gravi) che la dicono molto lunga sulla effettiva percezione che a qualsiasi latitudine l'uomo ha bisogno di avere della donna per conservare la sua sicurezza. Se dovessimo misurare il nostro grado di civiltà su questo fattore, credo che avremmo davvero poco da insegnare a chicchessia. E non lo so se sia solo un caso che mi viene in mente l'ultimo fotogramma di quello splendido cartone "anomalisa": quello di una bambola gheisha comprata in un porno shop e che opportunamente "lubrificata" canta una dolce ninna nanna al suo "bambino".
Intanto al Tg ci sta il presidente della repubblica che interviene al meeting di comunione e liberazione , credo la peggiore aberrazione di questo paese. Ma davvero crediamo di essere in grado di avere qualcosa da insegnare i termini di evoluzione civile e sociale?

Noi discutiamo male, malissimo, di veli, di costumi, di maschi che decidono quanto devono essere belle le proprie donne, del grossolano gioco dei ruoli all'interno coppie sempre più fragili e drammaticamente estranee...e intanto l'immagine simbolo di una estate paradossalmente così poco ortodossa come questa è quella di un bambino insanguinato, completamente solo, che non ha mai conosciuto la pace nel suo paese perché quando è nato già non c'era più. ma continuiamo così...a stendere veli pietosi su teste che si ha una gran paura di far funzionare correttamente.





mercoledì 17 agosto 2016

Ma chi sei?Ma che vuoi? E soprattutto...ma che hai capito?(quando la realtà ride della fantasia)

Gli ho chiesto il permesso di parlarne qui nel mio blog, che da sempre è  pubblico, autobiografico e mai complottista. Voglio raccontare di una storia assurda che mi ha confessato ieri il mio amico e che mi ha riguardato molto da vicino per circa un anno a mia totale insaputa. Una roba che mi ha aperto un mondo sul concetto di travisamento totale di un racconto, sull'elaborazione di un fatto, sui preconcetti assurdi e sulla libera interpretazione di parole, frasi, pensieri, storie raccontate.

Premessa doverosa. Come necessaria è la precisazione che a me fa assai piacere che mi seguano assiduamente persone mai viste e mai conosciute. Detto questo passo al fatto assurdo di cui ho saputo ieri sera, quando dopo più di un anno che non ci si vedeva, vado al Carroponte con un amico molto simpatico e divertente, a vedere un film sgangherato e surreale che si chiamava "Napolislam".

Ad un certo punto, davanti a una birra che beve solo lui, mi dice che mi deve dire assolutamente una cosa. La sua ex fidanzata, più grande di lui di molti anni, lo ha costantemente accusato di avere una relazione con me, che mi odia da allora e che anche l'ex amante di lei (legge sul mio blog pure l'ex amante di lei!!!!) l'ha messa in guardia su questa cosa di cui ormai sono tutti certi...
Io lo guardo basita sperando che a un tratto scoppi a ridere per dirmi "dai scherzo". E invece no. Lui mi ha detto che per un anno ha litigato continuamente con lei, perché nei miei post lei intravvedeva i segnali di una passione reciproca inappagata...
Io ammutolisco ma lui continua a dirmi che è andata proprio così e che uno dei motivi di rottura che gli sono stati rinfacciati fino alla fine è stato questo. Ad un certo punto mi chiede addirittura se io davvero non c'entro niente in tutto questo gigantesco equivoco. A quel punto lo guardo come per dirgli che mi sento più responsabile della crisi argentina che di quello di cui mi parla lui.

Ecco, giuro che è successa una roba del genere. Io da più di un anno scrivo su questo blog di fatti totalmente miei, riferiti a faccende che vivo in primissima persona e all'improvviso scopro che ci sono degli sconosciuti che leggendomi hanno costruito fantasmi, fatto congetture e deduzioni e tratto conclusioni assurde e completamente false. Mai avrei immaginato...mi pare di aver inventato un nuovo filone artistico!

In futuro oltre ai post ci sarà un'appendice di esegesi del testo affinché si capisca meglio che la mia vita è assai più banale della mente contorta di chi riesce ad odiarmi senza conoscermi e per cose che non ho mai fatto né pensato...e comunque andare da uno bravo è meglio...


lunedì 15 agosto 2016

Per me il solito. Un rosso del '94

Te lo dico subito, quelli di oggi sono solo appunti per omaggiare un film che ho visto ormai tante volte ma per me è sempre la stessa storia...nel senso che - sì - la storia è sempre quella...ma io rimango di stucco come se non la conoscessi. Quindi se non hai voglia di leggere un post da cineforum polacco, ti prego di non leggere. È ferragosto...probabilmente stai ancora grigliando, io invece sono già in modalità Martedi...evitami, se non mi conosci.
Come spessissimo ho voglia di fare mi sono rivista "film rosso", secondo me il più bello della trilogia di kieslowsky, quello dedicato alla fraternità. Questo film concorreva a Cannes nel '94 assieme a "Pulp fiction", che poi vinse, e lo stesso Tarantino disse che avrebbe meritato la palma d'oro al suo posto. Forse era vero. Da quando l'ho visto non ho mai smesso di pensare che in nessun altro film si capisca così bene l'eterno paradosso della giovinezza che si affanna a credere nell'incanto del mondo, proprio mentre si scontra con la maturità che la osserva affranta, ma forse più semplicemente la invidia.

Kieslowsky aveva fama di essere un regista estremamente rigoroso e maniacale. Montava le scene in modo che lo spettatore deducesse parti della storia senza che queste fossero esplicitate nella narrazione, creando così delle sfide psicologiche quasi ad imporre un'immediata elaborazione dei contenuti prima che sfuggissero gli elementi salienti del messaggio.
Eppure non girava mai più di due o tre crack a scena: riteneva che quando si fanno troppi ciack voleva dire che la scena non era giusta e funzionale al racconto e quindi non andava proprio fatta, non bisognava insistere. Moretti pensa esattamente l'opposto: fare moltissimi crack significa arrivare alla scena autentica che definisce la storia rendendo la finzione una forma di verità. Io non mi sogno di dare torto a nessuno dei due ovviamente.

Film Rosso racconta dell'impossibilità di fornire un giudizio esatto sulle cose che accadono, non è un caso che il protagonista sia un giudice (in pensione volontaria), della prepotente incidenza del caso nella vita di ciascuno, della impossibilità di essere pienamente padroni degli eventi e dell'imprevisto e di avere il controllo su tutto. Per tutti questi motivi io ho sempre pensato che sia una magnifica storia di incontri che cercano di comprendersi con gli strumenti meno ortodossi con cui hanno mai avuto a che fare, aiutati solo dalla magia di una connessione che travalica il vissuto di ognuno di loro.

Ho visto questo film un sacco di volte, mi torna spesso nella testa perché se provo a ricordare anche soltanto alcune scene precise, mi chiedo come sia possibile partorire tanta meraviglia in pochi dettagli fondamentali. Certi film non sono solo quello che raccontano e neppure come raccontano una storia o un modo di pensare. Certi film sono dei miracoli che esistono solo per dire a me che i miracoli esistono... Ora che hai letto fino alla fine, se lo hai visto, mi dici che è un film che vedresti anche stasera, mentre grigli chili di carne perché la vita è meravigliosa per entrambe le cose?


sabato 13 agosto 2016

Il (non)senso della misura

Mi è andata bene. Rileggevo il mio post di compleanno dello scorso anno. Mi sono resa conto di quanto possa tornare utile appuntarsi le cose e avere qualcuno che ti ricorda che le hai scritte e te le fa riguardare, giusto così per aiutarti a fare il punto della situazione.  In quel post parlavo della mia paura di approssimarmi alla nuova decade con i timori di un bilancio in perdita, la costante paura di non trovare un amore corrisposto, la paura di invecchiare, di non avere mai la corretta percezione delle cose e della gente. Tutti timori fondati perché sono alla base dei più comuni tentativi che nel corso della vita compiamo per crescere in consapevolezza e in capacità di cogliere l'essenziale.

Non saprei dire davvero quante cose ho davvero voglia di portarmi dentro di quello che mi è capitato e che io ho stessa ho contribuito a far succedere. Di getto mi vengono in mente solo un paio di episodi per nulla piacevoli nel loro epilogo, ma che ora considero con la leggerezza che meritano perché alla fine si è trattato di faccenda di poco conto. Sì, direi che più di tutto ho imparato questa cosa sui trappoloni emotivi che ci costruiamo da soli, da cui non sappiamo districarci e che non riusciamo a risolvere solo per una ragione: non esistevano. E non si possono fronteggiare questioni che non esistono. Mi pare già sufficiente come presa di maggiore coscienza.

Ieri ho visto un film molto strano sul concetto di misura che diamo a tutto ciò che ci circonda per avere una visione oggettiva e inconfutabile del mondo. Cosa definisce davvero il peso delle cose e
perché gli attribuiamo quell'esatto valore e non un altro? Ha davvero senso? È sufficiente quello che sappiamo con il metodo scientifico di quel peso e dei parametri su cui si basa? Che la risposta sia no
a questo punto è fin troppo intuitivo, però capire cosa altro sia necessario sapere per individuare gli altri parametri che servono per dare peso (o toglierlo) alle cose rimane un mistero "incommensurabile". O semplicemente una intima verità individuale.

Io ho spesso attribuito un peso enorme a ciò che quasi non ne aveva e vissuto con troppa leggerezza ciò che imponeva invece una presenza di "peso". Ecco, forse quello che davvero ci viene richiesto di fare del tempo che passa è quello di"calibrarci"... continuamente e senza "misura"...rispetto a quello che ci capita, ai nostri desideri, alle persone che incontriamo.

L'anno scorso avevo paura di non trovare nessuno e pure del metabolismo che rallenta. Oggi non ho più paura di queste cose. Non mi pesano più...e neppure io peso di più. Evviva la leggerezza!

mercoledì 10 agosto 2016

Stelle, secondo voi dopo quante cadute ci si solleva per sempre?

No quest'anno niente naso all'insù a cercare stelle che cadono a scopo desiderio da realizzare. Non che gli altri anni mi sia applicata davvero in questa pratica scema: la notte di San Lorenzo ha senso se stai in spiaggia con qualcuno che le stelle le usa come corredo per altro tipo di desiderio...

I desideri che ho espresso io in occasioni simili non credo si siano mai avverati, ma in realtà non ho mai monitorato per avere una conferma, per cui ritengo che fossero dei desideri da strapazzo o smanie per le quali ho poi cambiato idea, perso interesse, lasciato correre. Non ho mai chiesto per  salute o lavoro ma sempre e solo per faccende di cuore. Ma come sia possibile questa cosa io proprio non lo capisco. Eppure nel mio quotidiano vivo come se non pianificassi mai nessun tipo di incontro: quando cammino, quando incrocio gli sguardi, quando sono in ufficio, quando faccio cose e vedo gente...non c'è mai, giuro mai, l'intento di guardarmi intorno per scovare l'anima gemella. È sempre successo mio malgrado, a mia totale insaputa e assenza di volontà. E con lo stesso criterio me la faccio passare, perché avevo frainteso tutto, perché mi hanno presa in giro, perché l'idillio iniziale si trasforma poi in incubo, perché ormai tengo un'età e comincio a sentirmi un po' fuori luogo. E così non mi rimane, tutte le volte, che assistere stranita a queste strane fasi nelle quali non so da quale punto avrei dovuto cominciare a sentirmi responsabile.

Comunque dicevo che alle stelle io ho sempre e solo chiesto l'amore bello come il sole (la citazione vale doppio parlando di stelle)...quello in modalità  stella fissa, mica cadente, qualcosa che perdurasse nelle sue spesso buone premesse. Forse non mi ascoltavano perché volevano che capissi che sono belle per la loro stessa caducità, che alle volte vale la pena considerare valido pure un desidero che si lascia realizzare, assaporare per poi svanire come polvere di stelle e lasciare spazio a nuove utopie. Forse è così: le stelle cadenti vengono a dirmi che il loro mestiere è quello di dare conto della fuggevolezza delle cose cogliemdo l'occasione di riconoscerle e apprezzarle. E anche se a me le cose che passano piacciono poco, stasera non me la
sento di contraddirle. Pure perché è già sera tardi e io sono ancora sveglia e fuori dalla mia finestra probabilmente stanno cadendo stelle che avrebbero potuto fare qualcosa per me mentre io sono qui a pensare che ormai non ho più diritto a nulla.
Aspettate stelline. Sto arrivando. Ecco sto chiudendo....arrivo e mi raccomando stavolta state bene a sentire che tanto il desiderio è sempre lo stesso e chissà che tra voi ci sta una stella che rimane fissa e mi vuole accontentare.


martedì 9 agosto 2016

Affamare la bestia...o almeno tenerla a "regime"

Quando ci sono le olimpiadi faccio un'associazione automatica. Mi ricordo di mio nonno. Credo che sia stato il più grande appassionato di sport che abbia mai conosciuto e anche al netto della sua inossidabile fede juventina e per il ciclismo, le olimpiadi erano per lui un meraviglioso periodo di veglie notturne a godersi qualunque tipo di disciplina. Pure la più sconosciuta o dalle regole incomprensibili. C'era una partecipazione così totale da parte sua, che tarava tutte le commissioni a cui mia nonna lo indirizzava sugli orari delle gare. Il mio ricordo più vivo di mio nonno è indissolubilmente legato a questo.

A me dello sport interessa soprattutto la psicologia dello sportivo. Non posso fare a meno di chiedermi quali siano i motivi che lo hanno portato a scegliere una disciplina piuttosto che un'altra, cosa spinga a sacrificare una vita normale e rilassata in nome di fatiche crescenti e allenamenti continui, cosa scatti nella sua testa prima di una gara...e anche se le risposte sono tutte riconducibili alla passione, trasmessa o nata così per caso, resto sempre molto affascinata dallo strano mistero che uno sportivo professionista si porta dentro.
Un po' di tempo fa ho ascoltato un'intervista alla Comaneci, ginnasta che rientra a pieno titolo nella categoria divinità imbattute, e oggi imprenditrice di grande successo e donna impegnata in attività umanitarie. Ad un certo punto le fu chiesto come le fu possibile raggiungere quei livelli quando era ancora così giovane. E lei rispose che se non fosse vissuta durante un regime così terribile, se non avesse avuto tutta quella rabbia da sfogare e quel l'enorme carico di dolore e umiliazione da elaborare, non sarebbe mai diventata una campionessa. Subito dopo ha aggiunto che nulla sarebbe stato possibile senza l'allenatore che intuì il suo enorme potenziale. Lei sosteneva che se fosse nata ricca e cresciuta in un contesto sano ed equilibrato non avrebbe mai avuto la spinta a fare tutto questo. Ho trovato molto sorprendente quella risposta e immediatamente mi è sorto spontaneo uno strano confronto. Durante la scellerata politica economica di Reagan circolava una teoria iperliberista chiamata "affamare la bestia". Con essa su intendeva affermare che per migliorare i bilanci delle pubbliche amministrazioni e renderle più efficienti, bisognasse privarle di ogni risorsa in modo tale che con mezzi molto scarsi si sarebbero attivate per ottimizzare la loro attività rendendole finalmente competitive e solide. Non commento neppure i risultati più che fallimentari che questa visione iperliberista ha portato ( e che noi abbiamo in parte copiato malissimo), però la Comaneci me l'ha fatta tornare in mente...forse perché i regimi, di qualsiasi natura essi siano, creano delle situazioni estreme da cui solo i fuoriclasse sopravvivono e si rafforzano. Tutti gli altri restano schiacciati a vario titolo dal peso di umiliazioni e rabbia inespressi.

Ma è davvero soltanto così che si può sperare di massimizzare le proprie potenzialità? Vivendo condizioni estremamente sfavorevoli, avere tanta rabbia e la speranza di avere in sorte qualcuno che ti aiuti a canalizzarla, che sennò sei finito? Forse sì. Quindi la passione può nascere soltanto così? È per questo che l'Italia sta vincendo così tanto? E se si, è perché stiamo diventando delle bestie affamate di reaganiana memoria, oppure perché viviamo in un regime repressivo di cui per ora si sono accorti solo gli sportivi? Io voglio credere invece che la passione nasca pure se vivi in un mondo ideale che ti aiuti a capire chi sei e a sceglierti da solo il sacrificio per diventare migliore...ma chissà...


lunedì 8 agosto 2016

Cari prof. Siate all'altezza del "ruolo"...se no statevene a casa

È più forte di me ma certe cose mi offendono indipendentemente dal fatto che mi tocchino o meno da vicino. La reiterata polemica dei professori che non vogliono allontanarsi da casa perché sono le cattedre che devono andare da loro è una questione che mi fa pulsare le tempie. Per più di una ragione. La prima e più ovvia di tutte è che siamo stati in tantissimi a partire e ad allontanarci dalla terra di nascita perché il lavoro sicuro stava da un'altra parte e non abbiamo mai fatto proteste per questo. Lavorare non è obbligatorio ma molto spesso è una necessità e se davvero è tale ci sta poco di cui lamentarsi. In realtà già mi basterebbe anche solo pensare a questo per trovare pretestuosa ogni polemica al riguardo da parte loro. Ma le ragioni della mia indignazione sono altre.
 Io ho sempre venerato la figura del docente, l'ho sempre investita di un'aura magica e anche se in realtà sono pochissimi quelli di cui ho conservato sufficiente stima, continuo a credere che non si tratti di un lavoro qualsiasi. Chi sceglie di formare coscienza e sensibilità di un essere umano vorrei sperare che abbia fatto un percorso individuale e professionale animato dalla passione e dalla responsabilità di chi ha un così enorme potere di incidere sulla qualità di uomini e società...

Trovo indecorose le ragioni della loro protesta perché in quelle voci e in quegli argomenti io non ritrovo individui degni del ruolo che dovrebbe essere loro attribuito. Se la scuola è ormai lontana dal vero spirito del tempo le ragioni sono molte e tra queste di certo gli insegnanti senza passione sono il guaio più grosso. Ma io ho avuto dei pessimi professori...per cui paradossalmente nemmeno io stessa posso garantire sulla qualità del mio pensiero...

Io ho un lavoro che asseconda totalmente la mia idea di "tempo in vendita": mi reco in un posto, eseguo quello che mi si dice di fare, finisco il mio orario e me ne vado ad assecondare altrove  la mia natura. Tra dieci anni per rendere conto del mio operato dovrò cercare pratiche polverose in un archivio impraticabile. Un docente invece si ritroverebbe di fronte un uomo a cui anche involontariamente avrà trasmesso una parte di se'. A me verrebbero i brividi soltanto a pensarci.

Cari docenti che vi lamentate perché dalla Sicilia vi hanno spostato in Lombardia, perché non provate  a dimostrare di essere sinceramente interessati a trasmettere la parte migliore di voi a chiunque e ovunque? oppure continuate pure da precari a casa vostra, se questo può farvi stare meglio. Ma per carità,non banalizzate nel modo in cui state facendo il vostro ruolo con preclusioni arcaiche che fanno pensare all'insegnamento solamente come un comodo ripiego...



sabato 6 agosto 2016

"Sospensione dell'incredulità" (il salto necessario tra reale e realizzabile)

Su Facebook circola una specie di meme dove uno chiede a un altro di dirgli cosa faceva in un determinato anno, con chi stava, cosa è cambiato da allora... Io non ho partecipato. Mi fa un po' impressione il confronto "ora-allora", mi fa impressione in generale tutto quello che mi provoca il ricordo puntuale delle cose che mi sono successe e sulle quali non più alcun potere di intervento.
Però in fondo sarebbe stato un esercizio interessante per fare il punto della situazione e rendersi conto che il "come eravamo" è in buona parte un prodotto indipendente dal "come credevamo di essere e diventare". Potrei giusto rispondere frettolosamente che l'anno che mi è più caro tra quelli che mi ricordi della mia vita è il 2009 perché: 1) non avevo nessuna responsabilità: ero disoccupata da circa un anno ma avevo vinto il concorso 2) non ero innamorata di nessuno. È una cosa magnifica non avere nessuno in testa, ricordare quelli che ti sono piaciuti, per i quali hai immancabilmente sofferto e scoprire, così all'improvviso e senza una spiegazione plausibile che non occupano più neppure un angolo isolato del tuo cuore e della tua mente. Sensazione magnifica. 3) una vacanza bellissima in Sardegna 4) Ho scoperto il cinema di Bergman. Tutto intero. Mi ricordo di pomeriggi magnifici nella mia mansarda appena costruita trascorsi a vedere quelle che per me hanno rappresentato i pilastri su cui ho costruito la mia visione delle cose fino ad oggi 5)andavo a vivere in una casa tutta da sola. Niente più posti letto e cucine in condivisione. Una casa grande grande tutta per me nella provincia di Mantova. Fu lì che maturai la scelta di non avere mai più il televisore...la mia ottima scelta durata quasi sette anni...il fatto che oggi mi sia di nuovo "imborghesita" riportando la TV in casa non sminuisce il valore salutare di quella scelta

Ecco, alla fine l'ho fatto pure io questo strano compitino. Ma il 2009 è un anno a se stante. Non può fare testo per un raffronto equanime con tutti gli altri anni che a vario titolo mi hanno accompagnato, o più spesso ostacolato, fino ad oggi. E così ho deciso di fare un'altra cosa. Mi scelgo l'anno che verrà . Non necessariamente il prossimo, ma uno dei prossimi nei quali io decido cosa sono e quello che mi è accaduto secondo una proiezione fantasiosa ma plausibile. Facciamo un patto narrativo di "sospensione dell'incredulità", quella tattica che usano gli scrittori di fiabe e di romanzi di fantascienza per convincere il lettore ad immergersi in un mondo impossibile ma assolutamente plausibile.

È l'anno 20** e io ho lasciato da tempo il mio lavoro sicuro per un più gratificante lavoro autonomo nel campo dell'editoria indipendente. Il mio compito è sostanzialmente leggere i blog di ragazzi di età compresa tra i ventotto e i trentacinque anni, elaborarne i contenuti e collaborare alla stesura di storie
dalla architettura più vasta, sempre al confine tra vita vissuta e vita immaginata. Un lavoro bellissimo in cui io e il mio team siamo stati i pionieri riconosciuti.
Ho una vita affettiva finalmente gratificante con una persona spiritosa e appassionata, un uomo gentile, che condivide le mie passioni e la mia idea di legame e con cui ho un dialogo non obbligato perché la comprensione vera è fatta pure di silenzio complice.
Viviamo nella mia attuale casa, ma intanto ho comprato anche il bilocale accanto...perché di sicuro è vera la leggenda che una vita di coppia riuscita necessita di due bagni :). Non abbiamo figli ma non è affatto un problema. Abbiamo un micio tutto grigio magnifico che sta sempre sul divano e non rompe mai niente. La mattina andiamo a correre assieme e lui al rush finale mi lascia sempre vincere. L'unico pasto che obbligatoriamente dobbiamo fare assieme è  la colazione, perché è l'inizio che si ripete e noi dobbiamo ricominciare ogni volta senza dare questo come scontato. Poi un bacio e un pensiero reciproco in sottofondo per tutto il giorno.
Sono contenta e finalmente appagata della mia vita ma mi piace continuare a riconoscermi in quella di sempre. Sento che c'è della continuità in tutto il mio percorso, anche se apparentemente mi appare tutto sconnesso e incoerente. Mi piace l'idea non non essere costretta a rinnegare niente e che tutta la mia vita fino ad oggi ha seguito una
logica oscura ma necessaria e solo sulla scorta di tutto questo ad un tratto si giunge al lavoro che mi rappresenta e all'incontro necessario.

 Ecco, il mio 20** sarà così. Almeno ai sensi della mia "sospensione dell'incredulità" . In fondo moltissimi romanzi di fantascienza si sono rivelati profetici proprio perché hanno immaginato un futuro improbabile  ma, come detto, pur sempre plausibile.

 E così stasera io voglio brindare al mio magnifico e plausibile 20**. Lui sì che se lo merita.

venerdì 5 agosto 2016

1741

1741. E' questo il numero delle donne che negli ultimi dieci anni sono state uccise per mano di uomini. Il movente è quasi sempre quello passionale. Ma che parlo a fare su una questione che sfugge totalmente alla mia comprensione, sia per la portata sconcertante del fenomeno che per la sua stessa esistenza? Infatti non mi azzardo in una simile follia.

Nella mia presentazione a questo blog, copiata pari pari da quello aperto tanti anni fa, io parlo della Solitudine come vero scopo di ogni essere umano...con attesa di cortese smentita. Con questa affermazione io ho sempre inteso una cosa precisa. Ed è precisamente questa. Io credo da sempre (più o meno dai due anni in poi) che l'amore sia l'unica cosa che richieda perfezione e compiutezza. Se un rapporto d'amore non è davvero tale tra due che si scelgono, allora la solitudine è la sola decisione possibile. Allora che cosa è per me l'amore? Quello che dovrebbe essere per chiunque: desiderare in ogni istante il bene dell'altro. Dentro questa faccenda ci sta il rispetto, la generosità, la presenza, l'immenso piacere di stare assieme progettando continuamente. Mi sfugge come questo possa conciliarsi con l'eliminazione fisica di uno dei due protagonisti di questo amore...
Io non ho esperienza vissuta della mia idea di amore. Non sono stata fortunata, eppure mai e poi mai potrei sognare di barattare con altro quella che è la mia unica certezza al riguardo. La vera salvezza da un legame sbagliato è imparare a rendersi felici anche da sole.

Ancora mi ritrovo a sentire di storie dove donne della mia età  decidono di prendersi dei catorci assoluti soltanto perché questi hanno detto che se le sposano. Io credo che sia proprio questo malinteso senso dei legami a generare rapporti malati, infelici e spesso pure violenti.

Cercare la persona giusta non è cosa da poco ed è possibile pure che non la si riesca a trovare mai. Adattarsi a chiunque pur di non rimanere soli può essere assai peggio.






giovedì 4 agosto 2016

Dopo quante vite il gatto ti insegna a vivere la tua?

La dirimpettaia ha un nuovo micino. È un cucciolo bianco e rosso e si muove in modo ancora incerto sul davanzale dal quale se ne è stato a fissare per un'ora buona la mia finestra. Una autentica delizia. Quello di prima era altrettanto adorabile: pacato, osservatore, usciva ad orari regolari, conosceva tutti noi. Poi all'improvviso non l'ho più visto. A volte succede con i mici che assaporano la piena libertà di esplorare il circondario durante la notte. A Pablito non lo autorizzai mai. Io però nel cuore e sulla coscienza mi porto il primo micio, Charlie, che da quella finestra mi aveva salutato per mesi, quello che ad un certo punto strinse uno strano sodalizio mattutino  con Pablito (chiacchieravano dalla finestra...Pablito pareva Giulietta e lui era il suo Romeo) che passava da me per un fuori pasto e che si lasciava accarezzare all'ombra nel cortile durante le calde serate di agosto.

Una mattina però successe una cosa della quale ancora oggi provo vergogna e quando ci penso mi sento la più orrenda delle persone. Era una gelida mattina, verso le cinque, e Charlie fece una cosa che non si era mai permesso di fare: era salito sulla mia finestra, aveva spostato la zanzariera(senza romperla) e aveva cominciato a bussare e a piangere alla mia finestra. Io mi spaventai molto, non era un suo comportamento tipico. Gli aprii e gli diedi da mangiare. Lui mangiò due bocconi, ma poi nulla più e continuò solo a fissarmi e a piangere. Io non capivo, ero già pronta per andare a correre, lo presi in braccio e lo lasciai in cortile. Ma lui ripiombò sulla finestra e ricominciò ad urlare. Ebbi così tanta paura che gli diedi uno spintone. Non volli neppure vedere se si fosse fatto male. Uscii a correre ma lui già non era più in cortile. Non sapevo ancora che non lo avrei rivisto mai più.

Un paio di giorni dopo questo brutto episodio di stupida brutalità da parte mia, chiesi alla sua padrona
 dove fosse Charlie e lei mi disse che non si spiegava perché non avesse più voglia di uscire. La
settimana dopo mi disse che era sotto antibiotici. Poco dopo morì.  Ancora oggi mi chiedo come sia stato possibile che mi sia permessa di fare quello che ho fatto, cosa mi avvesse spinto ad avere così paura di un animale che amavo così tanto, perché non ho provato a capire la sua richiesta di aiuto. Ancora oggi, quando guardò quella finestra penso a quel gatto magnifico che mi aveva chiesto aiuto, si era fidato di me in quella fredda mattina in cui tutti dormivano . E ancora oggi non mi capacito come sia stato possibile che mi sia potuta comportare così.

E così ho pensato che qualche volta forse può capitare  che quando non ci sentiamo in grado di gestire il dolore di chi amiamo possiamo rischiare di fargli del male, di allontanarci perché veder soffrire senza sapere come poter essere d'aiuto può essere insopportabile. Io ho avuto paura. Ma questo non mi fa sentire assolta ne potrei compiacermi di esserlo.

La paura a volte rende cattivi, allontana, può essere fatale. Charlie era magnifico. Ha cercato me e io non l'ho aiutato, non l'ho capito, non ho percepito il suo dolore. Non me lo perdonerò mai. Eppure stasera, quel piccolo nuovo arrivato che se ne è stato per un 'ora incantato a fissare la mia finestra pareva proprio che volesse dirmi "ora ci sono io...spero di non avere mai bisogno di te, ma tu intanto amami abbastanza da non avere alcun timore". L'ho sentito chiaramente. Mi ha detto proprio così. Forse l'ha mandato Charlie per perdonarmi. Speriamo...

mercoledì 3 agosto 2016

Radio days

Mi pare doveroso approfondire il discorso proprio nella sua parte che mi sta più a cuore. Qualche tempo fa mi sono trovata a scrivere cose sulla televisione, su ciò che ha rappresentato per me, su quello che è diventata, le sue degenerazioni, i suoi arcaismi fuori contesto, la sua "voluta" incapacità di fornire strumenti di lettura di un mondo che cambia assumendo volti di cui lo schermo non riflette nessun lineamento.
Dicevo che in fondo la cosa ormai non mi riguarda più perché ormai da anni amo la radio e le sue voci intelligenti, divertenti e giovani. In realtà io ascolto da sempre radio due ( e i podcast di radio 24 che propone delle cose sublimi che scelgo di sentire quando posso).
Da un paio di mesi si è insediato Carlo Conti in qualità di direttore artistico e non ha esitato a stravolgere la quasi totalità dello storico palinsesto. Potrei non discutere, potrei aspettare e stare a sentire come mi suonano le novità. Potrei assecondare il taglio eminentemente musicale piuttosto che di contenitore di rubriche di varia natura...potrei ma ne sbatto e sbrocco subito.
Radio due è una radio che amo proprio per la linea editoriale che la contraddistingue da sempre, che è fatta di tanta musica ma anche di racconti, di comicità di impegno, di informazione. Non contesto il fatto che ci debbano essere dei programmi nuovi...ma la linea editoriale non la devi toccare!
Perché mi sono arrabbiata così tanto? Mal che vada non la ascolto più. Eh no...troppo facile...io mi alzo alle cinque. La prima cosa che faccio appena apro gli occhi è accendere la radio. È un automatismo imprescindibile.  Dalle cinque alle sei  io devo avere qualcuno che mi racconta quello che ci sta dietro le canzoni che ascolto mentre bevo un barile di caffè e comincio a pedalare su una maledettissima cyclette. Non puoi capire il trauma quando John Vignola ad un certo punto se ne è andato a radio uno. Poi ho capito che quella fascia oraria non la può coprire in eterno sempre la stessa persona. Piccoli traumi che si superano con mestizia e ragionevolezza.  Dalle sei in poi so di ritrovare amici che ragionano in modo sensato sulla rassegna stampa, che mi dicono che hanno dormito poco come me, che fanno satira di decompressione sui fatti più assurdi appena accaduti.
Così faccio da dieci anni, perché così ho bisogno di cominciare con la parte più delicata della mia giornata...chi sei tu per stravolgere questo idillio dell'alba? Chi sei tu? Razza di lampadato nato nelle radio private in mezzo a quattro dj paninari in quegli sfigatissimi anni ottanta, che ancora ti permetti di dire ad una donna incinta "auguri e figli maschi", che piaci alle ottantenni e a quelli che ancora credono che Pieraccioni faccia ridere...Tu, che ora puoi condizionare pure la mia quotidianità, pure se io non ti ho seguito mai, per scelta precisa e non per caso.

Quando torno a casa alle sei, ho bisogno della voce saggia ma pure para**** di Massimo Cirri. Perché lo hai relegato  alle otto di sera? A quell'ora la mia rassegnazione per il giorno che è stato ha già preso il sopravvento. A quell'ora ho già finito tutti gli stimoli per recuperarne il senso.
Non pronuncio verbo sull'eliminazione del programma di Bordone, ma solo perché sono una signora. Un oltraggio simile meriterebbe ogni più volgare slang. Il sabato e la domenica pomeriggio per me sono le lezioni finto-sgangherate di tecniche del suono e di lettura ragionata della migliore musica indi di ieri e di oggi.
E cosa potrei mai dire del tentativo di levare dalla programmazione pure 610... Follia pura ( e infatti pare che questo pericolo sia rientrato. Saranno finite le zappe da darsi sui piedi).

Caro Carlo Conti venuto dalla rete ammiraglia dei miei stivali...io sono sicura che ti sei messo a rivoluzionare la più alternativa delle radio pubbliche perché è il tuo ruolo "omologante" che te lo impone. Ma ci sta da sapere (ma come fai a non saperlo?) che il popolo della radio, soprattutto di un certo tipo di radio "pensante", è molto ma molto meno indulgente e malleabile di quello televisivo nel quale hai oramai compiuto la tua "missione".
 Noi della radio, soprattutto quelli di noi che si sono salvati per tempo dalla TV, non ci piegheremo a questa deriva prossima ventura dell'ultimo barlume di comunicazione intelligente di cui ci era concesso di godere. Te ne renderai conto presto spero.

Se invece questo stravolgimento dovesse tristemente consolidarsi, spero almeno di trovare la forza di lasciarmi alle spalle pure radio due. L'assuefazione a un cambiamento imposto è un rischio e una bassa forma di prepotenza.
Cambiare stazione. Ripartire da altro. Mi darò nuove occasioni di ascolto. Chissà come mi "sentirò"