Sola andata

Sola andata

venerdì 29 dicembre 2017

Ritorno ad un verde passato

Forse me ne sono sempre un po' pentita o, meno colpevolmente, mi sono data motivazioni salutistiche legate alla mia forte carenza di ferro. Sono stata vegetariana per otto anni, dal 2002 al 2010, complice l'opera di persuasione di un amico molto convinto della propria scelta alimentare e filosofica, in senso più lato. Non mi è mai pesato non mangiare carne, invece ho avvertito fortissima la mancanza del pesce, ma nessuno mi obbligava e finii per abituarmi pure a questo. Ad un certo punto decisi di liberarmi da certi integralismi, perché la carne fa bene, siamo onnivori e poi le questioni etiche accampate dai vegetariani sono pretestuose e non salvano niente e nessuno...dal 2010 mangio carne bianca e tanto pesce, con un vago senso di colpa che non ho mai elaborato completamente e dei livelli di ferro che raramente hanno raggiunto valori accettabili se non al prezzo di cure molto strong a base di farmaci.

L'alimentazione è questione che mi ha sempre appassionato. In ogni sua declinazione il cibo è per me materia "vitale",  perché ne sono stata ossessionata negli anni dell'adolescenza quando lo consideravo nemico di un corpo che non riconoscevo nei suoi repentini cambiamenti, perché cucinare per qualcuno è uno dei modi più immediati che ho di amarlo, perché è condivisione, cultura, appartenenza.
Di solito presto molta attenzione a quello che mangio e anche se sto cucinando soltanto per me, immagino sempre di farlo anche per qualcun altro. Persino la spesa la faccio con questo spirito. Spesso mangio troppo, in altri periodi decido di digiunare per tararmi su nuove consapevolezze di gusto e di approccio al nutrimento. A volte penso semplicemente di esagerare con questo atteggiamento ossessivo e che i gelati del Mc Donald meritino una considerazione meno snob e una gioiosa resa compulsiva.

Da un po' di tempo sbircio nei siti di ricette vegane perché trovo che alcune trovate siano assolutamente geniali e tutt'altro che insapori. Sono venuta a conoscenza dell'esistenza di una sostanza chiamata aquafaba, che non è altro che l'acqua di cottura dei ceci, che si presta a sostituire l'albume d'uovo nella totalità delle preparazioni dolciarie. Una vera rivoluzione copernicana!
Io sono ragionevolmente certa che non riuscirei mai ad arrivare a diventare vegana perché non credo che abbiano del tutto ragione né sul piano etico (non basta non uccidere gli animali per rispettare loro, noi stessi e l'ambiente) e neppure su quello salutistico (perlomeno non credo che sia un regime applicabile a chiunque e ad ogni età). Non è mia intenzione dilungarmi su questioni nelle quali sarei giustamente tacciata di pressappochismo, ma sono in una posizione di ascolto molto interessato soprattutto dei (pochissimi) vegani simpatici e dalle argomentazioni non ideologiche.

Io volevo solo limitarmi a dire che,  dopo otto anni di sensi di colpa non elaborati tra le molte sperimentazioni "animalesche", sarebbe il caso di proporre al 2018 di ricordarmi come ho fatto a stare per otto anni senza i bastoncini findus e i panini col tonno e pomodoro. Alla fine credo che soltanto di questo sentirei davvero la mancanza. Alla faccia dell'educazione sensoriale, del palato raffinato, dell'alta cucina...
Direi che i tempi siano davvero maturi per tornare ad essere la buona vegetariana che sono stata. Io, il mio ferro che non aumenta, la mia età e il mio metabolismo che cambia, gli animali che amo, tutta la cioccolata che mangerò per consolarmi. Non mi pare uno sproposito, anzi, lo trovo un più che dignitoso proposito per il nuovo anno.
(...applausi fragorosi di merluzzetti panati e scatolette da 180g sgocciolate...)

lunedì 25 dicembre 2017

Scartiamo?

- Dai, entra pure. Sai che non ho niente da chiederti. Riposa sarai stanchissimo
- Sì, sono molto stanco...però tu...insomma, cosa hai fatto oggi? Perché non hai accettato quegli inviti a pranzo sapendo che la compagnia sarebbe stata ottima? È Natale, diamine, e tu ti ostini a non scendere dai tuoi neppure per un giorno
- Ma loro ormai sono abituati. E poi scendo a gennaio...a babbo morto...ops...ehm...scusami...
- ok. Dimmi almeno cosa hai fatto
- oh, credimi, un giorno perfetto. Ho fatto l'ospite di me stessa: non ho acceso neppure un fornello perché era già tutto pronto da ieri. Verdure, risotto, bocconcini di pollo, crostata di marmellata. Non ho messo piede fuori di casa, ho visto un cartone animato e letto fumetti per quasi tutto il giorno e tenuto la musica di Sinatra in sottofondo. Credo di aver proferito parola sono quando mi hanno chiamato i miei stasera. Non puoi neppure immaginare lo stato di grazia che si prova quando un giorno così lo desideri da un sacco di tempo.
- Lucia...non hai fatto regali e non ne hai ricevuti. Non ti dispiace?
- In realtà non è proprio esatto. Ma anche se lo fosse stato, credimi, assistere da "esterna", disinteressata alla frenesia dei regali di Natale è ciò che più rinforza il mio antagonismo ""festifero".
- Beh, dal tuo punto di vista potrei anche concordare...ohhh che dolore alla schiena e alle gambe...
- Aspetta, togli gli scarponi e solleva le gambe. Riposa. Anzi guarda, mi metto vicino a te che finisco pure questo fumetto. Te lo avevo detto che non ti avrei chiesto niente...
- Grazie cara. Ma non dirlo troppo in giro
- Figurati, caro Babbo Natale, non correresti comunque nessun pericolo: se tu esisti è proprio perché sei e sarai sempre il più perfetto prodotto di marketing che io conosca. E ora riposa, oppure scarta con me un po' di ipotesi sgradite per il mio futuro. Che di scartare regali non mi interesso più da un sacco di tempo ormai. Dai, caro babbo Natale, prova tu a credere in me
- Oh, va bene, va bene. Scartiamo assieme un po' di ipotesi. In fondo alla fine anche tu hai creduto in me, non mi hai chiesto nulla, mi hai offerto ristoro e pure un paio di buone ragioni. Ho deciso di credere in te. Avrò tutto un anno per sapere di aver fatto bene oppure no. Alla peggio ti scrivo una letterina. Di richiamo. E ora leggiti il fumetto che io mi metto a dormire.
                                                                           AuGuRi

venerdì 22 dicembre 2017

Dove sono rimasta?

"Lucia, come mai non hai più voglia di organizzare viaggi?". È una domanda legittima se fatta da chi mi conosce abbastanza e confidi nella mia capacità di gestirmi, non certo se a manifestare questa curiosità sia mio padre, che crede che muoia travolta da una panda spinta da un nano quando decido di andare in bici al lavoro.
In effetti negli ultimi due anni non è piu una mia priorità evitare parte del rigido inverno milanese con un po' di vacanze in posti caldi, piuttosto comincia a dispiacermi stare lontana da questa città, da questa casa che con oggi fanno esattamente otto anni che c'ho messo piede, mi pesa interrompere le attività che mi scelgo e che richiedono continuità. E poi non voglio più scappare da niente. Forse è questa la vera risposta.

Stasera, rientrando dal lavoro, c'era ancora per terra il tappetino sul quale faccio i miei strani esercizi del mattino, quelli con la famigerata Rebecca, e un po' di meditazione o di rilassato ascolto di musica per canalizzare l'energia per la giornata. Amo quel faticoso rituale, il caffè con la moka pronta dalla sera prima, gli integratori, la doccia bollente, poi gelata e poi di nuovo bollente e ancora gelata...amo queste mattine  tutte buie, il ghiaccio sull'erba, via Mecenate completamente illuminata dalle lucine intermittenti dei balconi condominiali, le cuffie, gli occhi che finalmente mettono a fuoco il contesto, il respiro che condensa, la mia camminata verso il lavoro che faccio partire tremando per poi arrivare sveglia e riscaldata. Chi me lo fa fare di cercare dell'altro? Mi aspettano quattro giorni di festa e ho una pila di libri da finire e il pranzo di Natale già pronto da scongelare. Avrò la mirabile opportunità di poter scegliere di tenermi lontana da tutto ciò che è inutile, convenevole, rituale, di passeggiare molto o chiudermi in un cinema. Tutto questo senza mai desiderare di trovarmi altrove o con qualcuno.

Non è sempre stato così e non è stato indolore provare a capire cosa non funzionasse. L'inverno è una stagione silenziosa, forse concepita per la riflessione e la pianificazione. A me, nel periodo di temperature minime, si gonfiano sempre le mani così tanto da "esplodere" in piccole ferite che sanguinano per mesi e mesi fino a quando le temperature non riattivino la circolazione: una vera tortura di cui per fortuna non sono ancora vittima quest'anno. Come se non bastasse la mancanza di luce favorisce forme sottili ma insidiose di tristezza. Oggi penso che forse la cosa veramente interessante sia proprio questa sfida: attraversare una stagione difficile vivendola dal suo interno, e dal proprio interno: stare bene da soli, parlare poco, godere anche dell'oscurità e del suo mistero, accogliere la malinconia come uno stato d'animo intenso e non la parente stretta della tristezza. Se le mani dovessero gonfiarsi di nuovo, pazienza, passerà di nuovo...Perché dovrei scappare da tutto questo per una "vacanza" che per sua stessa definizione non serve a colmare vuoti ma a crearli?

Avrei voluto spiegare al mio papà che i viaggi sono una bella cosa quasi sempre, pure quando a farli ci muova una specie di smania, di inquietudine sorda a cui non si sa dare da subito un nome. Gli avrei confessato che io forse ho sempre preparato le mie valigie guidata da un simile spirito illudendomi di tornare senza più questioni irrisolte. Gli avrei detto che oggi sono tranquilla, che mi piace questo inverno, mi divertono le mie mattine ad alto impatto e certe persone simpatiche con cui mi confronto, che non voglio più spostarmi dal mio posto destinato senza sapere prima da cosa mi stia davvero allontanando.
Avrei potuto. Invece gli ho detto che ci sarebbe un tour in Islanda di slow trekking per ammirare l'aurora boreale, abbastanza caro e molto faticoso, e che deciderei di andarci soltanto se ci venisse anche lui (che tanto figurati se mi dice di sì).
 E lui mi ha risposto, pieno di entusiasmo, che ci verrebbe molto volentieri...








sabato 16 dicembre 2017

Bilancio in utile. Forse inutile. Spesso dilettevole

Proprio niente male. Avevo promesso che non mi sarei piegata alla logica facile dei bilanci e dei buoni propositi per il nuovo anno e infatti non lo farò: non saprei come fare visto che in un anno succedono cose talmente diverse e non paragonabili tra di loro, che azzardare un gioco delle compensazioni tra gli auspicabili utili e le temute perdite mi pare operazione quanto meno irrazionale. Potrei limitarmi a rendicontare uno stato d'animo generale, di cui però mi sfugge l'unità di misura, e dire che forse per la prima volta nella vita mi viene da pensare che sono una persona fortunata.

Ormai sono per conto mio da tanto tempo e alla luce di certe mie abitudini/convinzioni/idiosincrasie/aspirazioni è abbastanza ragionevole che sia così. All'inizio la credevo una necessità contingente dettata dal bisogno di autodeterminarmi, rendermi autonoma, educarmi ai rapporti. Poi mi sono concessa un tempo di attesa e di farfalle nello stomaco che sono puntualmente arrivate per persone che non c'entravano niente. Poi ho cominciato a compiacermi del mio farcela sempre da sola, pur continuando a credere nella magia di un incontro perfetto e inatteso. Oggi sono persuasa che sia tutto esattamente come deve essere e poco importa se sia stata io a volerlo o invece il caso o la necessità e sto imparando a smettere di pensare se mi capiterà o meno di incontrare qualcuno che mi trovi quella "giusta". Ecco, se dovessi fare un bilancio positivo di qualcosa sarebbe forse nell'attribuzime di un giudizio veloce delle "anomalie": riconoscere presto un "piacione" o uno interessato alle donne in generale, uno che guarda il telefono mentre è a cena con te,  gli strateghi del "bastone e della carota"...ho imparato ad indietreggiare immediatamente al cospetto di atteggiamenti simili. Nessuna indulgenza e tantissimo tempo guadagnato. È una cosa che ho dovuto imparare non senza qualche frustrazione pur nella sua ovvietà.

Invece ho imparato ad avere pazienza per altre cose, perché a volte pregustare il piacere può voler dire prolungarlo e forse è per questo che ancora non sono andata a vedere l'ultimo di Allen. Invece per un nuovo film di Moretti temo che continuerei nel rito del giorno di ferie per vedere il primo spettacolo nel primo giorno di proiezione. Il modo di gestire l'attesa credo che sia una forma d'arte che qualche volta salva persino dall'infarto. Il mio bilancio di capacità di gestione del tempo mi risulta buono ma migliorabile.

Le mie operazioni finanziarie a rischio sono andate tutte a buon fine. Fa sempre piacere. Se così non fosse stato mi sarei consolata con i risultati tiepidi ma sicuri dei miei risparmi non rischiosi e avrei considerato la sfortuna un'utile lezione di accettazione e maggiore cautela per il futuro. Ma così non è  stato e per una volta non prendo lezioni, non elaboro dolori da perdite e mi godo il mio prosaico ma pur sempre allietante bilancio finanziario in attivo.

Ecco, io non sono in grado di dire come sia stato quest'anno, gli ultimi tre o quattro o quello che ne è stato di me da sempre. Credo di essere stata mediamente fortunata, molto spesso sono andata avanti senza capirci proprio niente, qualche volta ho avuto l'impressione di scegliere e decidere, in altre occasioni mi sono lasciata schiacciare. È impossibile mettere a compensazione fattori così eterogenei per stabilire se si sia in utile o in perdita. Non vale. Io mi accontento dei miei bilancini parziali, forse perché mi è più facile manipolare i dati e con qualche artificio contabile trovare in ciascuno di questi un qualche, sia pur impercettibile, utile

giovedì 14 dicembre 2017

Ho preso nota. Ancora non so quanto stonata

Ho deciso di non farlo più. Non credo sia molto onorevole che rilegga i post passati, spesso compiacendomi di quello che pensavo. Confesso di averlo fatto tutte le volte che fb mi ripropone i ricordi. È una forma di vanità di cui non vado molto fiera eppure a volte mi pare un esercizio davvero utile per aiutarmi a definire una sorta di percorso ideale di crescita o perlomeno di consapevolezza. Confesso di stupirmi io stessa di tutte le cose che mi sono successe malgrado la "gabbia" di rassicuranti abitudini in cui mi costringo per proteggermi da imprevisti spiacevoli. Di fatto c'è stato sempre qualcosa che mi ha tormentato, interessato, entusiasmato e che ho vissuto con un'intensità che tradiva l'apparente pacatezza con cui tipicamente mi si dipinge. Rileggere certi miei vecchi post mi impone lo strano esercizio di ritrovare uno stato d'animo ormai passato e immediatamente spogliarlo da ogni coinvolgimento emotivo, osservarlo in modo asettico e scoprire che in fondo era tutto così semplice, elementare, fin troppo chiaro. Perché non riuscivo a vedere le cose come oggi? Non volevo, non mi conveniva, ci stavo credendo con tutta me stessa, mi ero intestardita...vai a sapere...in ogni caso non voglio più rievocare il passato leggendo il presente che fu, neppure in questo periodo in cui dalle statistiche ho notato che qualche nuovo avventore sta recuperando post molto vecchi e io vorrei tanto chiedergli perché lo stia facendo e cosa pensa di me sulla base di cose che vorrei aver vissuto e pensato e raccontato in un'altra maniera.

Se dovessi andare a braccio, pescando solo nella memoria, direi che non vorrei che leggesse del mio unico appuntamento al buio a cui sono andata per compiacere un'amica che ci teneva molto, o di quella volta che ho pianto come una disperata sui gradini di un cinema di quartiere per ragioni che mi fanno ancora oggi una tenerezza infinita, o del mio unico post al vetriolo nei confronti di un collega con cui ora vado molto d'accordo, o di tutte le storie di pura fantasia che mi servono a mistificare la mia realtà infarcendola di ipotesi verosimili ma del tutto improbabili, o, ancora, di certi miei facili entusiasmi presto smorzati da traiettorie poi deviate altrove.
Avrei voglia di leggere quei post assieme al mio lettore misterioso magari per farlo divertire di più e spiegargli che nel frattempo ho imparato a reagire agli imprevisti e allo sconforto in tutt'altra maniera, che ho smesso di piangere per molte cose, di offendermi per i comportamenti che non comprendo. Vorrei dirgli che c'è stato un tempo in cui scrivevo che quando mi allenavo in gruppo era davvero tutta un'altra cosa...ma in realtà mi piace di più farlo da sola, che ho amato la compagnia più dello starmene per conto mio ma raramente è stato davvero così, che non riuscivo a smettere di voler bene a qualcuno e invece ci sono riuscita benissimo, purtroppo.
E poi gli chiederei se sto facendo bene a ritarare il mio modo di aderire alle esperienze. Oppure se per caso, in qualche vecchio post, ha trovato risposte che ancora mi sfuggono



sabato 9 dicembre 2017

Ho visto la light!

Oggi a Milano c'era una luce troppo bella per non starsene a zonzo per tanto tempo, magari ad esplorare un posto come quello in cui abito io, a ridosso della propaggine estrema di uno dei parchi più grandi d'Europa. Oggi più che mai ho sfruttato il mio essere mattiniera per occuparmi subito della casa, dei pranzi da portare in ufficio durante la settimana, persino del ripieno della pastiera. Alle otto ero già pronta. Ho preparato il borsone e sono andata in palestra ad un orario in cui non sono sola e mi sono resa conto che è frequentata da ragazzi di una bellezza disarmante che si allenano benissimo. Sono millenni che frequento palestre e giuro che è la prima volta che mi soffermo su un aspetto del genere. No, non ho bisogno di niente e di nessuno e in realtà per certe forme di  machismo ho un sacro timore che vorrei continuare a mantenere. Erano ragazzi molto belli e prestanti e io per qualche ragione ne sono rimasta incantata. Tutto qui.
 Forse è colpa di questa dieta odiosa che sto facendo, oppure delle ripetute in salita che mi hanno fatto vedere tutto il firmamento. Ho fatto una doccia bollente, poi una gelata, ho spazzolato a lungo i capelli che per la prima volta mi sono sembrati finalmente lunghi, mi sono fatta un trucco anni '70 e ho camminato per almeno un'ora intorno al mio quartiere. Se ne avessi avuto la forza avrei continuato, ma ero davvero esausta e si era fatta ora di pranzo. Insalatona con salmone alla piastra, spinaci stufati, uno yogurt greco alla nocciola e un caffè molto forte.

 Sono uscita di nuovo con la scusa delle uova per la pasta frolla. Ho camminato ancora per un'ora e mi sono resa conto che quando si sta a dieta bisognerebbe dosare meglio le forze e ho pensato che intaccare le proprie riserve e fare leva su quelle è molto più complicato che usare l'energia di pronto utilizzo proveniente dall'esterno. Era da un po' che il mio corpo mi lanciava dei segnali. Ora mi sono chiari ma credo che siano ormai anni che non sono più abituata ad usare le mie risorse interne. E invece avrei dovuto perché si tratta di un'energia diversa, che fa percepire meglio le cose, che calibra tempi e distanze, che mi avverte quando è il momento di prendersi una pausa e recuperare. Forse è per questo che ridurre il cibo mi è più difficile che digiunare: sono costretta a dosarmi, a stabilire quanta parte richiedere alle mie risorse e quanta accogliere da fuori nel rispetto di un equilibrio che non può risolversi in un giorno soltanto. Sono certa che se non ci pensassi mi sarebbe più facile. Ma oggi è stato illuminante avere il controllo di ogni mio piccolo step: mi dovevo allenare, c'era una bella luce e tanto cammino da fare. Ho avuto fame, ma ad un certo punto è addirittura passata.

E così oggi ho pensato che non è vera la storia che siamo quello che mangiamo: credo che noi siamo soprattutto quanto decidiamo di non mangiare e cosa questo significhi per la nostra nuova percezione delle cose. Forse sto solo un po' delirando e tra qualche giorno tornerò a mangiare troppo silenziando per sempre le mie sentinelle interiori che tentano di allertarmi e inviarmi messaggi nuovi di autoconsapevolezza. In realtà mi auguro di resistere, perché mi pare un percorso molto interessante di conoscenza, senza trascendere necessariamente nel misticismo "improvvisato" o in certo spiritualismo "da salotto" per cui non trattengo mai le risate. Se pure mi limito solo a perdere qualche chilo mi sta bene lo stesso. Intanto mi sono sfidata con la prepararazine di una pastiera che non mangerò, così, tanto per ricordarmi che la meraviglia esiste anche solo per essere ammirata e non anche consumata.
Per il momento mi piacerebbe nutrirmi solo di abbondanti porzioni di leggerezza.
Per favore.
Grazie






giovedì 7 dicembre 2017

De ja vu (...macché...)

Non sarò ipocrita. Mi sto annoiando. Come un anno fa sono in casa per la prima della Scala. Negli otto anni precedenti, avendo deciso di non possedere né trovare occasioni per vedere la TV, credo di essermi concessa ad altro che presumo fosse un fumetto scemo, cucinare cose che non potrei più mangiare oggi, andare al cinema...Sant'Ambrogio è un giorno speciale pure se non sei milanese. E non è solo perché io non devo lavorare. Lo senti subito che è un giorno che fa da evidenziatore natalizio: oggi passeggiare per corso Buenos Aires era un'esperienza di lentezza, profumi zuccherosi, shopper bag dondolanti in cui avrei voluto sbirciare, magari trarre qualche spunto persino io che i regali li faccio solo col cuore altrimenti non mi viene in mente niente.

Esattamente alle sei meno un quarto sono rientrata, ho acceso su Rai uno, ho visto vestiti molto belli, messe in piega impeccabili, gioielli pesanti sui colli dell'alta borghesia milanese che si preparava ad assistere ad un'opera sulla rivoluzione francese. E a me già questa è parsa una nota parecchio stonata.
In realtà mi sto annoiando perché sono colpevole. Non ne so mezza sul genere e se non mi emoziono è perché sono soltanto una rozza terruncella che però può vantarsi di piangere lacrime vere per certe canzoni di Guccini o De Andre'.

Invece l'anno scorso il mood era totalmente diverso. Mi ricordo che c'era la Madama Butterly e io mi stavo appena rialzando da uno stato di forte prostrazione. Ero, come ora, con la schiena al termosifone, ma ero struccata, piuttosto sciupata e imbacuccata in un pigiamone di flanella. Seguii tutta la storia con molta attenzione e ne fui scossa e soddisfatta. Alla fine della rappresentazione mi preparai una tisana calmante, non riuscii a mettere nulla nello stomaco e andai a dormire felice di essere già pronta per farlo. Com'è strano riuscire ad evocare un tempo in fondo ormai lontano alla luce di un arco temporale che ne ha rintinteggiato i toni, ritarato la portata, riscritto il significato. È curioso pensare di avere avuto una sensibilità emotiva così ricettiva per motivi poi risultati futilissimi.
Che importa. Siano benedetti lo stesso.

Oggi invece sono truccata, indosso abiti che mi piacciono e non sono affatto sciupata (ahimè direi...ma forse è meglio così). In comune con lo scorso anno c'è solo il calore del termosifone sulla mia schiena e il benessere indescrivibile che mi procura.
Se proprio volessi ricamarci sopra direi che quest'anno sia stato talmente più genereoso e sorprendente del precedente da riuscire a condensarsi in un Sant'Ambrogio  allegro, pacificato. E poco importa se io sia stavolta meno sensibile a cogliere il sublime in una forma d'arte che comprendo poco.
In realtà è stato un anno ricco di cose piuttosto normali, con qualche piccola novità molto divertente, ma anche nessun viaggio, meno letture e un po' di cose, persone e atteggiamenti che non ho compreso e per i quali ho subito deciso di non cercare spiegazioni. E poi non ho pianto mai. Neppure una volta e per nessuna ragione. Io odio piangere, forse il mio unico proposito per ogni anno della mia vita sarebbe quello di non versare mai più una lacrima per tutta la vita. Per nessuna ragione, neppure gioiosa.

E così ho deciso che stasera voglio starmene ancora un po' così: con la TV accesa a guardare una prima che non mi emoziona, con il trucco ancora intatto e un vestito che mi piace. Mangerò poco ma con appetito e andrò a dormire tardi pensando che il tempo continua a fare di me tutto quello che gli pare. Persino scegliere la musica più adatta. O quella più sbagliata. Il risultato però cambia, eccome se cambia...

domenica 3 dicembre 2017

La rivoluzione fraintesa

Ci siamo dentro tutti. Persino io, che ne sono fuori da anni. L'atmosfera natalizia, che il marketing fa partire da ottobre per montare per tempo tutte le ansie da prestazione celebrativa, prima ancora di alberi e presepi, è già respirabile con pieno affanno. Sono anni che non torno a casa per le festività natalizie, che non faccio regali, che i miei addobbi domestici si limitano ad un albero e un presepino che stanno in una mano e che mi mettono molta allegria. Rimane anche per me il momento più bello dell'anno perché non ho nessuna incombenza e mi limito ad osservare lucine, rincorse ai regali, preparativi per pranzi pantagruelici senza il minimo coinvolgimento diretto da parte mia. Più o meno per le stesse ragioni non considero utile fare bilanci di fine anno o liste di buoni propositi: ho fatto quello che ho potuto e continuerò a fare quello che posso...mi pare una risposta sufficiente per entrambe le questioni...

Ieri ho visto una mostra bellissima sulla rivoluzione culturale che ha coinvolto in varia misura buona parte dell'occidente e dell'oriente tra il sessantotto e la prima metà degli anni settanta. Al netto dell'aura magica di cui ho da sempre investito quell'epoca, devo dire che poi in realtà un po' mi spiego pure i meno favolosi anni '80 che seguirono. La rivoluzione culturale fu il prodotto di un conflitto estremo tra tutte le forze sociali e il potere, declinato in tutte le sue forme. Il risultato fu un deflagrare meraviglioso e totalmente ingestibile di creatività, nuovi modi di immaginare il mondo e l'ambizione di riscrivere la storia e la condizione umana. Buona parte di quel progetto si è sgretolato per la fragilità delle sue stesse fondamenta, molta parte ha però resistito e contribuito alla creazione di una coscienza davvero nuova che ha potuto affermarsi grazie a progetti concreti o leggi, cioè in sostanza tutto quello che è poi riuscito ad innestarsi in una società regolamentata e ad impronta borghese. Insomma, al netto delle nuove forme dell'arte, un mezzo flop per il mondo nuovo che si proponeva di realizzare. Ma tant'è e la mostra rimane molto suggestiva.




Io direi di essere il prodotto di un'educazione piuttosto repressiva, della quale non butterei via proprio tutto, nel senso che credo che lo spontaneismo possa creare altrettanti danni di un'educazione irregimentata. Credo che sia questo il prezzo pagato dal "sessantotto e giù di lì": la creatività che si oppone alla prepotenza di un'istituzione paternalistica che ha la pretesa di decidere tutto, persino il quotidiano di ognuno, dovrebbe essere accompagnata da un metodo e una disciplina a sua volta, per darsi delle fondamenta solide. Altrimenti non regge o è facilmente attaccabile.
Io non mi sono mai ribellata, non lo trovavo utile e non ne avevo la forza. Ho assecondato, mi sono fatta piacere cose che non mi piacevano e ho sperato che un giorno avrei fatto quello che mi interessava senza passare per il conflitto o l'obbligo di avvisare qualcuno. Sapevo che sarebbe necessariamente andata così come sognavo...se non altro perché non avevo neppure voglia di diventare una povera squilibrata. E in fondo è andata così se oggi posso persino permettermi di sorridere del Natale, di dribblare cenoni e finti auguri, pur rimanendo perfettamente a mio  agio tra le luci, la folla, le canzoncine, le tredicesime...

E così stasera ho pensato che ci sono tanti modi di fare la rivoluzione. Ci sono quelli urlanti, pittoreschi, costruiti dalla massa e destinati ad entrare nel mito ma pure al setaccio della storia. E poi ci sono quelli silenziosi, fatti di finta adesione a modelli totalmente alieni e fondati su una inattaccabile convinzione che inevitabilmente le cose cambieranno. Solo un occhio poco attento penserebbe che questa sia mera sottomissione. La capacità di adattamento ai miei occhi  è una forma costante di rivoluzione.
Io non mi sto preparando al Natale. Ma forse è solo un'impressione...
Happy Revolution!




martedì 28 novembre 2017

Alla ricerca di non tutto il tempo perduto

- Secondo me dovresti evitare
- Di fare cosa?
- Di scrivere così tanto di quello che ti capita, che senti, che immagini...non solo perché un giorno potresti pentirtene. È che potresti correre il rischio di esporti al giudizio arbitrario di chi non ti conosce davvero o peggio ancora ad essere fraintesa...chi te lo fa fare?
- Hai ragione. Ma forse è proprio questo quello che mi interessa di un diario non segreto. E poi c'è anche un'altra ragione che oggi più che mai mi conferma l'utilità della parola scritta e del suo valore "terapeutico". Esattamente un anno fa, più o meno a quest'ora, raccontavo, senza in realtà specificarne le ragioni, di giorni di sofferenza abbastanza ingestibile. Ricordo perfettamente quella sera e mi domandavo se e come mi sarebbe mai passata, provavo a visualizzarmi dopo un anno e mi vedevo ancora così, a piangere al buio come una stupida e senza riuscire a fare nient'altro. Quella condizione durò in realtà appena tre giorni, poi, come una resurrezione laica, mi asciugai le lacrime, feci una magnifica colazione, mi truccai bene e mi passò tutto. Giurai a me stessa che non avrei mai più permesso a niente e a nessuno di ridurmi così per il resto della vita. Ecco, se non avessi avuto quel post a farmi da elemento "pivot" per questa epifania del "libero fluire degli eventi" sono sicurissima che oggi non sarei capace di ridere così tanto di quei tre giorni così sciocchi e così teneri, che stanno lì a ricordarmi che la mia tranquillità è stata un tempo preda di esplosioni emotive devastanti di cui non sento affatto la mancanza.
- Sì, mi ricordo, però riconosco che quella cosa lì ti è servita...a scappare prima dalle insidie, a riconoscerle se non altro...a fare spallucce invece di tutte queste scene madre tra pianti e nottate e digiuni (se ci penso ti prendo a schiaffi)
- Ah certo...In compenso quello che scrivevo esattamente due anni fa sulle atmosfere create  da alberi e presepi, proprio all'indomani della morte del figlio di Eduardo De Filippo,  mi ha fatto tanta tenerezza e poi chiunque potrebbe sentirsi chiamato in causa. Il bello di un blog è questo secondo me: registra e conserva gli umori e gli stati d'animo di un momento o di una fase più o meno ampia della vita e nel frattempo si trasforma in qualcos'altro, tenta di dirmi cose che potrebbero essermi utili o di conforto oggi, mi fa ricordare di come ero e cosa voglio continuare ad essere o se decidere di cambiare totalmente rotta...
Vedi, io ho quarantun'anni e credo di essere abbastanza meno bella dei miei trenta ma infinitamente più gnocca dei miei vent'anni. Perché la nostalgia di ciò che si è stati non è mera questione anagrafica e neppure di saggezza o consapevolezza acquisite. Io credo che sia tutto legato al peso specifico che riusciamo ad attribuire alle cose che ci sono capitate e come siamo riusciti ad elaborarle. E questo peso io, per ora, lo ricavo solo da quello che ho lasciato scritto esattamente nel momento in cui lo vivevo.
- Ma perché dirlo a tutti? Per vanità? Per avere delle conferme? Per farti voler bene? Per farti odiare? Per illuderti di interessare a qualcuno?
- Forse per tutte queste ragioni. Più una. L'identificazione, che è la sola cosa al mondo che giustifichi la rinuncia a starsene tutto il tempo per conto proprio. Riconoscersi è per me una forma di consolazione unica.
- Beh, non lo so se mi hai convinta del tutto...
 Intanto riconosco che sei un'altra persona rispetto all'anno scorso a quest'ora e credimi, senza offesa, ma questa è davvero un'ottima cosa. E comunque se con questo metodo riesci davvero a tornare ai tuoi amati trent'anni fammi sapere, che 'sta cosa mi interessa...

martedì 21 novembre 2017

Cardio "frequenze"

Questa non mi era ancora mai capitata. In quasi nove anni che faccio questo lavoro ho ricevuto molti pensieri gentili, dolci, bottiglie di spumante, complimenti  immeritati ma lusinghieri...ma una lettera di encomio mi mancava. Mi ha colpito molto, soprattutto se penso che, come ho detto tante volte, svolgo con fatica l'attività col pubblico: sono timida (non lo si direbbe al primo impatto ma in realtà è questo quello che sono) e mi piace stare in silenzio e, se possibile, ascoltare persone che mi piacciono. Di fatto devo riconoscere che le cose più sorprendenti mi succedono sempre quando mi ritrovo ad interagire. Che bello, un piccolo pilastro per la mia rannicchiata autostima. Intanto grazie a chi ha ritenuto che meritassi una dedica così dolce.

In questi giorni ho ripreso alcune vecchie abitudini che in realtà già sapevo che non sarei riuscita a perdere, come svegliarmi alle cinque e ritrovare la Rebecca dei miei dvd americani di cardio blast. Nel suo entusiasmo posticcio ma convincente, in così netto contrasto con i pesi che mi costringe a sollevare e quegli esercizi spaccacuore c'è ai miei occhi la perfetta metafora di una vita ben vissuta. Esagero, lo so, ma mi piace così tanto...
E poi, soprattutto, c'è lei, la voce del programma delle cinque alla radio. Nell'ultimo mese mi sono alzata alle sei e me la sono persa e l'ora di riposo in più non è riuscita a compensare il mio rammarico. È una giornalista che seguo da tanti anni, che ho conosciuto di persona e con la quale ho persino trascorso il ferragosto al parco Sempione nel 2015. Mi piacciono i pezzi che scrive per il risveglio, mi piace la sua erre arrotata e quella maniera così intensa, poetica e originale con cui vive le cose che le accadono. Con gli anni ho pure imparato a notare il suo modo tormentato e assoluto di vivere l'amore. Lei è molto bella, di raffinata intelligenza e, per quanto mi è parso di capire, abbastanza sfortunata in amore e io davvero non riesco a comprenderne le ragioni. L'ho sentita gioire per amori appena nati e che viveva con il candore di una bambina che scopre una cosa nuova e poi
soffrire per l'inesorabile rottura quasi fino a soffocare. La radio certe magie le concede a chi ha voglia di "sintonizzarsi" con la voce interiore di chi si sta ascoltando. Io la comprendo, ma ormai ho imparato a  non darmi tempo per capire meglio e cosi, per me, ciò che parte male non potrà che finire peggio e che tanto nei rapporti è necessario che tutto sia molto chiaro fin dall'inizio. I tentativi, le ipotesi, la comprensione sono parametri che ormai escludo del tutto. Ma lei mi piace perché ha il cuore che ce la fa a ripartire ancora e ancora di nuovo, come se si resettasse ogni volta per concedere tutto lo spazio ad un altro incontro, a nuove promesse, che poi le cambiano il timbro di voce, il ritmo dei sorrisi, le parole da usare. E io trovo che sia sempre magico, direi incantevole, assistere al cambiamento di una donna innamorata.

Lo ripeto, è raro che mi venga davvero voglia di chiacchierare molto, quando sto zitta e ascolto chi mi piace io desidero solo provare ad immaginare le sue emozioni, soprattutto quelle che il mio cuore forse  non sarebbe in grado di reggere ma che è capace lo stesso di percepire. Credo che l'empatia sia un'ottima strategia per non assumersi la responsabilità di sentimenti propri. Non so cosa mi davvero mi stia perdendo e in fondo per ora ho paura o non mi interessa saperlo. So soltanto che non ho più nessuna voglia di soffrire per chicchessia, che i passi indietro sono spesso il solo modo che ho avuto di non precipitare e che in fondo le vite degli altri sono anche parte della mia individuale esperienza, al pari di un romanzo o un buon film, soprattutto se decido di alzarmi alle cinque per ascoltarne le storie.

Per tutto il resto c'è la Rebecca, che mi costringe al sorriso pure con i pesi da dieci. E che per ora è la sola che riesce a farmi battere il cuore così forte che certe volte mi pare che sia pronto persino lui a sintonizzarsi su certe "frequenze"

venerdì 17 novembre 2017

Scorci da ultimo scorcio d'anno

Però alla fine mi piace assai proprio così. Io li capisco certi colleghi che pensano che me ne stia sulle mie, sempre chiusa in stanza e mai a condividere un caffè in sala pausa, mai appassionata a questioni sindacali o ai pettegolezzi e agli intrighi di palazzo. I nuovi arrivati, tranne uno bello come il sole che non passerebbe inosservato neppure nella folla dell'ultimo concerto di Vasco, proprio non li conosco. In questi mesi nei quali la mia stanza era eccezionalmente tutta per me ho trovato la mia dimensione ideale in una porta chiusa, i podcast di radio24, le mie pratiche quasi in linea con gli obiettivi e le ore che trascorrono in questo splendido isolamento senza troppi imprevisti. Non posso farci niente, a me piace essere così: la collega meno interessante della terra. Lo accetto, sono io a volerlo. Di contro succede pure che, di tanto in tanto, faccia incursione un po' di gente parecchio simpatica e che mi conosce abbastanza da sapere cosa dirmi per strapparmi un sorriso o accendere il mio entusiasmo. Ho il collega che tiene a farmi sapere i film che è andato a vedere e cosa ne pensa, quello che mi racconta delle sue frustrazioni lavorative, quello che mi confida cose anche molto delicate della sua vita privata e che in un caldissimo pomeriggio d'estate è arrivato con una gigantesca porzione di gelato allo strano gusto di cheescake al limone. Squisito. Io credo che sia sufficiente così: se non hai la forza di andare incontro agli altri, tieniti stretti quelli che sanno dove cercarti e vengono a trovarti.

Veronica Lario ha perso l'assegno di mantenimento. Le serviva quasi un milione e mezzo al mese per vivere. Credo che sia la prima volta in vita mia che mi trovi dalla parte di Berlusconi. Intanto oggi ho soltanto sentito parlare della necessità di accordi prematrimoniali che stabiliscano chiaramente confini ed obblighi reciproci. E a me tutto questo fa sempre tanta malinconia...non avrò mai la storia che sogno davvero...non fino a quando il fattore economico sarà così dominante in ogni tipo di rapporto.

Intanto novembre trascorre inesorabile, con giocatori senza talento che ci hanno portato fuori dai mondiali, la morte di Riina assieme a tutto quanto non sapremo mai delle stragi degli ultimi trent'anni, scandali di sesso approdati anche qui da noi e i prodromi di una campagna elettorale che pare non promettermi nulla di buono. Sono abbastanza curiosa del 2018.

Del novembre passato ho un ricordo mesto e soffrivo molto per una faccenda che grazie al cielo non mi tocca proprio più, la casa accanto alla mia era ancora un a zona franca su cui fantasticavo e poi facevo tante gare di corsa a cui ora non ho più voglia di partecipare. Mi manca il mio micio e pure qualcuno che sia in grado di non deludermi mai. Ma in realtà, a pensarci bene, credo che siano sufficienti anche un po' di belle facce che bussino alla mia porta per una bella chiacchierata. Di questi tempi direi che sia più che abbastanza



mercoledì 15 novembre 2017

Per una "quadratura" del cerchio alla testa (il mio "posto" è là)

Oggi ho trascorso tutto il giorno tra una sala e l'altra del cinema Anteo: un brutto palazzo grigio in cui non mi raccapezzo mai ma con così tanta offerta da risultarmi comodo e rassicurante. Sono stata in ufficio soltanto un'ora perché avevo troppo mal di testa per riuscire a concludere qualcosa di utile. Ho chiesto un permesso, comprato un'aspirina e due biglietti e sono affondata in comode poltrone a vedere due film, in fondo parecchio simili tra di loro quanto a tematica, che mi sono abbastanza piaciuti. "The square" è un film che tenta di esplorare il ruolo rappresentativo, da parte dell'espressione artistica, di un'etica ideale realisticamente traducibile in un mondo inevitabilmente più complesso e variegato di qualsiasi modello teorico. Per essere un film "nordeuropeo" è persino fin troppo godibile e non del tutto apocalittico, come mi aspetterei da quella scuola. Mi è piaciuto per questo e pure per l'indulgente comprensione per la debolezza umana senza una semplicistica conclusione assolutoria. Le due ore e mezza, con un mal di testa che tentavo di dimenticare, sono passate con relativa fluidità.

Avevo portato con me la schiscetta da lavoro e sono andata a consumarla in piazza Gae Aulenti, scintillante area della Milano del futuro nella quale io mi sento sempre fuori luogo, ma poi è anche molto divertente stare lì seduta a guardare gente molto elegante e spesso parecchio di fretta.
Poi sono rientrata all'Anteo e ho atteso "the place" di Genovese. In qualche modo sono rimasta in tema, visto che anche in questo caso il tentativo è quello di raccontare i possibili dilemmi etici legati al libero arbitrio. Originale la struttura del racconto, bravi gli attori, buoni gli spunti. Intanto il mio mal di testa cominciava ad attenuarsi e a far posto ad uno stato abbastanza rilassato. Mi sono ricordata che avevo con me anche del cioccolato fondente con scorzette di limone e zenzero e con quello ho accompagnato il finale di questo secondo film, come il primo consolatorio ma senza esagerare.

Io, molto banalmente, credo che la bontà sia solo in parte innata e in massima parte costituisca un esercizio di volontà, evoluzione culturale e grado di appartenenza ad un modello sociale ad impronta solidaristica. Quest'ultimo aspetto è quello che io trovo davvero cruciale sia per la qualità individuale che per le caratteristiche stesse  di una nazione. Sul libero arbitrio temo invece che ciascuno di noi abbia in fondo un range piuttosto limitato di scelte e che, per quanto queste possano incidere in modo sostanziale nel percorso e nel destino di ciascuno, a determinate leggi occulte non si sfugga.

Ora sono a casa, sono tranquilla e non ho più il mal di testa e penso che le giornate così, quelle un po' cattive ma senza esagerare, che migliorano solo con qualche buona idea o meglio ancora delle buone storie per fare il punto, quelle col mal di testa che poi passa, siano una piccola necessità. Molto più che una scelta.

domenica 12 novembre 2017

Non lascio i miei dubbi ai soliti sospetti

Settimana complicata quella appena trascorsa. Succede. Succede che hai da lavorare di più, aggiungere impegni fuori dall'ordinaria tabella di marcia, sacrificare cose che ti piacciono...succede e in fondo, se bene interpretate, sono prove utili per testare la propria capacità di resistenza/resilienza agli imprevisti o ai carichi eccessivi. E poi c'è questa cronaca strana che mi procura un turbamento che davvero non mi spiego. Tutta la mia più totale solidarietà a Kevin Spacey per il tunnel grottesco in cui lo hanno ficcato. Non posso pensarci davvero...

Intanto che mi affaticavo sono successe però anche cose abbastanza piacevoli come lo sono certe esperienze che decido di fare quando ho voglia di sperperare in modo sconsiderato il mio denaro. Periodicamente vado a fare una cosa in un grosso centro medico a corso Buenos Aires:lo scoprii nel 2013 per fare la depilazione definitiva con il laser. Esperienza dolorosissima ma risolutiva di cui benedico la scelta ancora oggi. Ho sempre conservato un ricordo positivo di quel luogo e del medico a cui mi affidai: un molisano simpaticissimo, abbastanza cinico ma onesto e conversatore amabile. Sapevo di non essergli antipatica e mi piaceva che mi regalasse sempre una marea di campioncini e trattamenti non previsti dal mio pacchetto. Poi ho concluso e nel frattempo sono passati quattro anni, il centro è diventato leader in Italia per quello ed anche altri trattamenti che prevedono l'utilizzo combinato del laser, ci sono anche altri medici e io sono ritornata per fare una cosa un po' pionieristica sulla parte alta delle gambe dove ho un po' di problemi, diciamo così, da femmina mediterranea...pure stavolta è una cosa piuttosto dolorosa, ma quando decido di fidarmi di qualcuno anche questo è del tutto secondario. Credo che sia una faccenda legata al mio bisogno di avere un mentore: se mi fido di qualcuno, perché competente e/o mi dimostra di tenere al mio bene in qualche modo, io lo assecondo senza pensare a quanto questo mi costi. Di solito ci prendo, sono abbastanza fortunata con i riferimenti che mi scelgo, pure quelli ancor più importanti che ho ascoltato per crescere, imparare, formare una coscienza. Ma in realtà, ora che ci penso, io - come nessuno - non ho davvero la certezza che chi ha condizionato la mia vita e le mie idee mi abbia giovato fino in fondo oppure no. Del resto ognuno vive degli atti di fede che merita...diciamo che ad oggi mi sento fortunata di certi miei incontri.


Anche Valerio, uno dei coach della scuola di running a cui voglio molto bene e che non mi stancherei mai di ascoltare quando parla di tecnica o di strategie di progresso e di resistenza, qualche volta si attarda a parlare con me per un tempo più o meno lungo che io trovo sempre prezioso, oltre che generoso...nonostante ieri mi abbia fatto promettere di non mangiare pizza fino a quando non avrò dimezzato la circonferenza della coscia...forse i miei guru si parlano tra loro, oppure sono davvero messa male...va bene, obbedisco...

Intanto stamattina avevo bisogno di impastare perché sono ancora troppo tesa e quell'attività mi distende molto. Ne è venuto fuori un pan brioche molto soffice di cui sono abbastanza fiera. Durante la lievitazione sono andata in palestra, ho fatto un progressivo di un'ora su un tapis roulant piazzato di fronte ad una parete con i mattoni rossi: il flusso di coscienza mi ha riportato al sorriso bonario del medico, al monito severo ma affettuoso di Valerio, ma pure ad una serata in cui non mi sono divertita molto e ad una puntata molto commuovente del programma di Gianluca Nicoletti (altro mio amatissimo guru) sulle violenze che persino chi non è una stella del cinema è capace di commettere, magari su un disabile...mentre correvo, restando ferma, mi pareva di essere una specie di proiettore di fotogrammi spaiati a cui io tentavo di dare un filo logico mano mano che aumentavo la pendenza e la velocità. E non lo so se quando ho finito ero streamata per la stanchezza o per tutto quel lavoro di riordino di idee e pensieri.

Poi ho fatto la doccia, sono tornata a casa, ho messo in forno il mio pane lievitato benissimo. Ma ho mangiato solo insalata, frutta e yogurt. E poi, senza dubbio, mi rivedo i soliti sospetti. Proprio senza dubbio...




martedì 7 novembre 2017

Meno solitaria di un passero 🚶‍♀️

La prossima volta prometto di dosare meglio la mia motivazione. Mi sono messa in prima fila come a voler afferrare ogni piccola nozione senza rischiare la minima dispersione e senza considerare che sarebbe stato probabilissimo, anzi certo, sprofondare in una devastante forma di letargia dopo il primo quarto d'ora. Ho passato tutto il giorno a seguire una lezione su una questione di cui mi occupo in sostituzione di un collega. Una tematica direi cruciale, che trovo spesso ostica e drammaticamente noiosa, ma per fortuna non ho mai pensato che il lavoro dovesse necessariamente essere divertente. Può esserlo se si è molto fortunati e dotati o quando le idee sono ben chiare nel delicato momento di certe scelte definitive. Durante la pausa pranzo sono rimasta da sola in aula, con un libro di cui ho letto solo qualche pagina e l'i pad che comincio ad usare con più parsimonia ma sempre un po' troppo...

Ad un certo punto mi sono imbattuta in una citazione di Leopardi sull'effetto "amplificatore" della solitudine, intesa come condizione sublime o terribile a seconda dello stato iniziale di chi la vive. L'ho commentata, dicendo più o meno che è una condizione che mi è assolutamente congeniale e che forse questo non sia un bene. In realtà essere dei solitari non coincide con lo star soli, cosa che per la verità mi capita fin troppo di rado tra lavoro, sport, amicizie più o meno consolidate...la mia solitudine è assenza di turbamento, coincide coll'attimo esatto in cui apro la porta di casa la sera, quando è tutto finito e non c'è nessuno ad aspettarmi, a cui rendere conto, tentare di piacere, chiedere pareri, fare progetti, assumere responsabilità, o accettare una qualsiasi inevitabile forma di distrazione o semplicemente una limitazione del mio spazio vitale. Quel momento esatto della mia azione quotidiana di rientro da un giorno che avrei voluto fosse stato anche altro è la parte più magica del mio tempo. Non sono una musona sociopatica e anche io ho sperimentato forme d'amore un numero sufficiente di volte per riconoscerlo e, forse, cercarlo ancora. Il fatto è che con gli anni ho definito sempre meglio il confine che mi separa da tutto ciò che non mi appartiene ma che soltanto in parte posso evitare. Star sola per me è sperimentare senza il rischio di urtare pazienza e sensibilità altrui. Per dirne una, un giorno decisi che dovevo vivere senza televisione e ho finito per farlo per ben sette anni fino allo scorso anno, e poi di diventare vegetariana (e gli anni furono otto), di provare a stare un anno senza lavatrice e tre mesi senza il frigo. Ad un certo punto ho cominciato a girovagare tutta sola per mezzo mondo per scoprire che si può fare...con molto rischio e pericolo...ma sono qui e l'ho fatto.

Ogni tanto mi capita di pensare alla pessima madre che sarei stata, ma poi cosa posso saperne io che in fondo ho un tale senso di accudimento che la sopravvivenza almeno l'avrei garantita di certo? Ecco, credo che per certi interrogativi la solitudine non sia propriamente uno strumento efficace di comprensione, ma poi penso che non sono stata capace di gestire neppure un micio e allora giusto così...
Oggi sono esattamente la solitaria che volevo essere: quella che cucina bene solo pensando di farlo per qualcuno, che ha sempre sognato di vivere in una comune, che ha una TV come chiunque altro, una lavatrice da nove chili e un frigo troppo pieno pure per una famiglia numerosa...

Poi la pausa pranzo è finita, sono rientrati tutti, abbiamo ripreso la lezione e io per fortuna non avevo più tanto sonno


venerdì 3 novembre 2017

uno di questi oggi, anzi due

Ormai è una delle cose del mattino che aspetto con una certa trepidazione. Ma solo da poco, fino a poco tempo era una faccenda che mi immalinconiva o un pretesto per autocritiche fin troppo severe. Adesso no, adesso la notifica dei miei ricordi, pure di quelli risalenti ad otto anni fa, è un appuntamento che prendo sul serio perché mi restituisce non soltanto foto, pensieri un po' scemi accoppiati a considerazioni che trovavo rilevanti o i post di questo sgangherato diario di bordo...mi piace soprattutto perché mi riporta a stati d'animo precisi, che solo raramente proverei con la stessa intensità o per le stesse motivazioni col semplice sforzo di memoria volontaria e posso garantire che certe volte questa è una cosa davvero spiazzante. Oggi per esempio mi sono ritrovata in una foto del 2009, scattata a Pozzuoli da una persona a cui ho voluto molto bene, con cui credo di non aver mai litigato ma dalla quale ad un certo punto la vita mi ha allontanato. Credo che sia una cosa bella, perché quella foto mi piace tuttora molto, io non ero in posa e quella giornata me la ricordo ancora per quella temperatura mite, la bella luce, una conversazione rilassata e buffa. L'ho riportata volentieri sul profilo di oggi.

Invece non ho riportato il post che scrissi, proprio in questo giorno ma un anno fa, su questo blog. Pure quello mi è sembrato molto divertente (credo sia una forma poco onorevole di vanità rileggere le mie fesserie con compiacimento, ma ammetto che qualche volta ne provo gusto): parlavo di come interpreto la mia vita domestica, dello strano loop in cui scado in certe dinamiche dei rapporti umani e di come in fondo mi ritrovi mio malgrado ad essere un dato statistico poco rappresentativo per una qualsiasi categoria. Avevo un ricordo netto di quel giorno e di come in realtà mi sentivo piuttosto triste. Novembre scorso è stato un mese molto difficile per me, ma ora che ci penso è da allora che non ho più pianto. Certi ritorni al passato sono una specie di ripresa di vaccino, mi aiutano a ricordare della bellezza di sentimenti "piani"  e di contro della tossicità di quelli troppo forti che rilasciano solo sensazioni malate, ricordi tristi e paura di ricadere in certe trappole emotive assolutamente da evitare. In mezzo c'ho trovato le mie solite carambole lessicali, battute di cui potrei anche scusarmi, articoli che trovavo utili fotografie di un'epoca...il passato rivissuto con le bricioline lasciate così, un po' in modo istintivo e in parte con intento metodico, mi piace e mi interessa.

Poi sono ritornata ancora a quella vecchia foto di Pozzuoli e ho riletto quel vecchio post pieno di troppi fatti miei e ho pensato che alla fine a me non dispiacciono le cose che finiscono ma, più semplicemente, quelle cominciate male. Sapere che c'è qualcuno/qualcosa che me lo ricordi tutti gli anni comincia a farmi davvero piacere.

sabato 28 ottobre 2017

Il valore variabile di una stessa esperienza

È la seconda volta di seguito che mi succede. Anche questo allenamento del sabato, quello di gruppo al Sempione, non sono riuscita a portarlo a termine. a metà del secondo giro, più o meno al quinto chilometro, mi fermo di colpo, lascio superarmi da tutto il gruppo e comincio a camminare. Non ne saprei la causa visto che sento di avere ancora forza e possibilità di continuare. Ma niente, mi assale una specie di panico da obiettivo, come se fosse chiedere troppo arrivare fino in fondo. Forse è solo un modo di assolvermi da una settimana intera di allenamenti all'alba in quella dimensione che mi è tanto più congeniale che è lo star sola a farmi indicare distanze e andatura da una macchina che non mi assolve, ma neppure ha pretese e forse per questo mi è più facile assecondarla. Non lo so, sono due esperienze così uguali e così diverse, tipo mangiare lo stesso gusto di gelato nel cono o nella coppetta...

Ora sono nel cortile della Statale, devo aspettare le tre e mezza perché per questo e un altro sabato ho il pomeriggio felicemente dedicato ad un altro di quei corsi di cinema senza i quali non so come farò a stare senza, quando avrò concluso tutte le combinazioni possibili di tematiche offerte. Ma poi si fa. È fisiologico, normale, necessario.

L'altro ieri mi è successa una cosa che continuo a ripensare, per il senso di colpa che mi procura e forse pure per il fenomeno che sottende. Ero alla fermata proprio fuori all'esselunga, nell'istante esatto in cui fotografavo uno dei miei momenti un po' fessi che amo condividere con spirito infantile: 19.000 punti sono una notizia in effetti. Ad un certo punto mi si avvicina una anziano signore, con marcato accento milanese e un tubetto vuoto di kukident. Mi chiede 2 euro per comprarne uno nuovo, visto che non gli fanno credito all'esselunga e la nipote gli aveva fatto il bonifico solo quel giorno e lui avrebbe dovuto aspettare tre giorni per vederli sul conto, ma intanto non riusciva mangiare pane da due giorni senza avere i denti ben fissati. Mi ha anche detto che me li avrebbe restituiti. Io ho ascoltato la sua storia, l'ho guardato tutto il tempo impassibile, gli ho dato i due euro con la ferma intenzione che capisse che non credevo affatto alla sua storia. Lui mi ha ringraziato, è entrato di corsa al supermercato e ha comprato davvero il tubetto di pasta dentale. Io mi sono sentita la persona peggiore del mondo nonostante quella moneta alla fine gliel'avessi data senza fare storie.

È che avrei potuto farne un'esperienza diversa e più degna di una persona perbene. A parità di moneta.
Ma è un periodo in cui faccio fatica a fare tutto. Posso solo migliorare





mercoledì 25 ottobre 2017

Autonomi coi santi degli altri

Sono un po' di giorni che ci penso. Non che la cosa mi tolga il sonno, però credo che sia giusto provare a capire, magari proprio partendo da una esperienza personale, a dire il vero condizionata da una adesione cauta a certi stereotipi ma pur sempre condita, ahimè, da certi pregiudizi...
Io ho da sempre un problema con il Veneto. Il mio problema è questo: alcune delle persone più simpatiche, generose, ironiche e in gamba che conosca sono venete. Le trovo sinceramente delle persone adorabili eppure non mi bastano per evitate di pensare che il veneto, in quanto entità antropologica e luogo fisico astrattamente considerato, sia una regione in cui sono felice di non essere nata. Non mi toglie il sonno neppure la faccenda della pretesa autonomia, che se fosse davvero tale significherebbe per esempio non poter essere più la regione con il più elevato tasso di evasione fiscale. Quello che trovo spregevole e offensivo come italiana è il fatto che ne facciano una ossessione isolazionista. Non mi stupisce a questo punto neppure la questione surreale della contemporanea pretesa autonomista di Belluno dal veneto stesso. Io direi di passare direttamente ad un cuccuzzolo di montagna procapite...

In realtà non mi importa davvero molto: è una tendenza perfettamente in linea con quella di questo scorcio di storia e, nella sostanza, potrebbe voler dire molto poco perché essere del tutto autonomi è impossibile, sempre e oggi più che mai. Molta retorica, interessi economici dal respiro corto, politiche raccogliticce sostenute da un localismo arraffone.
Comunque sono ugualmente molto curiosa di sapere cosa intendete davvero, voi, popolo di bevitori fortissimi, saldamente orientati al profitto e all'ostentazione del vostro benessere, razzisti e leghisti...davvero, sono proprio curiosa di sapere dove porteranno i vostri sani valori dominanti...

Tutta questa faccenda mi ha riportato ad un ricordo divertente e ormai lontano che mi lega al veneto
Nel 2008 partii in solitaria per una breve vacanza che mi portò  in quella regione per la prima volta. Ci andai per incontrare una persona che conoscevo da tempo soltanto attraverso il blog. Una volta lui mi scrisse dicendomi che il mio blog era stato il primo nel quale si era imbattuto e che, sulla scorta di come lo avevo impostato, aveva capito come avrebbe voluto orientare il suo. Nel tempo lui divenne uno dei blogger più famosi della rete e ancora oggi, su altre piattaforme, vanta migliaia di seguaci. Il fatto che sia tra i miei follower anche qui mi fa un certo piacere e anzi, se passa di qua, approfitto per salutarlo.
Una vera star...e io l'ho conosciuto di persona e in tempi non sospetti come sua ispiratrice...ehehehe...

Quelli furono giorni molto divertenti, durante i quali, a bordo del suo scooter gironzolammo per il veneto, avendo come base Treviso. Vidi luoghi magnifici, con delle tonalità di verde che non ho mai più ammirato altrove, apprezzai l'ordine, la pulizia ma anche e soprattutto il fascino di un luogo dove
si è fatta la parte migliore della storia d'Italia. Mi resi conto che nessuno emetteva lo scontrino e che il caffè è bene che specificare che non sia corretto, incontrai degli alpini molto anziani e molto bevuti che mi cantarono omaggi coloriti, passeggiai per Conegliano pensando che anche io mi attaccherei alla bottiglia se vivessi in un posto così modello bomboniera e dove la cosa più memorabile che conservo di quella cittadina fu la conversazione di una madre alla sua bambina che le chiese di comprarle una collanina di plastica. Ad un certo punto le disse:"te la compro solo se non la fai provare alle tue amiche".

Quando salutai il mio amico blogger andai a Padova perché mia madre mi raggiunse lì, che ci teneva ad accendere un cero a S. Antonio. Anche Padova è bellissima. Ma quando sono andata in Portogallo
ho sentito che stanno ancora aspettando la salma del loro santo...

Io vivo di stereotipi e di pregiudizi. Mea culpa. Ma i veneti simpatici che conosco vivono a Milano o
altrove e per questo credo che stiano diventando un campione sempre meno rappresentativo, come sempre meno chiaro rimane per me l'idea che un piccolo territorio decida, all'improvviso e solo perché  più ricco grazie a condizioni contingenti favorevoli, di non sentirsi parte di una nazione. A me non importa nulla, davvero, facessero quel che vogliono. Però mi fanno specie lo stesso la grettezza dei toni e  le  motivazioni pretestuose.

Mi risulta che persino il mio amico blogstar non viva più lì. Ma del resto non era veneto neppure lui.



giovedì 19 ottobre 2017

"dipende". Risposta esatta

Quando cerco di raccattare motivi più o meno credibili per trovarmi simpatica di solito comincio da quelli. Dai miei piccoli azzardi di gioventù. Non era scontato che ne facessi: non amo i conflitti, non ambisco né al comando né all'obbedienza, non mi piace chiedere le cose ma trovare possibili strade per andare a prendermele. Quando si è così ci sono solo due possibilità: diventi una disadattata cronica oppure il prodotto di una combinazione di cocciutaggine e flessibilità che tornano sempre utili, quando incespicare è più una scelta di vita che una condizione sfortunata.

Quando i miei mi hanno detto di fare economia non ho battuto ciglio, eppure non c'era una sola cellula di me che la ritenesse una decisione sensata. Non lo era infatti e non lo sarebbe stata se non avessi trovato sul mio percorso un prof. che ho adorato per tutta una vita, per il quale ho ripetuto l'esame tre volte, ma con cui ho poi fatto la tesi e che ho ritrovato come tutor per tutto il dottorato, quello che ho conseguito dopo essermi licenziata da un lavoro che avevo desiderato tanto e che invece era altro da quello che io mi aspettavo per il modello cooperativo su cui era impostato. Chi lo sa se oggi troverei mai il coraggio per fare una cosa del genere, eppure io lo feci con la naturalezza e la spocchia che solo la giovinezza incosciente possiede senza il filtro di un contegno soffocante.

 L'economia mi ha insegnato che la risposta più sensata che si possa dare a qualsiasi problema complesso è "dipende" ed è questa la vera lezione che mi ripeto  ogni volta che cedo alla tentazione di trovare la ricetta definitiva ai dilemmi credendo davvero che esista una verità assoluta che mi salvi dall'errore, dalle delusioni, dai miei "pregiudizi di conferma", quelli che si hanno quando si cerca solo il conforto verso ciò di cui si è già convinti. In economia il "dipende" ha pretesa di esattezza matematica applicata all'imponderabile e questo ai miei occhi ha qualcosa di divino, oggi più che mai che il "dipende" vuole avere pretesa di libertà di scelta basata solo su sensazioni, universi mitologici "tribali" popolati da vegani, rettiliani, antivaccinisti e complottisti non meglio definibili ma sempre pronti al conflitto, allo scontro perenne o, al contrario, al settarismo massonico.

Oggi è stata una giornata difficile al lavoro, ho un problema che non so come risolvere, l'anno scorso invece mi sfogavo su questo blog perché ero l'unica a non aver partecipato all'assemblea sindacale e per questo avevo fatto servizio al pubblico tutta da sola. In altre occasioni ho raccontato di quante volte ho chiesto inutilmente di poter fare un'esperienza di lavoro all'estero e che l'amministrazione non ha mai neppure considerato la remota possibilità di farmi accedere ad uno dei bandi a disposizione dell'agenzia. Mi sono chiesta tante volte se questa fosse davvero la vita in cui speravo, con questi muri che spesso non comprendo, le anomalie a cui faccio caso soltanto io...e mi ripeto che forse, sì, io  volevo proprio una vita così, magari dopo essermi licenziata senza timori, dopo un dottorato per chiudere il cerchio di un percorso conflittuale, magari dopo un anno di vuoto assoluto come quello in cui davvero cominciavo a fare i conti con tutti quanti i miei "dipende".

Di tutto mi rimane l'incapacità di accettare i conflitti e di voler fuggire soltanto da quelli, la ricerca di una composizione armonica delle contraddizioni e il tentativo perenne di rinnovare e purificare lo sguardo senza la smania di cambiare costantemente punto di vista. O, forse, tutto questo "dipende" soltanto dagli anni che hai. Il fattore tempo in economia è la variabile fondamentale per analizzare qualsiasi fenomeno...un caso. Non credo.






venerdì 13 ottobre 2017

Un venerdì 13 è per sempre (...mi piacerebbe...)

Ormai mi convince. Sono circa due settimane che le mie albe, ormai sempre meno luminose e mai troppo illuminate, hanno esordi differenti che alterano rituali consolidati di anni di fede incrollabile a collane di dvd americani, pedalate domestiche, corse attorno all'aeroporto di Linate...e tutta una serie di attività solitarie nella preparazione di colazioni strane, beveroni, doppi e tripli caffè. Cosa non ci si inventa per sentirsi pronti ad affrontare la giornata...
Dicevo, sono due settimane che la mattina - prima del lavoro - vado in una palestra che apre alle 7:00 e che è esattamente a metà strada dal lavoro. La parte più difficile è uscire di casa senza trucco, col borsone e il solito carico per l'ufficio (compreso il pranzo). A quell'ora c'è solo il proprietario, un signore non più giovanissimo ma con un ancora evidente glorioso passato da sportivo. Ha già imparato i miei orari e da un paio di giorni viene anche qualche minuto prima: accendiamo assieme tutte le luci, per la prima mezz'ora ci sono soltanto io e tutto mi pare già molto familiare. Di solito corro in salita per una mezz'ora, faccio un po' di pesi per le braccia e, soprattutto, finisco l'allenamento su una pedana vibrante che credo simuli il Nirvana. Faccio la doccia, mi trucco, bevo delle cose giallo-verdi, saluto il proprietario della palestra, che credo noti la trasformazione radicale e, forse per questo, mi saluta con un sorriso più ampio. A questo punto percorro i residui venti minuti che mi separano dal lavoro  coi capelli ancora umidi, un pezzo di crostata sempre troppo piccolo, le cuffie con "i conigli" e tutto un compiacimento un po' infantile che poi però si stempera durante il giorno.

Al lavoro sono ancora sola in stanza e questo mi consente di sentire i podcast di radio24, di stare zitta per tante ore, di ricevere colleghi adorabili che mi portano la cioccolata o altri generi di conforto - oltre  amabili minuti di conversazione, per poi godere ancora di un silenzio irreale. Oggi in realtà ho dovuto fare due ore di servizio al pubblico e c'era un signore che mi ha detto che era da tanto che non mi vedeva, ma io non ricordavo assolutamente di averlo mai visto e un altro che mi ha raccontato di quanto sia orgoglioso di suo figlio trentenne, della sua passione per i cavalli e per l'ippodromo di Agnano e poi una sorridente signora peruviana, che vedendomi scrivere con la sinistra, mai ha detto che sono "più intellighiente". Mi succede spesso: quando sono giù allo sportello c'è sempre chi ritiene di fidarsi abbastanza di me da raccontarmi piccoli o grandi episodi della propria vita, o decide di affezionarsi al punto di farmi dei piccoli regali, portarmi i cornetti alla crema, dirmi cose carine...e io un po' mi pento della mia preferenza per il mio studiolo vuoto e silenzioso e un po' sono contenta che non tutti se ne accorgano subito.

Questa settimana ho preso un po' dei molti giorni che mi residuano per vedere dei film, fare un massaggio e finire un fumetto molto bello e ho dormito mediamente un'ora in più. Ecco, se proprio dovessi dirla tutta, ammetterei che sia davvero difficile pensare ad una vita più ordinaria e meno appassionante di questa. È più di un anno che non programmo un viaggio e, per fortuna, che non piango per qualcuno, che non ho subito torti imperdonabili o problemi insolubili. In linea di massima sento che non vorrei avere una sorte troppo diversa da quella che i quaranta mi hanno riservato. Potrei chiedermi se abbia trovato finalmente la mia comfort zone che mi isoli da rischi ed imprevisti, ma pure da sorprese e rivoluzioni copernicane, oppure se sia un assestamento che finalmente mi rappresenti in pieno. Forse è semplicemente giusto così per il fatto stesso che non è altro che così e che per una volta potrei addirittura non preoccuparmi del mio stare in pace.

Oggi è venerdì 13. Pure quando sono nata era un venerdì 13, anche il mio onomastico cade il 13, anche la casa in cui ho scelto di vivere sta al 13. Dicono che porti sfortuna. Io invece a volte  penso di non averlo mai davvero meritato...Ecco lo sapevo. Non riesco a godermi mai niente fino in fondo




sabato 7 ottobre 2017

Indicatori di "micro" benessere esistenziale (che con le tre S sono bravi tutti)

C'era un sole splendido oggi a Milano e così, verso le tre del pomeriggio, sono corsa sulla mia panchina "estiva" con la smania di chi non vuole tardare ad un appuntamento importante. Sono giorni che non prendo appunti o scrivo cose che vorrei mi fossero ricordate tra un anno e poi ancora, finché social non ci separi dal nostro passato. È la prima volta che lascio che la vita trascorra senza che trovi necessario anche trascriverla: forse sto abbastanza bene da non trovare utile tentare una qualche analisi alle cose che mi capitano, oppure davvero non mi succede niente di speciale da meritare ricordi tracciabili, o semplicemente sono stata molto stanca per tutta questa settimana e sacrificare il rituale serale delle impressioni scritte delle giornate mi è sembrato un fatto necessario. Scoprire che il mondo non abbia accusato il colpo di questa assenza mi è di un certo sollievo in effetti...Eppure a ben pensarci è stata una settimana un po' speciale per me, che dormo sempre poco e male, e invece sono giorni che Morfeo rimane con me fino a ben sei ore! E poi ho visto un film su Napoli così divertente e ben fatto che ne porto addosso i benefici persino ora. In effetti sono inezie assolutamente essenziali come lo sono per me la necessità di rigenerarmi e vedere buoni film, cose queste che sfuggono ai racconti avvincenti, ma meno male lo stesso che esistono.

Qualche giorno fa, nella sua trasmissione alla radio, Gianluca Nicoletti ha parlato di indicatori di benessere individuale, vale a dire quelle personalissime condizioni a cui ciascuno di noi aspira perché ritenute i fondamenti imprescindibili della felicità. Era un giochino divertente perché partiva dall'escludere i "macrofondamenti" banali delle tre "S" (sesso-salute-soldi) per entrare nel dettaglio "micro" delle essenzialità meno catalogabili. Faccio fatica a spiegarla ma è subito chiaro quando l'esercizio comincia. Io ho provato a fare così: mi sono creata una specie di personali categorie del "benessere" e all'interno di ciascuna ho inserito una piccola lista di indicatori rappresentativi del mio stato di grazia. Le categorie erano 1) il materialismo (...non solo in senso marxista...) 2) l'"intangibile" inteso come l'insieme delle intime sensazioni legate ad esperienze minime e apparentemente odinarie 3) la bellezza a partire dalla sua accezione profana per arrivare fin dove sia dato di incantarmi

Nella prima categoria ho messo questo:
- le lenzuola profumate di bucato su un letto ben fatto. Potrei affondarci dentro per sempre e sentire che tutta la mia infanzia più felice, l'assenza di ogni preoccupazione e stanchezza si realizzano in quella condizione li, in un corpo che non ha bisogno di difendersi ma solo di respirare a pieni polmoni.
- le mie crostate di marmellata. Il piacere comincia da quando compro gli ingredienti, li predispongo sul tavolo, impasto la frolla, arrivo fino al delicato momento della cottura per poi raggiungere l'acme del piacere col primo morso, che cerco di far coincidere in un momento di appetito sincero, quando è ancora caldissima. Non so se si tratti di felicità ma sono sicura che sia una cosa che le assomigli molto.
- ogni nuovo paio di scarpe da running Dalla contemplazione della parete con tutti i modelli fino alla scelta e i lacci tra le mani prima del primo allenamento
- quando vado a fare la spesa e ci sono i miei biscotti preferiti (gli inarrivabili Mc Vitie's digestive) scontati al 40%
- la doccia dopo lo sport con la pressione e la temperatura che dico io
- un cappuccino ben fatto

Nella seconda categoria ci stanno queste cose qui:
- Il pensiero di rivedere a breve una persona a cui voglio bene e, dopo, il pensiero di averla vista ed aver trascorso un tempo piacevole
- cucinare per qualcuno a cui tengo
- le luci che si spengono al cinema
- un trenta e lode a un esame per cui avevo studiato tantissimo e un altro per cui invece conoscevo solo le domande che mi furono rivolte
- tutta la musica che tengo in un  iPod dal 2009. Se sparisse credo che mi ammalerei
- stare sulla mia panchina preferita in questo parco con questo sole in silenzio e senza smanie
- le persone che sanno incantarmi quando parlano

 La categoria della bellezza, infine, ha carattere residuale e volutamente generico. Io ci metterei
 - Pablito e in generale tutti i gatti
 - i miei trent'anni
 - i baci
 - certi bambini "problematici" e simpaticissimi di cui vorrei conoscere il futuro e il modo di districarsi nel mondo
 - Milano e Napoli

 In fondo è una lista furba. Per alcune faccio presto, per altre devo confidare un bel po' nella buona sorte, per altre mi faccio bastare il ricordo. Ma va già bene così





mercoledì 27 settembre 2017

Di cose che passano, persino sullo spazio di quelle che restano

Forse qualche volta avrei bisogno di un angelo custode un po' severo che mi bacchettasse i polpastrelli con la cucchiarella tutte le volte che racconto cose che a distanza di mesi o anni non penso più, non sento nella stessa maniera o smettono del tutto di interessarmi come al tempo in cui ne parlavo. Intanto succede che il tempo passa, io mi dimentico di tante cose, ne capitano altre,  ne lascio traccia qui sopra con la percezione non provata che le sensazioni messe per iscritto facilitino forme di elaborazione di certi stati d'animo, una chiave di lettura, un percorso da seguire. Continuo a credere molto in questo tipo di potere che soltanto la parola scritta possiede.
Malgrado questo, ammetto che quando mi capita di rileggere cose di un po' di tempo fa, provo molto disagio, qualche volta imbarazzo e persino un po' di vergogna e questo nonostante gli unici paletti che mi sia data alla libertà di espressione fossero proprio assenza di volgarità e offese verso chiunque. Oggi è capitato che qualcuno, che non posso sapere chi sia, ha letto un mio vecchio post di cui non avevo memoria fino a quando non sono andata a rileggerlo io stessa. Ogni tanto succede che qualcuno, magari tra quelli che mi hanno trovato di recente, peschi a caso tra cose scritte tanto tempo fa e a me questa cosa fa sempre tanta impressione. Nella fattispecie si trattava di una specie di finto dialogo con me stessa nel quale passavo in rassegna il mio bizzarro modo di voler bene e la maniera in cui questo si è trasformato da quando ero bambina fino all'età che mi ritrovo. È un post abbastanza divertente e divertito, a tratti velato di una certa malinconia per una "grammatica dei sentimenti" mai davvero compresa, o forse semplicemente tradotta male e frettolosamente. Ma non era questa la ragione del mio disagio nel rievocare quel breve estratto di vita "in discussione". Ad un certo punto descrivo un episodio accaduto con una persona a cui all'epoca volevo un bene devastante e che ormai non sfiora i miei pensieri neppure per un secondo della mia giornata, non perché provi odio, rancore o qualsiasi altro sentimento negativo. È che non mi interessa più assolutamente nulla di lui. E mi chiedo come sia stato possibile, all'epoca,  superare ogni remora e ammettere di non riuscire a venirne a capo in nessuna maniera...e poi più nulla. Forse sono un mostro oppure ho bisogno di difendermi, di scappare da sofferenze che sono io stessa a causarmi e dalle quali solo io ho il potere di uscire. Ma come è stato possibile? Quando è successo che ho preso le distanze da quello che scrivevo non molto tempo fa? E cosa avrà pensato lo sconosciuto lettore quando è incappato in quel post? Vorrei chiamarlo e dirgli "guarda che quella non sono più io, ti prego  non leggere quei vecchi post. Sono superati, falsificati da giorni, mesi ed anni che mi hanno voluta diversa". Ma forse chi ha letto ha già dimenticato, riso, è passato oltre...che importa cosa sentivo allora se ora non ne è rimasta alcuna traccia.

In realtà, a mia parziale consolazione, ci sono anche le cose che restano, intatte e uguali a se stesse proprio come al tempo in cui le avevo scritte, come il post che proprio oggi mi ha restituito Facebook: uno di quelli in cui mi ricordo di quanto sia bello sentirsi di sinistra oltre ogni ragionevole dubbio e pure che certi pomeriggi milanesi di mezza stagione sono un condensato poetico ormai irrinunciabile per me. Ci sono temi che tratterei sempre nella stessa maniera, per i quali non ho conflitti o dilemmi per cui macerarmi. E forse è questo che mi pare bello e strano allo stesso tempo della rilettura di un diario: un continuo contraddirsi unito al costante tentativo di tenere la barra ferma.

E così stasera penso che il bello di segnarmi le cose, al di là dell'imbarazzo di restituirle ad un potenziale mondo sconosciuto di cui non posso realmente conoscere reazioni e interpretazioni, sta proprio in questo ricordarmi come ero e non sono più, cosa e chi mi piaceva e ora non più, le persone che ho amato e dimenticato nello spazio di due istanti separati tra loro anni luce e quelle che invece vorrei incontrare subito  per scriverne senza dover mai più cambiare idea.
Grazie, lettore sconosciuto, a tutto questo non avevo ancora fatto caso.


giovedì 21 settembre 2017

Se lo arresto forse mi libero. Persino di me stessa

Alla fine ho ceduto, come mio solito, alle lusinghe delle offerte on line e quell'abbonamento alla palestra di nuova apertura di via Mecenate alla fine l'ho fatto. Credo che di correre non smetterò comunque, anche se sono troppo stanca e in realtà non potrei proprio permettermelo dati i miei valori
di ferro costantemente sballati e le gambe ancora un po' pesanti per certi tipi di sforzo. Eppure
continua a rimanere la disciplina "spirituale" più affascinante che esista. Sono sicura che certi cambiamenti strutturali del mio carattere non sarebbero stati possibili senza quella cosa lì così impegnativa e progressiva e così spesso da maledire.

Ma quest'anno faccio una cosa diversa e mi dedico agli attrezzi e alla "core stability", che tanto pure la forza e l'equilibrio mi servono a pacchi. Ci andrò alle sette del mattino, al posto dei dvd americani con la Rebecca, la tutor che conosco da dieci anni e che non cambia mai, non si stanca mai, ha sempre lo stesso sorriso e io comincio a pensare che dovrei incontrarla, dopo tutti questi anni, e avere la prova che è ancora così perfetta come allora o se comincia ad arrotondare i fianchi come me...😀😀😀

E sempre per restare in tema di salute che non ho, l'altro ieri ho fatto una visita privata presso un medico adorabile che non vedevo da anni e da cui farò un piccolo intervento. Gli ho chiesto consigli per un po' di tono, una strategia di riposo, una pozione magica per dormire. Mi ha detto che mi trova in forma, che va tutto bene e basterà qualche massaggio o un po' di distanza da Milano. Io ho finto di credergli, almeno per attivare l'effetto placebo...

Hai presente quella scritta quando spegni il PC che dice "arresta il sistema"? L'ho già detto una volta, ma da vecchia appassionata di centri sociali io la interpreto sempre come un'esortazione alla rivoluzione. Credo che sia per questa ragione che uscire dall'ufficio per me assuma quasi sempre un significato potenziato, pure se alla fine si traduce soltanto in un ritorno al divano, alle tisane rilassanti o al troppo cibo.
Una cosa simile mi capita col Garmin: quel prodigio tecnologico che tengo spesso al polso a monitorare ogni mio passo, battito cardiaco, ritmo di percorso...Dopo circa trenta minuti, se sono
seduta, comincia a vibrare e compare la scritta "Muoviti!" E io un po' mi spavento, un po' mi vergogno per il monito e un po' mi sento accudita, seppure solo da uno strano marchingegno.

La verità è che la mia paura di riuscire a stare sempre abbastanza bene da potermela cavare da sola in ogni circostanza, anche a dispetto degli anni che passano e della forza che diminuisce, spesso diventa una malattia essa stessa. E questo malgrado sia convinta che sia sufficiente tutto quello che di virtuoso già provo a fare da sempre, i cibi che scelgo, i piccoli interventi medici che mi concedo, i battiti sotto controllo e gli integratori. Tento costantemente di fare la brava scolaretta che deve meritarsi ogni premio.
Eppure, a fine giornata, penso sempre che quello che davvero e in modo del tutto gratuito, ancestrale, innocente, rappresenti per me il vero sollievo dal peso di tutto, e di me stessa, sia sempre quella specie di imperativo lì. "Arresta il sistema"









domenica 17 settembre 2017

Navigatore a "svista"

Sempre inesorabilmente sveglia all'alba. Non c'è proprio niente da fare. Ieri credo di essermi addormentata non prima delle due eppure stamattina alle sei e trenta ero giù dall'alto del mio letto, con una tisana bollente e un caffè e perfettamente riposata. Alle sette mi ha scritto un amico chiedendo asilo sul mio divano perché è rimasto chiuso fuori di casa e ora è li che dorme come un bambino. Sono tornata a letto pure io e per fortuna osservo dalla finestra un cielo grigio che rende meno colpevole la mia assenza alla salomon running: quest'anno non mi riesce di aver voglia di indossare pettorali e correre per le gare. Forse dovrei cambiare sport e rassegnarmi al fatto che i miei valori ematici mi impediscono quel genere di sforzo prolungato e sfinente. Ma ancora non sono convinta di certi cambi repentini d'abito, nello sport come nelle sacre abitudini e in ogni orientamento di fondo che a torto o a ragione abbiamo deciso di darci. Però ammetto che ogni tanto lasciar perdere, sfumare, decidere di sperimentare strade poco intuitive possa risultare l'unica rivoluzione possibile

Non ho ancora terminato un libro che mi piace moltissimo e che ho in mano da tempo e non saprei dire se la ragione sia soltanto perché mi sto impigrendo oppure se si tratti di paura dell'abbandono.
Ieri sono stata ad una festa di compleanno in cui sono stata bene nonostante delle scarpe non troppo comode che mi hanno impedito di ballare quanto avrei voluto. La festeggiata era un'amica in comune con Massimo (siamo entrambe sue cinediscepole) e per arrivare da lei abbiamo ascoltato diligentemente le istruzioni del navigatore...che ci portava sempre in tutt'altro posto. È abbastanza curioso assecondare la perentorietà delle indicazioni di una voce elettronica che sta sbagliando con una tale evidenza che è fin troppo ingenuo assecondarla, ma tu lo fai, segui la sua voce deviante e lasci che ti porti financo in vicoletti stretti che non hanno evidentemente nulla a che fare con la meta effettiva. Mi sono divertita in questo gioco durato in fondo poco e che non ci ha impedito di essere a destinazione per tempo. Nel frattempo ci sono state cose dette e stradine anonime che forse non avrebbero trovato spazi di espressione. È trascorso un tempo che mi è parso giusto e per nulla perso.
Se proprio ci penso bene mi piace molto l'idea di procedere seguendo un navigatore che incorpori una qualche componente di errore piuttosto che andare avanti senza alcuna guida e in modo volutamente random e senza alcuna coordinata. Non è la stessa cosa: nel primo caso mi sto fidando di qualcuno che tenta di portarmi dove voglio, nel secondo non so che direzione prendere né come muovermi per darmi uno scopo.

Stamattina sarei forse uscita, avrei preso della pioggia e avrei mangiato un gelato. Invece sto aspettando un amico che si svegli dal mio divano, ho recuperato un po' di pagine di quel libro che non oso finire, ho capito che non mi dispiacerebbe cambiare sport. Strade diverse, orientamenti che si adattano al caso e all'imponderabile. Mi pare tutto sempre estremamente accettabile se c'è un navigatore, possibilmente difettoso, a guidarmi


lunedì 11 settembre 2017

"Immaginiamoci" in silenzio. Rassegna rapida di rassegnazione verbale

Pare che Instagram stia erodendo in modo inesorabile il bacino d'utenza di Facebook. Direi che in fondo la cosa non mi stupisce molto visto che persino io, che pure sono su Instagram dal 2012, comincio a farne un uso divertito e più intensivo soltanto negli ultimi tempi, forse proprio a causa di un crescente fastidio per l'uso strumentale, violento e incontrollato di opinioni che, "piantate" su fb, si diffondono come gramigna con pretesa di diventare delle verità assolute perché hanno infestato ogni spazio dedicato al confronto.  La rete è nata per realizzare una forma di dialogo potenzialmente illimitata e il fatto che ci sia riuscita e abbia per lo più avuto come risultato degli effetti distorsivi della realtà, quando non di odio e di incapacità di realizzare una visione davvero comune di felicità collettiva, la dice lunga sull'impoverimemto progressivo di tutti gli altri ambiti cruciali in cui si coltiverebbe la crescita umana.
Io ho scoperto la connessione di rete e le sue infinite possibilità attraverso i blog, che erano qualcosa di diverso anche da questo su cui scrivo ora. A me la vera rivoluzione copernicana parve quella: persone che decidevano di aprire un diario, spesso tematico, e di esprimere un'idea nella maniera più chiara possibile, raccontare un'esperienza della propria vita, una convinzione profonda, persino le proprie utopie. Questo significava fare uno sforzo di pensiero e di scrittura, trovare una formula comunicativa adeguata, non noiosa e anzi possibilmente ironica e inclusiva di altre nuove idee e contributi di persone lontane e sconosciute. C'erano i commenti degli altri blogger, tanti spunti nuovi e spesso si diventava a amici e si partiva per conoscersi dal vivo. La prima festa della rete, quella a cui partecipai pure io nel 2008, si chiamava Blogfest e fu una delle esperienze più spiazzanti ed esaltanti della mia vita. Poi però penso che pure i grillini sono nati così e allora capisco che delle falle gravissime in quel sistema già Erano ben presenti...

Poi i blog sparirono quasi del tutto, forse a ragione in molti casi, per altri fu un vero peccato per quanto mi paressero dei nuovi generi letterari di cui scoprire l'evoluzione.
Fb ha intuito che il segreto del vero appeal nella moderna comunicazione è la semplificaziome comprimendo i pensieri fino a farli diventare slogan, poi stereotipi, poi pregiudizi, poi pensieri poveri proprio perché troppo brevi, idee distorte, opinioni infondate, odio.
Twitter è riuscito ad andare addirittura oltre, imponendo la brevità dei 240 caratteri a insindacabile modulo espressivo. Lo assolvo solo come valido veicolo di link, ma la dice parecchio lunga in termini di atrofismo linguistico e lessicale.

E allora? E allora forse alla fine capisci che fai davvero bene se te ne stai proprio zitto e provi a dire tutto ciò che vorresti semplicemente con una foto, magari giocando anche stavolta con prospettive funzionali solo  a quello che vuoi mostrare, usando punti di vista che valorizzano solo alcuni lati e nascondendo tutt'altro e ricorrendo a qualche filtro distorsivo di una certa realtà molto meno interessante.
Tutto questo per arrivare, forse, a "rappresentare" la propria verità individuale... senza parole...senza che nessuno possa dirne di proprie. In un dibattito silenzioso, solo immaginario. Solo di immagini...
Forse

mercoledì 6 settembre 2017

"Ciao. Non devo chiederti niente"

Mica mi abbasso così alle provocazioni. E infatti ho imparato a non raccoglierle più. Sono geneticamente non predisposta al litigio e ai conflitti. Non li trovo utili, non mi piacciono, non mi interessano, secondo me spezzano i legami in modo irrimediabile. Appena noto una disarmonia, giro i tacchi e me ne vado. A me piace ascoltare la radio, leggere e andare a cinema, non parlo mai molto, non mi piace il pettegolezzo ed esprimo giudizi soltanto se richiesti. Non sono una sociopatica, ma francamente neppure una compagnona che tutti cercherebbero per animare una serata casinista. Eppure tutto questo non è bastato per evitare un del tutto inaspettato messaggio avvelenato da parte di una persona a cui ho soltanto detto che se un uomo non la cerca è perché non la vuole. Ho ascoltato con santa pazienza tutti i suoi accadimenti e soltanto dopo espresso una mia legittima percezione. Mica le ho detto che è una verità scolpita nella pietra, ma solo che secondo me non la vuole e che lei non dovrebbe cercare di capire molto altro. Si è offesa e mi ha detto che a me non interessa starla a sentire. Devo dire la verità, solo quando me lo ha brutalmente rinfacciato mi sono resa conto che era proprio così. Non mi interessava più neppur un tantino così ripeterle cose che non aveva voglia di ascoltare e non vedevo l'ora di non perdere più un solo minuto del mio tempo per una faccenda fin troppo limpida ai miei occhi. Quel messaggio così piccato e sgradevole è stato in realtà la mia salvezza.

Nel pomeriggio è passato a salutarmi in stanza un collega molto dolce che mi ha detto esattamente così: "Ciao Lucia, in realtà non ti devo chiedere niente, è solo che non ti vedevo da troppo tempo" e io mi sono chiesta come sia possibile restituire senstimenti tanto diversi nei confronti degli altri rimanendo al contempo esattamente quello che si è.
Io sono una persona fondamentalmente timida e spesso a disagio nella gestione dei rapporti umani, a qualsiasi livello. Non ne ho mai fatto mistero, non la considero una colpa o una forma di egoismo. È semplicemente un modo di essere come un altro e forse pure la ragione principale per cui mi sento più a mio agio in una sala buia o con le cuffie o ad andare a correre. Nonostante questo atteggiamento in fondo non troppo velatamente sociopatico, mi ritrovo sempre circondata pure da persone sinceramente affezionate che non fanno che preoccuparsi per me, di ciò di cui ho bisogno, che mi cercano molto spesso per chiacchierare di faccende di comune interesse, che mi trovano buffa e simpatica. Trovo spiazzante e stupefacente pure tutto questo ad essere onesta...

La verità è che forse è proprio vero che non si può piacere a tutti a meno di essere una specie di Zelig che prova ad assecondare tutti dimenticandosi di se stesso. Ma credo che sia altrettanto vero che è quasi impossibile non piacere proprio a nessuno. Pure se frequenti poco, o se pensi che te la cavi meglio facendoti il più possibile i fatti tuoi, pure quando una all'improvviso ti riempie di insulti perché le hai detto semplicemente che la verità è che non gli piace abbastanza...

La prossima settimana sarò a cinema praticamente ogni giorno, il mio collega di stanza dovrà assentarsi di nuovo forse per tanto tempo, riprenderà il palinsesto invernale di radio due e io i miei allenamenti. Direi che non prevedo troppe occasioni di dialogo. Può essere, ma stavolta sarò io ad andare da chi mi ha regalato stupore e riconoscenza per dirgli: "Ciao. Non devo chiederti niente. È solo che non ci vediamo da troppo tempo"


venerdì 1 settembre 2017

Dove ero rimasta? Qui, ma "rientro" anche io

Mi ha preso in pieno. Oggi è piovuto seriamente solo per una decina di minuti, gli unici in cui ero in strada e senza possibilità di riparo. Ne sono stata felice, mi è sembrata quasi un'iniziazione. Per fortuna ero vicino a casa e l'i pad stava nello zaino più figo della terra e che non teme intemperie di sorta. Io invece ero completamente fradicia e affamatissima. Ho saltato il pranzo per correre a vedere un film che in realtà mi ha annoiato, ma l'idea che lo animava è buona, il messaggio mi convince e ogni tanto mi è sembrato sufficientemente poetico da giustificare la mia fame e i miei jeans inzuppati.

Via Torino era gremita e mi pareva un posto completamente diverso da quello in cui pochi giorni fa camminavo, praticamente sola, in mezzo ai saldi al 70%. E invece solo oggi ho scoperto che hanno aperto una particceria napoletana piccola ma bellissima  che mi ha fatto venire voglia di tutto, ma non ho osato neppure entrare a curiosare.

I colleghi sono rientrati in massa: venerdì è un rientro furbissimo. Li capisco, avrei fatto anche io così. È tornato anche il mio compagno di stanza. Mi ha portato la pastarella di mandorle dalla Sicilia, sta riposato, come al solito spegne la luce nella stanza perché gli dà fastidio e  ancora non riesce a capire quando andrà in pensione. E poi è passato a trovarmi il mio collega cinefilo, così sicuro che avessi visto Dunkirk da chiedermi direttamente come lo avessi trovato e se valesse la pena vederlo. Mi piace tanto quando le persone mi sopravvalutano.

Come primo settembre direi non così male. In fondo ho trascorso un'estate facile e felice, in una Milano abbastanza diversa da quella di oggi, perché vuota, rovente, silenziosa. E tutta mia, con le sue albe variopinte ammirate correndo fino a star male, quasi fossero roba da meritare, mentre saluto un'età strana e straniante e nella quale non so esattamente che tipo di abitudini cambiare.
Un amico oggi mi ha fatto notare quanto sia brutta una mia foto di qualche giorno fa: sono io dopo una corsa di undici kilometri percorsi all'alba e a stomaco vuoto, per di più durante una cura massiccia per carenza di ferro. È vero sono bruttina assai in quella foto. Ma poi mi è bastato fare una lunga doccia, abbassare il battito cardiaco, fare una colazione abbondante, truccarmi, mettere le cuffie, lasciare agire le endorfine e davvero tutto era cambiato, perlomeno nella percezione che ho avuto del mio sentirmi bellina e a posto. Ma ammetto che se non passo per quella condizione lì, se non includo la bruttezza, la fatica, la solitudine, il silenzio, la carenza di ferro...non provo mai alcun incanto. E qualche volta sono felice di questo. Altre volte per niente.

Milano si sta riappropriando del suo grigio "necessario", io forse riprenderò ad allenarmi con i miei gruppi di running o a seguire i corsi belli dello scorso inverno. O forse a farmi suggerire dell'altro da una città che è sempre stata più intelligente di me. L'estate milanese non mi ha chiesto nulla e mi ha restituito tutto il tempo e lo spazio di cui avessi bisogno. Posso cominciare a restituire tutto, con congruo interesse...magari reciproco


lunedì 28 agosto 2017

(Pre)impressioni di Settembre

Rimane questo il momento più figo della mia giornata: il rientro dal lavoro sul divano col mio programma radiofonico estivo preferito è l'i pad sulle gambe.
Ho accumulato uno spoposito di ore di credito al lavoro....il vero propulsore di produttività in estate è l'aria condizionata, posso confermare io e le mie pratiche lavorate nella quiete più assoluta in un'atmosfera difficilmente replicabile in altri periodi dell'anno. Il rientro dei colleghi sta avvenendo per gradi secondo un flusso piuttosto costante e questo traumatizza meno anche me che sono qui a d accoglierli a braccia mica troppo aperte. Tra tre giorni usciranno tre film che aspetto da tempo. Dovrò flippare testa tra "Dunkirk" e "easy", mentre di certo vedrò "la storia dell'amore". Due voci che stimo come molto autorevoli e che hanno visto il film in anteprima hanno detto che Dunkirk è bellissimo, uno di loro addirittura che è il più bel film visto in vita sua: mi fido pur non amando i film di guerra.

Prevedo in ogni caso una splendida stagione per i cinefili. Il palinsesto estivo di radio due, mia vera compagna di ogni risveglio e fine giornata, è stato magnifico e, pure se ci sono state giornate in cui credo di non aver parlato con nessuno, non ho mai avvertito il senso di solitudine neppure per un istante. Tra un paio di giorni tornerà pure il mio collega di stanza, una persona per bene con cui ho avuto in passsto scontri molto accesi (dopo i quali è sempre stato lui a chiedermi scusa), con il quale ho imparato a non litigare mai più ma pure ad impedirgli di pensare che possa riuscire a convertirmi ad un qualunque tipo di credo. Con lui spero di ritornare nelle scuole a parlare ai bambini di fiscalità come divertente maniera di diventare grandi e forti e ad andare nelle aziende milanesi per capire come funzionano certi meccanismi del mercato. E poi tornerà l'altro collega con cui ho avuto altri tipi di feroci contrasti (...mamma mia messa così sembro sempre una grandissima  infame...) tanto da averne scritto persino su questo blog e registrato il record imbattuto di lettori e un serio incidente diplomatico. Anche con lui oggi i rapporti sono pressoché perfetti e siamo coppia fissa nelle verifiche
esterne.

Che fatica i rapporti umani, pure se in realtà mi dicono sempre bene al punto di perdonarmi tutti i miei scivoloni e regalarmi sempre qualche lezione. Eppure, alla fine, evitare tutte queste dinamiche, per me sempre surreali, in nome di pace, silenzio e un buon programma radiofonico o la sala buia di un cinema, rimane ancora la mia prima scelta. Nata orsacchiotta...affettuosa nelle intenzioni...ma ancora troppo orsacchiotta...

La pausa pranzo invece è stata tra femmine a fare discorsi di femmine, dove il tema tra un'insalata dietetica e l'altra trattava, che novità,  del "raro" fenomeno degli uomini che non sanno corteggiare forse solo per paura, orgoglio, cattivo carattere (io credo semplicemente perché non sono innamorati). E che pare sia un vero peccato, ma tant'è...

L'estate sta finendo. Io sono stata davvero molto bene, ho parlato poco, litigato mai, corso abbastanza, dimagrita non direi ma credo neppure ingrassata, letto bei libri e mangiato molto bene.
Sono pronta al rientro di chiunque. Se così non fosse sarò pronta ad andar via io.