Sola andata

Sola andata

lunedì 28 agosto 2017

(Pre)impressioni di Settembre

Rimane questo il momento più figo della mia giornata: il rientro dal lavoro sul divano col mio programma radiofonico estivo preferito è l'i pad sulle gambe.
Ho accumulato uno spoposito di ore di credito al lavoro....il vero propulsore di produttività in estate è l'aria condizionata, posso confermare io e le mie pratiche lavorate nella quiete più assoluta in un'atmosfera difficilmente replicabile in altri periodi dell'anno. Il rientro dei colleghi sta avvenendo per gradi secondo un flusso piuttosto costante e questo traumatizza meno anche me che sono qui a d accoglierli a braccia mica troppo aperte. Tra tre giorni usciranno tre film che aspetto da tempo. Dovrò flippare testa tra "Dunkirk" e "easy", mentre di certo vedrò "la storia dell'amore". Due voci che stimo come molto autorevoli e che hanno visto il film in anteprima hanno detto che Dunkirk è bellissimo, uno di loro addirittura che è il più bel film visto in vita sua: mi fido pur non amando i film di guerra.

Prevedo in ogni caso una splendida stagione per i cinefili. Il palinsesto estivo di radio due, mia vera compagna di ogni risveglio e fine giornata, è stato magnifico e, pure se ci sono state giornate in cui credo di non aver parlato con nessuno, non ho mai avvertito il senso di solitudine neppure per un istante. Tra un paio di giorni tornerà pure il mio collega di stanza, una persona per bene con cui ho avuto in passsto scontri molto accesi (dopo i quali è sempre stato lui a chiedermi scusa), con il quale ho imparato a non litigare mai più ma pure ad impedirgli di pensare che possa riuscire a convertirmi ad un qualunque tipo di credo. Con lui spero di ritornare nelle scuole a parlare ai bambini di fiscalità come divertente maniera di diventare grandi e forti e ad andare nelle aziende milanesi per capire come funzionano certi meccanismi del mercato. E poi tornerà l'altro collega con cui ho avuto altri tipi di feroci contrasti (...mamma mia messa così sembro sempre una grandissima  infame...) tanto da averne scritto persino su questo blog e registrato il record imbattuto di lettori e un serio incidente diplomatico. Anche con lui oggi i rapporti sono pressoché perfetti e siamo coppia fissa nelle verifiche
esterne.

Che fatica i rapporti umani, pure se in realtà mi dicono sempre bene al punto di perdonarmi tutti i miei scivoloni e regalarmi sempre qualche lezione. Eppure, alla fine, evitare tutte queste dinamiche, per me sempre surreali, in nome di pace, silenzio e un buon programma radiofonico o la sala buia di un cinema, rimane ancora la mia prima scelta. Nata orsacchiotta...affettuosa nelle intenzioni...ma ancora troppo orsacchiotta...

La pausa pranzo invece è stata tra femmine a fare discorsi di femmine, dove il tema tra un'insalata dietetica e l'altra trattava, che novità,  del "raro" fenomeno degli uomini che non sanno corteggiare forse solo per paura, orgoglio, cattivo carattere (io credo semplicemente perché non sono innamorati). E che pare sia un vero peccato, ma tant'è...

L'estate sta finendo. Io sono stata davvero molto bene, ho parlato poco, litigato mai, corso abbastanza, dimagrita non direi ma credo neppure ingrassata, letto bei libri e mangiato molto bene.
Sono pronta al rientro di chiunque. Se così non fosse sarò pronta ad andar via io.



domenica 27 agosto 2017

E il tuo "status" di grazia qual è?

Ogni tanto lambisco l'argomento, spesso in modo divertito perché ormai c'ho un'età e l'atteggiamento piano piano cambia giocoforza. In realtà credo di aver sempre avuto voglia di dirla meglio e tutta, di raccontare una certa condizione, per la verità piuttosto comune e diffusa, passando proprio per la mia personalissima esperienza. Ma poi come fare? Con quali toni? Riuscirei mai a tradurre esattamente quello che penso senza risultare patetica o ridicola? Molto spesso chi mi conosce poco o da poco non resiste alla tentazione di chiedermi come mai non abbia un fidanzato e il mio imbarazzo nella risposta è sempre lo stesso perché non ho ancora trovato la frase ad effetto definitiva che riesca a fugare ogni dubbio che la colpa sia mia. Quello che mi diverte è che tendano immmediatamente a precisare che me lo chiedono perché mi trovano così bella e di buon carattere che pare impossibile che non frequenti nessuno. Bene, li assolvo. Ora sì che la meritano una qualche risposta!

A me l'indipendenza e l'autodeterminazione sono sempre piaciute, ne ho fatto un'ossessione giovanile che ha assorbito ogni mia energia dell'epoca: quando ho smesso di studiare il mio unico pensiero era affrancarmi dalla dipendenza familiare, andare a vivere da sola e l'indipendenza economica. Questo ha significato gironzolare molto e fare una certa fatica a consolidare i rapporti. Nel frattempo però ho trovato comunque la maniera di incrociare persone con cui ho stabilito legami poi rivelatisi sbagliati perché basati su presupposti insufficienti e troppe incompatibilità, perché profondamente deludenti o costruiti sull'inganno o anche solo perché sognati per tanto tempo ma impossibili nella concreta espressione. Gli anni passano pure così, mentre si commettono errori o ad immaginare cose che in realtà non possono succedere.
Credo di essermi innnamorata pochissime volte nella mia vita, ma quando è successo ho convissuto per anni e anni con quel tarlo nel cuore e nella testa che mi ha spesso devastato e consumato e nel frattempo non c'erano incontri, corteggiamenti, lusinghe da parte di altri uomini a cui avessi voglia di cedere perché io volevo solo quello che dominava i miei sensi, sogni, incubi, speranze e desideri. Sono fedelissima pure negli amori platonici. Poi tutte le volte mi è passata. E pure questo mi spaventa. Mi spaventano le cose che finiscono e che per me erano state ragioni di vita, mi immalinconisce l'aleatorietà di sentimenti un tempo forti e che ad un certo punto non riesco più ad alimentare, ho paura delle crisi, dell'incomunicabilità che si insinua nelle lunghe storie cominciate con una grande passione. Non è bello non provare più nulla solo perché ti rendi conto che avevi sbagliato a provare qualcosa prima.

Io non ho bisogno di stare assolutamente con qualcuno per la paura di star sola. A me star sola piace moltissimo, non mi ha mai spaventato e anzi qualche volte ne ho fatto una sfida di crescita e di scoperta. Però ho bisogno (come tutti a questo mondo) di amare. E di farlo per sempre. Altrimenti non ho alcuna necessità, di nessun genere, neppure il più istintuale. Così stanno le cose e non lo so se sia una colpa, un caso, un modo di essere al pari di una qualsiasi altra normale attitudine o semplicemente una mia caratteristica.

Un amico molto simpatico, ma pure piuttosto giovane e troppo diverso da me nel modo di guardare il mondo, mi dice che dovrei allargare la base delle mie conoscenze iscrivendomi a Tinder o Once. Lui dice che trattandosi di algoritmi nei quali inserire delle variabili che mi caratterizzano, sarebbe molto probabile riuscire ad incontrare una persona che faccia al caso mio.
Per quanto in realtà mi appaia un tipo di approccio assolutamente sensato e ragionevole non mi sognerei mai di fare una cosa del genere. Io credo ancora nell'assoluta casualità degli incontri d'amore, nell'intuizione immediata di uno sguardo, nella parole pronunciate al momento e capaci in un istante di tradurre un groviglio intero di sensazioni, nel non sapere nulla l'uno dell'altro e nonostante questo capire da subito che per entrambi nulla sarà più come prima.
Io sono ancora sola. È probabile che sarà così per sempre. È ugualmente probabile che non sarà così per sempre. Non lo so. Non sono io a decidere, ma non sarà neppure un algoritmo a farlo. Di questo sono ragionevolmente certa.

giovedì 24 agosto 2017

Il vizio del privato che vorrebbe trasformarsi in pubblica virtù

È vero, mi sono persa un sacco di mare, lo iodio, le stelle cadenti, passeggiate sulla spiaggia, grigliate, panorami da favola...ha prevalso la mia anima solitaria e un po' opportunista che vede in una Milano comoda e un ufficio semivuoto un'occasione preziosissima di tranquillità, silenzio, gestione autonoma di uno spazio preposto alla condivisione. In tutto questo io ritrovo lo stesso stato di grazia di un koala avvinghiato al proprio albero. Non sono un'asociale, però, come tutte le persone abbastanza timide, trovo nello star sola una mia personale "comfort zone" da cui quasi mai sento che valga la pena uscire se non nelle rare volte in cui il contesto e le persone mi mettono così a mio agio da far emergere la mia parte spiritosa ed efficace nelle conversazioni.

In questi due mesi ho goduto di un ufficio semidesertico popolato da pochi adorabili colleghi che vengono a trovarmi durante la pausa caffè per aggiornarmi o raccontarmi cose divertenti, altri colleghi per i quali non nutro nessun interesse (o l'ho azzerato col tempo e gli eventi), ho lavorato con l'intero repertorio dei Led Zeppelin in sottofondo e pranzato con cose preparate da me e che mi hanno dato molta soddisfazione. Per fortuna il mio splendido isolamento da back Office è stato spesso interrotto dalla necessità di coprire turni di attività di servizio al pubblico, perché per quanto io lo trovi odioso perché mi sottrae dalla mia beata solitudine, rimane paradossalmente la cosa per cui sono maggiormente apprezzata. E giuro che non mi capacito mai di questo. Ci sono persone che trovano normale raccontarmi le loro faccende private, episodi di vita familiare e lavorativa, mi sorridono, mi fanno complimenti perché sono gentile o trovano bello il modo in cui mi trucco gli occhi e alcuni tra i più affezionati mi hanno fatto persino dei regali per il semplice servizio reso. Tutti loro mi fanno spesso pensare a quanto sia grande il bisogno che hanno certi di aver qualcuno con cui confrontarsi e condividere la propria storia, o anche che è bello confidarsi anche per pochi minuti, anche senza che alla base ci sia un rapporto profondo o consolidato dal tempo. Che è bello anche semplicemente incontrarsi per un po', senza progetti o condizionamenti di sorta, persino con una sconosciuta.
E ad un tratto mi rendo conto che nella mia comfort zone nessuno sa che esisto, non sorrido, non parlo, non ricevo complimenti. Sono semplicemente me stessa e questo qualche volta mi piace e lo trovo imprescindibile, altre volte mi annoia, in certi momenti mi pare addirittura essere una cosa abbastanza inutile. Ma poi chi lo sa cosa davvero sia sensato e utile: se sentirsi nei propri panni oppure scoprire lati sconosciuti di sé facendo un po' di fatica e vedere l'effetto che fa.

Agosto è passato così. Tra poche inquietudini, una pace a cui mi sarebbe molto facile abituarmi, piccole confidenze di sconosciuti avventori che mi hanno accordato la loro fiducia, colleghi divertenti  che facevano da contrappunto ai miei silenzi, pranzi preparati con cura inusuale.
 Intanto già mi pare di sentire Settembre che bussa alle porte smanioso di avvisarmi che il trauma da rientro (altrui) non risparmierà neppure me. Quello che forse non sa è che io in fondo sono contenta così. La "comfort zone" sa di muffa se ad un certo punto non si aprono porte e finestre per cambiare l'aria.

È stata una bella estate.







lunedì 21 agosto 2017

Ogni partenza intelligente lo è a modo suo

Non saprei quanto sia astuta come mossa. So però che mi ci trovo sempre bene, mi pare una scelta strategica alla fine ottimale. Ho quasi intatte tutte le mie ferie di quest'anno. Di solito decido di conservare 15 giorni con l'utopistica intenzione di aggiungerli a tutte le ferie dell'anno successivo e provare ad andare lontano per un paio di mesi pieni durante il rigido inverno milanese. In realtà non l'ho mai fatto: ferie molto lunghe richiedono un impegno logistico/organizzativo notevole, un'idea chiara di cosa fare e dove andare per tutto quel tempo, allontanarsi non solo dal lavoro ma pure dagli allenamenti, dai corsi che mi piacciono, dalle mie coordinate fisse grazie alle quali ormai mi oriento con passo sicuro, dalle persone di cui sentirei inevitabilmente la mancanza...
Eppure lo faccio sempre. Forse perché non mi pesa l'estate a Milano e invece trovo che l'inverno sia veramente duro: già mi vedo con le mie solite mani gonfie, che immancabilmente si riempiono di ferite e di cerotti, i cappotti e le sciarpe e gli allenamenti al gelo, uscire di casa che è ancora buio e rientrare con la stessa oscurità. Non ho desiderato l'inverno neppure in quei due giorni di caldo assassino di qualche settimana fa.

Alla fine credo che farò come gli ultimi due anni: prenderò due giorni a settimana di ferie per un paio di mesi e mi starà bene così. Di solito prenoto un massaggio o sperimento nuove ricette, vado a cinema a ora di pranzo, passeggio per la città negli orari in cui è più frenetica e provo a cogliere ritmi che in fondo non sono mai come quelli miei. Eppure non è passato molto tempo da quando tentavo in tutti i modi di reinterpretare il mio lavoro provando a trovare in esso qualche motivo di crescita, non di livello e neppure economica,  ma di tipologia di attività da svolgere e in cui provare a sentirmi nei miei panni. Per quattro anni di seguito ho partecipato a bandi per andare all'estero per un anno per collaborare a progetti di ricerca volti all'armonizzazione delle procedure fiscali in ambito europeo. Ho coinvolto professori che non vedevo da anni perché mi scrivessero delle buone referenze in inglese, scritto lettere motivazionali, scelto città sfigatissime dell'entroterra tedesco pur di accrescere la probabilità di riuscire ad occupare uno dei posti disponibili. Nulla da fare, nessuno si è mai preso la briga di prendere in considerazione nessuna delle mie candidature. È da allora che credo di aver compreso davvero certe dinamiche del lavoro pubblico. Non è colpa di nessuno. È un sistema fatto così, appiattito, farraginoso, miope...amen

Forse le ferie mi servono a ritardare la stagionalità, a provare a "promuovermi" altrove e a ricordarmi che non dovrei sentirmi una privilegiata soltanto perché riesco ad arrivare a fine mese, perché lo spettro delle umiliazioni è talmente vasto e prodigo di offerte che davvero nessuno può dirsene davvero escluso.
Intanto agosto è ormai quasi finito, io ho scoperto che mischiare in pari quantità yogurt greco magro bianco e yogurt intero alla vaniglia forma una specie di dessert leggero ma sublime che mi evita i gelati che mi sto proibendo, l'ufficio è stato un posto gradevole in cui stare con l'aria condizionata regolata secondo il mio piacere e in questo momento ho una gran paura di Novembre. Sì a Novembre un viaggio lungo abbastanza nel tempo e nella distanza mi pare quasi una necessità ora che ci penso. E così stasera, che non fa troppo caldo, in cui nessuna malinconia da fine estate si insinua nel bagaglio di ricordi di una stagione che sta passando, penso che andare via quando la nostra stagione interiore lo richiede non è più una scelta ma un atto dovuto. Pure quando ormai arrivi a credere che nel posto in cui ti trovi ci sia proprio tutto quello di cui senti di aver bisogno. In realtà non è mai davvero così.

venerdì 18 agosto 2017

contare sulle proprie gambe. E muoverle con metodo

Ora o mai più. Qualche mese fa una persona che mi vuole bene mi ha regalato una bici che gli avanzava e poi, un'altra persona che mi vuole altrettanto bene, il mio vicino, me l'ha sistemata. A me ne hanno già rubate tre e ad un certo punto mi sono arresa alle ruote che alla fine girano sempre senza di me...e invece ad un certo punto ripassano.
In questi mesi l'ho presa soltanto una volta, per andare al lavoro, ma la strada è per lunghi tratti molto pericolosa e tanto trafficata, con automobilisti molto cattivi o perlomeno che diventano tali all'ora in cui passo io. faceva ancora un po' freddo, io ero molto a disagio e l'ho tenuta parcheggiata in attesa di occasioni meno traumatiche.
L'ho ripresa ieri. Ho voluto riprovare ad andare al lavoro con le strade vuote grazie alla settimana più vacanziera dell'anno. Sono uscita alle sei e quaranta, per l'occasione ho riesumato il mio mitico zaino "the north face", compagno fedele di viaggi, escursioni e "vita di strada" milanese, c'ho ficcato dentro il pranzo venuto dal sud e mi sono lanciata nel deserto milanese. È stato fantastico disegnare onde su una strada tutta mia, non tenere conto del rosso, arrivare in un ufficio ancora completamente vuoto, non dire buongiorno di circostanza, assistere alla luce che piano piano crea ombre nella stanza che per ora ospita solo me. Potrei abituarmi subito a tutto questo. Di solito quel tratto di strada percorso lo copro a piedi in quarantadue minuti, durante i quali succedono due o tre cose fisse: una ragazza con i ricci che fa un percorso di camminata sportiva con una tenuta sempre uguale e le cuffie, un signore molto anziano che fa più o meno la stessa cosa, il camion dell'AMSA che mi strombazza per darmi il buon giorno, la porta a specchio dell'Alcantara Spa dove puntualmente mi dò un'occhiata a figura intera, i miei programmi di radio due sparati in cuffia e ascoltati mentre sorrido e faccio espressioni strane, che se qualcuno mi vedesse penserebbe che sono una fuori di testa, e poi viale Lombroso, il sottopasso e finalmente gli anziani che aspettano già da un'ora fuori dall'agenzia per sottoporre subitissimo i loro quesiti sempre uguali.

La bicicletta accorcia un po' tutta questa distanza, by passa ogni rassicurante rituale mattutino in nome di una disponibilità di tempo a cui non ero preparata. Per questo oggi ho ripetuto l'esperienza con qualche piccola variante. Ho deciso di svegliarmi mezz'ora dopo, ho messo il solito dvd americano di functional training provando a spingere un po' di più con i pesi, non sono andata correre e ho cercato di non toccare cose dolci, cosa che trovo inconcepibile a colazione, ho bevuto il tè invece del solito triplo caffè e fatto una doccia con un prodotto nuovo che ha un profumo esotico. La prima cosa che ho notato è che avere tanto tempo per fare altre cose, con dei ritmi meno contingentati, mi ha dato molta calma. È stato in quel momento, mentre mi passavo l'asciugamano sui capelli per tamponarli, che ho pensato che a volte certa mia disciplina da gendarme austriaco non mi porta davvero da nessuna parte e che forse il vero cambiamento, o anche semplicemente un piccolo buon risultato, provengano da un metodo ben ponderato o una tecnica efficace, piuttosto che da un sacrificio che si ostina a trovare le sue ragioni soltanto in se stesso e nella sua pedante ripetitività.

Milano era vuota come ieri, ho usato la bici anche oggi, la strada era ancora tutta per me, ho dormito un po' di più, ho ancora pranzi del sud da scongelare, non ho toccato dolci e non ho bevuto caffè. Sono arrivata al lavoro di nuovo ancora troppo presto. Non mi è dispiaciuto affatto e la mattina mi è parsa davvero un pezzo di giornata con un sapore tutto nuovo. Ma Milano tornerà ad essere trafficata e pericolosa per essere attraversata con una due ruote. Io tornerò quasi certamente al mio caffè e a lasciarmi tentare dai dolci. Forse proverò a testare metodi nuovi e piccole fughe dalla routine troppo disciplinata. Prometto che sarà il mio impegno settembrino. Chissà. Intanto quello che davvero vorrei sapere è se i miei sconosciuti compagni di cammino dell'alba e il camion del AMSA  che mi fa il coro del buongiorno, si sono accorti della mia assenza oppure no.





lunedì 14 agosto 2017

Di profumi. Di "dissolvenze" parigine (col fine lieto della realtà)

Non lo so perché a me non escono così. Io per sentire il profumo di pulito e di fresco sulle lenzuola devo venire qui a casa. Ho una lavatrice molto più supersonica di quella di mia madre, uso lo stesso detersivo e le mie lenzuola non profumano mai di niente, anzi, quando è inverno sanno persino di "cagnozzo", forse per la troppa umidità. È veramente un fatto strano. Quando dormo qui, nel letto fatto proprio bene, con le lenzuola tirate come mi è impossibile fare a Milano, affondo la faccia nel cuscino e resto più che posso a respirare quel profumo buono e poi penso che anche gli asciugamani hanno lo stesso odore e così mi alzo, vado a sciacquarmi il viso e poi lo copro con l'asciugamano e aspiro tutto mentre i residui di acqua moltiplicano quella sensazione di freschezza. A Milano non ho modo di ripetere azioni così elementari e mi pare un fatto assurdo, oltre che ingiusto.

Ieri ho compiuto 41 anni ed è stata una bella giornata, ricca persino di tantissimi auguri che mai avrei potuto ricevere senza un facilitatore "sociale" come fb, che mai mi stancherò di benedire per questo e le mille occasioni d'uso potenzialmente sensato che permette. Non saprei chi sia mancato, non ho notato le assenze e intendo seguire questa strategia per sempre e in qualsiasi circostanza.

Quando vengo giù porto sempre con me una pila di film già visti e una di libri letti. Io a Milano non ho più spazio e certe cose proprio non posso darle via. Stavolta mi sono accorta che ho portato con me un vecchio film che in realtà non avevo ancora visto. Si chiama "Insieme a Parigi" con due "belli" come la Hepburn e William Holden. Chissà perché alla fine mi era sfuggito. Forse perché ho sempre sostenuto che Parigi sia la città meno romantica che possa immaginare e che quando una coppia decide di fare una fuga d'amore a Parigi io già so che tra quei due non funzionerà mai davvero. È un assioma. Provato mille volte. E invece il film alla fine era bello, non perché romantico ma in quanto deliziosa lezione di cinema e degli infiniti sogni che può incarnare e di cui farsi portavoce grazie ai suoi magici artifici.
 Tanto per dire, io vorrei una "dissolvenza" pure nella vita: pensa che bello passare con tanta naturalezza da un tempo all'altro, da un luogo all'altro, da uno stato reale ad uno immaginario...così...con la semplice dissolvenza ti trovi catapultato nel tempo e nel posto in cui ti serve stare, per vivere cose impossibili, recuperare occasioni, ritardare un destino...
Penso da subito a come I miei 41 di ieri sarebbero diventati presto i 30 a cui vorrei, ogni tanto (mica sempre), tornare, alla mia "cuccia" alla periferia di Milano che farei atterrare pari pari su un qualsiasi ultimo piano di Brera, ai miei fianchi e al mio sedere che ho ben chiaro come vorrei che fossero, e poi alle frasi non dette, ai baci non dati, ai rischi mai corsi...Per tutto questo una semplice dissolvenza. Ed ecco una, mille, infinite occasioni da poter cogliere di nuovo come se fosse la cosa più naturale e possibile del mondo. Che diabolica trovata che è il cinema.

Domani tornerò a Milano e dormirò di nuovo in un letto pulito ma che non profuma di buono, in una casa che amo ma che perde ogni confronto con quella in cui sono ora, indosserò dei jeans che mi stanno un po' più stretti dell'anno scorso e penserò a tutte le cose non dette rimaste nel silenzio soffocante di paure e disagi. Poi però penserò che esistono i treni, e i luoghi dove ritrovare profumi che risconosco, esistono gli incontri nuovi e corpi che cambiano. Esiste il cinema, e meno male. E poi penserò pure che non esiste soltanto Parigi. E che ogni tanto, in dissolvenza, c'è persino la realtà, che il suo lieto fine, qualche volta, se lo scrive anche da sola.




mercoledì 9 agosto 2017

Darsi il tempo di meritarsi gli anni

Estate milanese strana quella di quest'anno per me. Non mi riferisco solo al caldo indimenticabile dello scorso week end, durante il quale ho davvero pensato di non farcela, o al numero imprecisato di quelli del piano di sopra che credo non abbiano smesso di saltare per tre giorni interi, e neppure al fatto che la città non si è svuotata come gli altri anni. Si, tutto questo vale, ma credo che le ragioni siano altre e che si trovino precisamente in un certo clima generale di pesantezza irrisolta ereditata da un anno francamente difficile da definire nelle sue mille derive neo reazionarie.

Un anno fa mi affacciavo con timore agli imminenti quarant'anni, c'erano le olimpiadi e mi divertivo da matti a seguire persino certi sport stranissimi, scrivevo un post su questo blog di cui non avevo memoria ma che ancora condivido. Un anno fa correvo meno di oggi, non avevo ancora i capelli abbastanza lunghi, non riuscivo a corrispondere l'affetto di una persona e a smettere di provarne per un'altra. Ero, in linea di massima, molto più infelice di adesso. Oggi è tutto chiuso e risolto in modo netto, i capelli sono cresciuti e corro di più affaticandomi (un po') di meno. Io credo con convinzione nei processi naturali di elaborazione e pure nell'umile tentativo di comprensione e poi che invecchiare senza indebolirsi o imbruttirsi o incattivirsi sia una cosa possibile, a certe condizioni.
Sono anni che fingo di non dare tropo peso al mio compleanno, accampando sempre scuse per non tornare giù dai miei a spegnere le candeline su una torta preparata da mia madre. Lo scorso anno lo festeggiai in ufficio con dei colleghi che in parte non vedo neanche più. E invece stavolta ho proprio voglia di rendere omaggio al mio tempo che passa con persone che mi riguardano, a sentirmi un po' di più parte di un mondo che mi piace sempre di meno ma di cui non è troppo utile lamentarsi, ai quaranta che stanno passando senza ferirmi, come invece fecero certi trenta.

Chi lo sa cosa davvero aiuti a stare in pace. Me lo chiedo mentre penso al video della O' Connor in cui piange e dice che è sola perché il suo grave disturbo bipolare l'ha isolata da tutto. Non mi è
sufficiente pensare che questo sia un rischio che corrono le anime particolarmente sensibili e neppure che si tratti semplicemente di cause organiche curabili con i farmaci. Io credo che lo stare male sia dovuto soprattutto ad un punto di vista ostinato, ad una specie di respiro perennemente fuori sincrono. No non è vero. Si tratta di patologie gravi e complicatissime da gestire e in realtà sono rimasta molto scossa da quel video. Le auguro tutto il sostegno di cui ha bisogno, lei e i tantissimi che soffrono dei tanti mali oscuri immersi nel loro baratro di dolore e solitudine non scelta.

 Però è vero che spesso si sta male per ragioni piccolissime o addirittura inesistenti. E puo essere molto divertente scoprire che qualche volta è proprio così. Se sai aspettare, respirare correttamente o correre un po'. E vivere nel tuo tempo con la certezza che si trasformerà necessariamente in tutt'altro. È tempo di auguri.

martedì 8 agosto 2017

Racconti in bottiglia

Io non bevo. O meglio, bevo così poco e così a casaccio che ritengo legittimo dichiararmi astemia, data la totale incoscienza con cui mi approccio a qualunque tipo di alcolico. Eppure, siccome certe volte trovo molto stimolante abbandonarmi ad una una sorta di incoerenza "argomentata" che mi avvicini a mondi totalmente nuovi, mi convinco che sia salutare fare uno sforzo di attenzione verso ciò a cui non sono naturalmente orientata ma che, una volta scoperto, è motivo di fascino e di curiosità.
Devo dire la verità, se non avessi conosciuto e apprezzato Massimo nella sua veste di strepitoso curatore e docente dei corsi di cinema che ho frequentato lo scorso inverno, non avrei mai avuto modo di ritrovarmi tra le mani un libro frutto della sua attività parallela legata al mondo del vino e portata avanti con una passione tale che non poteva sfuggire neppure a una profana come me.

Ho letto "Effervescenze" su queste premesse, in fondo deboli per chi di vino è un intenditore vero (persino io so quanto si possa essere intransigenti al riguardo), ma ho voluto cimentarmi lo stesso in questa esperienza: prima che il libro uscisse chiesi a Massimo (sulla metro) se potesse leggerlo pure una che non beve e lui mi disse "assolutamente si". E io gli ho creduto.

Sono partita dando una scorsa al glossario, come una scolaretta delle elementari che ha bisogno del vocabolario per scrivere un pensierino anche semplice. Ho memorizzato il significato di alcune delle più frequenti parole chiave, come carbonica, sboccatura, sur lie, abboccato, terroir...e poi ho cominciato a leggere e ad immaginare una macchina in viaggio per le tre prescelte regioni del nord Italia, panorami incantevoli, un taccuino, un piccolo registratore, delle atmosfere rarefatte immerse in poetici scenari naturali e delle amabili conversazioni davanti ad una (o tante) bottiglie di vino. Ho provato a visualizzare scene di amene o vivaci conversazioni tra produttori di vini, racconti di conflitti generazionali, di tentativi ostinati alla ricerca della fermentazione perfetta. Ho pensato agli odori, al fascino degli strumenti del mestiere, ad una maniera di fare impresa che ha moltissime altre priorità oltre a quella del profitto (pure assolutamente necessaria per un'attività così in balia dei più disparati "shock esogeni").
Tutte le storie raccontate hanno almeno un dettaglio caratterizzante, in ciascuna trovi la ricerca di una propria "verità" produttiva. Quelle che mi hanno appassionato di più sono legate ai produttori della mia generazione, a quelli che hanno apportato aria nuova, spesso anche profondamente nuova, riuscendo a comporre il conflitto con i padri recuperandone il rispetto e gli insegnamenti.
E poi ho amato i cambi repentini di alcuni percorsi individuali, come se il richiamo della terra finisse per avere la meglio anche sul bisogno di allontanarsi dalle proprie radici per riuscire a cspire come diventar se stessi. E così ex campioni sportivi o ex imprenditori o lavoratori in tutt'altro ambito, si sono ritrovati a riprendere le redini dell'azienda di famiglia o a far nascere una realtà tutta nuova per conservare, interpretare o riportare un vino al prestigio che gli è dovuto.

Sì, io ho questo limite, bevo poco e ho una cultura del vino che si limita a quest'unico "amabile" libro. Però so riconoscere le storie belle, soprattutto quando sono raccontate bene. E credo che in fondo sia questo il vero scopo di un bravo scrittore.






martedì 1 agosto 2017

Vicinitas est mater discordiarum. La moderna saggezza si oppone

Ero rientrata un po' irritata, altrimenti avrei dato molto più peso a quella grossa novità. Domenica pomeriggio sono andata in un piccolo cinema che si trova all'altro lato della città. Il Beltrade è uno di quei cinemini d'altri tempi, con un odore persistente e romantico di polvere e un'atmosfera credo frutto di una gestione volenterosa ma molto spartana. Di solito ha in programma film molto belli o poco distribuiti e mi piace il fatto di non trovarci molte persone. Ho recuperato "Sole, cuore e amore" che mi ha abbastanza addolorato. Quel pomeriggio, mentre in sala andavano due grossi ventilatori per attenuare il disagio di un caldo non comune, è successa una cosa piccola che però mi ha ferito. Ad un certo punto, dopo dieci minuti dall'inizio del film, sono entrate due signore molto molto anziane. Nonostante quella "intrusione tardiva" fosse per me motivo di disagio, perché mi distraggo e mi immedesimo nell'esperienza poco sensata di entrare in una sala a film già iniziato, ho tollerato la cosa da persona ragionevole e composta. Poi però le suddette signore si sono sedute, in ultima fila come me ma un paio di posti più lontano, e una di loro ha cominciato a smanettare col suo smartphone "supernova" per almeno cinque minuti. Ho atteso paziente che lo spegnesse perché mi abbagliava...ma non lo ha fatto. Ad un certo punto le ho chiesto di metterlo via perché mi dava fastidio e lei lo ha fatto con malcelato disappunto per la mia "impertinenza". Mi è dispiaciuto molto ma ho davvero aspettato del tempo prima di parlare, confidando nella sua buona fede. So di non aver avuto torto. Poi però è successa un'altra cosa. Dopo circa un'ora, mi è arrivata la notifica di un messaggio. Sì, avevo scordato di silenziare il cellulare. Mi succede spessissimo perché in realtà, incredibile a pensarsi, non uso quasi mai il telefono e men che meno ritengo probabile una telefonata di domenica pomeriggio. Fatto sta che per quel suono di un nano secondo la signora molto anziana mi ha subito detto di spegnere il telefono. Mentre pensavo che avesse ragione mi sono anche detta che certa gente è proprio brava ad invecchiare inutilmente...

E così, tornata a casa un poco abbacchiatella e con un film molto triste sulle spalle, non ho prestato abbastanza attenzione a quella finestra che non avevo mai visto aperta. La casa che fa angolo con la mia, quella che è andata all'asta così tante volte da arrivare a costare esattamente quattro volte meno della mia, che è identica, quella su cui ho fantasticato per anni immaginando ogni tipologia di vicino di casa, quella che tutti mi hanno detto di prendere perché mi sarebbe bastato abbattere una parete per avere una casa grande e comoda. Ma io non ho mai pensato di prenderla, ci sono entrata tante volte per proporla ad amici o potenziali buoni vicini, ho immaginato persone da salutare e con cui conversare affacciati dalle reciproche case, con cui condividere il filo dei panni da stendere, condividere piatti da testare, lanciare aeroplanini di carta...E invece c'era un signore, che mi ha salutato con un bel sorriso aperto. Ora ho davvero un nuovo vicino di casa. Quella finestra era aperta per la prima volta. C'era una persona gentile in una casa tutta da ristrutturare. E io non ero pronta.
Avevo appena fatto questione con una anziana vicina di posto in un lontano cinemino di quartiere. E ora non mi sentivo pronta per altre persone accanto.
Ma oggi è martedì e domani andrò di nuovo in quel cinema per un cartone animato. Di certo mi ricorderò di spegnere il telefono e sarò molto gentile nel pretendere che lo facciano anche gli altri. Poi tornerò a casa, mi affaccerò alla finestra. E mi abituerò a sentirmi "vicina"