Sola andata

Sola andata

martedì 28 novembre 2017

Alla ricerca di non tutto il tempo perduto

- Secondo me dovresti evitare
- Di fare cosa?
- Di scrivere così tanto di quello che ti capita, che senti, che immagini...non solo perché un giorno potresti pentirtene. È che potresti correre il rischio di esporti al giudizio arbitrario di chi non ti conosce davvero o peggio ancora ad essere fraintesa...chi te lo fa fare?
- Hai ragione. Ma forse è proprio questo quello che mi interessa di un diario non segreto. E poi c'è anche un'altra ragione che oggi più che mai mi conferma l'utilità della parola scritta e del suo valore "terapeutico". Esattamente un anno fa, più o meno a quest'ora, raccontavo, senza in realtà specificarne le ragioni, di giorni di sofferenza abbastanza ingestibile. Ricordo perfettamente quella sera e mi domandavo se e come mi sarebbe mai passata, provavo a visualizzarmi dopo un anno e mi vedevo ancora così, a piangere al buio come una stupida e senza riuscire a fare nient'altro. Quella condizione durò in realtà appena tre giorni, poi, come una resurrezione laica, mi asciugai le lacrime, feci una magnifica colazione, mi truccai bene e mi passò tutto. Giurai a me stessa che non avrei mai più permesso a niente e a nessuno di ridurmi così per il resto della vita. Ecco, se non avessi avuto quel post a farmi da elemento "pivot" per questa epifania del "libero fluire degli eventi" sono sicurissima che oggi non sarei capace di ridere così tanto di quei tre giorni così sciocchi e così teneri, che stanno lì a ricordarmi che la mia tranquillità è stata un tempo preda di esplosioni emotive devastanti di cui non sento affatto la mancanza.
- Sì, mi ricordo, però riconosco che quella cosa lì ti è servita...a scappare prima dalle insidie, a riconoscerle se non altro...a fare spallucce invece di tutte queste scene madre tra pianti e nottate e digiuni (se ci penso ti prendo a schiaffi)
- Ah certo...In compenso quello che scrivevo esattamente due anni fa sulle atmosfere create  da alberi e presepi, proprio all'indomani della morte del figlio di Eduardo De Filippo,  mi ha fatto tanta tenerezza e poi chiunque potrebbe sentirsi chiamato in causa. Il bello di un blog è questo secondo me: registra e conserva gli umori e gli stati d'animo di un momento o di una fase più o meno ampia della vita e nel frattempo si trasforma in qualcos'altro, tenta di dirmi cose che potrebbero essermi utili o di conforto oggi, mi fa ricordare di come ero e cosa voglio continuare ad essere o se decidere di cambiare totalmente rotta...
Vedi, io ho quarantun'anni e credo di essere abbastanza meno bella dei miei trenta ma infinitamente più gnocca dei miei vent'anni. Perché la nostalgia di ciò che si è stati non è mera questione anagrafica e neppure di saggezza o consapevolezza acquisite. Io credo che sia tutto legato al peso specifico che riusciamo ad attribuire alle cose che ci sono capitate e come siamo riusciti ad elaborarle. E questo peso io, per ora, lo ricavo solo da quello che ho lasciato scritto esattamente nel momento in cui lo vivevo.
- Ma perché dirlo a tutti? Per vanità? Per avere delle conferme? Per farti voler bene? Per farti odiare? Per illuderti di interessare a qualcuno?
- Forse per tutte queste ragioni. Più una. L'identificazione, che è la sola cosa al mondo che giustifichi la rinuncia a starsene tutto il tempo per conto proprio. Riconoscersi è per me una forma di consolazione unica.
- Beh, non lo so se mi hai convinta del tutto...
 Intanto riconosco che sei un'altra persona rispetto all'anno scorso a quest'ora e credimi, senza offesa, ma questa è davvero un'ottima cosa. E comunque se con questo metodo riesci davvero a tornare ai tuoi amati trent'anni fammi sapere, che 'sta cosa mi interessa...

martedì 21 novembre 2017

Cardio "frequenze"

Questa non mi era ancora mai capitata. In quasi nove anni che faccio questo lavoro ho ricevuto molti pensieri gentili, dolci, bottiglie di spumante, complimenti  immeritati ma lusinghieri...ma una lettera di encomio mi mancava. Mi ha colpito molto, soprattutto se penso che, come ho detto tante volte, svolgo con fatica l'attività col pubblico: sono timida (non lo si direbbe al primo impatto ma in realtà è questo quello che sono) e mi piace stare in silenzio e, se possibile, ascoltare persone che mi piacciono. Di fatto devo riconoscere che le cose più sorprendenti mi succedono sempre quando mi ritrovo ad interagire. Che bello, un piccolo pilastro per la mia rannicchiata autostima. Intanto grazie a chi ha ritenuto che meritassi una dedica così dolce.

In questi giorni ho ripreso alcune vecchie abitudini che in realtà già sapevo che non sarei riuscita a perdere, come svegliarmi alle cinque e ritrovare la Rebecca dei miei dvd americani di cardio blast. Nel suo entusiasmo posticcio ma convincente, in così netto contrasto con i pesi che mi costringe a sollevare e quegli esercizi spaccacuore c'è ai miei occhi la perfetta metafora di una vita ben vissuta. Esagero, lo so, ma mi piace così tanto...
E poi, soprattutto, c'è lei, la voce del programma delle cinque alla radio. Nell'ultimo mese mi sono alzata alle sei e me la sono persa e l'ora di riposo in più non è riuscita a compensare il mio rammarico. È una giornalista che seguo da tanti anni, che ho conosciuto di persona e con la quale ho persino trascorso il ferragosto al parco Sempione nel 2015. Mi piacciono i pezzi che scrive per il risveglio, mi piace la sua erre arrotata e quella maniera così intensa, poetica e originale con cui vive le cose che le accadono. Con gli anni ho pure imparato a notare il suo modo tormentato e assoluto di vivere l'amore. Lei è molto bella, di raffinata intelligenza e, per quanto mi è parso di capire, abbastanza sfortunata in amore e io davvero non riesco a comprenderne le ragioni. L'ho sentita gioire per amori appena nati e che viveva con il candore di una bambina che scopre una cosa nuova e poi
soffrire per l'inesorabile rottura quasi fino a soffocare. La radio certe magie le concede a chi ha voglia di "sintonizzarsi" con la voce interiore di chi si sta ascoltando. Io la comprendo, ma ormai ho imparato a  non darmi tempo per capire meglio e cosi, per me, ciò che parte male non potrà che finire peggio e che tanto nei rapporti è necessario che tutto sia molto chiaro fin dall'inizio. I tentativi, le ipotesi, la comprensione sono parametri che ormai escludo del tutto. Ma lei mi piace perché ha il cuore che ce la fa a ripartire ancora e ancora di nuovo, come se si resettasse ogni volta per concedere tutto lo spazio ad un altro incontro, a nuove promesse, che poi le cambiano il timbro di voce, il ritmo dei sorrisi, le parole da usare. E io trovo che sia sempre magico, direi incantevole, assistere al cambiamento di una donna innamorata.

Lo ripeto, è raro che mi venga davvero voglia di chiacchierare molto, quando sto zitta e ascolto chi mi piace io desidero solo provare ad immaginare le sue emozioni, soprattutto quelle che il mio cuore forse  non sarebbe in grado di reggere ma che è capace lo stesso di percepire. Credo che l'empatia sia un'ottima strategia per non assumersi la responsabilità di sentimenti propri. Non so cosa mi davvero mi stia perdendo e in fondo per ora ho paura o non mi interessa saperlo. So soltanto che non ho più nessuna voglia di soffrire per chicchessia, che i passi indietro sono spesso il solo modo che ho avuto di non precipitare e che in fondo le vite degli altri sono anche parte della mia individuale esperienza, al pari di un romanzo o un buon film, soprattutto se decido di alzarmi alle cinque per ascoltarne le storie.

Per tutto il resto c'è la Rebecca, che mi costringe al sorriso pure con i pesi da dieci. E che per ora è la sola che riesce a farmi battere il cuore così forte che certe volte mi pare che sia pronto persino lui a sintonizzarsi su certe "frequenze"

venerdì 17 novembre 2017

Scorci da ultimo scorcio d'anno

Però alla fine mi piace assai proprio così. Io li capisco certi colleghi che pensano che me ne stia sulle mie, sempre chiusa in stanza e mai a condividere un caffè in sala pausa, mai appassionata a questioni sindacali o ai pettegolezzi e agli intrighi di palazzo. I nuovi arrivati, tranne uno bello come il sole che non passerebbe inosservato neppure nella folla dell'ultimo concerto di Vasco, proprio non li conosco. In questi mesi nei quali la mia stanza era eccezionalmente tutta per me ho trovato la mia dimensione ideale in una porta chiusa, i podcast di radio24, le mie pratiche quasi in linea con gli obiettivi e le ore che trascorrono in questo splendido isolamento senza troppi imprevisti. Non posso farci niente, a me piace essere così: la collega meno interessante della terra. Lo accetto, sono io a volerlo. Di contro succede pure che, di tanto in tanto, faccia incursione un po' di gente parecchio simpatica e che mi conosce abbastanza da sapere cosa dirmi per strapparmi un sorriso o accendere il mio entusiasmo. Ho il collega che tiene a farmi sapere i film che è andato a vedere e cosa ne pensa, quello che mi racconta delle sue frustrazioni lavorative, quello che mi confida cose anche molto delicate della sua vita privata e che in un caldissimo pomeriggio d'estate è arrivato con una gigantesca porzione di gelato allo strano gusto di cheescake al limone. Squisito. Io credo che sia sufficiente così: se non hai la forza di andare incontro agli altri, tieniti stretti quelli che sanno dove cercarti e vengono a trovarti.

Veronica Lario ha perso l'assegno di mantenimento. Le serviva quasi un milione e mezzo al mese per vivere. Credo che sia la prima volta in vita mia che mi trovi dalla parte di Berlusconi. Intanto oggi ho soltanto sentito parlare della necessità di accordi prematrimoniali che stabiliscano chiaramente confini ed obblighi reciproci. E a me tutto questo fa sempre tanta malinconia...non avrò mai la storia che sogno davvero...non fino a quando il fattore economico sarà così dominante in ogni tipo di rapporto.

Intanto novembre trascorre inesorabile, con giocatori senza talento che ci hanno portato fuori dai mondiali, la morte di Riina assieme a tutto quanto non sapremo mai delle stragi degli ultimi trent'anni, scandali di sesso approdati anche qui da noi e i prodromi di una campagna elettorale che pare non promettermi nulla di buono. Sono abbastanza curiosa del 2018.

Del novembre passato ho un ricordo mesto e soffrivo molto per una faccenda che grazie al cielo non mi tocca proprio più, la casa accanto alla mia era ancora un a zona franca su cui fantasticavo e poi facevo tante gare di corsa a cui ora non ho più voglia di partecipare. Mi manca il mio micio e pure qualcuno che sia in grado di non deludermi mai. Ma in realtà, a pensarci bene, credo che siano sufficienti anche un po' di belle facce che bussino alla mia porta per una bella chiacchierata. Di questi tempi direi che sia più che abbastanza



mercoledì 15 novembre 2017

Per una "quadratura" del cerchio alla testa (il mio "posto" è là)

Oggi ho trascorso tutto il giorno tra una sala e l'altra del cinema Anteo: un brutto palazzo grigio in cui non mi raccapezzo mai ma con così tanta offerta da risultarmi comodo e rassicurante. Sono stata in ufficio soltanto un'ora perché avevo troppo mal di testa per riuscire a concludere qualcosa di utile. Ho chiesto un permesso, comprato un'aspirina e due biglietti e sono affondata in comode poltrone a vedere due film, in fondo parecchio simili tra di loro quanto a tematica, che mi sono abbastanza piaciuti. "The square" è un film che tenta di esplorare il ruolo rappresentativo, da parte dell'espressione artistica, di un'etica ideale realisticamente traducibile in un mondo inevitabilmente più complesso e variegato di qualsiasi modello teorico. Per essere un film "nordeuropeo" è persino fin troppo godibile e non del tutto apocalittico, come mi aspetterei da quella scuola. Mi è piaciuto per questo e pure per l'indulgente comprensione per la debolezza umana senza una semplicistica conclusione assolutoria. Le due ore e mezza, con un mal di testa che tentavo di dimenticare, sono passate con relativa fluidità.

Avevo portato con me la schiscetta da lavoro e sono andata a consumarla in piazza Gae Aulenti, scintillante area della Milano del futuro nella quale io mi sento sempre fuori luogo, ma poi è anche molto divertente stare lì seduta a guardare gente molto elegante e spesso parecchio di fretta.
Poi sono rientrata all'Anteo e ho atteso "the place" di Genovese. In qualche modo sono rimasta in tema, visto che anche in questo caso il tentativo è quello di raccontare i possibili dilemmi etici legati al libero arbitrio. Originale la struttura del racconto, bravi gli attori, buoni gli spunti. Intanto il mio mal di testa cominciava ad attenuarsi e a far posto ad uno stato abbastanza rilassato. Mi sono ricordata che avevo con me anche del cioccolato fondente con scorzette di limone e zenzero e con quello ho accompagnato il finale di questo secondo film, come il primo consolatorio ma senza esagerare.

Io, molto banalmente, credo che la bontà sia solo in parte innata e in massima parte costituisca un esercizio di volontà, evoluzione culturale e grado di appartenenza ad un modello sociale ad impronta solidaristica. Quest'ultimo aspetto è quello che io trovo davvero cruciale sia per la qualità individuale che per le caratteristiche stesse  di una nazione. Sul libero arbitrio temo invece che ciascuno di noi abbia in fondo un range piuttosto limitato di scelte e che, per quanto queste possano incidere in modo sostanziale nel percorso e nel destino di ciascuno, a determinate leggi occulte non si sfugga.

Ora sono a casa, sono tranquilla e non ho più il mal di testa e penso che le giornate così, quelle un po' cattive ma senza esagerare, che migliorano solo con qualche buona idea o meglio ancora delle buone storie per fare il punto, quelle col mal di testa che poi passa, siano una piccola necessità. Molto più che una scelta.

domenica 12 novembre 2017

Non lascio i miei dubbi ai soliti sospetti

Settimana complicata quella appena trascorsa. Succede. Succede che hai da lavorare di più, aggiungere impegni fuori dall'ordinaria tabella di marcia, sacrificare cose che ti piacciono...succede e in fondo, se bene interpretate, sono prove utili per testare la propria capacità di resistenza/resilienza agli imprevisti o ai carichi eccessivi. E poi c'è questa cronaca strana che mi procura un turbamento che davvero non mi spiego. Tutta la mia più totale solidarietà a Kevin Spacey per il tunnel grottesco in cui lo hanno ficcato. Non posso pensarci davvero...

Intanto che mi affaticavo sono successe però anche cose abbastanza piacevoli come lo sono certe esperienze che decido di fare quando ho voglia di sperperare in modo sconsiderato il mio denaro. Periodicamente vado a fare una cosa in un grosso centro medico a corso Buenos Aires:lo scoprii nel 2013 per fare la depilazione definitiva con il laser. Esperienza dolorosissima ma risolutiva di cui benedico la scelta ancora oggi. Ho sempre conservato un ricordo positivo di quel luogo e del medico a cui mi affidai: un molisano simpaticissimo, abbastanza cinico ma onesto e conversatore amabile. Sapevo di non essergli antipatica e mi piaceva che mi regalasse sempre una marea di campioncini e trattamenti non previsti dal mio pacchetto. Poi ho concluso e nel frattempo sono passati quattro anni, il centro è diventato leader in Italia per quello ed anche altri trattamenti che prevedono l'utilizzo combinato del laser, ci sono anche altri medici e io sono ritornata per fare una cosa un po' pionieristica sulla parte alta delle gambe dove ho un po' di problemi, diciamo così, da femmina mediterranea...pure stavolta è una cosa piuttosto dolorosa, ma quando decido di fidarmi di qualcuno anche questo è del tutto secondario. Credo che sia una faccenda legata al mio bisogno di avere un mentore: se mi fido di qualcuno, perché competente e/o mi dimostra di tenere al mio bene in qualche modo, io lo assecondo senza pensare a quanto questo mi costi. Di solito ci prendo, sono abbastanza fortunata con i riferimenti che mi scelgo, pure quelli ancor più importanti che ho ascoltato per crescere, imparare, formare una coscienza. Ma in realtà, ora che ci penso, io - come nessuno - non ho davvero la certezza che chi ha condizionato la mia vita e le mie idee mi abbia giovato fino in fondo oppure no. Del resto ognuno vive degli atti di fede che merita...diciamo che ad oggi mi sento fortunata di certi miei incontri.


Anche Valerio, uno dei coach della scuola di running a cui voglio molto bene e che non mi stancherei mai di ascoltare quando parla di tecnica o di strategie di progresso e di resistenza, qualche volta si attarda a parlare con me per un tempo più o meno lungo che io trovo sempre prezioso, oltre che generoso...nonostante ieri mi abbia fatto promettere di non mangiare pizza fino a quando non avrò dimezzato la circonferenza della coscia...forse i miei guru si parlano tra loro, oppure sono davvero messa male...va bene, obbedisco...

Intanto stamattina avevo bisogno di impastare perché sono ancora troppo tesa e quell'attività mi distende molto. Ne è venuto fuori un pan brioche molto soffice di cui sono abbastanza fiera. Durante la lievitazione sono andata in palestra, ho fatto un progressivo di un'ora su un tapis roulant piazzato di fronte ad una parete con i mattoni rossi: il flusso di coscienza mi ha riportato al sorriso bonario del medico, al monito severo ma affettuoso di Valerio, ma pure ad una serata in cui non mi sono divertita molto e ad una puntata molto commuovente del programma di Gianluca Nicoletti (altro mio amatissimo guru) sulle violenze che persino chi non è una stella del cinema è capace di commettere, magari su un disabile...mentre correvo, restando ferma, mi pareva di essere una specie di proiettore di fotogrammi spaiati a cui io tentavo di dare un filo logico mano mano che aumentavo la pendenza e la velocità. E non lo so se quando ho finito ero streamata per la stanchezza o per tutto quel lavoro di riordino di idee e pensieri.

Poi ho fatto la doccia, sono tornata a casa, ho messo in forno il mio pane lievitato benissimo. Ma ho mangiato solo insalata, frutta e yogurt. E poi, senza dubbio, mi rivedo i soliti sospetti. Proprio senza dubbio...




martedì 7 novembre 2017

Meno solitaria di un passero 🚶‍♀️

La prossima volta prometto di dosare meglio la mia motivazione. Mi sono messa in prima fila come a voler afferrare ogni piccola nozione senza rischiare la minima dispersione e senza considerare che sarebbe stato probabilissimo, anzi certo, sprofondare in una devastante forma di letargia dopo il primo quarto d'ora. Ho passato tutto il giorno a seguire una lezione su una questione di cui mi occupo in sostituzione di un collega. Una tematica direi cruciale, che trovo spesso ostica e drammaticamente noiosa, ma per fortuna non ho mai pensato che il lavoro dovesse necessariamente essere divertente. Può esserlo se si è molto fortunati e dotati o quando le idee sono ben chiare nel delicato momento di certe scelte definitive. Durante la pausa pranzo sono rimasta da sola in aula, con un libro di cui ho letto solo qualche pagina e l'i pad che comincio ad usare con più parsimonia ma sempre un po' troppo...

Ad un certo punto mi sono imbattuta in una citazione di Leopardi sull'effetto "amplificatore" della solitudine, intesa come condizione sublime o terribile a seconda dello stato iniziale di chi la vive. L'ho commentata, dicendo più o meno che è una condizione che mi è assolutamente congeniale e che forse questo non sia un bene. In realtà essere dei solitari non coincide con lo star soli, cosa che per la verità mi capita fin troppo di rado tra lavoro, sport, amicizie più o meno consolidate...la mia solitudine è assenza di turbamento, coincide coll'attimo esatto in cui apro la porta di casa la sera, quando è tutto finito e non c'è nessuno ad aspettarmi, a cui rendere conto, tentare di piacere, chiedere pareri, fare progetti, assumere responsabilità, o accettare una qualsiasi inevitabile forma di distrazione o semplicemente una limitazione del mio spazio vitale. Quel momento esatto della mia azione quotidiana di rientro da un giorno che avrei voluto fosse stato anche altro è la parte più magica del mio tempo. Non sono una musona sociopatica e anche io ho sperimentato forme d'amore un numero sufficiente di volte per riconoscerlo e, forse, cercarlo ancora. Il fatto è che con gli anni ho definito sempre meglio il confine che mi separa da tutto ciò che non mi appartiene ma che soltanto in parte posso evitare. Star sola per me è sperimentare senza il rischio di urtare pazienza e sensibilità altrui. Per dirne una, un giorno decisi che dovevo vivere senza televisione e ho finito per farlo per ben sette anni fino allo scorso anno, e poi di diventare vegetariana (e gli anni furono otto), di provare a stare un anno senza lavatrice e tre mesi senza il frigo. Ad un certo punto ho cominciato a girovagare tutta sola per mezzo mondo per scoprire che si può fare...con molto rischio e pericolo...ma sono qui e l'ho fatto.

Ogni tanto mi capita di pensare alla pessima madre che sarei stata, ma poi cosa posso saperne io che in fondo ho un tale senso di accudimento che la sopravvivenza almeno l'avrei garantita di certo? Ecco, credo che per certi interrogativi la solitudine non sia propriamente uno strumento efficace di comprensione, ma poi penso che non sono stata capace di gestire neppure un micio e allora giusto così...
Oggi sono esattamente la solitaria che volevo essere: quella che cucina bene solo pensando di farlo per qualcuno, che ha sempre sognato di vivere in una comune, che ha una TV come chiunque altro, una lavatrice da nove chili e un frigo troppo pieno pure per una famiglia numerosa...

Poi la pausa pranzo è finita, sono rientrati tutti, abbiamo ripreso la lezione e io per fortuna non avevo più tanto sonno


venerdì 3 novembre 2017

uno di questi oggi, anzi due

Ormai è una delle cose del mattino che aspetto con una certa trepidazione. Ma solo da poco, fino a poco tempo era una faccenda che mi immalinconiva o un pretesto per autocritiche fin troppo severe. Adesso no, adesso la notifica dei miei ricordi, pure di quelli risalenti ad otto anni fa, è un appuntamento che prendo sul serio perché mi restituisce non soltanto foto, pensieri un po' scemi accoppiati a considerazioni che trovavo rilevanti o i post di questo sgangherato diario di bordo...mi piace soprattutto perché mi riporta a stati d'animo precisi, che solo raramente proverei con la stessa intensità o per le stesse motivazioni col semplice sforzo di memoria volontaria e posso garantire che certe volte questa è una cosa davvero spiazzante. Oggi per esempio mi sono ritrovata in una foto del 2009, scattata a Pozzuoli da una persona a cui ho voluto molto bene, con cui credo di non aver mai litigato ma dalla quale ad un certo punto la vita mi ha allontanato. Credo che sia una cosa bella, perché quella foto mi piace tuttora molto, io non ero in posa e quella giornata me la ricordo ancora per quella temperatura mite, la bella luce, una conversazione rilassata e buffa. L'ho riportata volentieri sul profilo di oggi.

Invece non ho riportato il post che scrissi, proprio in questo giorno ma un anno fa, su questo blog. Pure quello mi è sembrato molto divertente (credo sia una forma poco onorevole di vanità rileggere le mie fesserie con compiacimento, ma ammetto che qualche volta ne provo gusto): parlavo di come interpreto la mia vita domestica, dello strano loop in cui scado in certe dinamiche dei rapporti umani e di come in fondo mi ritrovi mio malgrado ad essere un dato statistico poco rappresentativo per una qualsiasi categoria. Avevo un ricordo netto di quel giorno e di come in realtà mi sentivo piuttosto triste. Novembre scorso è stato un mese molto difficile per me, ma ora che ci penso è da allora che non ho più pianto. Certi ritorni al passato sono una specie di ripresa di vaccino, mi aiutano a ricordare della bellezza di sentimenti "piani"  e di contro della tossicità di quelli troppo forti che rilasciano solo sensazioni malate, ricordi tristi e paura di ricadere in certe trappole emotive assolutamente da evitare. In mezzo c'ho trovato le mie solite carambole lessicali, battute di cui potrei anche scusarmi, articoli che trovavo utili fotografie di un'epoca...il passato rivissuto con le bricioline lasciate così, un po' in modo istintivo e in parte con intento metodico, mi piace e mi interessa.

Poi sono ritornata ancora a quella vecchia foto di Pozzuoli e ho riletto quel vecchio post pieno di troppi fatti miei e ho pensato che alla fine a me non dispiacciono le cose che finiscono ma, più semplicemente, quelle cominciate male. Sapere che c'è qualcuno/qualcosa che me lo ricordi tutti gli anni comincia a farmi davvero piacere.