Sola andata

Sola andata

domenica 30 dicembre 2018

A volte il pensiero è la sola cosa che basti

Questa poi...”stamattina un treno di pensieri mi ha portato fino a te. E così ho pensato di cercarti su fb”. Ecco, così mi ha detto dopo quasi dieci anni da quella volta in cui ci perdemmo per sempre di vista. Per colpa sua.
Ho raccontato di lui altre volte, forse perché in realtà sapevo che sarebbe finita comunque, anche senza la solita intrusione di qualcun’altra a rompere un idillio in fondo piuttosto fragile. Con gli anni ho imparato a considerare il tradimento una forma rivelatrice di legame insussistente, piuttosto che la rovina di un amore altrimenti grande.
Successe così. Io andai a trovarlo in Inghilterra, dove lavora ancora oggi come ingegnere, e trascorremmo giorni bellissimi tra vita domestica come due fidanzatini un po’ scemi, gare di cucina, chiacchiere infinite sul letto, gite fuori porta da Reading a mete a sorpresa decise sul momento. Tutto bellissimo. Da Milano non c’era giorno in cui non ci sentissimo e mancassimo. Poi ad un certo punto mi lascia per una mia vista e conosciuta in chat. Soffro ma poi smetto. Perdono. Dimentico. Lui poi decide di sposare una conosciuta in Ciociaria. Il giorno prima del grande passo pensa di scrivermi e di chiedermi scusa per essersi comportato così male con me. Io ne sono felice, gli auguro il meglio e che lo avevo già perdonato da tanto tempo. Passano gli anni e mia cugina, che è anche la sua migliore amica, mi confida che lui le ha detto che tutte le volte che gli torno in mente gli si stringe il cuore per quanto si sente in colpa. Io continuo a sorridere e penso che non è la prima volta che mi succede di essere trattata con poco rispetto e poi un po’ rimpianta quando ormai sono definitivamente altrove. Forse è per questo che alla fine li perdono tutti: sono io ad ispirare comportamenti sempre uguali negli uomini. Almeno in quelli più banali. Credono di potermi trattare come gli pare perché tanto, figurati, io ci sarò sempre. In qualche modo ci sarò sempre. E invece poi finisce che me ne vado e che mi allontano così tanto che poi tutto diventa piccolissimo e impercettibile. Il bene e pure il male.

Fatto sta che mi ha fatto davvero piacere che, dopo così tanto tempo,un matrimonio, una paternità, anni di silenzio e di lontananza, quel ragazzo così interessante, stimolante e a suo modo divertentissimo e ironico, abbia avuto voglia di ricontattarmi, chiacchierare, ricordare episodi lontanissimi e buffi e farlo proprio in un sabato mattina in cui io ero andata a correre tenendo nelle orecchie l’i pod con la play list che mi aveva fatto lui (era il 2009) e che io non ho mai osato cambiare per quanto è bella. Ero in biblioteca quando mi ha inviato il suo messaggio e c’era una strana atmosfera fatata e silenziosa. Mi sono ricordata di quella volta che andammo a comprare un servizio di piatti in uno strano negozio del centro e di un film di Wenders visto sotto un piumone caldissimo, o di un bacio davanti alla finestra che dava sulla strada è una signora ci vide e ci trovò molto dolci.

Avevo accantonato quasi tutto, ma sapevo dove trovarlo intatto così come lo avevo lasciato, perché non ho voluto buttare via nulla di quella storia lieve, breve, a distanza, intelligente. Finita male...ma mica poi tanto...
Un cerchio che si chiude bene.
Grazie

giovedì 27 dicembre 2018

Ho fatto in tempo

Non avevo dubbi. Sapevo che avrei trascorso due giorni di festa con la leggerezza di chi ha trovato il modo di disporre in totale autonomia di un periodo tanto delicato come questo. Sono stata qui a Milano, dividendomi tra un po’ di ottima compagnia e la mia sempre necessaria solitudine, camminando tra strade desertiche, un sole gelido ma convinto, degli ottimi film, una torta indimenticabile accompagnata da quasi nient’altro. È stato molto bello e ha continuato ad esserlo anche quando ho sentito i miei per gli auguri. Mia madre non ha mancato di dirmi quanto sono diventati belli i bambini di mia cugina e io ho finto di capire solo il fatto di cronaca in sè. Avrei voluto dirle che sarebbe stato bello averle dato dei nipotini anche io, grazie ad un compagno premuroso e innamorato con cui bipartire gli obblighi del quotidiano, e invece le ho raccontato della mia mattina con i miei compagni radiofonici dell’alba, di un film polacco struggente, le ho confessato che non ho messo mano ai fornelli ma che sono stata in un locale a mangiare una torta buonissima. E sì, è stato divertente, perché ho pensato che ero scampata ad un incidente giusto il giorno prima, che ho fatto in tempo a smettere di farmi trattare come una stupida da uno che mi contattava solo per vendermi cose che non mi interessano. Ho fatto in tempo pure a prendere le distanze e chiedermi scusa di tentativi a vuoto così dolorosi e offensivi. Pare ci sia un’altra, sopraggiunta proprio mentre mi chiedevo quanto mancasse al momento di fare una passeggiata con lui o dargli un bacio in un cinema. Che sciocca, che tenera sciocca che sono...spero di non rivederlo mai più.
Ho fatto in tempo pure a pensare al mio lavoro e al privilegio di un meraviglioso osservatorio in cui il senso di precarietà e incertezza attanagliano persino quelli che in fondo non hanno problemi economici. Sono contenta di non vivere in questo modo il mio rapporto col denaro, l’idea di benessere e di tranquillità. Forse perché ho un lavoro fisso, una casa, nessuno a cui rendere conto...no, credo che non sia per questo. Non più. È semplicemente un percorso che ho deciso di compiere e che ha che fare con il ruolo che sento di voler attribuire alla mia idea di pienezza, senza per questo dover degenerare in una qualche forma di radicalismo settario.
Ho fatto in tempo a starmene zitta, su una panchina, ad inventarmi dei possibili scenari di storia prossima ventura, con questa delirante classe politica che spero svanisca presto e con grande vergogna.

Oggi sono rientrata al lavoro. Sono stata tutto il tempo in sala a gestire i contribuenti e a fare attività di sportello. Ho avvertito costantemente un grande nervosismo e malcontento. Ma forse era solo una mia impressione. E poi ho fatto in tempo a parlare con la mia collega preferita. Mi ha detto che si è stancata molto, che erano in troppi a tavola, che suo figlio ha ricevuto troppi regali, e di questo non è per nulla contenta, e che trema all’idea di replicare anche la prossima settimana. E a me sentirle dire queste cose ha dato da pensare perché mi sfugge la ragione per cui il mio Natale risulti sempre così strano a tutti, se poi si ritrovano a dirmi “beata te che te ne stai per conto tuo”.

Ho fatto in tempo a tirarmi fuori un po’ da tutto quello che mi fa male, che mi respinge, che mi delude. E poi ho fatto in tempo a pensare che la scelta di starsene da soli, soprattutto in questo periodo, richiede un coraggio tale che tutta l’insofferenza per il mondo rimane, per tanti, ancora una benedizione.

Però quando poi la provi...


martedì 25 dicembre 2018

A Natale si scartano gli scarti

Tutto come da programma. Un Natale all’insegna di tutto ciò che sento come imprescindibile: le poche abitudini cristallizzate, quelle senza le quali mi indebolirei: allenarmi appena sveglia, un po’ di meditazione silenziosa, poi la radio, molto caffè, una doccia prima molto calda e poi molto fredda...poche piccole ancore di certezza per prepararmi ad un mondo che, invece, vorrei pieno di stupore e di inatteso, lo stesso che ho incontrato molto presto persino stamattina, quando sono corsa in Duomo a salutare un giorno che già mostrava la sua luce in una piazza splendida, soprattutto quando è ancora così vuota. C’erano ad attendermi quelli di una delle mie radio preferita e sono stata con loro fino alle dieci e trenta. Mi sono divertita moltissimo. Poi ho fatto colazione da starbuck’s senza dover sostenere nessuna fila e sorseggiando un meraviglioso cappuccino alla vaniglia. Poi ho fatto una lunghissima passeggiata e ripensato per molto tempo allo strano incidente di ieri, quando stavo per essere investita da un’auto fuori controllo. Non è successo niente solo per puro caso e se oggi ho goduto di ogni istante della mia giornata credo che sia il frutto di molta riconoscenza derivante da quella brutta esperienza.

Nel pomeriggio ho visto un film meraviglioso su un amore tormentato e figlio di un tempo storico molto ostile e ho pensato che essere scampata anche a questo sia stata una mia ulteriore fortuna. Mah...vai a sapere...

Poi sono tornata a casa. In strada non c’era quasi nessuno e io potevo godermi le bellissime vetrine senza dover conservare l’andatura da zombie da delirio prenatalizio. E ancora è stato tutto molto bello.
Poi ho preso l’autobus e ho cominciato a pensare a cosa vorrei che stesse ad attendermi nel nuovo anno. Vorrei soltanto novità. In tutti campi: cose nuove al lavoro, tra quello che mi interessa, nuove belle persone, un nuovo profumo, altri modi di mangiare. Un amore grande grande. Sì. Io, dopo le piccole certezze rigorosamente uguali e fedeli a se stesse per rimanere centrata, quello che vorrei veramente - nel profondo di me stessa - è un grande, sincerissimo e duraturo amore.
Ti prego 2019. Portami una persona bella

lunedì 24 dicembre 2018

Amore che vai. Vai pure...io aspetto quello che non ti somiglia

No, stavolta non fa niente. Dopo la prima volta, quella in cui pare che il mondo esista solo per schiacciarti con tutto il suo peso, poi un po’ capisci di essere bersaglio privilegiato e ripetuto di questo genere di dinamiche. No, non mi succede spesso, altrimenti penserei davvero che è tutta colpa mia e dei messaggi sempre uguali che lancio. Fino ad ora soltanto due volte...quasi tre forse, ma ho fatto in tempo a farmi da parte, prima di lasciarmi ferire troppo, ed è per questo che mi dico che stavolta non fa niente.

Il primo l’ho amato per un tempo infinito. Dai diciotto ai trenta. Lo aveva scoperto da subito, ma era una roba oggettivamente impossibile e io mi facevo bastare il fatto di averci a che fare, ascoltarlo, subirne il fascino assoluto, pensare continuamente a lui. Anche mentre mi fidanzavo e frequentavo altri. Io ho sempre e solo pensato a lui. Non ne abbiamo mai davvero parlato. Tranne una sola volta. Poi non più. Non era una cosa possibile e io non feci nulla per oppormi. Lo amavo pensando che di certo per lui non ero niente: una ragazzina giovane e ingenua ammaliata da un uomo colto e maturo. Decisi che non lo avrei più visto. Poi un giorno, prima di partire per sempre per Milano mi recai in un posto dove ero certa che lui ci fosse. Lui mi vide, finse di non conoscermi, io mi avvicinai con il sorriso più felice che mi ricordi. A quel punto simulò disinvoltura. Ma non riusciva a gestire una voce che gli tremò moltissimo per tutto il tempo di quella lieve conversazione. Fu solo allora che capii che, per un tempo che non conosco, aveva corrisposto il mio amore esattamente nel modo in cui avevo desiderato io. Non lo rividi più, nè mai lo dimenticai. Ma fu esattamente quel giorno che smisi di soffrire per lui, pur continuando ad amarlo.

Poi è stata la volta di P. Per lui fu una devastazione totale. Credo che abbiamo condiviso qualunque esperienza, di quelle più divertenti, che potessi fare qui a Milano. Ho adorato ogni istante passato con lui, che in realtà aveva un’altra nella sua terra (e io non lo capii mai), che mi trattava come gli pareva, forte solo della sua capacità manipolatoria. Lui è stato un errore. Quando ne sono uscita ho provato rimpianto per quasi tutto quello che ho provato. Lo rivedo spesso. Non mi piace più, ma non lo odio. Gli sono riconoscente di avermi fatto comprendere una certa banalità molto diffusa della psicologia maschile, ingenerosa e narcisa, che una volta compresa mi spoetizza troppo per tentare analisi nuove e costruttive. Sipario. Fine. Pazienza. Ora però il gradasso strafottente proprio non si permette di farlo  più...a chi ha giovato tutta quella meschinità? E poi baciava così male....

Dell’ultima cantonata parlo con uno spirito più pacificato, perché ormai ho capito qualcosa in più. Lui era un surrogato del primo con buone potenzialità di deriva nel secondo (...forse li progettano apposta per me...). Buon affabulatore, piuttosto affascinante, un po’ bugiardo, decisamente farfallone (ma anche questo l’ho capito un po’ in ritardo...sennò col cavolo che mi sarebbe piaciuto tanto). E ovviamente appena ha intuito di piacermi ha cominciato a trattarmi con la spavalderia stupida dell’uomo che crede di avermi in pugno. A me piaceva, questo era vero. Mi sono data un tempo, dei tentativi, la voglia di comprendere, la percezione - mai confermata - che assieme avremmo funzionato. Mi sono sbagliata. Lui non era quasi nulla di quello che ho desiderato pensare. Anche stavolta c'è qualcun’altra, anche stavolta saperlo mi ha ferito. Ma stavolta va bene così. Chiusa così, tra le illusioni e le sensazioni sbagliate che però ripercorrono storie già vissute esattamente così. Quello che può cambiare è soltanto il mio atteggiamento. Meno pianti, meno drammi, meno tempo per elaborare un rifiuto in fondo senza valore.

Che fine fanno gli amori mai nati? Perché le cose a cui tengo seguono meccanismi così simili tra loro? Sono felice di essere più forte a certi colpi. Ma quando sarà che mi riuscirà di riconoscere l’amore senza l’equivoco? Non ho fretta. Ma vorrei sapere almeno che metodo adottare....

venerdì 21 dicembre 2018

Non era (del tutto) vero

Non era vero. O meglio non lo era del tutto. Ho ancora necessità di un diario e di un interlocutore fittizio a cui immaginare di rivolgermi. Oggi come il giorno in cui ho cominciato e c’ho preso gusto. Ho deciso di fare così: quello che scrivo rimane confinato ai lettori del blog e non anche condiviso su fb. Perché è diverso. È diverso affezionarsi ad un blog partendo dalla sua fonte originaria, cercarlo apposta e decidere attivamente di volergli bene, dall’arrivarci soltanto perché è apparso un aggiornamento corredato da un link mentre si stava scrollando una pagina che contiene mille altri contenuti differenti. Un blog che elemosini attenzione perde buona parte delle proprie ragion d’essere. Scrivere, pure un po’ malaccio come me, e con la punteggiatura che procede per suo conto come fosse acciottolato lanciato in discesa, è ancora la migliore maniera che possiedo di osservare il mio quotidiano depurandolo dalla sua pesante coltre di banalità e insussistenza. Vediamo se ci riesco ancora...

Oggi ho lavorato, fatto una passeggiata in pausa pranzo ed ho ho assistito alla scena di un brutto incidente d’auto, sono rientrata in ufficio e vi sono rimasta fino alle diciassette, ho fatto la spesa, percorso via Mecenate con i suoi balconi tutti illuminati con criteri differenti. E ho pensato ad un sacco di cose. Quando cammino molto i pensieri si affastellano seguendo una logica che si affina man mano che copro distanze. E così oggi, che ho camminato molto, ho ripensato a questi ultimi mesi, quelli dal rientro dalle vacanze: mi sono iscritta a nuovi corsi di cui sono felicissima, ho lasciato che la persona che mi piaceva mi trattasse come voleva giusto per capire che non solo non sarebbe mai nato nulla, ma che di comportamenti così squallidi non avrei mai sentito la mancanza. Un maleducato assoluto...ci sono tanti modi di far capire a qualcuno che non lo vuoi. Certo lasciare una donna a mezzanotte in mezzo alla strada e dalla parte opposta della casa in cui abita credo che neppure Gargamella...La mancanza di gentilezza è da uomini davvero piccoli. Vabbè, in fondo meglio così.

In compenso ho conosciuto persone nuove davvero magnifiche e consolidato legami di amicizia che non speravo più di trovare in questa bella ma faticosa città.
Stasera è passato un amico a casa per regalarmi un libro che gli ha fatto pensare a me. Ieri una collega mi ha portato un pensiero del tutto inaspettato dicendomi che è la cosa che ha fatto più volentieri in questo periodo. Da un po’ di tempo esco con una ragazza adorabile che ho conosciuto proprio grazie a quella persona orribile a cui mi ero inutilmente affezionata. C’è del bello e del buono in tutto. Siamo tutti fortunati se osserviamo bene le cose senza fissarci troppo su dettagli stonati ma in fondo insignificanti.

Oggi ho lavorato troppe ore, assistito ad un brutto incidente di cui però non conosco dinamiche nè esiti, ripensato al fatto che mi ero affezionata ad una persona alla fine rivelatasi piuttosto detestabile e inutilmente dispettosa. Ho passato in rassegna alcune delle mie solite malinconie. Però poi mi è bastato allungare un po’ il percorso, mantenere un’andatura sostenuta, respirare in coordinazione coi passi per riuscire, ad un certo punto, a pensare anche a tutto il resto: un libro inatteso, un’altro con sopra scritta la dedica del mio giovane e bellissimo nuovo prof di cinema, una collega gentile, la mia nuova amica cinefila.
E io ho camminato per tutto il tempo su questo piccolo, insignificante groviglio contraddittorio di esperienze. Poi finalmente sono arrivata a casa. Ed era tutto ormai chiaro


mercoledì 19 dicembre 2018

Può bastare così

Mi pare doveroso. Non fosse altro perché quando si va via è buona regola salutare ed augurarsi il meglio.
Questo è il mio ultimo post.
Sono passati quasi tre anni da quando lo aperto, ricordo che mi ero appena operata ad un piede e stavo facendo una lunga e dolorosa convalescenza lontana dall’ufficio. Avevo approfittato dello stop forzato per fare dei lavori di ristrutturazione piuttosto “rivoluzionari” per la mia casa così piccolina. E ricordo pure che stavo molto male per un sacco di motivi. Credo che le ragioni per cui all’epoca decisi di mettere in piazza il mio “interessantissimo” quotidiano, assieme alla gran parte di quello che pensavo e che sentivo, fosse dettata da un’esigenza molto forte di ordinare i pensieri, in modo da poterli “osservare” e analizzare.
Soltanto in un secondo momento mi sono resa conto che molte volte non sono stata sola in questo percorso piuttosto erratico di autocoscienza. Ormai credo che siano davvero molte le volte in cui ho riscontrato della vera empatia, tenerezza e identificazione da parte dei generosi avventori di questo sgangherato giornalino.
Se dovessi pensare ad un consuntivo di tutti i contenuti mi vengono in mente i resoconti di certi viaggi bellissimi, anedotti buffi sul lavoro, alcuni amici su cui so di poter contare sempre, le nuove esperienze che mi hanno visto sempre carica di un entusiasmo che ho poi perduto o ridimensionato. E poi c’erano le questioni di cuore, quelle che di fatto non ho mai raccontato attraverso i fatti ma solo evocato, spesso con enorme fatica, sperando che questo potesse bastare per comprendere la materia oscura di cui era composto il mio (solito) tormento e tutti i miei dubbi.
Alla fine era tutto molto più semplice delle mie labirintiche ipotesi, delle mie paure o dei miei inutili tentativi di comprensione. Alla fine c’ero sempre io, nel buio di una stanza ristrutturata, a piangere. Senza riuscire a smettere mai. E così era per giorni. Eppure questo non l’ho trovato scritto in nessuno dei miei post. Ma riesco a ricordarlo, mentre leggo tutt’altro. Che strano meccanismo! Ho scritto un blog per ricordare cose che non ho scritto. Sì, ho fatto proprio questo: costruire dei pretesti di ricordi accompagnandoli alla perfetta consapevolezza che ciò che davvero avrei fermato era il mio stato d’animo mentre scrivevo.

Ma ritengo che ormai possa bastare così.

Ho fatto in tempo a tornare a sorridere dei miei inciampi, a perdonarmi gli inutili entusiasmi, a ridimensionare i miei slanci. Ho fatto in tempo ad essere orgogliosa delle mie due o tre cose buone fatte nel frattempo. E poi a tornare a stupirmi, crescere, cambiare prospettiva. Ho fatto in tempo pure a ricascare ancora nei sentimenti, e a capire per tempo che mi stavo sbagliando di nuovo. Ma stavolta ho solo fatto spallucce, mentre mi guardo e mi piaccio come non mi capitava da mai. Prima o poi riconoscerò chi mi vuole proprio così.

Può anche bastare.

Forse qualche volta rileggerò un post a caso, magari uno di quelli con il titolo strano che non si capisce subito dove vada parare e sono quasi certa che mi metterò a ridere. Per la storia. E per quello che si nasconde dietro di essa e che solo io posso vedere. Vale il mettersi da parte ormai, perché ciò che posso ancora imparare non sta più nell’analisi del passato, nei vecchi incontri, nel cuore spezzato o nel perdono. C'è tutt’altro da fare, da diventare, da vedere. Ci sono altri incontri da favorire e nuovi affetti da consolidare. Sono sicura che lasceranno altri segni e ricordi che stavolta non si limiteranno a delle sottotracce.

Un sincero grazie a chi ha avuto generosità, pazienza, curiosità, empatia per una malinconica “blogger” . È solo che sono ormai troppo stanca di non raccontare tuttto, fino in fondo, da così tanto tempo
Vi abbraccio





venerdì 14 dicembre 2018

Scorci di scorcio d’anno

Non ci sarebbe molto da capire. Per me è del tutto evidente che ci sia ben poco da salvare tra le voci principali della Storia nella quale mi ritrovo a delineare il mio infinitesimale percorso individuale. È una considerazione, forse semplicistica, ma profondamente onesta di quello che penso in ogni istante della mia giornata per ciascuna delle questioni che incidono e condizionano le sorti globali. Di buono potrei vederci il fatto che in fondo non posso farci quasi niente e che credo profondamente in una sorta di equilibrio cosmico ancora capace di attivare meccanismi di autoaggiustamento. A ben vedere è un metodo in fondo piuttosto consolatorio e autoassolutorio: pensare ai fatti miei tenendo conto di questa premessa mi aiuta a comprendere il confine preciso tra le mie aspirazioni possibili dalle mere utopie buone per i tempi d’oro. E comunque tra le cose belle di questi ultimissimi passaggi incerti della nostra politica ci metto la figuraccia con l’Europa grazie alla quale forse si ricomincia davvero a ragionare. E poco importa se questo ci è costato giusto qualche miliardo di euro...ma vabbè...

- Lucia lo sai, prima è venuto XXX e mi ha chiesto se saresti venuta. Io gli ho detto che ti aspettavo, lui ha sorriso e se ne è andato
- Maddai! Che cosa carina. Forse perché mi conosce ancora poco poco...però sono contenta

Ogni tanto, quando decido di chiudere con esperienze che mi lasciano perplessa, amareggiata, incompiuta oppure semplicemente che ritengo concluse, mi lascio incuriosire da nuovi contesti e dalle personalità che li animano. E allora smetto di pensare al passato più recente cercando di codificarlo e di chiedermi se ho sbagliato qualcosa, se ho adottato un comportamento inadeguato, detto cose inopportune, lanciato segnali irritanti...non mi importa più. Succede quando ho fatto troppi tentativi senza esito, quando prendo coscienza di quello che merito dai rapporti, di qualsiasi natura essi siano, e a quel punto mi dico “ma anche basta così. Io faccio qualche altra cosa e mi confronto con contesti diversi.

Credo che il bello di questo mio ultimo scorcio d’anno sia stato questo: smettere di insistere e guardare altrove. Per questo ho smesso di correre per dedicarmi per un po’ agli esercizi isometrici: ho necessità di ripristinare i livelli di ferro, altrimenti non ho nessuna speranza di migliorare. Ed è sempre per la necessità di cambiare propstettiva che ho cercato altri corsi da seguire e degli approcci e un’ottica diversa da quella a cui mi ero tanto appassionata pensando che non potesse esserci nient’altro.
Se proprio devo dirla tutta credo che questo sia l’anno in cui sono cambiata di più dagli anni della detestatissima adolescenza e in un modo che comincia, finalmente, ad andarmi a genio. Per me, che non ho formato una famiglia, che non ho la responsabilità di un figlio da crescere e che manco di Pablito sono riuscita ad occuparmi a dovere, fare i conti col tempo che passa è questione tutt’altro che ortodossa. Per me è ancora normale cucinare solo quando ne ho voglia, non stirare, stare in silenzio per un giorno intero oppure assecondare un amico che vuole stare un week end in mezzo alle montagne. Per me è normale trascorrere il Natale e il capodanno completamente da sola, di solito pensando a qualcuno a cui voglio bene ma del quale non sento davvero la mancanza. Faccio così da così tanto tempo che neppure ricordo quando ho cominciato. Forse è stato dopo quella volta che una giovane donna con cui lavoravo più di dieci anni fa mi disse “come sei fortunata a vivere da sola. Io sono sposata e ho due figli e non lo rifarei mai”. Non ho mai dimenticato la sua espressione e la verità con cui diede sostanza a quella frase. Sì, credo che sia stato allora che ho cominciato ad avere così tanta paura di sbagliarmi.
Alla fine tutto si è rivelato essere molto più semplice. Non ho dovuto scegliere: non avrei mai potuto sposare nessuno di quelli che ho conosciuto durante il mio percorso e a nessuno potrò mai chiedere se sia stata fortunata o abbia perso la vera occasione della mia vita.

Ecco, ci casco sempre. Tutte le volte mi ripeto di non fare bilanci e non provare a pormi criticamente nei confronti del passato, soprattutto di  quello più recente e invece, puntualmente...eppure, senza pensarci troppo e volendo dare un giudizio senza i filtri dei “poteva andare diversamente se soltanto...” direi che è stato un anno proprio bello e che la prova sono i sorrisi più numerosi e le lacrime sempre più rade. mi piacerebbe che ci fosse almeno Pablito a testimoniare che è tutto proprio così






domenica 9 dicembre 2018

Sulla forza dei legami effimeri

Sì, la metto agli atti anche qui: tra le cose memorabili di quest’anno, e per la vita tutta, c'è la foto con Nanni, anzi due, perché nella prima non rideva (ma in realtà neppure nella seconda), e l’autografo sulla trama del film di Cuarón. La scena è stata questa: lui che dice “niente dibattito, se volete sto qui per una foto con voi” . Ma nessuno osava e allora io mi sono alzata e ho detto “se è d’accordo comincerei io” e lui “ma certo! Vieni pure”, ma poi non riuscivo a settare il cellulare e allora ho urlato a tutta la platea dell’Anteo “per favore scattateci una foto!”. Che momento indimenticabile. Alla fine gli ho persino sussurrato un “grazie per tutto”...e, lo so, pare tutto una gran fesseria, ma garantisco che chi come me non vive di troppi miti, poi quelli che si sceglie li tiene assai pesantemente in conto. Negli anni passati, appena arrivata a Milano, ho fatto cose simili, seppur con un comprensibile minor trasporto emotivo, anche per certi miei beniamini radiofonici e così oggi Matteo Caccia quando mi incontra ricorda persino il mio nome, Gianluca Nicoletti mi dice di non stressarlo per gli accrediti quando viene a fare le serate a Milano e che mi farà entrare comunque, è capitato pure che i ragazzi di caterpillar mi avessero coinvolto in una puntata divertentissima a Senigallia, o che trascorressi il ferragosto con la Lusenti al parco Sempione ...tutti beniamini con cui mi accompagnavo nell’ascolto quando stavo ancora giù e che ho trovato normalissimo conoscere di persona appena sono arrivata a Milano. Che cosa sfiziosa. Sì proprio sfiziosa, soprattutto se penso che da quando vivo qui non mi è mai davvero riuscito di intrecciare legami di amicizia solida e duratura: pare che sia piuttosto confermata l’idea che Milano favorisca rapporti molto volatili ma non quelli stabili. Per quanto mi riguarda è alquanto vero e così mi sono chiesta quando è stato che in questa città ho conosciuto qualcuno, che poi per qualche motivo ho perso per la mia strada, con cui sia riuscita a creare qualcosa che andasse oltre il fatto di frequentarsi e che anzi scompaginasse il concetto stesso di valore effettivo di un legame. Forse...forse...sì ora ricordo...

- No, sarò solo io a chiamare te
- Ok. Come vuoi tu
- Domani ci sei in palestra ad “occupare” il mio tapis roulant?
- Credo di sì, anzi lo farò apposta per farti dispetto...ahahah...
- Ti vengo a trovare stasera così chiacchieriamo per almeno due ore. E mi raccomando leggi Celine
- Si ok. Senti, posso almeno chiederti perché mi chiami sempre di mercoledì alle due del pomeriggio?
- Perché è l’unico momento in cui mi concedo ancora un Toscano. E siccome io associo quell’attività ad una cosa bella, io appena accendo il sigaro ho voglia di sentirti. Così riesco a fare due cose belle nello stesso momento

È così, a me capita di incrociare persone che ho ascoltato per anni e che ho ringraziato poi di persona ma per via di una conoscenza tutta unilaterale. E poi mi capita pure che qualcuno, di cui non ho mai saputo neppure il cognome, e che ho frequentato in ritagli di tempo decisi unicamente da lui, un giorno mi dicesse una tra le cose più belle che mai potessi sentire sul mio conto. E saranno pure legami illusori, volatili, effimeri, privi di storie condivise e di concretezza. E dove sarebbe il dramma?

giovedì 6 dicembre 2018

La voce (finalmente zittita) della mia coscienza

(...oh no...rieccola...riesco a scorgere il suo ghigno da maestrina con annesso un “te lo avevo detto” piacevole come un dito in un occhio. Oh ma stavolta non avrà la solita soddisfazioe. Ormai conosco tutte le domande e ho già pronte delle ottime risposte. Se ne accorgerà...)
- Hola bimba! Guarda che ho sentito tutto. Lo sai che ti leggo nel pensiero e che proprio non ti serve stare sulla difensiva. Piuttosto, come mai non hai i tuoi soliti occhi da Labrador affranto con le orecchie basse? È da un po’ che vorrei chiedertelo perché devo dire che la tua reazione stavolta mi ha stupito
- Eggià, stavolta ha stupito un po’ anche me. Forse è l’età oppure la mera costatazione che ci sia una specie di regolarità matematica in certi miei “esperimenti”  o, ancora, che sia proprio colpa mia e di quello che credo mi piaccia e poi si rivela brutto
- Sì bimba, lo so, e so anche a cosa ti riferisci. Io credo che tu sia fatta così e poco o nulla riuscirai a fare per cambiare. Hai delle amiche che vogliono le tue stesse cose e per ottenerle escono, frequentano, chattano, si guardano intorno. Tu non fai che collezionare corsi di cinema, alzarti all’alba, frequentare sempre le stesse persone, stupirti delle storie buffissime che ti raccontano le tue coetanee che “vivono”. Tu sei fatta così. Punto. Continuerai ad incappare nel solito narcisista patologico che, una volta capito che ti piace, ti tratterà in un modo che tu avevi previsto ma farai finta di nulla, proverai a dargli un miliardo di altre occasioni di cambiare atteggiamento, ma saprai che non lo farà perché il narcisista patologico è uno a cui basta il fatto stesso di piacerti senza corrisponderti. Scoprirai poi per caso, che era pure un provolone patentato (pure se con te faceva il sostenuto, tormentato, scostante) e ne rimarrai ferita e offesa...
- Alt! Tutto giusto tranne l’ultima parte. È vero io sono così, non cerco nessuno e mi lascio ammaliare da persone affascianti che giocano a ferirmi. Ma tu mi vedi sofferente?
- Devo dire di no in effetti...come mai?
- Perché sono diventata brava, perché non ho ceduto al rancore e all’idea di aver sbagliato qualcosa, perché mi sono data un tempo per capire, perché ho fatto più di un tentativo. Non ho fatto niente di male a fronte di cattiva educazione e scarsa considerazione (tranne quando servivo...) direi anche no, lascio perdere e mi concentro su cose ugualmente affascinanti e che mi tengono lontana da ulteriori tentativi e umiliazioni. Che dirti, continuerò ad aspettare anche tutta la vita, se sarà necessario, l’incontro esatto.
- Hola bimba! Brava, ci sei cascata ma poi hai capito e ti sei raddrizzata, come fanno quelli che cadono per la strada e si rialzano subito, anche se un po’ imbarazzati, sperando non essere stati visti da nessuno
- Si! Direi che è proprio così. Ma per favore, non chiamarmi bimba. Ormai puoi affermare anche tu che non lo sono più
- È vero. Non sei più una bimba...e stavolta conoscevi davvero tutte le risposte. Mi compiaccio. Anzi, se per caso incontro la buona sorte le dico di tenerti lontana da tutti i narcisi patologici in circolazione
- Ma figurati! Tanto ormai li riconosco a distanza di sicurezza

sabato 1 dicembre 2018

Il primo dell’ultimo (come prima più di prima)

- Hey ciao! Ci speravo tantissimo che ci fossi tu di turno. Come stai? È dall’estate che non ci si vede
- Oh si! mi ricordo bene di te. Mi dicesti una cosa del tipo ma cosa ci fai qui, non ti ci vedo proprio a fare questo lavoro, per farmi un complimento...spero...e io ti dissi che invece ero a posto così
- Si fu una bella chiacchierata...oh ma vedo che hai il Garmin anche tu. Allora non puoi che essere una runner. Lo sai che io fino a cinque anni fa facevo maratone ovunque, era diventata un’ossessione, pensavo alla corsa pure mentre dormivo. Poi da quando ho aperto l’azienda ho cambiato tutta la mia filosofia di vita. Adesso cammino tantissimo, ma non corro più. La corsa non ti fa pensare, la camminata attiva fortemente il pensiero. A parità di km consumati il risultato è completamente diverso.
- In realtà non corro più da un paio di mesi, io però non sono mai andata oltre i dieci km in cinquantanove minuti, sono anemica e correre è un’attività tra quelle sconsigliate e così mi limito a fare del crossfit e, soprattutto, a camminare come te per almeno 12000 passi al giorno. Il garmin mi serve a monitorare questa piccola abitudine quotidiana.
- Non sentirti in colpa, hai fatto bene ad interrompere, quando sentirai di ricominciare lo farai di certo. Ho già capito che tipo sei...
- Accidenti...che bravo...io no
- Eggia. È per questo che dovresti credermi quando ti dico che non sei fatta per questo lavoro
- E allora vorrà dire che quando sentirò di ricominciare lo farò di certo
- Oh...però adesso che ci penso, non ti ritroverei più quando passo per registrare i miei atti
- Vorrà dire che ti accontenterai di qualcuno nato per fare proprio questo lavoro...

Ogni tanto, quando sono di turno allo sportello, incontro persone che mentre mi osservano inserire i loro dati nel pc decidono di rivolgermi la parola, raccontarmi i fatti propri, scherzare, regalarmi penne, caramelle, inviti...e tutte le volte mi pento di non trovare abbastanza piacevole quella parte del mio lavoro. Di solito sono abbastanza timida con le persone con cui non ho confidenza e poi mi piace il silenzio rassicurante della mia stanza privata al primo piano, il lavoro esecutivo e senza troppi imprevisti, le cuffie che mi isolano, la scrivania in disordine ma con un suo criterio di gestione ben preciso...ancora oggi, nonostante tutti gli incontri gradevoli e interessanti penso che sia quello solitario il lavoro che mi piace di più. Peccato. Credo che sia una vera tara quella di trovare negli altri una fonte di ispirazione, di crescita e di divertimento inesauribili, ma di ripiegare sempre verso una naturale attitudine allo starmene in disparte.

È il primo di dicembre. Da anni è quello in cui mi diverto di più a far finta di essere quella alternativa che non festeggia mai niente. È pura finzione: anche io avverto in pieno il clima di festa, l’incanto delle luci, dell’atmosfera ovattata e del calore degli affetti. È solo che non me ne assumo il peso inutile. Non posso sostene liste di regali, auguri a tutti senza distinzione, cerimonie, addobbi domestici...no, preferisco far credere che non credo a niente e rimanere spettatrice esterna ma emozionata. È un po’ scorretto, lo ammetto, ma mi ci trovo ancora benissimo.
Tanto Dicembre la racconta sempre uguale e invece io lo so che devo riprendere a correre e a fare i miei turni allo sportello ed ad avere a che fare con la gente.
Sono in biblioteca da due ore, tra persone che come me vogliono stare zitte a condividere uno spazio senza imprevisti. Sto bene, fin troppo, e penso che sia una vera fortuna non essere fatti per un sacco di cose ma doverle fare lo stesso. E, facendole, riuscire a trovare qualcosa anche di se stessi

mercoledì 28 novembre 2018

Due anni “spezzati” bene

Due anni giusti giusti. E non lo ricordo perché me lo abbia evocato Facebook che, stranamente da mesi e mesi non mi riporta tra i ricordi i post del blog condivisi anche lì. No, me lo ricordo da sola quello strano giorno quando, dopo una corsa di beneficenza, le risate negli spogliatoi e il freddo di novembre, qualcuno, senza rendersene conto, ti dice una cosa che te ne fa scoprire un’altra. E così, senza il minimo preavviso, scopri che un cuore allenato e cocciutamente predisposto alla felicità in un nanosecondo piglia e si spezza. Quel giorno lì piansi tutto il giorno, senza riuscire a frenarmi proprio mai. Ricordo che mi rifugiai in un cinema di quartiere dopo aver pianto anche lì fuori, sui gradini di una chiesa. Ancora oggi penso di non aver mai sofferto così tanto in tutta la mia vita. E poi mi ricordo del breve post che scrissi e del numero spropositato di coloro che lo intercettarono. Poi all’improvviso mi passò tutto, il cuore si ricompose rimescolandosi con la materia dura, impermeabile e ignifuga di cui decisi di attrezzarmi durante il solenne giuramento di non innamorarmi mai più in tutta la mia vita.
Quante volte in questi due anni ho ritrovato il suo sguardo! Non c’è niente da fare, continua ad essere il ragazzo bello e simpatico di sempre, solo molto più gentile e premuroso di allora. Ma non riesco a ricordare quando, e perché, ad un certo punto me ne innamorai e, soprattutto, come sono riuscita a smettere così bene, per quanto mi pareva impossibile solo qualche istante prima.
Come è bello voler bene a chi hai amato.

Ma due anni sono un tempo in fondo bello lungo, tanto più per un cuore sotto “giuramento”. Davvero sono riuscita a starmente impassibile ad ogni emozione? Alla fascinazione di un incontro che si è pure dato il tempo di trasformarsi in conoscenza ed esperienza condivisa? Non lo so, in tutta onestà, direi di essermi concessa l’occasione di sbagliarmi ancora e di scoprirlo abbastanza in tempo da consentire al cuore di restare ancora intatto. Che pare poca roba ma invece è una conquista di metodo
 mica da ridere. Credo sia andata più o meno così: toh, mi piace un sacco. E poi, ma guarda che strana coincidenza, forse è un segno del destino. Che bello, stasera lo rivedo. Che bello ascoltarlo. Che
bello. Ah...no mi sono sbagliata. Uh, stavolta mi sento proprio offesa. Chissà perché fa così. Aspetta ora faccio io così, dico così, vediamo come reagisce se io...ah no, mi sono sbagliata. Ah, ma non era vero quello che mi aveva detto. Ah ma gli piaceva lei, e forse anche lei. Ah addirittura...questo proprio non lo sapevo...ah ok, mi sono proprio sbagliata.
Però stavolta non ho pianto mai. Neppure quando di occasioni di sbagliarmi ancora, ad un certo punto, non riesco proprio ad inventarmene più.
Sono diventata proprio brava. 

sabato 24 novembre 2018

Nè ragione nè sentimento. Ma neppure risentimento

C’è una specie di sacro compiacimento nell’ammissione di un errore. È come se da quel momento in poi, deposte le armi di una battaglia persa con la logica, le attese, le congetture, fosse irragionevole ogni tensione e smania e vale soltanto mettersi a sedere e osservare le cose per quello che sono. Indipendentemente da me e da tutto quello che inutilmente avrei potuto fare. A suo modo è pure comodo.
A volte mi chiedo che sarebbe successo davvero se avessi ottenuto tutto quello che volevo e come mi sarei comportata se tutto quello che credevo dovesse accadere poi si fosse avverato. Sarei davvero stata all’altezza dei miei desideri? Avrei amato davvero chi immaginavo al mio fianco? Le mie convinzioni profonde, ma spesso non confermate dalla mia condotta, erano la cosa giusta non sostenuta da un metodo valido di realizzazione o in fondo non mi appartenevano davvero? Vorrei che esistesse un algoritmo capace di simulare ogni ipotesi alternativa di “se fosse davvero stato così...o così...o così...” e osservare da un proiettore tutte le differenti esistenze da convinzioni alternative andate a buon fine.

Io non ho problemi a riconoscere l’errore. È un errore sentire di non avere radici, è un errore non essere convinta che non sarei stata una buona madre senza uno straccio di prova in tal senso, è stato un errore ogni destinatario del mio amore. Liberatorio è riconoscerlo, problematico farci periodicamente i conti. Ma poi, che conti farci? Per dire, ho trascorso la mattina con un cartone dolcissimo di Miyazaki “Si alza il vento”, una storia autobiografica che parla di amore per il volo, di sogni che non si realizzano perché mancano le condizioni oggettive e che però aprono la strada a sogni più grandi, al caso, agli incontri altrimenti impossibili. E mi sono chiesta se accada proprio così nella vita quando ci pare tutto sbagliato e impossibile ma in realtà lo è affinché tutto ciò che sia giusto e possibile alla fine si possa realizzare. Secondo me certi cartoni valgono come algoritmi validi per una simulazione...e mi pare che Miyazaki commetta meno errori di me...

Amo le mie cantonate poiché quando ho la forza di ammetterle è perché ho finalmente esorcizzato ogni tormento interiore e compiuto quel mirabile e direi quasi eroico processo di sdrammatizzazione che vorrei fosse la cifra di ogni mia più piccola affermazione di esistenza. Qualche volta mi capita di prendere un quaderno nuovo, bello come può esserlo solo un quaderno mai aperto prima, e poi una di quelle penne che ho amato quando facevo ancora esami con i voti (esistono ancora le immense e uniche Pilot?) e faccio la lista. La lista è la svolta. Di solito c'è un nome che ho finalmente la forza di cancellare, attività abituali che non mi interessano più, espressioni che ho usato e che non ripeterei, persone a cui ho chiesto scusa, cose bruttissime per cui chiedere perdono non basta ma che devo assolutamente ricordare perché mi servirà tutta una vita per rimediare, confondere la stima con l’affetto o l’amore...e alla fine scrivo una cosa tipo “ok, mi perdono. Doveva andare così”.

Siamo esseri razionali eppure non facciamo che procedere nella vita per tentativi ed errori, tutto il resto è il frutto di una variabile indipendente altrimenti detta buona o cattiva sorte. Se ci penso bene è piuttosto curioso, perché in fondo nessuno di noi può sapere esattamente quanto sia nel giusto, a meno di avere una percezione davvero profonda di se stesso.
Ma io per il momento mi accontento di ammettere divertita tutti i miei errori. E pensare che la buona sorte mi abbia, fino ad ora, fatto una gran buona compagnia

giovedì 22 novembre 2018

Imparare a perdere una lezione. Così imparo...

In fondo è una fortuna anche questa. Ti prendi un giorno di ferie perché devi fare una cosa bella di mattina e quando finisci e sei sul tram per tornartene a casa ti si gonfiano gli occhi, ti fanno male tutte quante le ossa che hai, la testa ti esplode e tu, almeno per il momento, non puoi permetterti niente di tutto questo. Credo che si sia reso conto delle mie condizioni soltanto un ragazzo in metro che, vedemdomi in difficoltà a tenere gli occhi aperti, mi ha ceduto il suo posto. Gli uomini gentili esistono ancora e vale la pena ammalarsi anche solo per avere ancora questa prova.

Sono rientrata in casa, mi sono guardata allo specchio: sono pesta. Ho preso delle cose per l’influenza, mangiato i pizzicherei che avevo tolto dal freezer stamattina, ho sistemato tutto, mi sono tolta il trucco, messo i piedi per cinque minuti nell’acqua calda e mi sono messa al letto. Ho fatto tutto quello che dovevo eppure garantisco di avere dolori ovunque. Stasera avrei una lezione sul cinema nella parte opposta della città e sono sicura che troverò la forza di andarci anche se sarò ancora in queste condizioni. In questo momento sono su un lettone/soppalco, assieme ad un mal di testa ancora feroce, come sa esserlo solo quello che mi prende quando sono angosciata da qualcosa che non so risolvere o quando ho battuto molto forte su qualche parete dura, e penso che certe volte sia proprio un lusso stare male se non hai nessuno che ti fa le cose o almeno te le semplifica. E poi c'è la questione “motivazione”: ci sono esperienze che non voglio proprio perdermi, come la lezione di stasera, e poi ce ne sono altre che faccio solo perché riesco a sopportarle bene, ma non anche a goderle e purtroppo mica sempre riesco ad esercitare il sacrossnto diritto di ribellarmi a questo inutile abbattimento della qualità del mio benessere. E questa è una faccenda per nulla banale per me perché credo mi fornisca la misura di quanto sia frutto di una mia scelta profonda e quanto una mera prova di forza e di sopportazione.

Ho scoperto per puro caso una cosa che mi ha lasciato molto stupita perché non ho capito le ragioni per cui dover dire una cosa non vera senza che ve ne sia neppure una sola valida ragione. A volte basta cosi poco per modificare totalmente la percezione di cose, persone, situazioni che cambia in un nano secondo il tuo sguardo su quelle. E forse su tutto il resto. sono sicura che certe cause di malessere trovino la fonte dei propri sintomi pure nella delusione non mitigata da valide spiegazioni. Ma non mi illudo che le mie pilloline possano occuparsi anche di questo.

Domani dovrei seguire l’ultima lezione in un posto così lontano da casa mia che ogni volta rientro così tardi la sera sono un vero straccio e adesso sto qui a chiedermi quanta “motivazione” devo aver avuto per decidere di fare una cosa  simile ad un orario per me così balordo e cambiando ben quattro mezzo di trasporto diversi. Mi mortifica anche soltanto il pensiero.
Oggi, con questo mal di testa, gli occhi gonfi e distanze difficili da coprire penso che perdersi qualche lezione sia in fondo un lusso che posso cominciare a prendermi persino io. Finalmente


sabato 17 novembre 2018

Qualche ottima ragione per darmi torto

“No, non ci vado. Ora finisco questa cosa, metto a posto un po’ di scartoffie e poi me ne torno direttamente a casa che c’ho un’emicrania così forte che mi si è apppannata la vista. No...è inutile, ho deciso, non ho nessuna intenzione di andare in centro in queste condizioni. E poi fa freddo, devo comprare il latte e poi sai che caos in metro a quest’ora...”. Faccio sempre così quando sono molto stanca ma muoio dalla voglia di fare qualcosa che avevo in programma: elenco tutte le ottime ragioni per cui non avrei colpa nel tirarmi indietro, che in fondo non è l’unica esperienza che mi sto per perdere e che se è vero che si cresce solo uscendo dalla propria comfort zone è, giocoforza, altrettanto vero doverci pur entrare ogni tanto...

Ieri, poco prima di uscire dall’ufficio, facevo di simili congetture perché ero malandata ma pure desiderosa di fare una passeggiata in centro e andare a sentire un po’ di storie di autori di libri nell’ambito di “Bookcity”. Per fortuna ho scelto di non assecondare le scuse e io, il mio mal di testa, un orribile spezzafame a base di riso soffiato, il cellulare scarichissimo, ci siamo avviati verso il centro mentre faceva la stessa strada una serata (finalmente) invernale. Quando ho attraversato la piazza mi sono resa conto che è passato un sacco di tempo dall’ultima volta che l’ho percorsa di sera, abbastanza da non essere più abituata al suo fascino, alla magnificenza delle luci della galleria, ad una pace non riscontrabile nelle ore diurne. Mi ero disabituata a certa magia, c’era un’armonia in quel flusso non caotico di passanti assieme alla gente seduta ai tavolini esterni dei locali e io, che avevo sotto gli occhi tutto quanto come se fossi un’invitata arrivata un po’ in ritardo, mi sono resa conto solo in quel momento che nessuna delle ottime scuse che avevo trovato per non essere lì era davvero valida.

Ho tirato un sospiro di sollievo, sono stata ancora un paio di minuti ad osservare quel posto così giusto così e sono entrata alla Feltrinelli della galleria, dove avrei sentito parlare di storie fantastiche, di come nasce un fumetto matto e degli effetti moltiplicativi della creatività e dell’immaginazione. E poi ho respirato forte di nuovo, ho preso la metro e ho trovato posto a sedere. Sono rientrata in una casa in ordine, calda e silenziosa. Solo in quel momento mi è tornato il mal di testa. O forse avevo solo scordato di averlo. Ho guardato in frigo. Non era vero che è finito il latte. Ho acceso la tv, mi sono agganciata al termosifone, ho preso qualcosa per il mal di testa e mi sono rilassata così tanto che ho trovato le energie solo per raggiungere il letto e per pensare che sono proprio brava a trovare ottime ragioni per non fare le cose che mi interessano. E poi che quasi sempre la mia scelta giusta sta nel non assecondarle neppure tanto così 

domenica 11 novembre 2018

-Come lo senti il male? - Male, ma con piacere

Sono solo pochi anni che lo considero un prodotto irrinunciabile. Credo che la generale avversione all’uso di medicinali e palliativi mi abbia portato a sottovalutarne la assoluta necessità che oggi gli attribuisco a pieno titolo. Io non voglio vivere senza almeno un antidolorifico in casa. Cominciai per via di un mal di denti per cui arrivai a svenire per il dolore e da allora ho capito che noi poveri mortali saremo anche nati per soffrire ma che sarebbe il caso di limitare le casistiche alle volte in cui possa davvero valerne la pena: direi quasi mai, oppure se la sofferenza è una forma di allenamento fisico, spirituale, intellettuale, emotivo per plasmare quel dolore in piacere. Tutto il resto è “banalmente” male.
Dopo quel mal di denti il dolore fisico mi ha colpito nella forma di infortuni, mal di schiena, mal di testa, contratture...e tutte le volte c’erano degli Oki a darmi un sollievo quasi immediato e io me ne stavo lì ad intercettare il momento esatto in cui cominciava a fare effetto, pregustando le ore in cui avrei di nuovo fatto movimenti fluidi e tutte le normali attività che tali non sono quando stai male e non puoi sottrarti alle cose da fare. 

C’è qualcosa di miracoloso nei palliativi, e in generale nelle anestesie, hai un male ma non lo senti, puoi tenertelo facendo quello che ti piace o che è necessario e che altrimenti non ti sarebbe possibile. Aspetta...ecco...la sento l’obiezione...come dici? Ah già, il palliativo non è una soluzione, è solo una specie di inganno temporaneo, anche rischioso se non stai attento. Ah già, mi stai dicendo che senza la percezione del dolore potrei fare cose che peggiorano la causa del male e poi i palliativi, come le droghe, creano dipendenza. Eggià, bisogna stare attenti...bisogna stare attenti agli inganni che ci raccontiamo per stare meglio, siano essi intrugli di chimica ben assortiti o le cose che ci raccontiamo per consolarci di un’evidenza che ci rema contro, o la speranza che ci colora le attese pure se non si capisce bene quando si realizzeranno effettivamente, o un bel film che ti toglie dal quotidiano almeno per un paio d’ore, o persino un libro che ti racconta il finale giusto. 


Chi stabilisce davvero cosa sia davvero consolatorio e curativo e cosa invece ingannevole e di piacere passeggero? No, ti prego no, non mi scomodare gli epicurei e gli stoici, non voglio dire questo, non propriamente almeno. Io vorrei solo sapere cosa renda vile la fuga dal dolore e cosa no, se un mal di denti meriti di essere negato e un mal d’amore o un tormento esistenziale invece vadano vissuti fino in fondo perché dopo saremo persone davvero migliori. Mah, alla fine mi rispondo che forse è improbabile immaginare la possibilità di una vita intera senza dolore, ma che sia del tutto legittimo ipotizzare una sorta di diritto a non soffrire che bisogna far valere...al costo di tutto il dolore possibile. E del paradosso che lo regola...

Esattamente sette anni fa facevo il mio primo viaggio intercontinentale. Andai in India e fu un’esprienza irripetibile. Il tour che feci mi restituì esattamente il luogo che avevo immaginato: la più grande democrazia (finta, fintissima come tutte le democrazie del mondo)  regolata da una religione che legittima le caste come cosa buona e giusta, mica pure necessaria per la conservazione di una società cristallizzata e controllabile. E così ho pensato che esistono davvero un sacco di modi di evitare il dolore, consolarsi e provare piacere ovunque si desidera che ci sia. Non credi? No, veramente non credo. E questa mancanza di fede, infatti, mi addolora.











martedì 6 novembre 2018

Senti da che trespolo....

Tutti questi anni senza mai guardarci dentro. Twitter è diverso da fb. Di poco, ma è diverso. È più orientato alla condivisione di link a scopo informativo, osservazioni sul contemporaneo, battute ad effetto sempre molto ancorate ai fatti del giorno. Quelli bravi e con elevato potere di sintesi riescono ad essere davvero efficaci ed arguti. Ho sbagliato. Twitter è un mezzo figo di cui mi sono colpevolmente privata e ora che fb comincia a piacermi sempre di meno e qualche volta persino ad irritarmi, credo che dirotterò il mio cazzeggio virtuale nella lettura e composizione di “cinguettii” collettivi dalle migliaia e migliaia di trespoli virtuali di passeri più solitari che mai.
Pure Instagram comincia a mostrarmi il suo fianco, con il suo tentarmi ai selfie ben riusciti, quelli con la luce e i filtri che migliorano, con l’aforisma giusto che smorza un po’ la vanità, o un messaggio dedicato ad un destinatario immaginario che si spera lo intercetti e lo ispiri. Mi piace, ma non mi è utile e neppure troppo dilettevole e poi mi fa pensare sempre a quel bel racconto di Calvino contenuto negli amori difficili: l’avventura di un fotografo. E allora mi spavento un poco, perché penso che l’epilogo tristissimo di quella storia, che ha a che fare con la continua riproduzione della vita attraverso immagini che si sostituiscono in tutto e per tutto alla vita stessa, sia una tristissima profezia che non vorrei realizzare certo io.
Beh, tutto questo per dire che Twitter è un bel posto che mi sono colpevolmente persa, che fb comincia ad annoiarmi e che Instagram è bello ma non ci vivrei. E che i social sono un meraviglioso e variegato mondo, oppure esattamente il contrario.

La parte migliore del mio tempo, invece, non mi lascia dubbi: mi barcamenato tra corsi bellissimi, un lavoro che non mi dispiace, film che non mi hanno deluso, nuovi amici, vecchi amici, unitamente alla mia beneamata solitudine, che mi riempiono e che rendo possibili solo con degli incastri rocamboleschi ma armoniosi come non mi riusciva da tempo. Non tendo a nulla e non odio nessuno, pur non amando come vorrei. D’altra parte stare così tranquilla, posso garantirlo, è una condizione idilliaca che potrei equiparare all’innamoramento senza l’incubo delle passioni: uno stato di grazia per nulla trascurabile.

È morto il micino malato che i miei avevano in custodia. Mi ha fatto molto effetto saperlo perché quella volta che lo vidi mi sembrò incantevole proprio per quella faticosissima vivacità, tra fratellini che crescevano a differenza di lui, il più protetto e coccolato, ma che tremava ad ogni tentativo di carezza.  Uno degli esseri più teneri e agganciati alla vita che abbia mai visto. Hai avuto una bella vita piccolo cucciolo guerriero.

Chiuderò l’anno in mezzo ad un sacco di impegni belli assieme a quelli che ho lasciato perdere per carenza di motivazione profonda: corro di meno ma sollevo più pesi, non preparo più dolci e cucino solo per non morire. La noia spesso può dettare la tabella di ogni cosa e sussurrare all’orecchio ipotesi nuove. All’inizio sembrano soltanto “cinguettii” confusi. O semplicemente mi stavavo ripetendo, da tutta una vita, di fare solo un po’ più di attenzione. Persino a ciò che ho giusto sotto gli occhi


sabato 3 novembre 2018

(Ri)cambio di stagione

Il mio cambio di stagione è quasi finito. Ho ripreso il periodico rito di buttar via cose che non mi riguardano più, oggetti ancora funzionali all’utilizzo ma legati a ricordi non utili a giustificarne l’ingombro: magliette, tazze, pupazzetti regalati da chissà chi, candele, bomboniere...ogni tanto mi prende il bisogno di liberarmi della “roba”. Dice che lo spazio domestico ideale è quello che contiene le stesse cose di una camera d’albergo: forse è un’esagerazione se penso che proprio mai mi libererei dei miei fumetti e dei miei dvd...
Ormai le ore di luce sono diventate poche, la sera mi viene sonno molto presto e ritrovo il mio apice della giornata nel momento in cui il mio vivacissimo piumone mi restituisce il suo calore. Di solito mi addormento quasi subito e così bene che svegliarmi all’alba è solo naturale fisiologia che si realizza senza sforzo. Erano le cinque anche questa mattina di sabato, ero nella mia solita posizione quasi trasversale, abbracciata al cuscino, completamente rilassata, avvolta in un silenzio assoluto e ho subito pensato a quanto siano colpevoli, ai miei occhi, quelli che si alzano a mezzogiorno perché si perdono tutto il sonno notturno o semplicemente perché dormono troppo. Ma ogni tanto mi viene pure da chiedermi che emozioni mi perdo a non avere abitudini e attitudini diverse da quelle che ho.

Fb mi ha restituito una vecchia foto che mi piace molto che fu scattata in un giorno di cui ricordo tutto. Ho pensato al punto in cui ero, allo strano modo in cui ho assecondato un percorso piuttosto che qualunque altro, a come, ad un certo punto, cambia la percezione di tutto, persone comprese. E ogni cosa per un attimo mi è sembrata stranissima. 
Ritorno spesso a quegli anni e ancor di più a quelli precedenti, quando ancora studiavo economia e la trovavo troppo complicata e avrei certamente mollato, se non avessi fatto del mio prof il mio mentore definitivo fino alla fine del dottorato. Forse lui è l’unico tra tutte le persone che ho adorato di cui non smetterò mai di sentire davvero la mancanza. Degli altri legami spezzati non ho molto da dire: svaniti per consunzione, equivoco, bruschi cambi di rotta, inganni, superficialità, gentilezza prima mancanza di rispetto dopo, vacuità...geometrie che ho imparato a riconoscere in tempi sempre più rapidi per fortuna e da cui non lasciarmi offendere troppo. Magari chissà, forse la colpa è stata mia...ma no, stavolta lo so, non è stata affatto colpa mia. È successo così. Punto. Non ho colpe.

C’è un cielo molto grigio stamattina, io ho dormito molto bene e tra poco incontrerò degli amici per pranzare assieme e in un posto magico. E poi farò delle foto. Tra tutte ne sceglierò una che mi piace più delle altre e la affiancherò a quella di nove anni fa che ho ritrovato oggi. Le metterò a confronto senza tenere conto dell’impietosa ma banale evidenza del tempo. Ed infine deciderò a mio insindacabile giudizio che quella di oggi è, senza dubbio alcuno, la più bella


mercoledì 31 ottobre 2018

Un po’ di battute e qualche battito (forse)

- Hey, che succede? Come mai così tanti giorni senza i fondamentali aggiornamenti sulla tua vita?
- Guarda, lascia perdere...
- Dai, non te la prendere. Mica è colpa tua se il Paese è nelle mani di totali incapaci e razzisti. Non puoi farci proprio niente, sopporta il tuo tempo con maturità e pazienza. Piuttosto, cosa fai tu in prima persona, con la tua condotta quotidiana, per cambiare le cose?
- E cosa vuoi che faccia? Sai bene che non sono una che si mette a battagliare per dire ad un altro come stare al mondo. Quello che mi limito a fare è, per esempio, non andare più a comprare cose da chi non emette scontrino, non mangiare più la focaccia in un franchising famosissimo perché il proprietario non paga i dipendenti quanto pattuito, non prendere il caffè nei bar dove ci sono le macchine per il gioco d’azzardo...cose così...ma capisci bene che non sposto proprio niente e il risultato è che spesso resto senza caffè e senza focacce buone...
- Oh, povera! Che strano modo di ribellarti in effetti. E per il resto? Cosa non ti è successo per cui hai trovato inutile farcelo sapere?
- Ma che domanda è? Guarda che la mia vita mi piace moltissimo quando sono soltanto io a metterci mano e a monitorare i risultati! Sto lavorando molto perché accumulo anche le ore per guadagnare un giorno di ferie in più, come oggi. Sto seguendo più corsi contemporaneamente e mi sono data un tempo per concentrarmi su cose che mi stanno a cuore. Sono stati giorni di non notizie, di rielaborazione del già visto...ci sono stati d’animo e sensazioni non traducibili in parole. Vanno afferrati, intuiti, percepiti e la loro narrazione si risolve in una specie di tacita definizione interiore
- Mah...vabbè...e invece oggi? Perché non sei andata al lavoro? Stavi ancora ascoltando la tua voce interiore che se ne sta zitta?
- E non prendermi sempre in giro! Avevo un po’ di cose da fare. Ho preso delle scatole da riponimento. È incredibile quanto spazio si recuperi anche semplicemente posizionando le cose in uno spazio ben circoscritto. A volte penso di avere troppe cose e invece sono semplicemente nel posto sbagliato.
E poi ho fatto una di quelle interviste per delle ricerche di mercato che trovo sempre fantastiche. Quando un marchio viene a chiedermi come vorrei che fosse, tenendomi per due ore ad esprimere giudizi meramente legati alla comunicazione giusta per indurmi a comprarlo, mi sento onnipotente e idiota nello stesso identico istante. Credo che sia questa la vera, immarcescibile grandezza del mercato.
- E scommetto che sei uscita pure senza ombrello...
- Certo! Però avevo un cappellino che mi riparava e le scarpe giuste per saltellare nelle pozzanghere. E quando sono rientrata parevo un pulcino ma avevo il trucco ancora intatto e una bomba alla crema comprata stamattina assieme alle fialette drenanti...così, giusto per tener sempre presente che criticare gli altri vale per lo più solo come prova generale per criticare meglio se stessi
- Sei irrecuperabile...e il cuore? Come ti batte?
- Uff...neanche stavolta mi salvo, poi dici che non ti racconto mai niente...il cuore...lo sai, io sono bradicadica e quindi batte piano. Qualche volta accelera, ma lo capisco subito che non è pronto, si sbaglia o si spezza. Ancora non ce la fa e così gli dico tutte le volte di rallentare, di ritornare al ritmo lento e fluido di sempre, ma di tenersi sempre ricettivo alle sorprese. Ecco. Credo di aver aggiornato i dati per analisi che, spero, rispondano a leggi diverse da quelle del mercato ma delle cui formule mi sfugge sempre qualche passaggio cruciale
- Già...dai, fammi un po’ vedere quel trucco indelebile che resiste alla pioggia. Festeggiamo Halloween assieme. Ti trucco da “vivente” e ti disegno un cuore giusto sopra quello che hai, così si sommano i battiti e forse finalmente ti emozioni come si deve...ahahah
- Ma sei di una simpatia....

giovedì 25 ottobre 2018

Stasera mi accompagno a casa

Credo che non arriveranno mai a capirlo davvero. È inutile che mi prodighi in rassicurazioni e prove di gestione più o meno efficace delle beghe di una quotidianità in fondo serena. Per i miei è sempre un fatto assurdo che possa trovare ancora ragionevole trascorrere la mia vita qui, tutta sola, e senza mai poter contare davvero su qualcuno. Sì, non lo capiranno mai forse proprio perché in fondo hanno ragione. Ma penso pure che non basti questo per riuscire ad alimentare il desiderio di rientrare proprio adesso. Non è questo il momento e tanto basta perché la faccenda sia chiusa. “Ma come fai a stare sempre sola?” , “Non sono sempre sola”, “ma non hai paura?”, “No”, “Ma non ti stanchi mai a provvedere a tutto tu senza mai bipartire la fatica?”, “si e mi fa piacere non dover essere di peso a nessuno”, “ma pensi di non tornare mai più?”, “tornerò se e quando sarà necessario”.

Ammetto che, qualche volta, certa mia spavalderia nasconde un po’ dello sconforto che spesso mi prende tutte le volte che ho l’impressione che mi sfugga qualcosa di fondamentale, quando mi lascio coinvolgere in esperienze alle quali non credo fino in fondo, o affascinare da persone scorrette, quando proprio non ce la faccio e mi chideo se sia per stanchezza o tristezza. Ma non dura tanto, perlomeno non abbastanza da convincermi di poter già fare a meno di questo posto.

Ci sono cose che ho smesso di fare solo da poco: preparare dolci, conservare cose inutili pensando che potranno servirmi di nuovo un giorno, di comprare barattoli sott’olio, di immaginare l’uomo della mia vita senza smettere di credere che un giorno lo incontrerò. Ho scoperto che mi avanza un sacco di tempo per fare cose più gratificanti, sane e divertenti. Quasi mai riesco a stare davvero sola e ogni tanto sono persino felice di non avere figli in un mondo così terrificante come quello di questa infelicissima fase storica.
Cosa c’entra tutto questo con la mia assurda “missione” di vivere a Milano? Quasi nulla, se non fosse che ci lavoro, che mi sono innamorata dei corsi che seguo ora, che mi piace il mio frigo quasi sempre vuoto ma con dentro quello che mi serve davvero. So che mi piace ancora la gente del bar vicino casa che mi fa sentire bella, i fogli volanti con appunti che non ricordo di aver mai preso, la serratura della porta blindata che non ho mai messo a posto da quando vivo in questa casa...

Sono ben cosciente che in tutti questi anni l’alternativa allo star sola sia stata, nell’ordine, un affascinante uomo sposato incontrato in una bella palestra del centro che voleva dedicarmi tutti i suoi week end (...forse...), o un altro già impegnato a sua volta senza che io lo sapessi mai(...forse...), o le varie infatuazioni passeggere che sono valse il tempo di un’euforia posticcia, prima di farsi perplessità spoetizzata e lieve frustrazione. Direi anche basta a tutto questo nulla che mi offende ogni volta.

Che importa il luogo in cui decidi di startene? A me molto. Perché con ogni probabilità farei e mi capiterebbero ovunque le stesse cose, gli stessi incontri, le stesse frustrazioni...
Ma è soltanto qui che sono diventata brava a dimenticare, togliere e distogliere. E poi ancora aggiungere, fare altro. E, come per magia, di nuovo ricordare


domenica 21 ottobre 2018

La lettera, le motivazioni. E il guardaroba

Tutto come da programma. Mi sono resa conto quasi subito che ha funzionato. Quando stamattina ho tentato di inseguire la sveglia delle sei, che tengo volutamente  in cucina così sono costretta ad alzarmi, avevo dolori praticamente in ogni punto calpestabile del mio corpo. Lo sapevo. Sono strisciata fino al pulsante per spegnere l’allarme (che di sabato e domenica si dorme un’ora in più), ho acceso la radio per ascoltare il risveglio della Lusenti e poi mi sono ritrascinata a letto, accompagnata da un’orchestra di dolori e scricchiolii ossei che potrei giustificare solo con un rullo compressore che mi è passato addosso mentre dormivo. 
In realtà sapevo bene che dopo i venti km di scalata di ieri avrei avuto contezza di quella bella esperienza  proprio in questi termini. Ed era esattamente quello che volevo: impormi il letto anche standomene sveglia ad ascoltare la radio, non fare attività fisica, immaginare e attendere la colazione che avrei fatto più di in’ora dopo. Ho fatto proprio così: per una volta sono partita dai suggerimenti di un corpo dolorante per arrivare a capire cosa mi facesse davvero piacere fare. Il disagio è quasi sempre più efficace di ogni programmazione elaborata in condizioni favorevoli.

A metà mattina mi ha scritto un’amica per ringraziarmi di una cosa strana che avevo fatto per lei e che pare abbia dato un primo risultato. È andata così: un giorno mi dice che sta provando a cambiare lavoro e che la nuova società in cui vorrebbe lavorare, dopo aver letto il suo curriculum, le ha chiesto una lettera motivazionale che rendesse chiare le ragioni per cui si sente qualificata per quel lavoro, quali aspettative coltiva, le ragioni per cui ha scelto quella realtà aziendale e non altre. Ad un certo  punto mi dice: “Lucia, me la scrivi tu?”. Io rimango perplessa rispondendo che il senso di una lettera motivazionale sta proprio nel suo essere strettamente e autenticamente personale. E lei mi dice: “È vero. Allora mettila così: mi conosci da tempo, ti ho parlato tante volte del mio bisogno di cambiare e delle ragioni per cui voglio farlo. Sai tutto. È solo che poi tu metti per iscritto cose che a me non verrebbero mai in mente e che poi sono proprio quelle che penso io. Sono convinta che se la lettera me la scrivi tu sarà più vera di come potrei costruirla io”. La guardo perplessa e per un attimo penso che la sua potrebbe chiamarsi semplice pigrizia o forse insicurezza. Ma decido che voglio assecondarla. Le scrivo la lettera sulla scorta di tutto quello che so di lei, gliela invio. E non ci penso più. Fino ad oggi, quando mi ha detto che è stata ricontattata e che potrà accedere al colloquio finale per essere assunta. Ne sono stata felice e ho pensato che me la devo ricordare più spesso la storia che lo sforzo di mettersi nei panni degli altri, o se si vuole l’empatia, ha il formidabile vantaggio di farti vivere vite diverse dalla tua senza il peso e il vincolo dell’esperienza diretta. E questa mi pare una gran cosa davvero.

Poi ho deciso che era giunta l’ora di alzarmi dal letto perché ormai non potevo più stare senza cose come il caffè, il pane valtellinese con lo stracchino, la frutta, gli integratori di magnesio per i crampi lancinanti. Mi sono presa il diritto di fare tutto piano, di prolungare il mio stato di distensione stavolta sul divano e di cantare a squarciagola una canzone dei Baustelle. Quando era ormai ora di pranzo mi sono vestita comoda, preso un pacchetto di patatine e uscita (con enorme sforzo) a prendere l’autobus senza avere una meta precisa, solo per sentimi come in carrozza per la città. È come se avessi chiesto anche a me stessa di mettermi nei miei panni, ma quelli che non indosso mai, stanno lì da sempre e che non scelgo senza conoscerne i motivi, che magari hanno persino ancora il cartellino, e verificare se mi stanno bene, anche solo per un’occasione speciale. Credo sia empatia anche questa. È che con me funziona soltanto a certe condizioni, quelle fatte di autolimitazioni e strategie macchinose per deragliare dalla consuetudine. 
Con gli altri mi viene più naturale, mi basta conoscerli, trovarli simpatici, affezionarmici. E poi vederli bene proprio per quello che sono.
E questa mi pare proprio una bella cosa. O anche semplicemente una lettera di motivazione da tenere in seria considerazione. Mica nulla!


mercoledì 17 ottobre 2018

Di necessità superfluo

Giornate lisce quelle di questo autunno mite che ancora invoglia a passeggiate lunghe, il gelato a sostituzione del pranzo, pensieri lievi. Questo mi suggerisce questo lento transito verso la fine di un anno non brutto e a tratti persino indulgente.
Ho trascorso buona parte del pomeriggio dal parrucchiere: ho ravvivato l’”oro” dei miei capelli, li ho alleggeriti, ho persino fatto un impacco rinforzante e ho fatto pure la manicure. In realtà avevo soprattutto bisogno di farmi massaggiare la testa, sentire l’acqua che si confronta con la schiuma profumata, il collo che si distende ed io che mi rilasso fin quasi ad addormentarmi. Dio benedica quelle mani! Una bella piega ondulata, che durerà il tempo di un paio di vetrine più avanti per l’ultimo autocompiacimento. Poi tutto come prima: capelli lisci di solito raccolti a coda, unghie corte e pulite, trucco solo sugli occhi, scarpe comode. E nessuna voglia di essere notata. Chissà poi perché. Forse perché non ho più voglia di conferme, o di corrompere i miei silenzi e la mia solitudine con incontri dettati da presupposti sbagliati. Forse perché non mi sento giusta per nessuno, perché mi bastano le cose che faccio per conto mio, le mie albe, i miei corsi, le mie ricette vegetariane, i miei film pomeridiani, l’assenza di spiegazioni, gelosie, incomprensioni, conflitti. Perché ormai ho un’età In cui una si specializza così bene nei sogni che poi non ci pensa proprio più a realizzarli pure.

La puntata di “Melog” di oggi ha dato voce ai pareri dei radioascoltatori su un tema di cui neppure faccio riferimento tanto mi ha sconvolto quello che è emerso tra le opinioni di chi ha avuto l’arditpre di chiamare ed esprimere idee che neppure l’oscursntismo più spinto sarebbe capace di contemplare. Sono davvero senza parole. Poi per fortuna la trasmissione è terminata, Nicoletti ha chiosato col buon senso e la lucidità che contraddistingue chi ormai non si stupisce più di nulla e che sa bene che in fondo il mondo non finirà neppure per colpa dello strisciare di una mentalità arcaica, reazionaria, ottusa e intollerante. Però a me ha impressionato lo stesso e ho ripensato a quello che ho provato per tutto il tratto che mi separava dalla gelateria di Milano che preferisco. Ho scelto due gusti rassicuranti, mi sono diretta al passante immaginando il taglio di capelli che avrei deciso o il colore dello smalto. E così mi sono rasserenata quasi subito.

Sono rientrata in casa e mi sono resa conto di non aver fatto la spesa. Ho aperto il frigo e vi ho trovato: due birre, un barattolino quasi vuoto di paté di olive, mezzo litro di latte e due uova. Mi pare più che sufficiente in fondo. E poi oggi  c’erano cose più importanti a cui pensare: quelle superflue prima di quelle intollerabili. E anche dopo di loro

sabato 13 ottobre 2018

Chi ti ha dato le date? Io non me le ricordo. Ma in fondo neppure le dimentico

Credo che non mi sia mai successo prima e la cosa mi ha colpito molto. E non perché sia una a cui non sfugga mai nulla. Anzi. Di base vivo in un mio personalissimo mondo fatto di convinzioni ragionevoli ma sulle quali formulo spesso ipotesi fantasiose e ingenue a cui mi aggrappo fino a severe prove contrarie. Mi piace così: non credo che l’ingenuità sia assenza di intelligenza ma proprio il contrario.
Mi è “semplicemente” successo di dimenticare il mio pranzo per il lavoro e rendermene conto soltanto al momento di consumarlo. Sembra poca cosa, ma per me che tengo così tanto a quel rituale, fatto di elaborazione attenta, suddivisione per contenitori e preparazione accurata della mia mitica borsa delle meraviglie gastronomiche, è mancanza non da poco. È come se con questa dimenticanza avessi prestato meno attenzione a me stessa. Magari  non è neppure un male. Chissà. Forse sto inconsapevolmente tentando di rompere degli automatismi che credevo fondamentali solo perché consueti e perché pensare a delle alternative può essere spesso faticoso e rischioso. Può essere che mi stia dicendo di smettere di fare, pensare, programmare sempre le stesse cose.

Se mi chiedi quale sia il mio film italiano preferito e pretendi una risposta a bruciapelo è molto probabile che io ti risponda “Bianca” o al massimo “Ecce bombo” perché Moretti è il regista che ha maggiormente segnato tutta la mia “competenza” emotiva e ideologica. Per me è scontato che sia un suo prodotto intellettuale a costituire un mio caposaldo. Bianca è il film che ho visto più volte nella vita, potrei citare ogni battuta a memoria. Eppure, se ci penso bene e provo a dare una risposta più sentita, e meglio ponderata, probabilmente risponderei “c’eravamao tanto amati” o “la terrazza”. Si, credo che Moretti sarebbe la mia risposta di pancia e di cuore, ma Scola la mia risposta definitiva di cervello, oltre che di cuore. Pure quando penso a quando è stato che ho avuto percezione di un vero amore mi torna sempre in mente una sua intervista in cui parlava di De Sica. Mai dimenticherò la commozione e l’intensità del suo sguardo mentre era intento a ricordare film ed episodi del regista che più di tutti ne ha condizionato la poetica e l’immaginario,. O quando penso a quella volta che, raccontando di Troisi, usò un’espressione che a me parve un ossimoro parlando di quella sua “intelligenza dei sentimenti”. Non c’avevo mai pensato davvero, ma il mio regista è prima Scola (e subito dopo Moretti).

Forse anche a questo può aiutare accantonare le cose che sentiamo troppo parte di noi stessi: per aiutarci a pensare ad altro e fare spazio a ciò che ci sfuggiva perché eravamo troppo concentrati su quello che già sappiamo benissimo o che abbiamo deciso ci convinca già abbastanza. Vai a sapere...

Stamattina, mentre mettevo un po’ in ordine le mie carte sparse, ho trovato un piccolo biglietto con sopra scritto “date importanti da ricordare 2018”. Non c’è ancora annotato nulla e siamo già a metà ottobre. Credo di aver sorriso come quando mi imbatto nelle liste dei buoni propositi o nell’oroscopo per il nuovo anno quando dice che il mio segno trionferà.
Ma è proprio così importante avere qualcosa da ricordare? Osservo le righe di quel biglietto senza annotazioni e mi sembrano delle occasioni perdute, degli equivoci scampati, delle esperienze ancora tutte da capire. E poi guardo i giorni ancora da venire, quelle righe su cui non ho ancora nessun diritto di parola. E penso che non ha importanza, che d’ora in avanti troverò più interessanti le cose che “deciderò” di dimenticare, o di tenere momentaneamente accantonate, cosi che ricordi nuovi trovino posto da soli, senza la necessità di essere annotati da nessuna parte. Proprio come le parole di Scola, come i film belli assieme a quelli necessari, come un pasto buono dimenticato per poi essere gustato meglio solo qualche ora dopo, nella quiete di un giorno qualsiasi ormai concluso. Forse non da ricordare. Eppure a suo modo indimenticabile

martedì 9 ottobre 2018

Quelli del piano di sopra

A volte ti pare che non ci sia altro da fare che arrendersi alle avversità impreviste. E invece le cose, qualche volta, si aggiustano anche da sole. Fino a quattro o cinque mesi fa ero tormentata dal baccano infernale e inarrestabile di certi inquilini maleducati e irrisoettosi che stavano al piano di sopra. Nello stesso periodo dei vicini di casa che ritenevo amici mi contestavano il posizionamento dei tubi di una caldaia e, come se non bastasse, all’improvviso fu emesso un regolamento che impediva di stendere i panni nel cortile. È stato un periodo molto difficile ed io ero tanto più spiazzata se pensavo alla portata infima delle ragioni per cui trovavo impossibile vivere in questa casa. Mi ricordo che ero decisissima a scappare a vivere altrove, vendere o anche svendere il mio amatissimo bilocale e comprare una casa tutta nuova all’ultimo piano di un quartiere nella parte opposta della città. Conoscendomi sono sicurissima che lo avrei fatto. Se non si fosse dato il caso che, all’improvviso si è aggiustato tutto: i vandali del piano di sopra sono andati via lasciando il posto ad una famiglia che forse è fatta di piuma. Ho tolto il saluto ai vicini ex amici, assieme a tutte le decine di pastiere che ero solita preparare per loro e alle deteststissime assemblee condominiali. Quanto ai panni nel cortile, il mio papà mi ha spiegato che non sta in cielo né in terra quel regolamento e che se si azzardano a contestare li appendiamo noi...

A volte succede. Succede che decido che mi metto da parte, senza difesa ma concentrata e in attesa e ad un certo punto, come per una strana magia, le cose si sistemano per conto loro, come a premiarmi di pazienza e buona educazione, di un tempo indebitamente sciupato e di pace negata. È una strada come un’altra. Avrei potuto alzare la voce, minacciare, indispettirmi. Invece ho aspettato, mentre mi dicevo che non sarebbe stato male, ad un certo punto di non ritorno, anche scappare e andare a stare altrove. Per ora non è stato necessario e posso ancora godermi questa strana periferia che continua pur sempre a divertirmi molto, non faccio più crostate per nessuno, non scrivo più noiosissimi verbali in assemblee condominiali a cui non partecipo e quando c'è il sole stendo i panni proprio come le gioiose lavandaie degli anni sessanta. Per me funziona così da sempre: posso sperare di vincere solo quando mi sottraggo ad ogni conflitto. E ne ne sono felice. È così che ho imparato a far finta di niente, a non rispondere alle provocazioni, ai giochi psicologici, agli atteggiamenti dispettosi. È così che mi sono disamorata di persone che adoravo ed è così che ho reso il cuore un po’ più impermeabile ma pure sempre più abile a capire cosa cerca davvero e cosa di cui non tenere più in conto. Per fortuna il senso inevitabile di delusione mi passa sempre e ad un certo punto torna ancora  prepotente la voglia di avere fiducia nella luce di un viso nuovo, di aprirmi ad altre esperienze e di fare anche le cose di sempre con un passo nuovo.

C’è, di contro, una resa che mi pare invece una sconfitta fatta e finita, come quella di vivere in un paese che asseconda una politica scellerata che se non contrastata per tempo non potrà che portare ad un baratro senza ritorno. Ma un paese non è un condominio di periferia e io non sono la sola inquilina del piano di sotto. Ma chissà , potrebbe darsi che, un bel giorno, spontaneamente decideranno anche “loro” di andar via e di non tornare mai più.
E tutto tornerà ad essere come deve essere. Come per magia. O il meritato premio di una pazienza davvero infinita...

sabato 6 ottobre 2018

A passeggio. Tra cause ed effetti. E tra affetti e piatti

Sono ritornata alle abitudini del sabato di qualche anno fa, quando, dopo la solita corsa in solitaria intorno all’areoporto di Linate, trascorrevo l’intera mattinata alla biblioteca Calvairate, uno dei primissimi luoghi in cui mi sono “rifugiata” appena approdata a Milano per cercare “connessione”. Ora rimane aperta pure di pomeriggio e quelli che ci lavorano mi conoscono e sono strani e gentili proprio come piace a me. Ho preso un po’ di film, letto un po’ di pagine di un libro e pensato a cose assurde che di solito mi passano per la testa quando corro o cammino molto a lungo, oppure mentre lavo i piatti.

Oggi, per dire, mi sono chiesta questo: può essere che certe volte una forte sperequazione sociale - che si traduce in disuguaglianza nella ricchezza posseduta - sia un fatto positivo? Ecco, poiché quando cammino presuppongo un tempo sufficientemente lungo da coprire almeno quattro o cinque kilometri, sono solita concedermi la possibilità di non darmi soltanto risposte ovvie e risolutive e provo a mettere a fuoco la questione concentrandomi su casi esplicativi. Mi pare un metodo efficace per evitare di teorizzare sul nulla. E così mi sono chiesta, ad esempio, cosa sarebbe diventato Luchino Visconti se non fosse stato così spaventosamente ricco e con una cultura tanto elitaria, davvero avrebbe potuto esprimersi allo stesso modo per realizzare così magnificamente se stesso e la sua arte? Che io sappia il suo emozionato rigore e la cura di ogni più piccolo dettaglio hanno previsto dei budget fuori controllo per i suoi film. Quando penso a Visconti, e in generale ad una certa classe sociale di abbienti “illuminati” (quella che gli inglesi definivano la “gentry”) penso che l’essere ricco possa essere quasi paradossalmente un fatto necessario.
Di contro mi sono chiesta se pure per la povertà possa farsi un ragionamento speculare. Esiste una teoria economica denominata “affamare la bestia” secondo la quale un soggetto posto in condizione di necessità è probabile che agirà massimizzando le proprie potenzialità senza dispersione nè sprechi (la propose Reagan pensando alla pubblica amministrazione...vabbè fammi stare zitta...). Sarebbe infinita la lista di artisti squattrinati che, una volta svoltato, si vantano delle loro miserrime origini come presupposto necessario del loro successo. E quindi? La miseria può essere considerata una benedizione? Forse il mio errore sta nel cadere nella trappola della “monocausazione”: un effetto non necessariamente dipende da una sola causa e quindi ricchezza e povertà sono solo una delle molteplici cause della creatività e della piena espressione di se stessi. Beh sì certo, ma non è questo il punto. Il punto è che secondo me la possibilità di esprimersi o meno in un certo modo piuttosto che in un altro è direttamente legata ad una condizione di partenza funzionale a ciò che sei e quindi essere molto ricchi o molto poveri può fare la differenza che ti serve. Forse dovrei camminare di meno...

Di tenore solo apparentemente diverso sono le domande che mi pongo sulla natura dei legami di sangue. Cosa ne stabilisce la reale portata, intensità, potere condizionante nella vita..mi chiedo spesso cosa sia peggio tra un cattivo genitore e un genitore assente. Io mica saprei davvero rispondere e, da quella volta che mi capitò di vedere “le invasioni barbariche”, credo di averci pensato tantissime volte. E poi, come ha fatto Lory del Santo a sopravvivere alla morte di due dei suoi tre figli e andare ad elaborare il suo lutto al grande fratello vip? E perché non avrebbe dovuto? Ci pensavo ieri, mentre lavavo i piatti e coniugavo la serenità dettata da un’operazione semplice ma utile col netto contrasto di questioni che non sono in grado neppure di lambire. Ed è questa “assoluzione” da attività necessaria e basica una delle ragioni principali per cui non ho mai desiderato una lavastoviglie.

Poi per fortuna smetto di camminare, mi tolgo i guanti di gomma e accendo la radio, che di sabato c'è il più bravo di tutti che è Matteo Bordone che sa sempre tutto come si deve, di certo pure le domande mie.
Finalmente mi metto in ascolto e mi dico meno male che mentre penso, o credo di farlo, faccio anche cose che, per una volta senza ombra di dubbio, mi fanno bene, mi piacciono o addirittura mi tornano utili


martedì 2 ottobre 2018

Un cono gelato in un cono d’ombra

Me lo sono concesso ieri pomeriggio. Prima della mia seconda lezione sul cinema horror. Faceva un freddo a cui non ero pronta, piovigginava e mi trovavo alla stazione Cadorna. Il mio ultimo gelato della stagione è stato quello di cioccolati italiani, dove prima di dire che gusto vuoi ti scegli la fontanella di cioccolato sotto cui passerà il cono. Mi piacerebbe sempre vedere la mia espressione mentre assisto a quell’operazione. Non avevo nessun desiderio di gelato, me lo sono quasi imposto. E poi avevo l’ombrello che mi dava noia e portavo pure una borsa piena di gadget sportivi che mi aveva appena regalato il mio ex coach: mi ha perdonato del mio non essserci quest’anno agli allenamenti del sabato mattina. Sono contenta che mi abbia pensato lo stesso e avuto voglia di salutarmi.
La piazza aveva un’aura troppo malinconica, c’erano tre o quattro ubriachi che bivaccavano sul bordo delle scalinate, indossavo abiti troppo leggeri, il gelato era buonissimo ma io non avevo abbastanza appetito. Poi ho preso la metro per andare a porta Genova, dove si tiene il corso, ma l’idea che sarei tornata a casa molto tardi non mi allettava per nulla. A me succede spesso di fare cose che mi piacciono e al contempo di pensare che le condizioni non siano le migliori per poterle apprezzare in pieno. E questo mi fa arrabbiare, perché mi pare uno spreco.

Ad un certo punto ho buttato via una parte del mio gelato traboccante di cioccolato e di variegato alla nutella, ho preso la metro con troppo anticipo e quando sono arrivata per la lezione era ancora tutto chiuso. Nel frattempo mi ha chiamato un amico che ha chiacchierato con me per il tempo dell’attesa e mi ha regalato la possibilità di vedere una cosa bella domenica prossima. Poi finalmente mi sono accomodata in prima fila. Andrea mi ha portato il foulard che avevo scordato alla lezione la settimana scorsa. Che fortunata circostanza! Nelle due ore successive ho preso un sacco appunti da “paura” per film che non ho mai avuto il coraggio di affrontare. Sono rientrata molto tardi, ma stavolta avevo il foulard che mi teneva protetta la gola e ormai non avevo più nessun bisogno di cenare. Ho aggiunto delle coperte sul letto e mi sono addormentata senza temere che i fantasmi tormentassero il mio riposo.

Ormai ho freddo ma non ho ancora tirato fuori nulla di adeguato da indossare ed è come se lo facessi apposta a non ritirarmi subito sul nuovo assetto di una stagione che si fa rigida senza preavviso. È un po’ come se intendessi rispettare una fisiologia che ha bisogno di un tempo diverso da quello esterno per poter assorbire il cambiamento. O forse coltivo la speranza folle di trovare proprio nel disagio una risposta nuova.

Oggi, come ieri, non è successo nulla di speciale, eppure come ieri e come sempre, penso a quello che non ho mai avuto il coraggio di raccontarmi davvero e che in origine fu la vera causa della genesi di questo blog e di ogni mio “resoconto”, tormento, senso di colpa, paura del futuro, dubbio e di ogni giornata grigia su cui provare a mettere colori e buone ragioni. Mi è così facile parlare dei fatti miei, confessare uno stato d’animo, esprimere una riflessione, persino stilare la lista infinita delle mie fragilità. Mai detto bugie, mai sovradimensionato entusiasmi o emozioni. Eppure neppure per una volta ho contemplato la reale possibilità di dirmi a chiare lettere come stanno le cose, quelle che non posso risolvere perché sono una condizione di fatto indipendente da tutto e che però muovono ogni mio passo, lacrima, sorriso e orrore. Stasera penso che sia davvero strano saperlo da sempre ma farci davvero caso solo quando comincia a fare freddo. E il silenzio si fa sentire proprio forte.

sabato 29 settembre 2018

Tra patrimonio/risparmio/investimento e capelli/unghie/trucco

Ormai lo conosco così bene che sono anni che non litighiamo più. Sì, ormai lo conosco e ci “convivo” da quasi un decennio e alla fine ho capito che la vera maniera di farlo arrabbiare come ho spesso intenzione di fare è quella di disinnescare le sue provocazioni, dargli ragione dal primo istante e “mutilare” il suo spirito battagliero sul nascere. L’avessi capito prima mi sarei risparmiata un sacco di discussioni furibonde, sforzi di dialettica per fargli comprendere il mio punto di vista, giornate di silenzio piccato...adesso tutto questo è risolto con un lieve chiacchierare sul nulla o di questioni di lavoro, fare battute di spirito un po’ sceme e ogni altra sorta di amenità. È così che ho risolto il mio rapporto con un collega con cui non ho nessuna opinione in comune, come non potrei averla con chiunque abbia deciso di fondare la propria esistenza su fanatismo religioso estremo e che trovi accettabile l’ idea di fondo che anima il movimento cinque stelle. Quando penso che sono in grado di sopportare lo stesso spazio con persone così sideralmente distanti da me vorrei accarezzarmi e abbracciarmi e dirmi che sono proprio una brava persona.

Sono giornate un po’ così queste, credo che le ricorderò non tanto per le assurde misure di politica economica che sono state prese per fronteggiare, così ho sentito dire, la povertà, ma per il clima di entusiasmo che ha saputo generare una cosa che ai miei occhi appare drammatica. Il fatto è che vorrei avere almeno la soddisfazione di dire a Di Maio qualcosa del tipo “Senti, io lo so che ti è successa questa cosa bella e assurda senza sapere neppure tu come sia stato possibile. E so anche che è bello sentirsi una specie di Sid Vicious della politica perché la rivoluzione vera la fai quando non tieni conto del passato (no, non si chiama più ignoranza) e proponi tutta un’altra cosa che rompe gli schemi e apre un nuovo corso. Credimi piacerebbe anche a me pensare di essere così. Però mi permetto di dirti una cosa: non sei Sid Vicious e quello che hai fatto, e che nessuno aveva mai osato fare, non è che non fosse già stato pensato, anzi sarebbe proprio il primo pensiero pure dell’ultimo dei fessi. È che porta a una tale quantità di rogne nel futuro prossimo e meno prossimo, che forse sarebbe
 stato meglio spengere il cellulare, magari sbottonarsi la camicia della prima comunione per una volta e ossigenare meglio il cervello per accogliere qualche idea veramente nuova”. Ma no, in realtà io sono contenta di non potergli dire niente e ho ancora la curiosità di sapere come se la caverà e che spiegazioni sarà in grado di dare ai figli che non ho... Sta di fatto che io, appartenente a quel famigerato ceto medio da cui è facilissimo attingere, ne risentirò di certo e non credo di meritarlo se penso che mi sono sempre trovata bene nel gestire le mie risorse così: non mi sono mai indebitata, non ho mai vissuto al di sopra delle mie possibilità, ho letto, più o meno ovunque, che la crescita finanziaria non può che essere il frutto di una composizione strategica di patrimonio/risparmio/investimento, so esattamente e sempre che utilizzo ottimale fare del mio denaro e come ottenere altre cose senza un aggravio ulteriore di spesa. Detto questo, non sono così ingenua e categorica da non sapere che l’indebitamento non sia un fatto negativo in sè, quando è una scommessa per il proprio futuro e, soprattutto, quando si sa come onorare il prestito. Ecco, io vorrei semplicemente che chi si occupa di quella parte del mio denaro che deve gestire per la collettività intera ragionasse più o meno così.

Ti è mai successo di conoscere donne molto in sovrappeso ma con un senso estetico spiccatissimo? Te ne accorgi subito osservando le loro unghie curatissime o le acconciature perfette e un trucco fatto di tempo e tecnica da professionisti. Quando le guardo, anche con molta fascinazione e interesse, mi chiedo sempre se la difficoltà di risolvere il problema del peso non trovi conforto e compensazione in palliativi consolatori di più facile realizzabilità (capelli/unghie/trucco) e che l’orgoglio curvy in realtà non sia un pretesto per arginare il problema senza chiamarlo resa. Mi chiedo sempre quanto sarebbero orgogliosamente curvy se fosse possibile dimagrire  senza mettersi a dieta per un tempo ragionevolmente lungo e impegnativo.
 Cosa voglio dire? Ma che ne so...mica sono la Sid Vicious delle metafore io... però se vado dal mio collega, quello con cui non litigo e che si indebita da quando ha cominciato a lavorare e che poi non ha mai più smesso, sono sicura che la capisce. E chissà, forse un giorno capirò persino io


martedì 25 settembre 2018

Che orrore! Oppure no?

Tanto lo so che su certe cose ci prendo sempre. È da stamattina che faccio una “capa tanta” ai colleghi sulla mia passione nuova nuova per i vampiri. Quando mi sono iscritta al corso sul cinema horror ho pensato che dovevo sfidare la mia paura per questo genere e allo stesso tempo fidarmi di chi mi avrebbe accompagnato in questo percorso. Andrea è davvero molto bravo, come lo sono per me tutte le persone che mi tengono agganciate alle cose che raccontano. Mi piace moltissimo la sua impostazione e mi interessano le cose su cui si sofferma e il modo in cui riesce a coinvolgere. Di solito, per me, la prima impressione su certe cose equivale alla verità. È pr questo che stavolta mi guarderò bene dal chiedergli l’amicizia, rischiando così di corrompere il fascino e l’aura magica di cui per il momento l’ho investito. È un ragazzo bello e interessante e non gli permetterò di farmi cambiare idea avendoci a che fare. Io proverò a tenermi strette le sue lezioni almeno fino a quando riuscirò a conservare questa sensazione. Uh...che si deve fare per costruirsi qualche angolo di paradiso che non svanisca troppo presto...

Sono entrata in ufficio molto tardi perché sono andata prima in un posto per cercare una cosa (che non ho neppure trovato) in una zona molto elegante di Milano dove ci sono agenzie di moda o uffici per grandi affari. Erano le 7:30 quando ho preso una metro che esplodeva di persone animate da scopi diversi ma col comune obiettivo di resistere a quel tratto di viaggio così disagiato. Poi sono arrivata in Porta Genova e la strada che ho percorso era già affollata da persone vestite molto eleganti, agganciate al cellulare e che procedevano a passo molto più spedito del mio. Credo che sia stato in quel momento che ho pensato a quanto di solito siano fortemente atipici, rispetto a questo, i miei inizi di giornata. Questa mattina, più che mai, mi sono resa conto di quanto sia stato vitale per il mio pur precario equilibrio mentale, alzarmi molto presto ed avere rituali molto disciplinati ma privi di fretta e concitazione. Guardando quei volti così assonnnati ma accigliati, già immersi nei cellulari e mantenendo fastidiose pose precarie sui mezzi, ho avuto nostalgia dei miei soliti esercizi spaccacuore, del tappetino su cui aspetto che il battito si regolarizzi, della doccia lunghissima dopo il primo caffè e prima del secondo. Mi sono resa conto di quanto sia rassicurante il gesto sempre uguale di indossare le cuffie piene della musica che mi serve per coprire i 42 minuti a piedi per arrivare al lavoro e che tutto questo accada nella più totale solitudine e prima delle 7:30 del mattino.
Il mio limite è fidarmi molto spesso delle mie sensazioni e la trappola in cui casco è quella di credere che gli altri starebbero davvero meglio se accettassero lo sforzo che questo a volte comporta. Forse addirittura il mio errore sta ancora più a monte e cioè nel pensare che in quei volti ci fosse davvero del malcontento nel loro eccesso di frenesia o anche solo nel prendere una metro in cui a certe ore puoi morire soffocato ... Il problema è forse invece proprio mio, che potrei anche impazzire per così poco se pensassi di cominciare le mie giornate come oggi.

Intanto ieri ho cominciato ad incontrare i miei demoni e mi hanno molto divertito. Forse un giorno arriverò addirittura ad abituarmi ad andare al lavoro in autobus piuttosto che ascoltare la musica camminando a piedi per quarantadue minuti, per ben due volte al giorno. Per il momento mi pare impossibile.
Ma il corso sul cinema horror è appena cominciato e io voglio imparare proprio tutto


sabato 22 settembre 2018

La penso come me. Per fortuna non sempre

-Allora? Come è andata questa nuova esperienza?
-Beh direi bene. Questo primo corso era leggermente tecnico ma molto interessante. Il clima è bello e il coordinatore mi è piaciuto da subito. Ma tranquilla, stavolta niente confidenza a nessuno. Purtroppo mi mancano gli amici dei corsi di Massimo. Lui invece è completamente sparito dal mio profilo, pur ritrovandolo in tutte le nostre conoscenze comuni. Si vede che non gli andavo a genio e non lo avevo mai capito. Ci può stare, sempre meglio che averlo offeso per qualche ragione di cui non mi sono resa conto. Vabbè, in fondo che posso farci...ora che ci penso avrei potuto capirlo già quelle volte che gli compravo i libri e non me li firmava neppure. Ma possibile che sono sempre così tonta!?!
-Sei proprio una bambina. Ma ormai puoi anche non pensarci più e i tuoi amici puoi rivederli quando ti pare, se lo vorranno anche loro. Piuttosto, non ti sembrano un po’ troppi i corsi che hai deciso di seguire?
-Sono cinque. Sì sono tanti, ma credo di non aver mai avuto tanta voglia di fare cose quanto in quest’ultimo scorcio d’anno e in fondo questa mi pare proprio una bella cosa
-Sarà...eppure non mi convinci. Cos’hai?
- Proprio niente. È tutto a posto, sto solo cercando di ritarare il mio comportamento per evitare di lanciare messaggi distorti. Per dire, il coordinatore di questi nuovi corsi è proprio carino e gentile e io già tremo all’idea che potremmo diventare amici e che all’improvviso possa smettere di essere proprio carino e gentile. Non voglio mai più permettere alle cose che mi sembrano belle di avere l’occasione di non esserlo poi davvero
-Lo sai? Stavolta non me la sento di darti addosso. Mi sembri particolarmente indifesa stasera e la cosa mi pare tanto più strana se penso che hai trascorso una bella giornata. Hai ragione quando pensi di non comprendere ciò che provano davvero le persone e come sentono di doverti trattare. Ma non ho risposte o antidoti da offrirti. Non so dove sbagli davvero e se siano davvero utili strategie o artifici per garantirsi di piacere sempre agli altri. E poi conosco lo spirito con cui fai le cose a cui tieni...soltanto, ti prego, smettila di preparare torte e biscotti per tutti...non è proprio il caso, credimi
-Dici? In effetti hai ragione anche a me non piace più come manifestazione d’affetto
-Semplifica tutto. Chiudi i fornelli, non andare più al lavoro a piedi, vai ancora più spesso al cinema, accetta almeno qualche invito...
-Ma smettila...stasera però siamo sulla stessa lunghezza d’onda. La pensiamo allo stesso modo...eppure
- ...eppure c’è qualcosa che non va...persino quando si è in pieno accordo con se stessi
-Olè...ma che fortuna!