Sola andata

Sola andata

mercoledì 31 gennaio 2018

Brevi storie. Buone fino a tutta una vita

Molti anni fa, pochi giorni prima di trasferirmi a Milano, mi trovavo in Inghilterra assieme ad una persona che mi piaceva tanto. Lui lavorava lì in una società che aveva un’organizzazione che mi pareva la cosa più vicina al paradiso in terra che potessi immaginare. Nel tempo libero organizzavamo gite fuori porta nei luoghi più belli consigliati dalla lonely Planet: ci alzavamo presto, ci davamo un bacio, uscivamo di casa e non ricordo una sola volta in cui non fosse tutto perfetto fino a sera, quando rientravamo stremati. Nonostante questo non ho mai pensato, neppure per un istante, che sarebbe durata: sarei andata a Milano, avrei dovuto cercare casa, organizzarmi una vita tutta nuova, la lontananza, le troppe incognite...però quel periodo lì con le gare in cucina, il tinello in perfetto stile inglese con la finestra bombata da cui una volta una signora ci salutò mentre ci osservava baciarci, i film di Wenders visti dal computer appoggiato su un piumone pesantissimo, il microonde comprato in un negozio stranissimo senza commessi e trasportato di peso a piedi fino a casa. Mi ricordo di serate luminose lungo il fiume, di cibo inglesissimo che trovavo divino, i pub con le immancabili tennent’s che amava tanto...
Poi partii per Milano e dopo qualche mese ci lasciammo. Lui aveva conosciuto in chat una ragazza e le si legò prima di vederla dal vivo. Io piansi moltissimo per un po’ di giorni. Poi mi passò ma non arrivai mai ad odiare o provare rancore per quel ragazzo così intellettualmente stimolante, simpatico e gentile. Pensai che fosse durata il giusto e che d’ora in poi avrei dovuto concentrarmi sulla mia vita gia così piena di cambiamenti.

Qualche giorno fa una persona cara ad entrambi e che frequentiamo tuttora mi ha portato i suoi saluti e inoltrato una foto molto bella di noi due in un ristorante di Bath. Quella foto la conservo anche io perché siamo entrambi molto carini e quella giornata fu proprio bella e piena di luce. Mi sono ricordata pure di una cosa che avevo scordato: un messaggio molto dolce inviatomi il giorno prima che si sposasse (non con la ragazza della chat). Anni dopo mi è stato riferito che sono stata la sola a cui riservò un pensiero simile. Ecco io credo che stia in questo il vero senso di certi legami, perlomeno dei miei: andare oltre gli eventi “separatori”, gli apparenti incidenti di percorso o il dialogo interrotto. La continuità del ricordo, la confessione di un rammarico fatta alla nostra comune amica (veramente per me è qualcosa di più), le foto da riguardare e i momenti che non sono mai veramente passati. A me basta così per giustificare quelle lacrime di allora, assieme all’assenza di rancore o di toni indispettiti e all’accettazione per ciò che di bello non è riuscito ad essere pure durevole. 

Da allora non ho più avuto il privilegio di costruire ricordi di pari valore. Credo di aver provato sentimenti di profondo affetto e per tanto tempo, ma erano rivolti ad una persona che mi ha così spoetizzato che oggi vorrei che non fosse mai accaduto. L’indifferenza che provo ora ha cancellato ogni istante condiviso e che trovavo prezioso. Si è azzerato il valore di tutto. E questo per me non è utile, non ha senso, mi fa solo pensare che sia un vero peccato perché mi costringe a riconoscere un errore evitabile.

E così stasera ho pensato che è la seconda volta che mi trovo a raccontare quella breve storia d’amore e d’amicizia, passata e ormai lontana nel tempo. Eppure, di tanto in tanto, si arricchisce ancora di qualche nuovo elemento, si ravviva e ne ripercorre di nuovo i momenti topici. Proprio come succede per certe belle storie riuscite. Quelle che arrivano a durare persino tutta una vita


sabato 27 gennaio 2018

Registrare atti. E attimi

C'è una parte del mio lavoro che svolgo con un certo sacrificio, non perché particolarmente complessa ma a causa della sua natura di attività rivolta al pubblico. Per me che sono una finta estroversa la fatica è doppia poiché le persone pensano di trovarsi al cospetto di una figura accogliente, propensa alla conversazione e all’ironia e dotata di una predisposizione d’animo totalmente distesa. Non è così. O meglio, io in realtà mi mostro così ma al prezzo di disagio, tensione, senso di inadeguatezza. A volte però succede tutt’altro, magari perché mi ritrovo ad interloquire con persone particolarmente simpatiche, qualche anziano con aneddoti interessanti, signore amanti dei gatti con cui condividere episodi buffi. Oppure perché arrivi al mio cospetto un uomo come quello che ho incontrato ieri. Quando si è presentato, col suo preliminare da registrare, non ha detto molto e io ho subito cominciato a controllare le sue carte senza dire nulla. A un certo punto si accorge del mio orologio sportivo pieno di funzioni che non mi servono ma delle quali sono molto orgogliosa quando vengono notate. A quel punto è partita una divertente conversazione da cui ho scoperto che pratica pugilato, che ha trentotto anni, che prima faceva judo a livello agonistico, che ha una voce fantastica ...e che non sarebbe stato necessario che io avessi troppa fretta di concludere l’operazione in un tempo da produzione fordista. Ho alzato gli occhi per sorridere ad una sua battuta e lui se ne è compiaciuto. Credo che sia stato quello il momento in cui mi ha raccontato che il pugilato era arrivato come reazione ad una brusca separazione dalla moglie, originata da un lutto per la perdita della seconda figlia. Per mesi lei gli aveva negato di vedere il primo figlio di sei anni e lui stava diventando matto. Gli ho chiesto se poi avesse risolto e lui mi ha detto che è stato fortunato, che hanno raggiunto un accordo e che la cosa era stata tanto più complicata in quanto si trattava di un matrimonio misto. Io l’ho ascoltato interessata e poi colpita da una sua frase espressa con più forza di tutto il resto, quando ad un certo punto ha detto “io voglio fare il padre. Questo non può essermi impedito”. Intanto io avevo quasi finito di fare quello che dovevo per lui e mi è sembrato carino a quel punto riportare la conversazione sullo scherzo, farlo sorridere di nuovo e compiacermi che volesse sapere se anche io fossi libera. Ho dirottato subito l’argomento mostrandogli una funzione avanzata del mio orologio super tech e poi l’ho salutato come se fosse un amico con cui vorrei andare a correre tutte le mattine. Saranno passati dieci minuti. Non di più. Non ricordo assolutamente quale fosse il nome di quell’uomo bello e “centrato”. Probabilmente non lo rivedrò mai più e comunque se accadesse non credo che sarebbe la stessa cosa. Eppure sarebbe stato un peccato non incontrarlo per nulla.
Per quanto mi riguarda, invece, penso che dovrei ricordare più spesso che tutte le volte che sono costretta per lavoro, o per qualsiasi altra ragione, ad uscire dalla mia comfort zone in realtà con ogni probabilità sto per farmi del bene. Almeno qualche volta. Per qualche minuto che poi chissà decide di fermarsi più a lungo.

martedì 23 gennaio 2018

La lista dei non desideri da realizzare assolutamente

Qualche anno fa, quando ancora conducevo una vita molto poco domestica, ho partecipato ad una serie di incontri tra autori, registi, sceneggiatori in quello spazio suggestivo e immaginifico che è il museo interattivo del cinema. I diversi dibattiti erano moderati da giornalisti e critici di cinema e io me ne stavo lì, per l’intera giornata ad ascoltare tutti. In una di quelle volte c’era anche Luca Guadagnino, regista che non credo di conoscere e apprezzare abbastanza ma che all’epoca mi colpì molto per l’ego piuttosto ingombrante e una certa vis polemica sulla capacità del suo ambiente di valorizzare il vero cinema d’autore. Ricordo che lo trovai abbastanza sgradevole e poco simpatico anche per quel suo ritenersi il figlio legittimo di Bertolucci, per certo snobismo nella scelta dei finanziatori, per l’eccesso di compiacimento nel dire “la mia amica Tilda” e pure per il malcelato rancore verso il mondo accademico che a suo tempo non gli concesse la cattedra che desiderava.
Poi mi sono ricordata del motivo per cui conservo comunque un buon ricordo di quell’incontro e della giornata nel suo complesso. Successe al buffet. C’era un giornalista che si chiama Enrico Magrelli (credo lavori ancora per radio tre) che mi era molto simpatico e ad un certo punto punto, non so per quale ragione, io avevo in mano una bottiglia di vino e stavo per riempire il suo bicchiere. Ma lui mi ringraziò ma disse che non lo avrebbe mai permesso. Si riempì il vino da solo. E io lo trovai davvero gentile (resta da capire cosa ci facessi io col vino in mano). Fu una bella giornata. In bocca al lupo a Guadagnino per gli Oscar che spero meriterà.

Sono molto raffreddata e mi sento un po’ stordita, ma in fondo sapevo che non l’avrei fatta franca e che la ciclicità di certe esperienze non si interrompe con un semplice auspicio. Forse è per questo che stasera, mentre danno un film di Moretti che mi diverte sempre tanto, mi sono chiesta se sia possibile stilare una lista delle cose che non farò. Anzi, mi piacerebbe proprio poter fare un miscuglio delle cose che non farò mai, di quelle che non farò mai più e di quelle che solo per il momento non farò, secondo un ordine che non renda possibile capire di che natura sia il mio “non fare”. Sono convinta da sempre che le liste siano un modo comodo ed efficace di tenere le cose sotto controllo e scandire una ipotetica tabella di marcia per raggiungere prima e meglio un obiettivo. D’altro canto hanno il difetto di ingabbiare le scelte e limitare la libertà di movimento. Sono come delle scatole chiuse. E così stasera mi sono detta che se invece parto da tutto quello che lascio fuori, ovvero tutto quello che non voglio assolutamente o che non è ancora pronto per me, ecco che all’improvviso è come se avessi a disposizione una scelta illimitata in cui individuare tutto quello che davvero non voglio, non voglio...e non voglio, anzi ciò che non voglio più, non voglio per ora, non vorrei mai. In ordine sparso potrei dire che per esempio potrebbe trattarsi di cose di questo genere:

- Dipendere materialmente e/o affettivamente da qualcuno
- mangiare carne e pesce
- frequentare uomini sposati
- smettere di fare sport
-Votare a destra o il m5s
- litigare per questioni di principio
- comprare barrette sostitutive dei pasti
- tornare dopo troppi anni nei posti in cui sono stata felice
- leggere un libro di Fabio Volo
- tagliare i capelli corti
- cercare alibi per i miei errori
- ingrassare (almeno non in modo irrimediabile)
- smettere di credere che dietro un qualunque angolo ci sia...ci sia...chi c’è?

Il film è appena finito. Il Papa ha detto che non ce la fa. E in fondo che male c’è: il mondo deve essere anche a misura della nostra fragilità e vulnerabilità e non per questo cessa di essere un’avventura gloriosa, incosciente, esilarante.
Passiamo la vita a progettare desideri da realizzare senza considerare che quelli da non realizzare sono inevitabilmente molti di più e la maniera di non realizzarli può darci le stesse immense soddisfazioni. E così stasera ho pensato che la vita, al netto dei desideri, abbia veramente una marea di spazio in cui muovermi, scegliere e nella quale prendere le mie distanze oppure no. Forse era per questo che quel giorno avevo una bottiglia di vino in mano. Io. Che non bevo mai



giovedì 18 gennaio 2018

Cos’altro è un ricordo se non un ex post?

Alla fine mi ritrovo a farlo sempre, pure se mi ero ripromessa di no. Tutte le volte che cedo alla tentazione di rileggere cose scritte esattamente un anno precedente mi lascio prendere da un misto di tenerezza, imbarazzo, qualche volta compiacimento ma più spesso giudizio severo. Sì, perché al netto di una qualità di scrittura su cui sarebbe il caso di lavorare molto, per non parlare della punteggiatura messa totalmente a caso, dei refusi e di tutte le scelleratezze linguistiche di cui giustamente mi scuso ad intervalli regolari (a consolidare tutte queste “belle” qualità c’è che non rileggo quello che poi pubblico se non dopo che mi sono accorta che qualcuno ci si è soffermato)...dicevo, al netto di tutto questo comincio a trovare anche molto sano questo mio ritrovarmi in un passato più o meno recente con al mio attivo un pezzo di futuro che nel frattempo si è compiuto offrendomi qualche risposta.

Il post dell’oggi di un anno fa è uno di quelli che ricordo con più affetto, perché descrive una sensazione a caldo su un fatto di cronaca molto grave come la tragedia di Rigopiano, si sofferma su un film che mi era molto piaciuto e, come spesso mi succede, mi offre l’occasione di provare a capire quanto stiano in piedi certe mie categoriche convinzioni sulla grammatica dei sentimenti. Grazie, sempre grazie caro “accadde oggi” che mi ricordi che ho scritto cose che qualcun altro ha addirittura letto, commentato e persino apprezzato, mentre io mi limitavo a parlare dei fatti miei, che forse soltanto miei non erano.

Oggi pomeriggio ritornerò a Milano. Come speravo è filato tutto liscio tra affetti, riposo, terme, cibo, micio, vecchi film...davvero non potevo sperare di meglio, a parte la solita solfa “adesso devi trovare il modo di tornare qui per sempre”.
Sarò onesta, forse stavolta anche io ho meno voglia di risalire e riprendere i miei ritmi in parte obbligati e in parte auto inflitti, eppure penso che sia giusto così e che per il momento il mio posto sia ancora quello. Milano rappresenta ancora il senso di responsabilità, della curiosità da soddisfare, delle sfide da affrontare senza il paracadute di qualcuno che mi protegga, è ancora quell’idea di “solitudine necesssria” che vorrei mi educasse ai rapporti perfetti. Quando penso a questo un po’ mi spavento e poi subito mi ripeto che invece è proprio giusto così.

Un anno fa un amico in chat discuteva con me di certe cose che avevo scritto e mi prendeva un po’ in giro proprio per contenuti e forma. Non ricordo chi fosse ma mi piace pensare che possa rappresentare un generico avventore delle mie personalissime sciocchezze pubbliche che un po’ si riconosce in certe mie peripezie esistenziali e un po’ è semplicemente curioso di sapere dove vada a parare la vita normale di una persona dalle insicurezze decise.

Tra un anno leggerò che oggi ero nel lettone di una mansarda troppo poco vissuta, tra lenzuola profumate come non riescono ad essere a Milano a ricordare che un anno prima raccontavo cose che sento ancora oggi e forse pure tra un anno pari pari. E così ho pensato che io i cambiamenti li noto meglio solo se ad intervalli regolari faccio esattamente le stesse cose. Come prendere appunti e lasciarli sospesi in un tempo che riaffiora. Così, giusto per ricordarmi che scrivevo, male, cose che in fondo però capivo bene mica soltanto io






lunedì 15 gennaio 2018

Acqua (termale) passata

Sono ritornata dopo tanti anni alle stufe di Nerone, una stazione termale situata in un posto molto suggestivo a Bacoli, sul lago d’Averno. In passato era un mio rito del sabato mattina, nei mesi caldi perché mi piaceva prendere il sole nell’ampio giardino esterno e immaginare gli antichi romani che pare che infastidissero molto Seneca  che dalla sua casa li sentiva schiamazzare ed esercitare ozio molle e rilassatezza dei costumi. Io ci sono rimasta per tre ore: ho cominciato con una vasca termale con idromassaggio sperando in un miracolo per la mia spalla bloccata. E poi sono entrata in una sauna esageratamente calda. Con me, in quella grotta piuttosto buia e le foglie di eucalipto alle pareti c’era un uomo molto bello, certamente sportivo e come me faceva molta fatica a sopportare quel caldo pazzesco. Ad un certo punto ha deciso di rivolgermi la parola e mi ha detto: “non so lei quanto riesce ancora a resistere ma io tra poco dovrò uscire”. Mi ha davvero stupito quella spiegazione non richiesta, poi ho pensato che le strade del machismo sono davvero infinite e addiritttura si sentono interrotte da una femminuccia che riesce a resistere in sauna un secondo in più. Quando anche io mi sono sentita morire in quella simulazione fedele dell’inferno sono corsa fuori, ho fatto una doccia gelata e sono piombata sulla sdraio rimanendo in uno stato di trans per almeno mezz’ora. Ero umida e molto assonnata, in una stanza dove è obbligatorio il silenzio e mi sono resa conto che da quando sono a casa non ho mai pensato all’ufficio neppure per un istante, che non eguaglierò mai la parmigiana di mia madre,  che ci saranno le elezioni e vincerà la destra, che non è vero che un debito pubblico elevato sia il peggiore dei mali se il denaro da indebitamento è usato come si deve, che quando sono qui in questa casa così grande con gli alberi pieni di arance, mandarini e limoni buonissimi poi un po’ li capisco i miei se pensano che sia una folle a vivere a Milano in due stanze. Ma io ero nel dormiveglia, un po’ sognavo, un po’ pensavo che in fondo meno male che non ho figli e per la restante parte mi chiedevo se davvero fosse giusto così.

La prima volta che entrai in quella sauna prima di oggi ero una dottoranda in economia che faceva la pendolare alla sapienza di Roma. Capii quasi subito che al termine di quell’esperienza triennale non avrei proseguito quel percorso: mi interessava indagare le cause della povertà e della vera natura dello sviluppo economico, ma mi mancavano troppe buone qualità per riuscire seriamente in tutto questo...
Ricordo che su quella sdraio provavo a disegnare altre ipotesi di futuro, che avevo piena fiducia nella mia capacità di farcela ad inventarmi nuove opportunità, che ero molto orgogliosa delle mie gambe e che ero tanto innamorata.

Oggi invece era una rigida giornata invernale, dei dolori alle ossa che forse in parte merito, meno curiosità per il futuro, vado meno fiera delle mie gambe e purtroppo ho il cuore spento e atrofizzato (ma mica è detto che questo sia poi un male). Eppure mi è sembrata una giornata così bella. Gironzolare senza imbarazzi avvolta da un telo bianco, proprio come un’antica romana, in un ambiente promiscuo ma silenzioso e rilassato, ha dato un sapore magico alla mia mattina invernale in un luogo familiare ma estraneo al tempo stesso. Che strano corto circuito.

Sono rientrata giusto per l’ora di pranzo. Ad aspettarmi c’era una zuppa di lenticchie divina, la parmigiana obbligatoria. E poi un panettone artigianale di Milano. E le arance succosissime e fresche del mio albero. Credo che non mancasse nulla. Chissà se Seneca avrebbe avuto qualcosa da ridire pure oggi...

venerdì 12 gennaio 2018

Bagaglio leggero (per corpo e anima)

Direi che sia sufficiente anche così. Domani sera, più o meno a quest'ora,  sarò giù. Di solito papà viene a prendermi alla stazione con in mano un grosso panino avvolto nella stagnola pieno di parmigiana fino a scoppiare e io, superando ogni inibizione, non aspetto nessun tempo per consumarlo. Ho messo un po' di cose in valigia, steso i panni, smaltito le cose deperibili e ordinato casa alla stessa maniera di certe adolescenti svogliate che tentano di mettere a tacere una madre assillante. Di mattina correrò con gli amici, farò altre cose più o meno inutili e poi partirò. E riposerò con tutte le mie forze.

Ieri sono rimasta in ufficio soltanto un'ora. Sapevo che non avrei resistito al prevedibile mal di testa da notte in bianco e da ripetute in salita dell'alba e così ho approfittato del mix di oki e aspirina per chiudermi in un cinema a vedere un film splendido su un sogno d'amore che prima di farsi carne si compie nella sospesione di un mondo altro, non intaccato dall'imprecisione dei corpi, della vita o del controllo inevitabilmente parziale delle proprie emozioni. Corpo e anima apre la mia classifica dei migliori dell'anno.
Di sera ho rivisto un amico, dopo un po' di mesi, che mi ha detto che sono proprio bella con i capelli così lunghi e io ho sperato in quell'istante che gli uomini gentili non abbiano mai il timore di esserlo troppo. Vanno benissimo così.

Non riesco a smettere di pensare ad una cosa che ha detto la figlia di Vittorio Taviani durante la presentazione dell'altro ieri. Ha detto che ormai il tema dell'amore non è una priorità del contemporaneo. Forse è vero, lo avevo intuito anche con una dichiarazione di Gazze' di un paio di anni fa: lui diceva che amava sentirsi padre (ha avuto quattro figli da due donne diverse) ma non più compagno. E a me colpì moltissimo, ma siccome ho sempre considerato la famiglia e la coppia come due concetti totalmente distinti, trovai ragionevole quanto affermava nella misura in cui la famiglia ha ormai frantumato ogni paradigma classico su cui ha garantito la sua stabilità fino ad oggi. Ma a me  interessa solo la coppia e trovo molto triste che non ne sia più possibile una felice realizzazione, magari cambiando i parametri di riferimento, abbandonando certo romanticismo incompatibile con un mondo che impone altre dinamiche, persino includendo la possibilità che non possa durare per sempre...ma che conservi la poesia, l'incanto e l'unicità. Pure a tempo determinato, se è proprio necessario. Altrimenti che senso ha fare tutto il resto?

Quest'anno si festeggiano i cinquant'anni dal '68. Io non credo che abbia colpito nel segno e che gran parte dei suoi più autorevoli esponenti si siano pienamente allineati ai modelli che dicevano di voler sovvertire. Non ho perso neppure una puntata del programma "le ragazze del '68" e mi piacerebbe tanto sapere quanto avrei fatto parte di quel mirabolante fermento, quanto ci avrei creduto e poi che fine avrei fatto. Forse avrei semplicemente indosssto quei meravigliosi pantaloni di velluto a costine, le clarks, i dolcevita neri, i capelli lunghi con la fila al centro e le collanine colorate. In realtà sono stata anche così perché quella moda è tornata. Credo che il mio problema sia proprio questo: pensare che lo spirito del tempo sia sempre visivamente rappresentabile da qualcosa o qualcuno che me lo spieghi senza chiedermi nulla in cambio. E invece troppo spesso non considero il fatto che dentro ci sono pure io e che posso persino continuare a credere in quello che mi pare, a prescindere dallo spirito del tempo, dai trend, dai cicli o dai paradigmi che cambiano. A volte mi sfugge che l'amore vero possa esistere davvero. Per quanto raro. Forse introvabile ma ancora possibile. E rivoluzionario. Ma ciò che neppure si sogna, mi pare cosa quasi certa, non si può realizzare davvero mai...









mercoledì 10 gennaio 2018

andare a kaos

Non ho ancora tirato fuori la valigia. Non ho preparato nulla, per giunta ho pure troppe cose in frigo da smaltire e almeno due lavatrici da fare. Non sono pronta a partire tra così pochi giorni. Lo scorso anno ero già lì ad affrontare un inverno più rigido di così persino giù al sud, trascorrevo allegre giornate in giro tra parenti amici e cappuccini fatti bene e avevo già smesso di piangere per futili motivi. Invece quest'anno sono ancora qui e mi compiaccio di aver ripreso a trascorrere molto tempo fuori casa. Negli ultimi mesi mi ero adagiata su ritmi molto "impiegatizi": a parte qualche film imprescindibile a cinema, ho preso l'abitudine di tornare subito a casa, cucinare velocemente, leggere poche pagine di cose poco impegnative e addormentarmi presto. Credo di aver perso molto ma devo ammettere che non è niente male procedere per sottrazione ogni tanto. Ora che ci penso fu proprio la mia latitanza domestica la vera ragione per cui decisi che Pablito emigrasse dai miei. Oggi non so cosa darei per ritrovarmelo in giro per casa.

Mi sono "addomesticata": mi piace sempre di più starmene qui, senza trucco ma vestita come quando sono fuori e rigorosamente con le scarpe (non ho pantofole perché mi fannno orrore). Mi piace ascoltare in loop il disco di Colapesce che ormai monopolizza lo stereo da settimane, e quest'odore cronico di curry da far invidia a un pakistano. Le ultime due settimane, o forse più, sono state così, intervallate dalla mestizia di sale cinematografiche nelle quali, per la totalità delle volte, ho dovuto chiedere di spegnere il cellulare che abbaglia...ormai me ne sono fatta una ragione eppure, per quanto sia timida e piuttosto tollerante, a questa cosa qui non riesco a soprassedere...

Anche oggi a dire il vero  sono rientrata tardi. Sono stata al Mic per una sorta di seminario, seguito da film, tenuto dalla figlia di Vittorio Taviani. Interessantissimo e bella la riproposizione in pellicola del film "Kaos", tratto dalle "novelle per un anno" di Pirandello e del quale avevo visto solo l'episodio "la giara". Pure oggi c'era un cellulare acceso, ma me ne sono stata zitta e sono stata felice di essermi rassegnata a un trend negativo che non sarò certo io capace di interrompere, o forse ero davvero contenta di stare lì, in quel posto ineffabile, che trovo sempre tanto lontano da dove abito io, a vedere un film di cui mi pareva di sentire tutti gli odori e i sapori del sud. Anche stavolta, fuori dal lavoro, ero tentata di tornarmene nel mio guscio caldo, sul solito divano a rimandare ancora le valigie da preparare e a sbadigliare da quando finisce blob. E invece  c'era un pezzo di Italia che forse mi riguarda prima e più di Milano e che con quella amara condizione fa i conti ancora oggi. Pareva ammonirmi di non aver ancora preparato le valigie e che non c'entra proprio niente il fatto che non creda nelle radici e nell'appartenenza. Io sono partita da lì, da una terra sfortunata, sfruttata e martoriata che ha una storia completamente diversa da quella del luogo in cui vivo ora, dove è vero che mi è più facile trovare pace, ma qualche volta rischia di impigrirmi e annoiarmi.

E così stasera ho deciso che farò tardi, preparerò le valigie con Pino Daniele in sottofondo, carico la lavatrice. Tutto il resto riuscirà a metterlo in ordine il "kaos"

venerdì 5 gennaio 2018

Solo una questione di tempo. Magari più di una. Purché sia pieno (ma no, anche parziale)

Direi che funziona. Il giochino di tirar fuori dal freezer dei sandwiches di cui non conosco il ripieno rende molto divertente l'attesa di un pranzo bilanciato, come solo una mamma amorevole, e non lavoratrice, potrebbe fare. Congelando quelle meravigliose fette di pane americano, con i ripieni vegetariani (sì, ho davvero deciso di tornare a non mangiare carne e pesce) più saporiti che potessi inventarmi, mi sono garantita una copertura di  oltre una settimana di "accudimento" preconfezionato. Se voglio evitare di lasciare fegato e stomaco su un tavolo cinese di viale Molise non mi resta che fare così e darmi in pasto ai  miei menù fissati, almeno quanto me.

Tra una decina di giorni tornerò un po' giù dai miei.  Spero di riposare, andare alle terme, concentrami un po' sulle solite questioni che lascio sospese perché mi viene sonno sempre un minuto prima di risolverle, sperare che i miei non mi ripetano troppe volte che devo assolutamente tornare perché a Milano è impossibile che possa stare meglio che lì da loro. Tanto accadrà e io darò sempre le stesse risposte di circostanza legate ad una impossibilità oggettiva e che non è vero che starei meglio.
Ma tant'è, è un piccolo pedaggio che ormai pago volentieri perché so bene che la loro nostalgia è motivata dal vedermì così poco e senza tenere conto che certe antiche dinamiche  potrebbero avere memoria pericolosamente lunga.

È già quasi passata la prima settimana del nuovo anno, ho al mio attivo un solo film che mi ha un po' affaticato ma pure riacceso certa nostalgia per un certo cinema militante di cui credo ci sia un bisogno fortissimo. Ora come non mai. Mi sento ancora un po' gonfia, nonostante continui a stare un po'attenta e a muovermi, e comincio ad avvertire la stanchezza di chi si è voluta  portare in dote quindici giorni di ferie del vecchio anno perché la paura di usare male e sprecare il tempo tutto mio è una specie di ossessione che mi perseguita. Vorrei poterlo congelare come faccio col cibo e godermelo quando capirò che mi serve davvero. Ma non funziona così ed è una delle ragioni per cui ormai da tanto ho persino smesso di immaginarmi come una potenziale madre, perché - non lo nego - è una questione che ho affrontato persino io che non ho mai avuto voglia di fare un figlio con nessuna delle persone che la sorte mi ha concesso di incrociare. Se un regalo il tempo ha voluto concedermi è stato quello di non farmi pentire per ciò che non è stato e di non offrirmi più la possibilità di pensare che potrà ancora accadere. Raro caso in cui il tempo risolve tutto da solo.

Per la verità stasera avevo voglia di parlare d'altro: volevo raccontare le piccole schegge di luce di una tranquilla giornata lavorativa  in cui ad un certo punto è passato a trovarmi un collega molto dolce che spesso mi aggiorna sui suoi cambiamenti radicali, vista la possibilità che si è dato di lavorare solo per un breve periodo dell'anno. Ho scoperto che anche lui ogni tanto ascolta le conferenze di Igor Sibaldi ed entrambi siamo d'accordo sul fatto che, a prescindere dalla credibilità di quello che dice sulla percezione sensoriale come qualità da potenziare per realizzarsi pienamente, è uno che fa piacere ascoltare. Ci siamo salutati e lui è andato via assieme a tutto il suo tempo a disposizione. Io invece sono tornata alla mia scrivania.
All'ora di pranzo è passata la mia ex collega di stanza. Ieri mi ha portato un regalo che non mi aspettavo, mi ha detto che si sente ancora legata e che per lei era normale avere un pensiero per me e mi ha chiesto di pranzare assieme anche se sa bene che di solito quello è il momento in cui preferisco estraniarmi "dentro" al mio iPad. Mi ha fatto piacere assecondarla e usare quel tempo per chiacchierare con lei e un altro adorabile collega. E così ho tirato fuori il mio sandwich scongelato, ho sperato che fosse quello con la mozzarella col paté di olive nere  e gli spinaci saltati, ho preso il mio regalino "tardivo" per ricambiare degnamente il pensiero del giorno prima e ho pranzato in felicissima compagnia.

Ah...Si, il ripieno era proprio quello che speravo. Sono proprio fortunata. Col tempo comincio a farci caso








lunedì 1 gennaio 2018

Flusso di coscienza per "principiante" di strada

Mica è un obbligo salutare il primo giorno dell'anno come se avesse dei meriti particolari rispetto a tutti gli altri variegati tasselli isocroni che compongono l'anno. Il primo gennaio è strade vuote, gente che dorme dopo una notte di trenini, prosecchi e spumanti, ultime fette di panettone che tali non saranno finché se ne potrà inzuppare la mattina nel latte e caffè, fegati ingrossati e Via col vento su rete quattro. Tutto qui il buon principio medio di cui porto memoria credo da sempre.

Per me non è stato così. Mica perché voglia fare a tutti i costi quella alternativa che si oppone agli schemi. Semplicemente funziono così. Ieri mi sono accorta della mezzanotte mentre ero in piena fase r.e.m., mi sono alzata alle sette, ho trascorso ore prevedibili tra esercizi, musica e  cibo, ho pulito casa, mi sono truccata un po' più del solito e ho camminato per due ore esatte riproducendo il percorso che di solito seguo quando corro: il perimetro dell'aeroporto di Linate.

Camminare così a lungo di solito aiuta il mio flusso di coscienza a creare connessioni assurde, far affiorare ricordi ormai sopiti, fornire chiavi di lettura insospettabili. Le gambe procedono dritte lungo il sentiero mentre la testa segue traiettorie tutte sue aprendo varchi nuovi alla fantasia che si mischia col ricordo.
Mi sono ricordata di un otto in latino al primo anno di liceo che mi fece completamente felice, della mia futura ex suocera che mi invitava a pranzo solo per insegnarmi come cucinare come lei, di una mia coinquilina completamente folle, e sonnambula, quando vivevo a San benedetto del Tronto , di una persona che mi ha voluto molto bene e che non ho saputo ricambiare come avrebbe meritato. Mi è tornato in mente persino il primo giorno che ho messo piede a Milano: venivo dall'inghilterra e il mio bagaglio fu preso per errore da un'altra persona. Cosa accomuni questa accozzaglia un po' assurda di ricordi probabilmente non ha risposta, ma sono certa che a ciascun ricordo corrispondesse una mia precisa espressione e un battito cardiaco differente. E se un senso ci fosse mi farei bastare quello di un'esperienza, nuova e sconosciuta come un anno che comincia, fabbricata con vecchi ricordi.

In due ore mi sono passate per la testa cose così, tutte sconnesse, prive di una apparente coerenza logica. Intanto le mie gambe seguivano diligentemente un percorso che invece conoscevo benissimo, privo di qualsiasi sorpresa o incongruenza. C'era del silenzio, nessuno in strada, un cielo grigissimo e la musica in cuffia. E poi c'ero io, che avevo due ore piene da spendere per non decidere nulla, neppure a cosa pensare e cosa rimuovere. Ho lasciato che il caso guidasse il pensiero e che una strada conosciuta segnasse il cammino.

Ho cominciato così perché è così che voglio continuare. Nella peggiore delle ipotesi avrò un fegato che un po' mi ringrazia, una bellissima passeggiata su una strada tutta mia e qualche ricordo buffo ad azzerare la percezione del tempo. Mi pare più che ovvio che diano "Via col vento" dopo una giornata così.
Buon principio!