Sola andata

Sola andata

martedì 27 febbraio 2018

“...Falle come fosse un favore”...sparisci prima del voto di protesta

Alla fine credo di aver preso una decisione che non sia il frutto marcio di rassegnazione, rifiuto e apatia. In fondo ho sempre votato e immancabilmente provato un’emozione infantile nell’esercizio, per quanto illusorio, di una scelta. Ora che ci penso è proprio così: il gesto del votare ha in sé ancora un valore simbolico potentissimo per me. Mi armo di prima mattina con la mia tessera elettorale, il documento, matitina, scheda/schede, segreto dell’urna, brividino, croce su potere al popolo. Arrivederci e che il 3% sia con noi. Questione voto per me chiusa.

Da ieri ho una leggera febbre e una tosse che minaccia progressi. Non sono propriamente debole, mi sento solo un po’ intontita, per un paio di volte ho avuto una specie di leggera vertigine ma ho trovato la cosa persino piacevole. Forse è per questo che in una parentesi di conversazione tra femmine mi sono divertita all’ennesimo racconto di maschio che crede ancora di rendersi amabile se prende una donna, la tratta male e lascia che lo aspetti per ore...mi sono ricordata di come almeno uno di questi campioni delle strategie di nonno Peppe sia capitato a tutte noi che poi ad un certo punto rinsaviamo, li accantoniamo nell’indifferenziato e passiamo il resto della vita a cercare di ricordarci per quale diavolo di motivo li abbiamo considerati esseri tridimensionali visibili a occhio nudo. A me succede spesso di avere voglia di chiedere a qualcuno di quelli in cui sono incappata e per il quale ho dato voce ad emozioni senza meriti. Gli direi così: ”senti scusa, mi aiuti a ricordare perché mi piacessi tanto...perché io proprio me ne sono completamente scordata?”. In realtà poi ritorno in me, perché se sono stata capace di dare un potere simile ad omini così poco gentili, piuttosto che scappare via al terzo secondo utile, allora è stata un po’ colpa mia. Alla fine dei miei pettegolezzi con le compagnelle che mi fanno sempre ridere mi sono detta, beati gli uomini che sanno ancora corteggiare l’unica donna che scelgono e per cui hanno affetto, interesse, stima...e beate le donne disposte a riconoscere queste meravigliose risorse scarse. Vi stimo molto e giuro che non voglio neppure più sapere come siete riusciti ad incontrarvi. Questione per me chiusa.

Ho preso un’altra tachipirina, ma non credo fosse necessaria. Ho avuto una giornata divertente, preso delle decisioni che mi riguardano e ricordato fatti e persone che non mi riguardano più. Direi un’epica individuale non proprio avvincente. Eppure non mi pare di ricordare di essere stata così tanto meglio di così...Era solo tachipirina, giuro. La vera cura credo che stia invece nella prescrizione di una nuova gerarchia emotiva. Sia essa per un voto, o soltanto un volto, diverso...




sabato 24 febbraio 2018

Mi impegno, ahimè, solo dal “Novecento”

In realtà avevo una scusa valida soltanto le prime due volte. Dopo no. Ho saltato gli ultimi quattro allenamenti del sabato nonostante il fatto che soltanto la metà di tutte queste assenze fosse davvero giustificata e che per me sottrarmi a degli appuntamenti fissi rientra tra le condotte da non contemplare assolutamente mai. Però stamattina c’era una tale pace qui in casa che non mi pareva vero di poter godere di tutto questo silenzio per pensare ai fatti miei, leggere, cucinare, buttare via cose...che mi è parso ovvio desiderare di rimanere dove fossi. E così ho fatto, badando a mettere a tacere ogni senso di colpa e pure a tenere conto del fatto che ad un certo punto si sarebbero svegliati i due piccoli diavoli che cavalcano sulla mia testa. Mi è andata di lusso perché la pace assoluta si è interrotta solo ad ora di pranzo.

Lo faccio spesso, quello di troncare di netto con ciò che ritengo consolidato e destinato a perpetuarsi all’infinito. All’improvviso succede che non lo faccio più, sebbene non sussista una vera ragione che ne decreti la conclusione. Quello del non portare a termine le cose non è un mio naturale atteggiamento e non so bene spiegare le ragioni di certa mia incapacità a restare stabilmente parte di contesti che mi riguardano e di cui percepisco legami e significato. Ad un certo punto smetto di esserci e se dovessi elencare in ordine di importanza i miei difetti peggiori metterei questo al primo posto. La sola spiegazione razionale che potrei dare a questa strana forma di autotutela sta forse nella paura dell’abbandono e così, prima che tutto finisca quando non lo immagino, interrompo quando decido di essere pronta alle mancanze. Ma mi auguro di “interpretarmi” male e che forse mi andava soltanto di esercitare una qualche forma sporadica di disobbedienza.

Oggi in tutta Italia ci sono state manifestazioni contro il fascismo. Pare impossibile e invece tocca rifare pure questo. Anche quello di scendere in piazza è una cosa che non faccio più e mentre piegavo le lenzuola finalmente asciutte mi tornavano in mente certe scene della seconda parte di Novecento, quando Bertolucci disegna in modo secondo me perfetto il tipico esemplare di fascista: un omuncolo dalle ambizioni non proporzionate alle sue qualità e alla portata umana, arrogante, carico di un odio generalizzato, pusillanime e corrotto. Mi sono chiesta per quale strano meccanismo un uomo debba compiacersi di definirsi fascista sapendo davvero cosa questo voglia dire...

Che film Novecento! Rivederlo oggi mi avrebbe forse assolto in parte dalla mia latitanza dalle piazze...mi è tornata in mente pure la scena finale, metafora definitiva dell’eterno conflitto tra mondi contrapposti ma destinati a rimanere sempre affiancati: i due “nati assieme”, simboli dell’eterna lotta tra capitale e lavoro continuano ad accapigliarsi fino alla morte, che poi in realtà tale non sarà per entrambi perché il capitale sotto al treno ci finisce per davvero, il lavoro invece si mette per il lungo sui binari, proprio come faceva quando era bambino e il treno gli passava sopra lasciandolo intatto. Credo che sia il finale più ottimistico di sempre e che faccio mio, con buona pace di un mondo abbastanza cambiato da allora ed in cui il capitale e il lavoro hanno sembianze e armi di lotta molto meno riconoscibili.

Chi lo sa, forse avrei dovuto semplicemente essere in qualche piazza pure io, invece di starmene qui, attaccata al termosifone, a disattendere ad ogni forma di impegno, a ricordare frammenti di un film che raccontava tutta un’altra Italia, mentre mi trovo piegare lenzuola sperando che quelli del piano di sopra facciano piano almeno per le prossime due ore.
Non mi sento molto colpevole. E temo di sbagliarmi di grosso proprio per questo



giovedì 15 febbraio 2018

Incontri ottimali. Quando il marketing non serve ad incrociare la domanda con l’offerta

Sapevo che lo avrebbe fatto. La conosco bene ormai e mi sarei stupita se non me lo avesse chiesto. Da molti anni ormai conosco una signora milanesissima, molto bella, disinvolta e spigliata, che vedo periodicamente perché ha un’agenzia che si occupa di un sacco di cose diverse tra cui ricerche di mercato a cui mi piace moltissimo partecipare. Quando ci siamo riviste mi ha di nuovo chiesto se avessi incontrato qualcuno. Credo che quello di vedermi “sistemata” sia una suo strano cruccio da quando mi conosce visto che è la stessa persona che poco più di un anno fa ispirò il post più letto di questo blog e che raccontava, con toni molto divertiti, dell’unico incontro combinato (da lei, appunto) a cui ho partecipato per assecondarla. Per questa ragione ieri non mi sono affatto stupita quando mi ha detto: “Lucia, non vieni mai agli eventi che organizzo nei locali tra corso Como e Brera. Per favore domani vieni all’**** che ti presento un po’ di ragazzi stupendi. E non ti preoccupare la parrucca da ***** me la metto io, mica tu. Dai vieni, per piacere. Sei mia ospite”. Io continuo a trovarla adorabile e non so cosa darei per avere un centesimo della sua esuberanza e vitalità, soprattutto alla luce di una storia dolorosa e complicata legata al dramma di una malattia sconfitta dopo un lungo calvario. Quando mi ripete che non è possibile che io stia sola, come se desse per scontato che la cosa non mi piaccia, e che dovrei sentirmi in colpa per tutto quello che potrei avere e che mi sto perdendo, mi strappa sempre un sorriso, forse perché in fondo penso che abbia ragione ma che questo non basta per farmi desiderare di incontrare qualcuno, magari di notte, in un locale dove la gente si mette le parrucche e ride, beve e balla in un contesto poco familiare. E così stavolta le ho detto di no, che non sarei andata con lei a festeggiare un santo con le frecce scadenti e una pessima mira. Ma le voglio bene lo stesso e so che se deciderò di cambiare abitudini lei uno da presentarmi lo avrà sicuramente pronto. Non funzionerebbe affatto ma almeno ne avrei l’ennesima conferma.

Anche oggi ho partecipato ad una ricerca di mercato. Era sugli elettrodomestici. È durata tre ore, mi sono divertita moltissimo e tuttavia pensavo sgomenta a quanta finta libertà di scelta abbia un consumatore in un mercato apparentemente libero come quello nostro. Siamo in realtà il prodotto manipolato ad arte di una scienza (quasi) esatta che tenta di studiare ogni minimo aspetto di noi e del nostro spazio di manovra per farci credere di scegliere ciò che ci viene semplicemente imposto. O forse non è così, forse ci vuole conoscere per capire chi siamo e cosa vogliamo per poi produrre cose che ci fanno felici, ci servono davvero, ci fanno crescere ed evolvere. Vai a sapere...

E così stasera, mentre ho un sonno che la metà basta a confermarmi che non sono fatta per vivere la notte mi chiedo se esista pure un marketing dell’incontro che non si limiti a trovare un punto di equilibrio tra la domanda e l’offerta di piani cottura a induzione e, poi, come mai non si sia mai pensato di studiare, chesso’, il punto di squilibrio ottimale da cotte senza piani e non indotte da nessuno? Magari un matching ottimale tra individui liberi, ma liberi veramente. Come un mercato che, finalmente, funziona davvero


martedì 13 febbraio 2018

Il piano alto

Non posso credere di esserci riuscita. Ho detto a quelli del piano di sopra, che sono venuti ad abitare qui da poco e hanno dei figli-pachiderma che credo facciano parapendio dall’armadio, di fare piano perché io giù sono esasperata. E loro hanno fatto davvero silenzio. Ho rischiato un esaurimento per eccesso di inutile sopportazione. A pensarci bene credo che mi capiti piuttosto spesso.

Dall’inizio di quest’anno sono tornata vegetariana per ragioni non dietetiche ma meramente etiche. Sono felice di constatare che non ne avverto il peso e che rispetto a sette anni fa, quando decisi che era necessario reintrodurre proteine animali, era molto più complicato trovare prodotti interessanti o ricette bilanciate. Credo che i tempi siano ormai maturi per sposare davvero una nuova filosofia alimentare che contemperi il rispetto per ogni forma vivente, l’ambiente, la sostenibilità, una nuova idea di produzione, di qualità alimentare e di educazione sensoriale. E altrettanto maturi sono i tempi per considerare questo approccio in modo del tutto “laico” senza certe derive messianiche e antiscientifiche tipiche del veganesimo, che invece mi convince assai meno. Niente, volevo solo dire che sono felice di non sfondarmi più di pollo e di salmone arrostito, nonostante li trovi tuttora tra le più sublimi fonti del mio godimento. Ma non basta godere per essere felici e in accordo con se stessi. Pure soffrire e avvertire delle mancanze temo che sia altrettanto inutile. Io credo che lo star bene coincida piuttosto con quella specie di intuizione che ci consente di avvertire qualcosa come giusta da perseguire.

Stasera, mentre ero ancora combattuta sul da farsi con i rumorosi inquilini del piano di sopra, ho preparato con cura le mie cimette di rapa con i legumi, scongelato un muffin proteico ai frutti rossi e miele, preparato la moka per domani e scelto di vedere “amarsi” su paramount channel. Poi ho deciso che avevo bisogno di silenzio e di qualcosa che mi aiutasse a rilassarmi. Così ho preso il coraggio a due mani e ho detto ad alta voce “fate piano voi sopra. Ma che diamine!”. E il rumore è finito. Mi è sembrata una piccola magia che mi ha ripagato di tutta la mia reticenza per quel gesto irritato. Chissà se ho davvero risolto per sempre. Del resto anche io ri-scopro il rispetto per gli animali solo da poco o forse mi ha semplicemente fatto comodo non farci caso durante tutti questi anni.
Il film non mi piace molto e l’asse Garcia Ryan non mi fa più l’effetto di un tempo e anche questa liberazione da un certo romanticismo melenso mi pare una splendida conquista.
Tutto cambia. I piani alti con i rumori assordanti di chi li popola. E i piani miei, con il loro vano tentativo di trovare pace e piacere solo nelle cose che non cambiano mai, ma sperando sotto sotto che qualcuno, al piano di sotto, le dica di smetterla...






venerdì 9 febbraio 2018

In realtà non è così. Fuori dalla realtà invece sì

Nulla da ridire. È un festival confezionato bene, dalla coreografia ai siparietti, dalle interazioni tra i conduttori a quel vago senso di normalizzazione e di aura rassicurante che si propaga durante il lunghissimo tempo dell’ unica “manifestazione canora” in cui le canzoni hanno una rilevanza prossima allo zero. Io salvo solo gli amabili “Lo stato sociale”, il sempre amato Gazze’ e lo strano caso di un Barbarossa con un “passami il sale” romano per cui non posso che applaudire per ovvie ragioni autoreferenziali.

Giorni strani questi. Provo a pormi in ascolto di una campagna elettorale che non comprendo ma dalla quale vorrei evincere una qualche chiave di lettura della realtà che mi consenta, almeno, di esprimere un voto di opinione. Ma non riesco proprio a capire cosa posso fare per esercitare questo mio diritto senza sentirmi pure ingannata. Non escludo che stavolta non voterò solo per mera incapacità di sapere per chi.

Alcuni mesi fa ho avuto dei contrasti con un’amica a causa di un mio giudizio sbrigativo sul comportamento di un ragazzo che trovavo troppo ambiguo per sembrarmi sinceramente interessato. Le avevo detto di lasciarlo perdere, di non cercarlo più e non chiedergli più alcuna spiegazione. Le suggerii di rimanere gentile ma incurante dell’accaduto e senza coltivare altre speranze. Lei si offese molto, io presi atto di questo e non ci siamo più parlate.
In questi giorni è ritornata, mi ha detto cose molto dolci e regalato delle attestazioni di stima che non mi aspettavo assolutamente. È stato un momento commuovente e a me è dispiaciuto molto che all’epoca fossi stata così drastica nei miei giudizi per quanto, di fatto, non mi fossi poi sbagliata su quel tipo inconcludente su cui ci scontrammo...
È stato carino ritrovarsi e così ho approfittato di certi cambiamenti importanti che la coinvolgono in prima persona per farle un piccolo regalo e scriverle un biglietto che le è piaciuto molto. Si parlava di nuovi inizi, che spesso sono semplicemente cose già cominciate da una vita ma ad un certo punto decidi che vanno viste con occhi e prospettive diversi. Mi ha fatto molto piacere.

Io i conti con la realtà tendo a farli poco: non mi torna quasi mai niente, non applico bene le formule oppure arrivo al risultato saltando una marea di passaggi necessari. Eppure mi chiedo quanto sia davvero utile, e soprattutto dilettevole, avere sempre l’esatta misura delle cose e dei fatti o se non sia più divertente o perlomeno consolatorio conservare i propri punti di osservazione distorti persino quando sai perfettamente che sono tali e che il più delle volte rischiano di farci odiare dagli altri o di vederli per ciò che non sono ma per come meglio si adattano ai nostri sogni e bisogni. Credo ci sia qualcosa di terapeutico in un atteggiamento simile, soprattutto quando ti annoi o la realtà ti pare ancora più ingannevole di quanto faccia tu con te stesso. E non si tratta di rifugiarsi in un libro o dentro un cinema per immaginarsi in un mondo altro. No, è proprio stare dentro le cose a modo tuo come seria e inoppugnabile dichiarazione di intento, come votare per se stessi su una ipotetica scheda a preferenza unica e rimettere al potere almeno la propria di fantasia.
Che tanto poi alla fine un realista per nulla magico che ti apre gli occhi e ti dice che le cose non stanno così, che non è quello giusto e non si fa così...alla fine arriva sempre. Nella realtà uno così prima o poi arriva e ci salva da noi stessi. Ferendoci a morte.







martedì 6 febbraio 2018

Una (speciale) giornata non particolare

È la prima volta che succede. La tv non ha il segnale e io posso seguire il festival solo dalla radio e dai social, che è poi la maniera in cui lo facevo nei sette anni in cui non ne ammettevo la presenza nella mia casa della libertà di pensiero. Va bene così.

Dopo più di dieci giorni sono riuscita a farmi una bella sudata e a recuperare un po’ di buon umore perduto, ho pulito la scrivania come mi ero ripromessa e lavorato con concentrazione. Ormai non ci speravo più. E invece quando le giornate procedono così complici a volte succede che aggiungano anche ulteriori elementi di compiacimento. Il mio collega di stanza, persona a cui voglio molto bene pur avendo una visione diametralmente opposta su ogni cosa esistente in cielo e in terra, era assente e io mi sono goduta la mia stanza pulita e ordinata e le visite sempre gradite di colleghi gentili che decidono di trascorrere qualche minuto a chiacchierare con me, come quello innamorato del cinema e dei libri che mi chiede spesso suggerimenti su cosa vedere e me ne fornisce a sua volta e poi mi racconta chicche meravigliose che dovrei cominciare ad appuntarmi. Vorrei trovare il coraggio di regalargli un mio libro su un regista che ama e sul quale aspettavo un pensiero scritto che non è mai arrivato. Forse lo farò se sarò certa che gli farà davvero piacere. E poi è passato a salutarmi pure il collega che ha preso un part time ma viene in ufficio per fare colazione e a me questa cosa fa tanto ridere. Tutto il resto del giorno me ne sono stata in silenzio, col podcast di Melog e della rassegna stampa di Luca Telese e Oscar Giannino in viva voce e in entrambi i casi ho riso abbastanza.

Sono uscita molto tardi, piovigginava, ho comprato l’insalata già lavata e una zuppa pronta. Mi sono ricordata che ho alle spalle non più di quattro ore di sonno e un allenamento dopo un periodo di fermo. Ma avevo deciso che oggi avrei voluto smettere di essere stanca, disordinata e arrendevole, malgrado l’insonnia, le gambe in stato di pulp, la scrivania che gridava vendetta, la pioggia e i piatti pronti. Malgrado tutto. Non so se la felicità sia una decisione. Di certo lo è stato evitare che dieci giorni no possano pretendere di diventare di più. Soprattutto se ad un certo punto, mentre tenti di mettere in ordine, bussa qualcuno, ti dice cose per qualche minuto e, senza saperlo, ti aiuta a riuscirci prima e meglio.

domenica 4 febbraio 2018

Dramma della gelosia. Che esagerazione...commedia ☺️

Ci sono luoghi comuni che mi irritano più di altri. Non perché li trovi falsi a prescindere o voglia ergermi a paladina di un pensiero ostinato e contrario. Il fatto è che su certi stereotipi poi si costruiscono convinzioni, condotte, pregiudizi e intere categorie intellettuali che rendono distorte alcune delicate dinamiche umane.
Io la storia della competizione tra donne proprio non la reggo. Non so sulla base di quale accreditata letteratura, dati statistici, fenomeni rappresentativi...si sia consolidato questo assunto e di certo non tocca a me smentirlo o confermarlo. Il fatto è che quando provo a riflettere sulla questione mi indispettisco e sento che per fortuna la mia esperienza è stata (anche) tutt’altro. Conosco donne molto belle, intelligenti e simpaticissime che non ho nessuna voglia di perdere di vista per le citate caratteristiche e con le quali non mi sognerei neppure lontanamente di istaurare una qualsiasi competizione. Perché dovrei? Agli uomini piace pensare che certe guerre tra donne nascano per accaparrarsi il maschio, come certe cagnette a cui si ruba l’osso...può essere ma io da questo sono salva perché la mia convinzione riguardo agli incontri del destino non contempla questo tipo di selezione naturale. Se un uomo si sente costretto a scegliere tra me e un’altra, può lasciarmi all’angolo senza problema. il dubbio in questo caso per me è già la risposta inequivocabile che nulla di nulla sarebbe stato.
Ci tenevo molto a dire questa cosa. Perché il logos femminile, qualche volta, è meno comune di quanto la semplificazione desideri.

Oggi ho visto il film di Virzi. Se ne è giustamente ben detto e io, stavolta, mi associo al sentimento comune. A me è piaciuto soprattutto per due ragioni.  La prima è che i due protagonisti fanno un viaggio che ho in parte compiuto anche io verso quella stessa meta ed è stato bellissimo rivedere quella lunga e meravigliosa strada sul mare che porta a key west. Mi è sembrato di tornarci con loro. La seconda ragione è quella che mi sta più a cuore. E riguarda ciò che ahimè si ritiene essere uno dei principali indicatori, nonché alimentatori, dell’amore: la gelosia. Per i due protagonisti si arriva a stressare il concetto fino alla gelosia retroattiva, mancando le oggettive condizioni per degli episodi reali in corso d’opera. Ecco, tutte le volte che desidero scardinare certi luoghi comuni, mi auguro sempre di avere abbastanza argomenti per poter rinnegare questo connubio infame amore/gelosia.
Ma non ci sono riuscita. Se ho amato sono stata gelosa. Quando ho smesso di amare ho smesso di essere gelosa. Vero. Tutto vero ed è per questo che benedico la vita da non innamorata che mi permette di assistere asettica ma pure divertita al frenetico gigioneggiare maschile tra le molteplici ipotesi di conquista. Qualche volta mi chiedo se in fondo non sia giusto anche così, piuttosto che concentrarsi nell’attesa ponderata e paziente di un incontro che io sono convinta non vada assolutamente cercato ma semplicemente intercettato.

Ma che ne so e poi in fondo in questo momento che me ne importa. Però i due anziani protagonisti del film di Virzi erano proprio teneri. Forse perché reciprocamente gelosi, perché generosi, simpatici e intelligenti. La gelosia ha aggiunto valore a un sentimento profondo basato sul rispetto. Le mie no, le mie gelosie erano dovute a mancanze. E le mancanze sottraggono. Per definizione.
Una volta un amico, fidanzato da tanti anni con la stessa persona mi ha detto “...ma sai, io non mi guardo intorno perché quando mi piace una...me ne piace una. Non faccio nessuna fatica ad esserle fedele. Non c’è nessun merito. È una cosa del tutto normale”. Da allora per me è questa la risposta esatta per definizione.
Che poi io volevo solo dire che i luoghi comuni sono semplici ma discutibili e che le definizioni sono spesso belle ma di faticosa applicazione, così tanto che qualche volta si preferisce sfuggirle con un “on the road”, lungo, tortuoso, pieno di intoppi e incidenti di percorso. E poi ci sono io, che adoro quasi sempre osservare tutto questo, piuttosto che viverlo direttamente. Gelosa solo della mia tranquillità


venerdì 2 febbraio 2018

Fasi afasiche senza il fisico

Non posso ancora tornare a correre. Sono nove giorni che non mi alleno a causa di un piccolo intervento che ho fatto nove giorni fa, perfettamente riuscito, ma del quale porto i segni piuttosto marcati in due giganteschi ematomi sulle gambe. Forse inconsapevolmente l’ho fatto apposta: se sto bene mi alleno anche se non ne ho nessuna voglia e questo comincio sentirlo usurante e per nulla gratificante. Questo stop forzato mi libera almeno dal senso di colpa e mi restituisce il tempo necessario per individuare da qualche parte un briciolo di nuova motivazione, la stessa che vorrei ritrovare pure in altri fronti dei miei obblighi quotidiani.
Sono mesi che la mia scrivania è in disordine, che non trovo mai quello che cerco e che mi invento strane geometrie di orario per riuscire a gestire tutto quello che devo fare. Ogni tanto mi succede, di essere meno concentrata, di non riuscire a controllare le cose, di fare cose e non sentirmele da nessuna parte. Ieri credo sia successo tutto questo assieme. Stamattina mi sono svegliata con l’unica speranza che oggi sia davvero un altro giorno e che lunedì, cascasse il mondo, metto in ordine la scrivania. Mah, passerà...spero.

Sempre ieri sono andata a fare la spesa alla Coop dopo tantissimo tempo. Ormai esselunga è il mio luogo di elezione per i miei progetti di consumo quotidiano. C’era poca gente, ho comprato tanti piatti pronti vegetariani, ritirato il giornalino dei soci e aggiornato il mio storico libretto di prestito sociale (una cosa che feci ai tempi del mio veterocomunismo da dipendente coop e che non ho mai voluto chiudere) e mi sono resa conto di quanto possa essere profondamente diversa l’esperienza di acquisto di prodotti identici in realtà aziendali con politiche radicalmente differenti. È una cosa che penso da sempre e che non smette mai di stupirmi. È un po’ come considerare uno stesso lavoro svolto nel pubblico o nel privato, o preparare uno stesso piatto in aree geografiche diverse. Il risultato è spesso tutto diverso e capirne il perché, a parità di azioni svolte o ingredienti, per me è questione tutt’altro che ovvia.

Quando sono uscita era buio, io avevo una forte emicrania e ripensavo un po’ irritata alla mia giornata di lavoro. Avevo le mani aggrappate alle spalline dello zaino, come fanno certe bambine piccole piccole che camminano con problemi di assetto e quando me ne sono resa conto mi sono trovata buffissima. Credo sia stato l’unico momento in cui ho sorriso. Poi sono rientrata in casa, ho messo gli occhiali per evitare che il mal di testa aumentasse, ho provato a leggere un libro che mi piace ma che non riesco a concludere. Non ci sono riuscita neppure ieri. Sono stata felice che ci fosse “propaganda live”, ma non sono riuscita ad arrivare alla fine neppure in quel caso. Mi sono trascinata a letto così come stavo, che tanto il pigiama chissà dov’era. Davvero devastante. Eppure non avevo fatto niente di speciale e persino l’ordinario non mi era riuscito granché.

Sono sicura che lunedì, con la scrivania in ordine, sarà tutto passato. O forse devo solo tornare a correre. O tornare più spesso a fare la spesa alla Coop. O finire finalmente il mio libro.
E non andare a dormire mai più vestita.