Sola andata

Sola andata

giovedì 31 gennaio 2019

In fondo l’energia è sempre solare. O cosmica

Mi chiedo quanto durerà. Di solito quando è tutto così armonioso e bene incastrato vuol dire che dietro l’angolo c'è ad attendermi grigiore, delusione, frustrazione. Sostanzialmente è andata così: ho provato a passare oltre riguardo ad una situazione divenuta incomprensibilmente sgradevole per me. All’inizio mi sono posta delle domande del tipo cosa potessi aver detto o fatto per generare un comportamento così scostante. Poi in realtà era tutto molto semplice (“ma guarda che sta frequentando una da un po’”) e appena mi sono resa conto che non sarei mai stata oggetto di interesse del mio “interesse” mi sono ritirata in buon ordine e ho cominciato a guardare altrove delle fonti di distrazione e di arricchimento interiore. E questa è stata la mia fortuna. Da mesi ormai frequento assiduamente dei corsi di cinema scoperti grazie a un sito che si occupa soltanto della settima arte. Come per quasi tutte le novità ne sono rimasta entusiasta, ma è stata poi la gentilezza e il carisma di Andrea (il fondatore e curatore) a farmi ricordare come si comporta un ragazzo per bene e gentile. Persino con me che di solito mi presto all’emersione del lato più orrido del maschio. Di lui apprezzo l’indubbia capacità di trasmettere una materia che lo appassiona, il fatto di avermi regalato un corso senza che ve ne fosse una vera ragione, e di avermi successivamente fatto ulteriori condizioni di favore sugli altri corsi che gli ho prenotato per il futuro. Mi piace moltissimo che sia così tanto gentile, che mi scriva, che sia così carino. È lui senza dubbio una delle mie nuove migliori conoscenze degli ultimi tempi. Con ogni probabilità non saprà mai che è proprio grazie a lui che ho dimenticato offese e mortificazioni da parte di altri. La compensazione di un torto o di un dolore qualsiasi possono avvenire in così tanti modi...che cosa bella e curiosa assieme. E poi non voglio mica innamorarmi di lui. No, non sia mai. Vorrei solo che fosse sempre così con me per tutto il tempo che mi piacerà godere del suo cinema raccontato. E così sia.

Ieri sono tornata un po’ a casa. I miei hanno messo i pannelli fotovoltaici sul tetto senza che mi avessero detto nulla. Saranno almeno quindici anni che avevo suggerito loro di farlo, poi hanno emulato i vicini e si sono convinti così. A volte vale più la competizione che una ponderazione ragionevole per essere volitivi...vabbè
Tra poco uscirò a trovare parenti e nuovi nipotini che non ho ancora mai visto e probabilmente nei prossimi giorni rivedrò vecchissimi amici dell’adolescenza. Ci conteremo le rughe, le sconfitte, i sogni infranti...o forse ci racconteremo che in fondo è andato tutto bene e che già si capiva da allora che non poteva andare che così. È così, io dal mio determinismo non mi schiodo mai veramente, forse perché sono convinta che si progredisca solo con gli strumenti che già si possiedono, quelli che ti porti dietro per natura, per sensibilità, per volontà...e per una minima componente imprevedibile e incontrollabile su cui non abbiamo alcun potere. È per questo che facciamo certi lavori e non altri, che viviamo in un posto e non in un altro, che amiamo certe persone e non anche altre. Mi pare tutto molto esatto quando penso che le cose funzionino così.

Avevo previsto che i miei ieri mi chiedessero ancora di tornare, di provarci almeno. Ma io credo che sia ancora giusto restare a Milano, al mio lavoro non scelto ma adeguato al mio percorso, ai miei nuovi corsi, alla comprensione per assenze improvvise e in fondo provvidenziali.
Però che forte la storia dei pannelli solari! Bravi. Proprio bravi

domenica 27 gennaio 2019

Recensione doppia. O quasi. O più. Per Fight club

Ormai questo spazio mi serve più che altro per fare i miei compitini sul cinema. Stavolta ho coinvolto una collega di corso per immaginare una recensione in forma di dialogo, come se fossimo sul divano di casa a chiacchierare a caldo del film appena visto. Il film doveva essere di Fincher e io ho scelto di rivedere “Fight club” su cui è davvero difficile non avere opinioni. La mia parte è questa, alla quale spero si aggiungano anche le sue risposte. E perché no, quelle di chiunque altro ✌️😉🤗

 Lucia: ...Wow...che film potente. Che ne pensi? “Addentratevi nella vostra caverna e troverete il vostro animale guida” . Tutto il film io lo risolverei in questa battuta. A te cos’ha colpito? Io di Fincher considero dei capolavori a sè stanti finanche i titoli di testa

Tu:

Lucia: Già. E sfido chiunque a non sentire il tema del disagio contemporaneo come proprio, qualunque sia la modalità in cui lo subisce e lo declina. Dall’ossesione per il lavoro e il denaro - e alla conseguente gestione artificiosa del proprio tempo - per arrivare al sesso, al cibo, via via fino al corto circuito incapacità/bisogno di amare.  Ad un certo punto il protagonista, che fa partire il suo malessere dall’insonnia, dice “non riuscivo a piangere, perciò di nuovo non riuscivo a dormire”. E pure quella in cui osserva le cose trovate nella sua casa incendiata “che imbarazzo, una casa piena di condimenti e niente cibo”. Davvero notevole, non ti pare?

Tu:

Lucia: Ad un certo punto ho cominciato a credere davvero nella possibilità di una vera e profonda rivoluzione individuale per chi trova il coraggio di non fuggire dal dolore, di schivare il finto benessere materiale, la corazza di comportamenti posticci e preconfezionati come un pasto monoporzione offerto su un aereo che ci spiega come salvarci in caso di pericolo. “Io sono l’ardente senso del rifiuto di Jack” ... che poi a pensarci bene proprio quando diventa lo slogan di un piano collettivo, e non più strettamente individuale, non è troppo diverso da uno dei tanti gruppi di sostegno a cui il protagonista si rivolge per stare meglio. Oppure no?

Tu:

Lucia: E forse la vera differenza sta proprio nella volontà di cominciare a definire se stessi per sottrazione “Tu non sei il tuo lavoro, tu non sei i soldi che possiedi...” e poi “pensa solo a lasciarti andare” e ancora, dopo uno dei tanti scontri sanguinosi per abbattere il sistema di reti e zavorre dell’ordine costituito “abbiamo avuto un’esperienza di quasi vita”. Se ci pensi è un metodo interessante

Tu:

Lucia: Che poi se fosse davvero possibile rompere il patto sociale probabilmente l’avremmo già fatto. E alla fine possedere mobili dell’ikea, bere un cappuccino da starbucks, avere l’acqua potabile in casa e non fare a pugni tutto il giorno col diverso può essere un utile compromesso tra lo spirito di adattamento a modelli culturali imposti e la barbarie. Per tutto il resto c'è il cinema, con i suoi spunti di riflessione, i suoi montaggi pirotecnici per farti capire meglio. E la finzione che giustifica sempre se stessa pure quando afferma la verità.
A proposito hai voglia di accompagnarmi al supermercato? Mi serve il sapone

Sonia:


venerdì 25 gennaio 2019

Al prossimo il futuro

Direi niente male. Se dovessi dare un’opinione basata sul nulla, se non una vaga intuizione, di questo primissimo scorcio d’anno direi proprio niente male. Di solito, a parte con gli uomini, la mia intuizione è stata la mia vera, infallibile salvezza. Forse è stata soltanto fortuna, ma secondo me invece era proprio vero quello che diceva il mio prof di economia (“Lucia, tu hai un intuito che devi ascoltare sempre perché ti porta dalle parti buone”). È partito con un aumento di stipendio per gli arretrati di uno scatto di anzianità. E fin qui direi bene. Ho ripreso a correre con quel meraviglioso gruppo fatto di adorabili persone che non hanno smesso di aspettarmi da quando ho deciso di fermarmi per un po’. Ho scovato nuovi corsi di cinema di cui ho subito sviluppato una gioiosa dipendenza e ho al contempo accettato senza tensioni ogni incomprensibile distanza, ho stretto nuove amicizie e sono persino diventata, inopinatamente, oggetto di un delicato corteggiatore. Fino a qui direi tutto bene.

Del vecchio anno mi porto ancora una cronica carenza di ferro che non riesco proprio a fronteggiare e che mi procura una stanchezza cronica che qualche volta mi preoccupa. Ma tant’è, io non posso sottrarmi alle cose da fare, da quelle che mi piacciono e da quelle che non voglio perdermi per una certa ingordigia esistenziale di cui amo compiacermi. Preferisco essere stanca piuttosto che spenta.
In realtà non ho una precisa idea di cosa mi stia davvero riservando quest’anno: ho imparato a non avere la presunzione di pretendere a tutti i costi delle belle sorprese o che riesca sempre a trovare la maniera di ottenere cose a cui tengo. In amore ovviamente non mi permetto di fare neppure i più vaghi pronostici. In quel campo non ci prendo ancora, o forse sì ma con tempi o modi che non sono quelli opportuni. Eppure sono ancora fortemente fiduciosa che arriverà. In qualche modo arriverà. E sarà per sempre. 

Tra qualche giorno tornerò un po’ a casa. So già che i miei mi diranno di tornare, so già che proveranno a farmi stare bene, che penseranno che sia un vero peccato non aver dato loro dei nipoti, che parlerò per notti intere con Pablito e che farò sport. Tutto sempre così, in una casa troppo grande e piena di cianfrusaglie inutili che non capisco come possano piacere a qualcuno minimamente dotato di senso estetico, con mio padre che fa ragionamenti di destra e mia madre che mi racconta episodi riferiti a persone che non conosco. Tutto così nel mio strano e assurdo paese dell’hinterland a nord di Napoli, conosciuto solo perché menzionato come culla di malavita organizzata in Gomorra. Ci sono nata, c’ho vissuto per più di vent’anni, ci sono sempre stata malissimo. Che colpa sarebbe questa? Perché dare per scontato il senso delle radici? Per la verità perché dare per scontato anche il senso dell’essere genitore? Qualche volta, quando penso che con i miei sia mancato un fondamentale codice comune di comprensione, mi viene in mente una battuta di un film di Allen, forse “Hannah e le sue sorelle”, quando fa dire a Mia Farrow “gli piaceva l’idea di avere dei figli, non anche quella di doverli crescere”. Con i miei ho idea che sia andata proprio così, oltre alla gestione non preventivabile di più seri problemi legati alla gestione di prole problematica...ma direi di smetterla: era un post sull’ottimismo, proiettato in un futuro prossimo alla gioia, alle intuizioni vincenti, alla fiducia negli incontri propizi. Il passato ha già fatto la sua parte, lasciando tracce in fondo non troppo profonde, il presente si propone nella sua lieve fuggevolezza con qualche chiave di lettura per aprire chissà quale porta. Forse ne avrei già aperta qualcuna, di quelle già socchiuse dove scorgi pure le lucine colorate. È che sono sempre così maledettamente stanca...

domenica 20 gennaio 2019

Fin dal primo respiro, mon amour


Stavolta sono compitini. Al corso sulla Nouvelle Vague ci hanno detto di scegliere un film e di parlarne a modo nostro. Io un tentativo temerario lo faccio. Che può mai succedermi...Allora, vediamo un po’...

 Sono essenzialmente due i titoli che primi fra tutti mi tornano in mente quando si parla di Nouvelle vague: “Fino all’ultimo respiro” e “Hiroshima non amour”, visti in periodi differenti sia per età che per maturazione personale. Lo preciso perché credo che conti molto il tempo in cui certi film decidono di proporsi nella nostra vita quando sono persino capaci di assecondare mutamenti di percezione profondi. I due citati film credo siano degli ottimi esempi di tutto questo, ma se di “Fino all’ultimo respiro” non si può che evidenziare soprattutto la volontà, del resto per niente celata, di un rovesciamento delle tecniche del cinema classico - oltre alle suggestioni di una trasgressione sia formale che concettuale relative all’idea di intreccio narrativo - è con “Hiroshima non amour” che si arriva davvero ad avere esperienza completa della potenza deflagrante di un modo così nuovo di raccontare la Storia, l’individuo, la contemporaneità, la dinamica dei contrasti e la cosiddetta “storia degli effetti e delle determinazioni”  (Gadamer).
Il film trova nel pretesto del racconto di un incontro d’amore, in apparenza fugace, tra un’attrice francese ed un architetto giapponese politicamente impegnato, l’intento di fornire, tra l’altro, una riflessione sulla necessità della memoria e del ricordo per formare la coscienza di ciò che siamo, per poi ribadire che proprio attraverso il costante corto circuito con la necessità della rimozione e dell’oblio siamo in grado di proteggerci da traumi e dolori troppo forti. Basterebbe anche soltanto soffermarsi sull’incipit folgorante: il tempo dell’amplesso equivale a quello di una lunga sequenza di fotografie, manichini, frammenti di documentari sugli effetti della bomba atomica, mentre una voce narrante accompagna quel lungo segmento raccontando l’orrore assieme ad un tormento atavico e irrisolto, evocando mancanze e ricerca costante di un oblio consolatorio.

 Ci sono frasi che richeggiano come il suono malinconico di un canto religioso antico “non è rimasto altro”, “quattro volte al museo”, “tu non hai ancora visto niente” e che sembrano poggiarsi sulle immagini di quella lunga carrellata, come a fare da legante tra sensazioni, ricordi e mero racconto dei fatti. Il film è l’incontro di due mondi che si confrontano a dispetto di ciò che è stato ma anche una riflessione sul ruolo delle arti visive, dalla fotografia, al cinema, ai documentari e alla loro capacità di essere non soltanto custodia di memoria, ma anche di ricostruzione ed interpretazione della storia stessa, proponendosi come archivio di verità, oltre che di finzione. Nel film tutto questo accade passando per due soli personaggi, di cui non a caso non conosciamo i rispettivi nomi e di cui la parte più debole è proprio la fragile donna francese, con i suoi traumi, i suoi ricordi tormentati e indefiniti. Eppure, per la Storia, è lei a rappresentare il mondo dei vincitori. Non parla il giapponese, lui invece parla bene anche il francese. “A Nevers non tornerò mai più. A Nevers sono stata più giovane che mai”, come a offrire un messaggio critico ma al contempo amorevole al cinema di una volta, ormai incapace di diventare adulto.

 Poco dopo, quando quell’amore clandestino ansima per diventare dell’altro, lui le dirà “Tra le migliaia di cose della tua vita io scelgo Nevers” a testimoniare ancora una volta l’importanza del passato, per quanto doloroso o sbagliato, per diventare esattamente ciò che si è: soggetti d’amore. Ciò che unisce davvero i due amanti è proprio la condizione del ricordo. Particolarmente evocativa, infine, la scena dell’anziana donna che in un luogo pubblico si frappone tra i due amanti, dopo una notte in cui hanno deciso di non vedersi più, che parla con l’uomo nella loro lingua, escludendo di fatto l’amante francese dalla loro conversazione. Una distanza fatta di lingua e di storia non comuni. Che può voler dire molto. O forse proprio nulla.

giovedì 17 gennaio 2019

Proiezioni in regalo

È tutto il giorno che ci penso e sorrido come se fosse una cosa proprio tanto speciale, pure se a conti fatti è una semplice gentilezza basata sulla riconoscenza. È andata così. Ieri sera sono andata a letto piuttosto presto, lo faccio più spesso che posso ultimamente visto che continuo a svegliarmi quando è ancora buio e comincio a sentire il peso di una stanchezza con picchi di intensità che non mi sono familiari. Ad un certo punto, quando già dormivo da un bel po’ ho sentito nell’altra stanza da cui è composta la mia casa, il suono di messenger che mi avvisava del pensiero scritto di qualcuno. La curiosità di sapere chi fosse non ha però avuto la meglio sulla condizione idilliaca e ancestrale di calore e totale distensione nella quale trovavo la mia dimensione più piena. Ho pensato che di lì a poche ore avrei esaurito il tempo che legittima quella porzione di felicità e a quel punto avrei saputo chi aveva pensato di scrivermi nel cuore della notte. Intanto, mentre tentavo di rimpiombare nella mia beata incoscienza facevo ipotesi e congetture su chi potesse essere e cosa volesse da me: il pensiero è subito andato alle mie due/tre amiche che stanno vivendo avventure multiple sul piano sessual/amoroso e mi tengono aggiornata su dettagli che, temo, non tradurrò mai nella mia personale esperienza. E invece non erano loro.

Quando all’alba di stamattina sono ritornata in me ho subito ricordato che avevo almeno una ragione validissima per non temere il distacco da un mondo che non mi chiede altro che stare ferma, al caldo e priva di coscienza. Ho aperto messenger e c’era un lungo messaggio da parte del mio attuale prof. di cinema, nonché coordinatore di tutti i corsi che propone alla ”long take”. In esso mi diceva che per consolarmi del fatto che non partirò per il festival di Berlino con lui e una parte dei colleghi di corso (l’ho saputo troppo tardi altrimenti sarei corsa), e siccome sono diventata una bella presenza costante da quando li ho scovati e apprezzati, avrebbe avuto piacere di regalarmi uno dei corsi per i quali già avevo confermato la mia presenza. Il messaggio conteneva belle parole, come lo sono quelle fatte di attenzione e di gentilezza e io sono stata cosi felice di non averlo letto in un fine giornata, quando ormai ero satura per la stanchezza e senza più nulla da chiedere, ma soltanto la mattina dopo, quando è più alto il bisogno di affetto e di consolazione per difetto di coraggio verso un giorno che non mi promette mai davvero molto. Mi sono resa subito conto che in qualche modo questo coraggio alla fine me lo offre sempre il cinema, un suo portavoce e qualche forma similare di inganno, come un messaggio, pensato, scritto e diretto proprio a me, in una tarda serata, da un ragazzo che ho adorato da subito e di cui spero di diventare una buona amica. E così ho pensato che a volte rimandare una cosa da fare solo perché frenati dalla pigrizia possa trasformarsi in un magnifico surrogato della pazienza. Quella che serve per dare il tempo a qualcosa di semplicemente normale fino alla sera prima, di diventare un delicato e sorprendente ottimo inizio per il giorno dopo. Evviva!

martedì 15 gennaio 2019

Cosa mi perdo quando trovo la pace. Tutto il niente

Me ne accorgo subito. Quando sto davvero in pace me ne accorgo subito. Forse perché succede raramente e allora mi pare così importante farci caso che subito mi attivo per riconoscerne i sintomi. Sono appena rientrata da uno dei nuovi corsi di cinema a cui mi sono concessa da quando la mia esperienza precedente si è conclusa con una freddezza di toni che non ho proprio capito ma che ho deciso di assecondare dopo un po’ di inutili tentativi di aggiustamento.

Quando sto in pace non ho struggimenti, respiro bene, la casa è in ordine, ho il controllo pieno delle cose e dei tempi. Quando sto in pace il pensiero è fluido e il tono della voce mai alto, sono più dinamica e ragiono con più lucidità.
Per me stare in pace vuol dire soprattutto non essere innamorata e non logorarmi nel dubbio di essere giusta o che lui mi trovi tale, vuol dire non soffocare nel gorgo di una perenne incertezza, nei fantasmi del tradimento o di un “amore bugiardo”. Non mi succede così spesso: ho un temperamento irrimediabilmente romantico e, nonostante tutto, per me l’amore è la sola grande priorità. Ma sono in una di quelle fasi propizie della vita in cui non mi pesa riconoscere che mi ero sempre sbagliata e che io non ero il destino di nessuno degli adorabili uomini per cui ho ipotizzato in maniera fanciullesca amori eterni. Non è stato così e quando ho cominciato ad asciugare le lacrime ho rimesso a fuoco situazioni di tutta evidenza, in cui io ero già sola da tanto tempo prima.

Quando sto in pace mi trucco di meno, metto soltanto jeans, non spendo troppi soldi, parlo poco, cammino ancora di più e osservo il mio contemporaneo col fatalismo di chi ritiene che pure quello che pare più assurdo e inaccettabile sia in realtà così come deve essere. È come se maturassi una sorta di laico misticismo volto a preservare il precario equilibrio di un cuore senza morse amorose.

Va bene non provare amore pur sapendo amare, va bene dimenticare ciò che non è mai accaduto veramente, va bene il viversi e il donarsi ad ogni fonte di benessere. E poi va bene ogni forma , seppur temporanea, indotta, illusoria di anestesia dalle emozioni. Che tanto , alla fine, quelle quasi mai mi servono davvero a qualcosa

domenica 13 gennaio 2019

Il bello di non avere scelta

Sono sicura del suo affetto. Ora come allora, quando ferirmi era l’unica cosa che gli riuscisse di fare, quando le bugie e le omissioni erano il presupposto necessario per tenermi agganciata a lui non solo perché, forse, ci provava gusto e solleticava in modo un po’ meschino il suo ego, ma anche perché non avrebbe potuto fare molto altro per includere anche me nel suo starsene decentrato in un luogo non scelto.
Ci siamo incrociati ieri per strada, credo che lui mi avesse visto per primo, in un posto differente da quello in cui è più probabile incontrarsi, aveva un sorriso gioioso e rilassato e mi sembrava proprio contento di aver visto proprio me. Il fatto è che mi pare ancora così strano. Per colpa sua ho sofferto fino a vomitare, pianto incessantemente per giorni, forse sarà sua la responsabilità di ogni mia problematica relazionale per il resto della mia vita e pure di una certa anestesia emotiva di cui mi sono dotata per difendermi. Eppure non lo odio. Forse perché sono sicurissima che ancora potrei contare su di lui più che su chiunque altro e perché ancora tiene in considerazione il mio parere, oppure perché lo conosco bene anche al netto di come si è comportato con me. E quella è proprio la parte di lui che mi piace ancora molto. Forse perché perdonare mi fa sentire la persona che mi piace essere e quel suo fugace sorriso durato giusto qualche secondo, in quella strada improbabile, mi è sembrata una boccata di ossigeno proprio da chi me lo aveva tolto. Che cosa dolcissima. Ho avuto modo di sbagliarmi di nuovo sull’oggetto del mio affetto, ma stavolta nulla ha meritato una rilettura così poetica: in quel caso ho semplicemente commesso un errore a cui ho dovuto rimediare con una presa di di distanza da atteggiamenti di succifienza e di superiorità, oltre a piccoli ma irritanti episodi che credo di aver ispirato io. Di buono c'è che proprio per allontanarmi da una condizione tendenzialmemte frustrante ho scoperto cose nuove e intellettualmente stimolanti e intessuto belle amicizie. La mia rilettura sta tutta qui stavolta. Mi pare cosa parecchio buona anche questa.

Mi sono laureata in economia, col massimo dei voti, nel 2000. In tutti questi anni non ho fatto altro che chiedermi cosa avrei fatto se mi avessero consentito di assecondare una più naturale attitudine alle materie umanistiche. Probabilemte avrei fatto una gran fatica a realizzare una delle mie priorità come quella di avere un posto fisso e la conseguente tranquillità che una simile condizione agevola. Ma forse mi sarei pure divertita un po’ di più, conosciuto persone più affini a me, mi sarei espressa meglio e di più. Chi può dirlo...potrei pensare, in un’ottica, ancora una volta, di rilettura di tutto quanto mi accade e che poi finisce per deviare dai miei intendimenti, che paradossalmente posso esprimermi proprio grazie ad un lavoro che non mi permette di farlo, come concentrarmi su ciò che più mi somiglia durante il tempo di cui posso disporre e fare attività che posso permettermi e che mi fanno crescere.
E poi in fondo avere una laurea in economia è una gran figata, soprattutto in quelle occasioni in cui mi accorgo di avere sufficienti strumenti per comprendere quanto siano ingannevoli, deboli e del tutto fallaci i messaggi lanciati da una certa politica incompetente e bugiarda. Avere strumenti di comprensione, qualunque sia il campo a cui essi ineriscano, è esso stesso un modo di esprimersi e di definirsi. Il miglior modo, direi.

Forse le “riletture” sono solo la definizione che diamo alle aspettative disattese, al fallimento di un intendimento, alla paura di scegliere nell’unica occasione che ci è data per farlo. Può darsi. E può anche darsi che sia questa, e nessun’altra, la cosa migliore che potesse capitarci. E così ho pensato che forse sono proprio le scelte che non prendiamo a scegliere noi. E a salvarci

mercoledì 9 gennaio 2019

Mi perdo cose che non mi mancano

Temo che non ne verrei mai a capo. Neppure se decidessi di intraprendere un percorso di analisi serio. Della mia età, e del tempo che mi è toccato di decifrare in questa fase, faccio fatica a riconoscere elementi di identificazione in una società incarognita e diffidente. È una sensazione che provo spessissimo quando sono per strada, nei locali pubblici, sui mezzi, al lavoro...respiro un’aria soffocante, avverto un incessante farneticare su come andrebbero fatte le cose per garantire sicurezza e benessere e poi sento continuamente affermazioni prive di logica argomentativa e contenuti robusti e mi chiedo cosa mi sfugga davvero per potermi ricredere. Ma vabbè

Qualche volta mi ritrovo ad ascoltare le storie di un po’ di mie amiche coetanee che mi rivelano con stupore e civetteria del loro “randagismo” sessuale. Sono in realtà ragazze normalissime, serie, intelligenti, eleganti e colte, ma come me fanno fatica a trovare l’amore. Nel frattempo, direi giustamente o comprensibilmente, frequentano e provano a darsi delle occasioni di incontro significativo. Io ascolto le loro storie belle e divertentissime e penso che mi piacerebbe moltissimo fare un po’ anche io come loro. Ma non ci riesco. Io non vado in chat, non accetto inviti da chi mi trova sui social e mi trova bella, non faccio sesso se non amo. Non saprò mai cosa mi stia perdendo, ma so per certo che qualsiasi cosa sia non ne sento la mancanza.
Una volta un mio amico gay molto simpatico mi ha detto che molto probabilmente sono un’asessuale. Forse ha ragione lui. Oppure nessuno è davvero riuscito a risvegliare la parte più intima e profonda di me, quella che rimane latente o in perenne attesa senza nel frattempo recarmi troppo disturbo. In fondo va bene così: nessuno degli uomini che ho adorato era adorabile davvero e quando me ne sono resa conto tutto è diventato di nuovo lieve, sopportabile e un po’ buffo. Sono nata per amare senza possedere. E poi per smettere. E ancora smettere. E di nuovo smettere. Amare per me è stato sostanzialmente aspettare, ricredermi e smettere.

Sabato ritorno a correre con i miei compagni. Mi hanno cercato per tutto il tempo in cui mi sono assentata e quando ci penso mi rendo conto che sono circondata di un bel po’ di affetto e che qualche volta sottovaluto questa cosa, attribuendo un peso maggiore al cinismo di questa città o alla necessaria volatilità dei rapporti quando si arriva alla mia età. E invece ci sono persone che mi vogliono bene senza altri fini che non siano la condivisione di una presenza, una confidenza divertente, un brindisi  agli incontri...

A volte ho l’impressione di provare un po’ di malinconia per un amore che non arriva. Poi però guardo proprio bene e lo trovo semplicemente in tante altre forme. Persino alla mia età. Persino in un tempo di cui non capisco quasi niente. Ma il quasi, qualche volta, è già abbastanza





lunedì 7 gennaio 2019

Come mi sento quest’anno? A casa

Che bello. Così bello che quasi non ci credo. Da quando ho imparato a non considerare ogni nuovo anno come quello propizio per le grandi svolte e gli avvenimenti definitivi investo sempre i primi giorni di questo transito delicato di parecchio contegno e cautela. E così succede che tutto quello che faccio pare quasi destinato ad assumere il valore di mero atto burocratico: asettico e senza ambizioni. Forse è per questo che ad un certo punto mi risulti parecchio facile potermi ricredere e stupirmi all’improvviso.
Oggi ho ripreso uno dei molti corsi di cinema che mi terranno impegnata fino a giungo. Alcuni docenti, pur non conoscendomi da tantissimo tempo, mi considerano già una loro storica allieva e io li trovo bravi, simpatici e affettuosi. Mi sento molto a mio agio con loro e ancora stento a credere di aver trovato un’alternativa ai corsi corsari proprio nel momento in cui ho considerato conclusa la mia esperienza con loro. Una fortuna gigantesca se penso che non avrei saputo come fare a reggere il peso di una simile mancanza. E invece, proprio stasera, Andrea mentre stavamo chiacchierando, mi ha persino chiesto di considerare con attenzione un nuovo docente di un futuro corso che seguirò e di fornigli poi dei pareri. Mi è sembrato un atto di fiducia che mi ha fatto molto bene. Che bello averlo conosciuto.

Il mio nuovo anno è cominciato così, tra film belli, e pure qualcuno brutto, visti in solitaria assieme ad altri condivisi con persone spumeggianti, e poi brindisi con dello champagne, il ritorno ai miei dieci kilometri di corsa, leggendo un bel libro di Roth e ridendo di certe mie fantasie senza fondamento.

Il corso che ho cominciato oggi è sui film di Fincher, geniale regista contemporaneo ossessionato dal gioco, dall’eterna dialettica bene/male in accezione deterministica, e dalla funzione potentemente narrativa del caos come fattore onnipresente anche nell’esistenza più semplice. Mi sono divertita moltissimo.

Avrei potuto cominciare in due modi il nuovo anno: lamentarmi per tutto ciò che non è stato, che è ormai finito, che non ha senso continuare a cercare. Oppure ricominciare partendo, senza nessun bagaglio, esattamente da dove ero rimasta.
Ho scelto questa seconda strada. Finalmente mi sento di nuovo a casa

sabato 5 gennaio 2019

Conquiste

Credo che sia questa la formula che mi convince di più. Da quando non posto più quello che scrivo qui sul mio profilo facebook quasi nessuno arriva a leggermi e potrei ragionevolmente pensare che i pochi che lo facciano non sanno neppure chi io sia, magari perché avventori occasionali del web arrivati a me per parole chiave destinate ad altri contenuti.
La ragione per cui questo mi faccia piacere è che posso immaginare di rivolgermi a qualcuno sapendo di non dovermi misurare troppo con le parole o il materiale variabile dei miei sfoghi. E' un po' come avere un amico immaginario: sai bene che non esiste, ma hai comunque necessità di rivolgerti proprio a lui.

Sono giorni che rifletto sulla mia condizione, in realtà piuttosto comune (e sempre di più negli ultimi tempi), di donna sola, lontana da casa, sempre più abituata al contare molto su se stessa ma con più amici di una volta, attratta sempre dalla stessa identica tipologia di uomo, così tanto da non sorprendermi più della banalità di certi comportamenti, quelli che loro trovano originali e che io ormai conosco a memoria. Ogni tanto mi verrebbe voglia di dire al "fenomeno" di turno una cosa tipo: "Hey, lo so che ti ho fatto capire che mi piaci e che tu adesso ti senti in diritto di fare il sostenuto disinteressato. So anche che subito dopo farai il prezioso, poi il piacione con le altre, poi reagirai con sufficienza ad ogni mio tentativo di dialogo e di avvicinamento emotivo. E lo so che ti sentirai molto maschio alpha per questo, perché io di certo ci resterò male ma continuerò ad inseguirti come una cagnolina. So anche che questo durerà molto a lungo, perché io stenterò a credere che tu sia proprio come tutti gli altri...ma poi dovrò ammettere che sia purtroppo proprio cosi...che sei un comune tizio uguale a tutti gli altri che mi sono piaciuti prima di te. E proprio per questo peggiore di loro. E poi so anche che di solito hai un'altra, o ne sceglierai intanto un'altra. E, infine, so  che soltanto allora farò marcia indietro, mentre mi dico ma che scema. A quel punto mi passerà tutto.

Stamattina, alla radio, c'era quella bella giornalista di cui ho già parlato qualche volta, quella che sceglie sempre uomini che la mollano e per i quali finisce per stare malissimo (come in questo periodo). E io mi chiedo sempre come sia possibile che una donna così bella e intelligente incappi sempre e costantemente nelle solite dinamiche da cui non riesce a sganciarsi. Poi capisco che siamo tutte un po' cosi, almeno fino a quando non decidiamo che in realtà vogliamo davvero tutt'altro. Io l'ho capito dimenticando tutto ma smettendo di cercare. L'ho capito credendo al caso e alla possibilità che l'”Incontro” non avverrà mai. Fa meno male, posso garantirlo.

Oggi fanno 9 anni che ho firmato il mio contratto di lavoro qui a Milano e sono quasi dieci che ci vivo stabilmente. Mi ero già da prima affrancata da una famiglia faticosa e problematica, ho già raccontato dei miei problemi di radicamento con il posto in cui sono nata. Non mi pesa la solitudine, non mi manca il sesso, non credo che nessuna famiglia possa davvero funzionare, potrei permettermi una casa più grande di quella in cui vivo e pure un'auto e pure un sacco di altre cose che non mi interessano. Non è questo il punto. Niente di questo è il punto.

La verità è che ormai ho pochissime inquietudini residue e quelle che avevo le ho risolte.
Oppure forse ho soltanto deciso di tenermele come se fossero un vanto. E in fondo credo che siano delle conquiste anche queste
 

    

venerdì 4 gennaio 2019

Porta riaperta!

Che bello. Grazie all’aiuto di una delle persone che sono felice di avere nella mia vita sono riuscita a rientrare nel mio blog. Erano giorni che non mi riusciva di annotare le mie cose e mi pareva una insostenibile limitazione. Sì lo so benissimo che potrei avere un bel quadernone cartaceo, oppure aprire un blog nuovo di pacca con una impostazione finalmente differente, ma questa è ormai la mia stanza delle confidenze, il posto in cui mi viene facile il resoconto delle mie insignificanti avventure o delle strane riflessioni che tento di elaborare quando sono costretta a demolire certe mie convinzioni. Ancora non posso fare a meno di questo blog. Tutto qui.

Credo di essere entrata a gamba tesa nel nuovo anno, forse anche per esorcizzare eventuali traumi da cambiamento, quello che percepisco con evidenza e che è fatto di compiacimento per un po’ di cose buone fatte e belle esperienze vissute, le nuove persone entrate nella mia vita e quelle che spero non ne faranno più parte...e il cambiamento che invece vorrei favorire da ora in avanti e di cui non conosco ancora forma e contenuto.
Il prossimo lunedì ricominceranno i miei amatissimi corsi sul cinema, la più felice scoperta dopo la conclusione di quelli dei corsi corsari, e sarà come al solito la cosa che prenderò più seriamente tra le mie maggiori fonti di piacere e di crescita. È così del resto che ho cominciato ad apprezzare anche i giorni diversi dal venerdì.
Vorrei anche che fosse un anno di consolidamento di alcune amicizie belle cominciate da poco e, per una volta, mi piacerebbe stare alla larga dall’ennesimo narciso, poco educato, provolone con l’intero universo femminile o già impegnato, in cui incappo sistematicamente prima di scoprire che gli volevo bene in modo del tutto afinalistico e unilaterale. Spero di intuire questi elementi tossici per la mia autostima senza perdere sempre tutto questo tempo. Mamma mia lo spero proprio...l’immagine di me che mi affeziono a persone che pensano ad altre o ad altro è un dolore che non ho intenzione di provare mai più. Via tutti per carità.
Spero di lavorare ancora con la serenità di sempre. E poi che rinasca la sinistra. E che io riesca a correre più veloce. Spero di vedere film bellissimi. E di dare un bacio indimenticabile.

Tutto sta per ricominciare. Quale migliore augurio!