Sola andata

Sola andata

venerdì 29 marzo 2019

Decadi mai decadute

Non me ne dimentico mai. Ormai non lo vedo da dodici anni eppure il giorno del suo compleanno è una cosa che non dimentico mai. Ormai sono sessanta e non gli faccio gli auguri da quando ne aveva compiuti cinquanta. Del mio prof. di economia sono stata totalmente appassionata per tantissimi anni. Cominciai col corso di economia politica, il mio secondo esame, passando poi per la tesi, un corso di master e poi il dottorato. Sempre sotto la sua egida. Dai diciotto ai trent’anni ho delegato a lui gran parte  della mia formazione e del mio investimento sul futuro. Credo che sia la persona di cui ho maggiormente avuto stima nella vita. Eppure è stato un uomo piuttosto severo con me. Il suo esame. me lo fece ripetere tre volte prima del 30 e lode. E poi negli anni spesso i rapporti sono stati piuttosto tesi.
È stato lui l’ultima persona che ho incontrato prima di trasferirmi a Milano: avevo concluso il mio percorso già da tempo e non avevo più occasione di incrociarlo, ma ipotizzai che sarebbe andato in una Feltrinelli a Napoli per la presentazione di un libro e mi feci trovare lì “per caso”. Fu molto emozionante.
 Per tornare ad avere a che fare con lui, tre anni prima mi ero licenziata dal lavoro e fatto l’esame per entrare al dottorato. Solo dopo averlo vinto gli avevo chiesto di farmi da tutor. Mi sono occupata di economia dello sviluppo, ho fatto una tesi sull’agricoltura in India, provato inutilmente a capirci qualcosa di econometria e fatto i conti con la presa di coscienza che il mondo accademico fosse per me la cosa meno interessante che possa esserci. Staccarmi da lui è stata un’epifania che ho posticipato il più possibile e faticato ad accettare. Ne ho sentito la mancanza per anni e anni. Poi mi è passata senza però scordarlo mai e considerandolo uno dei miei principali interlocutori immaginari nei momenti di dubbio.

Io faccio così. Per me voler bene a qualcuno significa questo: rimanere concentrata sull’affetto e la
considerazione che provo. E poi il pensiero constante, la fatica e il coraggio di allontanarsi per
evolversi e affrancarsi da ogni possibile forma di dipendenza, fosse anche solo intellettuale.
Però il suo compleanno me lo ricordo sempre e quando gli faccio i miei auguri silenziosi ripenso a quanto lui, più di chiunque altro, abbia condizionato praticamente tutta la mia vita. È a quel punto che non so mai se ringraziarlo tanto oppure per niente. E poi mi chiedo se si ricord ancora di me, di quella    studentessa decisamente non troppo votata alla sua materia, ma tenace e un po’ cocciuta, che una volta gli portò una fetta di dolce di McDonald per farli gli auguri per i suoi quarantaquattro anni, quella che prendeva in giro per la sua passione per Moretti e poi un giorno le mostrò il suo mega poster di caro diario per farle invidia. Chi lo sa, se ogni tanto, così un po’ per caso gli viene in mente una ragazzina provinciale, un po’ maldestra con i numeri, ma abbastanza intuitiva e in fondo intelligente per riuscire a portare a casa un risultato più che degno.
Chi lo sa se ogni tanto si chiede se mi manca e se lo penso. Chi lo sa se, come faccio io con lui,
sbircia sul mio profilo e se mi trova invecchiata. Chi lo sa se si domanda se mi ricordo ancora del suo compleanno.
Mi piace immaginare che faccia proprio tutto questo. Così posso essere quasi certa che il mio “tanti auguri caro prof.”gli sia arrivato giusto giusto in tempo

domenica 24 marzo 2019

Sensazioni...a sentimento

Credo che non cambierà mai. Da quando lo conosco, ormai una decina d’anni, sente la necessità di mettermi in guardia su questa cosa qui. E in fondo credo che abbia ragione. È per questo che anche stavolta, che non è come pensa lui - ma alla fine non fa molta differenza - il suo monito mi serve come utile promemoria, valido pure quando non ci sono rischi.
La cosa è questa. Lui è l’amico con cui ho una confidenza totale, quella senza rischi di derive. Abbiamo dormito nella stessa casa più volte, fatto week end assieme, ho conosciuto quasi tutte le sue fidanzate, parliamo di tutto senza imbarazzo...siamo amici. Mai pensato di essere altro. Lui di me sa che dell’amore ho un’idea intraducibile nella realtà, mi ripete che se non cambio non potrò fare altro che soffrire, che sono bella e che potrei divertirmi molto di più. Io gli sorrido, penso che abbia ragione ma che questo non basta per riuscire a farmi cambiare. Di solito è il primo ad accorgersi quando perdo la testa per qualcuno. Non ho mai capito come faccia, ma ci riesce immediatamente e senza che io gli dica nulla. Dopo un po’ di tempo, quando ammetto il mio errore per l’ennesima volta, lui mi dice “Basta. Non è lui. Andiamo a vederci questo spettacolo, a mangiare,...”. È così da sempre e credo che sia tutta merito suo la velocità con cui riesco a dimenticare le mie innumerevoli sviste sentimentali.

Stavolta però si sbaglia. Una mattina mi ha visto e mi ha detto “ hey, mi raccomando, non ti fissare”. Io l’ho guardato perplessa e mi sono chiesta cosa intendesse e perché stesse pensando che sono in una fase di innamoramento. In realtà sono semplicemente molto serena, piena di nuovi amici e di persone che mi interessano...ma non “oso” innamorarmi da un pezzo ormai. Però ho voluto assecondare il suo equivoco e gli ho detto sorridendo: “Ma non ti preoccupare. Tanto io ti voglio bene lo stesso”. Lui se ne è stato zitto. E ho trovato la cosa parecchio divertente.

Qualche volta mi succede di rileggere la colonnina di questo blog in cui scrivo un po’ di cose che mi descrivono. In realtà, al netto della notizia che vivo a Milano e che la amo in modo conflittuale, è una presentazione che ho copiato e incollato da un blog che avevo nel 2008. Quindi la parte in cui dico che il mio scopo sia la solitudine è di fatto una roba che mi porto dietro (e dentro) da tantissimo tempo, pure mentre tentavo malamente - e inutilmente - di smentirla. Nel frattempo ho imparato qualcosa in più sull’amicizia, sull’essere figlia e sorella di persone con cui i legami sono faticosi...ma per il resto basta. E ora che ho ormai una certa età, che per fortuna non ho pulsioni o necessità particolari di incontro, che ho dimenticato tutto e tutti quelli che mi hanno causato sofferenza e/o disillusione, direi che sia stata una vera fortuna non dover bipartire la fatica del quotidiano, il naturale imborghesimento che impone una vita di coppia duratura ed equilibrata, la gelosia, la gestione del conflitto, il dubbio. Ma quanto coraggio è necessario per dirsi capaci di amare!?!
In realtà la presentazione prosegue con la speranza di essere smentita e che la solitudine sia in fondo soltanto una possibilità tra le altre e pari a quella di una gioiosa compagnia. Ma son quelle cose che si dicono quando pensi che la serendipity sia una cosa valida e da dimostrare col miracolo.

E allora mi chiedo: che tipo di luce e di gioia ho negli occhi in questi giorni, tanto da aver fatto pensare al mio amico storico che mi sia innamorata? Forse lo sono a mia insaputa e lui se n’è accorto prima di me.
Come vorrei che avesse ragione anche stavolta!
(...almeno stavolta...)


venerdì 15 marzo 2019

Un riflesso da trenta secondi

Direi che non mi convince molto. Non mi ha mai convinto molto la frangia sul mio viso così ovale. Lo sapevo già ma avevo proprio voglia di cambiare in modo rapido e senza conseguenze irreversibili. I capelli crescono, oppure faccio la piega ai lati e metto un po’ di fermagli...insomma, all fine il buon vecchio luogo comune che se una donna taglia i capelli...beh insomma...quelle fesserie lì che si dicono per sottolineare le paturnie femminili senza fondamento. E così se è vero che mi piacevo un po’ di più prima, lo è altrettanto che mi dispiaccio un po’ meno adesso.

Tra un po’ fanno dieci anni che sono a Milano. Un paio di settimane fa mi ha contattato l’anziana signora presso cui ho abitato per tre mesi successivi al mio arrivo in questa città. Quando andai via le feci presente la mia difficoltà a conservare i rapporti quando viene meno la continuità o una frequentazione dettata da necessità e le chiesi scusa se l’eventualità che non ci saremmo più riviste si sarebbe poi rivelata fondata. Lei capì. Ci augurammo il meglio e poi ognuno per sè. E invece mi ha cercato per dirmi che la piantina che le regalai ormai tanti anni fa, continua a darle fiori tutti gli anni in questo periodo e che tutte le volte che succede mi pensa e si chiede come me la stia passando. Credo che sia una cosa molto tenera che restituisce almeno in parte il senso di certe distanze che considero come parte necessaria di un percorso concluso. Non credo che io la contatterò mai.

Quando vado in metro mi capita sempre più spesso di osservare il mio viso nel riflesso del vetro del vagone. Tra una fermata e l’altra osservo i segni di espressione sempre più profondi che scorgo in modo ancora più evidente di quando mi specchio a casa. Forse perché è un riflesso grigiognolo, su un vedremo con lo sfondo nero, in un contesto dove di solito non ho espressioni facciali significative, o sono concentrata a conservare un equilibrio sufficiente a non pestare i piedi a chi mi sta davanti. È in metro che prendo davvero atto di tutto il tempo che è passato e che il mio cambio di
vita è coinciso con l’abitudine a considerare la metro il vero simbolo di questa rivoluzione toponomastico-esistenziale. Ricordo perfettamente il riflesso del mio volto sulle mie prime metro, quelle di dieci anni prima per l’appunto, avevo la frangia anche allora ma poi per il resto ero abbastanza diversa da oggi. Non più bella, neppure più espressiva, ma ero davvero tutt’altro nella mia percezione di me stessa. E quel vetro, quel maledetto vetro non riesce a farmi capire cosa sia così diverso a parte il collagene che devo aver espulso ad ogni nuovo abbonamento annuale urbano.

Il mio unico guru di sempre, quello per cui sono totalmente acritica sia che parli di principi escatologici che di tubi per sturare cessi otturati, è Gianluca Nicoletti. Di lui mi appassiona il modo di ordinare il pensiero e poi di tradurlo in splendido eloquio. Credo che potrebbe chiedermi qualsiasi cosa ed io mi attiverei in ogni modo per assecondarlo.
Alla radio qualche volta propone un giochino: chiede ai radio ascoltatori di raccontare la propria
epica individuale in trenta secondi. Non di più nè di meno. Lui sostiene, e poi lo dimostra, che sia un
tempo più che sufficiente per raccontare un episodio, una delusione forte, un’intuizione, una svolta dell’esistenza...capaci di dire praticamente tutto di noi.
Il giochino funziona sempre, eppure, se lo chiedesse a me non so bene cosa prenderei davvero in
considerazione. Vediamo un po’...
(...cronometro...)

Ho trascorso tutta la perte iniziale della mia esistenza in una famiglia piuttosto rigida e anaffettiva, sofferto di solitudine, di disturbi alimentari, per mia sorella, per uomini che mi hanno trattato tutti allo stesso modo, per la provincia. Poi mi sono allontanata da tutto, ho ricominciato tutto da capo. Ma, a parte la metro al posto della provincia, trovo ancora conferma di tutto quanto era già stato.
E così mi concentro ancora una volta sul mio viso riflesso sul vetro con lo sfondo nero e mi chiedo come faccia a sembrarmi così diverso da quello di dieci anni fa se poi sono sufficienti trenta miserrimi secondi per poterne dare contezza. Che mistero...
(...sì...direi che nei trenta secondi rientro alla grande...)

venerdì 8 marzo 2019

Un buon giorno comincia presto. A volte dalla sera precedente. (Sulla riconoscenza)

Ho fatto proprio bene. Mentre scrivo sono nella mia biblioteca prediletta, quella in zona Calvairate vicino al mio ufficio. Non sono ancora neppure le dieci del mattino e io sono reduce dalla prima lezione di yoga della mia vita e da una corsetta con il gruppo della Lierac nel posto più figo di Milano e sotto un sole già luminoso che pare promettere una giornata scintillante. Ho preso uno dei miei giorni di ferie random e, incurante dello sciopero dei mezzi, sono uscita di casa alle sei e un quarto con la stessa energia di chi ha dormito per nove ore e con addosso una strana e immotivata euforia. In fondo perchè la gioia dovrebbe avere sempre un fondamento? Le sue ragioni sono in se stessa e questo l'ho imparato persino prima dello yoga.

Alle 7:30, dopo aver salutato delle amiche che non vedevo da tempo ero su un tappetino a misurarmi con esercizi di allungamento e posizioni in preghiera, con una musica soave in sottofondo e una maestra bella ed eterea che mi pareva una madonnina venuta a portare la grazia a noi poveri profani della spiritualità. Per me, che mi sento vocata da sempre solo al sacrifico, al castigo e alla punizione, tanto che cominciare bene la giornata significa sollevare pesi e fare saltelli spaccacuore per 30 minuti, scoprire che esista un inizio fatto di dolcezza e movimenti lenti è stata una vera rivoluzione copernicana. Dopo questa estasi mistica siamo usciti tutti a correre in piazza Gae Aulenti, incrociando persone ben vestite che andavano spedite al lavoro, alcune alle prese con la prima sigaretta della giornata, altre con lo smarrimento tipico di chi comincia solo in quel momento a carburare. E mi è sembrato tutto cosi bello e strano e interessante. E giusto.

Al rientro ci hanno offerto una tisana detox, della frutta secca e un cioccolatino. e ci hanno detto grazie, che è stato bello e ci hanno augurato buon lavoro. Ma io ho preso un giorno di ferie e così ho passeggiato con tutta calma fino alla metro. Lo sciopero ancora non crea disagio, il sole è già alto, le
endorfine sono ancora in circolo, io ripenso al seminario di ieri e a quanto è bravo, bello e giovane Andrea. E poi penso a quanto siano divertenti i miei amici. E a quanto è bella Milano.

Oggi ho scoperto lo yoga e credo sia stata una vera sorpresa. Dice che sia una pratica capace di sviluppare in noi il senso di gratitudine e di riconoscenza per tutto quello che ci offre la vita. Può darsi e in fondo che importa sapere quale fonte abbia davvero l'attitudine positiva verso le cose. E' solo metà mattina e fino ad ora ha funzionato perfettamente. O forse è solo che fa proprio bene alzarsi tanto presto, chiedersi come muoversi al meglio e che passo tenere. Oppure, semplicemente, avere buoni ricordi della sera precedente e avere voglia di continuare a pensarci e rifletterci e godere di quelle suggestioni. Mah, che importa. Basta che funzioni cosi bene ancora almeno per un altro po'.
Namaste a tutti! Uh, ma ancora di più a tutte noi :-)

sabato 2 marzo 2019

Non puoi neanche immaginare...


No, non mi sono ancora stancata di farlo. Sono giorni che non riporto i fatti miei, come se la cosa facesse una qualche differenza per me o per chiunque altro. Nelle ultime sere, più o meno proprio nelle ore in cui provo a recuperare elementi di interesse nelle cose che mi capitano, è successo che mi trovassi sempre altrove o a fare altro. Ero ad allenarmi, oppure con un’amica, a qualcuno dei corsi  sul cinema, in giro per la città...avevo sempre qualcosa da fare eppure ho sentito forte la mancanza di questo mio piccolo spazio di scrittura “autobiografica” che non condivido più su fb ma che in tanti continuano ancora ad intercettare. E io spero sempre che siano degli sconosciuti o comunque persone che non scoprano di essere parte delle mie sensazioni da ricordare.

In questi giorni è successo che ho conosciuto un po’ di persone nuove molto simpatiche, che ho sorriso più di una volta pensando a qualcuno con cui non accadrà mai nulla e va benissimo così, che un’amica mi ha detto che mi vuole bene e che si sente fortunata ad avermi conosciuta, che ho fatto degli allenamenti che mi hanno dato molta soddisfazione. È successo pure che una persona mi abbia detto “tu non costituisci un modello per me, nè mai lo sarai”. E così, proprio su questa questione, direi che mi è tornata la voglia di soffermarmi e mettere per iscritto uno straccio di riflessione/autodifesa.
È andata così. C’è questa ragazza, perché manco conoscente è stata mai per me data la noia mortale che mi provoca chi parla solo di se stessa, che mi interpella con regolarità frustrante, per frequenza e intensità, sulle sue questioni totalmente fallimentari sul piano sentimentale. Da quando la conosco credo che abbia frequentato tutta la rosa possibile di casi umani maschili più farfalloni, fanfaroni e meschini che io possa immaginare. Lei, complice una logorrea inarrestabile, mi ha sempre raccontato con dovizia di dettagli  le sue parabole discendenti riferite a ciascuna delle sue fallimentari relazioni.

La scena che si paventa è sempre la stessa: lei parla, parla parla. Io la ascolto, la ascolto, mi distraggo, spero che la faccia finita e penso che per fortuna io mi limito a non trovare l’uomo della mia vita. Mica come lei che trova i peggiori catorci della terra.
Alla fine, ammesso che si arrivi ad una fine, mi è consentito soltanto occupare uno spazio di pochi secondi nei quali approfitto per dirle giusto “lascia perdere, non cercare altre spiegazioni, lascialo senza dire altro che tanto è inutile. Ormai l’incanto è spezzato per sempre. Non farti trattare così”. Ma so che lei continuerà, per un tempo imprecisato, a cercare di capire come mai quel tizio che l’aveva corteggiata, poi portata a letto, poi diventato sempre più distratto, abbia finito per riempirla di insulti ed improperi. Succede sempre così. Da quando la conosco. Con chiunque. Quando glielo faccio notare si offende, oppure finge di assecondarmi. Ma io me ne accorgo che non vuole crederci. Allora le dico che preferisco il mio metodo, quello fatto di solitudine, di attesa, di utopie, perché anche io,
come lei, quando perdo la testa e lo faccio capire poi succede che se ne approfittano e mi danno per
scontata ed è proprio allora che capisco che non ne vale la pena e che malgrado la delusione, devo ammettere che neppure stavolta era l’amore.
Meglio sola, a sognare la perfezione, che in compagnia a subire le umiliazioni.
Ma l’ultima volta lei mi ha detto che no, questa non è vita. E che è meglio averci provato e aver fallito. E poi mi dice che non potrebbe mai fare come me. Ecco perché io non sono un modello per lei. In quel momento ho pensato che finalmente avrei potuto dirle quanto mi annoiano le sue inutili storie, che sono io a non trovare degno il suo modo di procedere e di provare a farsi amare. Avrei voluto dirle quanto trovassi patetica la sua paura di stare sola e di farsi sfruttare da uomini mediocri e che il suo è puro egocentrismo tanto più irritante per questa sua pretesa dispettosa di attenzione.
Ma non l’ho fatto. Mi sono limitata a stare in silenzio, fingendo di prendere atto in modo asettico di quella osservazione. E poi ho pensato che in fondo in parte avesse addirittura ragione. Perché anche io penso che sia meglio provare e fallire, piuttosto che non provarci affatto. È per questo che ho avuto una settimana piena, così tanto da non poterla neppure raccontare in tempo reale. Le cose da fare
sono così tante che metterci dentro pure i rapporti inutili è un aggravio veramente insostenibile.
Per tutto il resto continuo a coltivare illusioni e amori perfetti, e a sorridere pensando a chi (forse) non avrò mai, gustandomi la sua perfezione, le immaginarie esperienze condivise, i baci mai dati, una separazione struggente, nessun tradimento nè dubbio o tentennamento...tutto questo mentre vivo, lavoro, faccio tentativi e non perdo tempo a capire ciò che mi è già fin troppo chiaro.
Oh no! È lei a sbagliarsi