Sola andata

Sola andata

venerdì 26 luglio 2019

Sentirsi a casa. Anche fuori

Fa veramente molto caldo qui a Milano. È stata una settimana climaticamente complessa che ha messo a dura prova la mia capacità di convivere con una pressione già normalmente molto bassa.  Di contro ho una strana vertigine che rallenta i miei riflessi e mi impone una lentezza che in fondo non mi dispiace. Il caldo innaturale ottimizza gli sforzi da compiere evitando la dispersione inutile di energia.

Avrei dovuto aspettarmelo. Le mie scorse considerazioni sulla necessità di poter dire quello che penso hanno avuto delle ricadute su chi si sarebbe sentito chiamato in causa da quello che raccontavo solo a grandi linee: come se davvero mi si potesse impedire di scrivere quello che voglio pure quando non faccio nomi e non rendo riconoscibili i fatti nel dettaglio. Io parlo di me...mai di altri. Sempre. Intanto ho dovuto sorbirmi una domenica intera di mail schiumanti veleno e invettive gratuite e piene di insinuazioni campate in aria. Credo si chiami eterogenesi dei fini e mi ha aiutato a capire più cose di quelle che avrei voluto su chi mi sta intorno. Bene, però roba da matti lo stesso...

Vivo per conto mio da tantissimi anni. Credo di averlo desiderato da quando ero piccolissima. Mi piace l’idea di uno spazio, anche minimo, del quale ho totale dominio e nel quale pormi in ascolto di me stessa, della musica che preferisco, delle voci alla radio che amo, dei film che scelgo. Credo che il compromesso inevitabile che impone la serena e civile convivenza sia una condizione da cui riuscire ad astenersi almeno un pochino nel corso della vita di ciascuno, perché le forzature alla lunga logorano e incattiviscono chiunque. Ecco perché secondo me la solitudine non dovrebbe spaventare mai. E non è questione di buono o cattivo carattere. È una faccenda legata alla possibilità di avere davvero a che fare con se stessi senza imporsi a nessuno e viceversa.

Ho davvero troppo caldo però ho dormito bene su questo divano di fronte alla finestra che rimane
sempre aperta. Abito al pian terreno, all’interno di un cortile che fa molto anni 60 e nel quale spesso si affastellano voci di varia provenienza: mi capita spessissimo di sentire di litigi, discussioni, chiacchiere conviviali. Certe volte mi pare di stare in un campeggio o in una comune, altre mi chiedo come sarebbe condividere il mio piccolo spazio con qualcun altro. Ma dura poco. Non è un’idea che accarezzo volentieri. A me piace proprio un sacco stare in casa da sola, non dire niente, non discutere ma neppure dire cose divertenti. Mi piace ricordare, buttare cose vecchie, scovare cose che avevo scordato di avere perché occultate dal tempo e soffocate da cianfrusaglie nuove...Come è carina la mia casa. Forse lo penso soltanto perché di fatto ci sto dentro davvero molto poco, soprattutto in inverno, quando è molto più umida e poco accogliente, quando sono costretta a tenere lo stendino sempre pieno di cose in mezzo ad una stanza troppo piccola per contenerlo e ho bisogno di coperte pesantissime perché di notte fa freddissimo pure col riscaldamento a palla...
La mia casa è bella adesso, con questo caldo, con le nottate sul divano e le finestre aperte, con i litigi degli altri che mi danno ragione della mia discrezione domestica. La mia casa è bella dopo le docce
fredde i vestiti leggeri nell’armadio, i sandali, il magnesio e la papaya fermentata. È bella dopo che ho messo la matita sugli occhi e il rossetto ambrato sull’abbronzatura “metropolitana”. È bella quando mi aiuta a farmi pronta. Fino a suggerirmi che è finalmente ora di uscire e di non tornare prima di sera

sabato 20 luglio 2019

Eh, ma che carattere...

Sono anni che ho smesso di litigare. Per qualsiasi motivo e con qualsiasi essere umano. Ho impiegato un sacco di tempo per riuscirci e questo nonostante il fatto che le nobili motivazioni, la bontà d’animo, il bisogno di stare in pace con l’universo mondo non c’entrino in realtà proprio nulla. Casomai qualche volta è esattamente il contrario: il mio disprezzo, insofferenza, pigrizia, voglia di semplice quieto vivere sono fattori talmente dominanti da farmi evitare ogni forma di puntigliosa intemperanza per far valere le mie ragioni. Non pretendo di fare la morale a nessuno ma esigo che chi decide di farla a me abbia una incidenza sulla mia vita emotiva pari alla più totale noncuranza. Funziona benissimo. Se l’avessi capito prima mi sarei risparmiata anni di giovinezza piccata. Per tutto il resto prendo appunti e trovo in questa maniera la dimora per ogni sfogo. What else?

Qualche anno fa scrissi quello che diventò, mio malgrado, il post più letto di questo blog. Era ua lunga invettiva pieno di disprezzo (di cui potrei sottoscrivere ogni singola sillaba ancora oggi) su un collega bifolco e maleducatissimo con cui avevo avuto un alterco non legato a questioni di lavoro  ma, diciamo così, su una certa visione del mondo. Per fortuna ha chiesto il trasferimento e io ho risolto la mia repulsione nei suoi confronti semplicemente aspettando che la sorte mi assecondasse con eventi propizi. A volte succede davvero ed è un po’ come vincere al lotto.
Quell’episodio mi fece capire quanto fossero attenti ai fatti miei pure i colleghi che non salutano neanche quando condividono lo spazio in ascensore e poi nei fatti non vedono l’ora che tu faccia qualcosa di cui parlare e sparlare in pausa pranzo. Ci può stare. Così credo che sia sempre stato e così sarà sempre per contesti del genere.
Nel frattempo mi sono resa conto dell’urgenza di cominciare a frequentare e portarmi dentro solo le persone che mi piacciono davvero, quelle che non mi criticano  (perché tanto lo so che dai giudizi non imparo mai niente davvero) e verso cui sento di voler fare altrettanto. Quando stabilisco un legame quello che mi preme più di tutto è non urtare la sensibilità. Se così non è il mio compito è
diventato allontanarmi più che posso.

È così che sono riuscita a non litigare più. Ed è molto bello. Per il resto fingo di assecondare...tanto che mi importa. Ieri mi è stata contestata un’espressione autoironica che uso solo per me stessa. Ecco. A me certe contestazioni può farle solo qualcuno dei miei fari eletti della comunicazione, tipo Matteo Bordone o un luminare di filologia...altrimenti parlo esattamente come mi pare...ma questo me lo sono ripetuta in cuor mio, mentre fingevo di soprassedere all’irritazione di chi si sentiva offesa per una simile sciocchezza.

Migliorare per me ha significato fuggire dai conflitti, fare lunghi respiri prima di cedere ad una provocazione, educarmi alla calma, non reagire, far finta di niente. Spesso è durissima, ma paga. Mi aiuto con lo sport, o lunghissime camminate, la scelta accurata di persone belle. E poi con l’irrinunciabile mia amatissima solitudine. Quella scelta, che mi suggerisce senza offendermi. Che non giudica. Perché lei mi vuol bene così come sono. E pure io


giovedì 18 luglio 2019

Se ricordo bene...è solo un bene

E così anche De Crescenzo ha ritenuto che potesse bastare così. Dopo Gregoretti, della cui scomparsa mi rammarico più che per gli altri, e dopo Camilleri, i grandi raccontatori ed esploratori di grammatiche nuove del contemporaneo pare che si siano consegnati ad un silenzio a suo modo altrettanto eloquente. Un doveroso grazie.

È da un po’ di tempo che ci penso. Mi sono ricordata di una frase che all’epoca consacrai come la cosa più bella che mi fosse mai stata detta e che fino ad oggi si è dimostrata essere tale. Mi ricordo che bussai alla sua porta, che avevamo un rapporto complesso ma anche solido e affiatato. All’epoca era mio tutor al dottorato, ma era stato il prof di uno dei miei primi esami e relatore della mia tesi di laurea e poi anche docente ad un master post laurea che frequentai solo perché c’era anche lui che per me era già un mito. Ci ritrovammo dopo circa due anni, quando mi licenziai dal mio lavoro, appunto per fare il dottorato. Dicevo, bussai alla sua porta e gli dissi che avrei dovuto parlare con lui di una questione relativa alla mia tesi ma che non volevo fargli perdere troppo tempo. A quel punto lui mi rispose così: “Lucia, un’ora con te non è mai persa”. Forse scherzava, o lo disse così per dire, era un uomo burbero e piuttosto formale nella gestione dei rapporti umani, eppure io da quel momento e fino ad oggi (sono passati più di quindici anni) ho pensato che mai più nessuno mi avrebbe detto una cosa altrettanto bella.

Vorrei che sapesse che mi manca sempre molto, nonostante un rapporto in fondo anche molto conflittuale, le tante incomprensioni, il tempo, la distanza e l’ipotesi tutt’altro che peregrina che si sia ormai scordato di me. Forse non saprà mai quanto anche quella sola frase lo abbia reso indelebile per me, più del 110/110e lode che gli devo e del dottorato stesso, più di tutti quelli che ho incontrato, dei complimenti ai miei occhi o alle mie gambe da parte di uomini gentili e compiaciuti, quando la giovinezza e la freschezza ancora suscitavano nei miei corteggiatori simili lusinghe.

Il mio ricordo definitivo rimane quella frase e basta...almeno fino a qualche giorno fa,  Un’amica a cui tengo molto mi ha detto, dopo che le ho prestato due libri per le vacanze e che le sono tanto piaciuti: “Lucia tu sei la mia life coach! Come fai a capire sempre di cosa ho bisogno?”.
Ecco, forse questa è la seconda cosa più bella che mi sia stata detta nella vita e di certo una di quelle che mi porterò nel cuore per attingere un po’ di autostima quando me ne sento troppo poca in dotazione naturale.

Io non sono un’intellettuale, sono destinata all’oblio e ovviamente accetto con serenità pacificata certe leggi di equilibrio cosmico che vogliono intelligenze e talenti come risorse innate non equamente ripartite. Ma sono brava a ricordare per tutta la vita ciò che mi offre l’illusione che la renda immortale. E così ho pensato che è proprio così. Sì, se ricordo bene, è così che io funziono: ricordando bene

martedì 16 luglio 2019

E cosi fu che...

Esattamente dieci anni fa mi arrivavano i risultati del concorso che mi ha portato a vivere qui. Prima di allora non avevo mai pensato di venire a stare a Milano: la temevo, pensavo che fosse una città per gente competitiva e anaffettiva e in parte non mi sbagliavo, ma col tempo questo non ha costituito un vincolo per una felice esperienza di insediamento in una città che mi ha dimostrato di essere molte altre cose.
Il giorno dopo il mio concorso ero testimone di nozze di mia cugina. Fu una bellissima giornata. Avevo risolto la precarietà del lavoro, c’ea un bel sole, avevo un bel vestito, ero con tutta la famiglia in un bellissimo ristorante di Posillipo. Tutto davvero meraviglioso.

Quel giorno stesso successe pure un’altra cosa. Rividi un mio vecchio compagno di classe, uno di quelli con cui non avevo molta confidenza ma che rivisto dopo così tanti anni, così cresciuto e così diverso da quel ragazzo troppo magro e taciturno, mi fece molta impressione. Disse che mi trovava molto bella, che lavorava a Londra come ingegnere e che avremmo potuto rivederci. Così fu. E così fu che ci avventurammo in una storia bella e divertente, fatta di baci e amore a Londra e dintorni. Così furono le telefonate via Skype mentre io ero intenta a scoprire Milano. E così fu che mi tradì per una che manco conosceva. Così fu che restò con lei per un po’ del tempo successivo ai miei pianti e al mio farmene una ragione. Così fu che sposò un’altra ed ebbe con lei una bellissima bambina. E, infine, così fu che dopo tutti questi anni, mi abbia chiesto un po’ di tempo fa l’amicizia su fb, per poi scrivermi cose dolcissime e malinconiche che mi sono sembrate una maniera delicata e sincera di chiedermi scusa per il suo comportamento di allora.

Oggi, che ho postato quelle vecchie foto  di quel bellissimo matrimonio, che forse scattò lui stesso, vi ho ritrovato anche il suo “mi piace” e ho sorriso con una reazione automatica.
Credo che lui sia stato la mia ultima grande delusione d’amore, dopo erano solo illusioni. Sì, direi che
 Milano incontri del genere me li abbia proprio risparmiati e di questo, qualche volta, la ringrazio di cuore. La ringrazio per la solitudine che ho preso ad amare come mia prediletta ispiratrice di ottimismo e consapevolezze, e poi la ringrazio per i finti amori che ho imparato a schivare, per la presa di distanza dalla provincia e dalla sua grettezza e infine per il dono della presa di coscienza della mia fallibilità emotiva senza farne un dramma. Ringrazio sempre questa città per tutto questo ed anche per tanto altro.
Tranne oggi.

mercoledì 10 luglio 2019

Sonno di una notte di mezza estate (A hisotry of non sense)

Ho ancora una bella abbronzatura, per il resto la mia gioiosa vacanza conclusa da poco ha già smesso di propagare il suo benefico effetto: a Milano fa molto caldo, non riesco ad allenarmi ancora, è cambiata l’organizzazione del mio ufficio e per ora pare promettere molto ma molto male. Sono stanca di una stanchezza fatta di sonno, di noia, di senso di fatica anche per cose elementari.

Di solito l’estate mi accende e risveglia fantasia, dinamismo, voglia di fare cose nuove. Questa volta invece vorrei solo dormire sempre. Mi mancano le persone che vedo in inverno, gli appunti che prendo, i cappotti e il trucco pesante sugli occhi.

Milano si svuota davvero soltanto nel week end e io penso solo al fatto che non so cosa fare per comprare l’anguria più grossa del supermercato senza farmi venire la scoliosi. In compenso ho ceduto al gelato al kinder bueno e spero di non entrare nello stesso tunnel che mi vide a suo tempo vittima della dipendenza da Müller alla vaniglia o da anelli di cipolle panati. Ci sono passioni che non temono neppure il dolore che potrebbe infliggermi l’ago pungente della bilancia. Ingrassare d’estate “pesa” di più che in inverno.

In tv sta andando il film per me più bello di Cronenberg: A history of Violence.
Decidere di essere altro da quello che si è o che gli eventi ci costringono ad essere può essere un affascinante esercizio di volontà dalla riuscita edificante. Nutro spesso dei dubbi sulla sua effettiva solidità e perdurabilità, ma non credo che sia un obiettivo sempre impossibile. Di sicuro a me non riesce se non al prezzo di un sacrificio che in estate mi pare ancora più improbabile.

Ho davvero troppo sonno. Eppure ho dormito abbastanza, non mi sono stancata, nessuno mi ha stressato, ho visto un film che mi ha molto divertito e il video mi sta regalando il Viggo Mortensen più in forma di sempre. Ma ho davvero bisogno di dormire. E invece vorrei aver voglia di fare
qualsiasi altra cosa giusto per il fatto che non c'è ragione per cui non ne abbia.

E invece.

Buona notte.

Ore 22:00


venerdì 5 luglio 2019

(Ri)tagli del mio tempo

Non mi ci abituerò mai. Lo so che è una cosa stupida visto che in realtà lo scopo sarebbe proprio quello. Ma a me questa cosa colpisce sempre. Scoprire che ci sia qualcuno che trova i miei post, persino quelli più vecchi e decide di leggerseli è una stranissima emozione fatta di vergogna mista ad orgoglio. Mi chiedo sempre chissà cosa possa aver pensato, se mi conosce, se ne colga davvero il senso e le intenzioni o se col tempo quelle esperienze sono capaci di raccontare soltanto cose vecchie e non traducibili in materia interessante. Non lo so, però io qualche volta rido abbastanza di quelle cose un po’ insulse che per me avevano addirittura la dignità di un racconto scritto.

Ho tagliato i capelli. Non mi dispiacciono e poi erano molto rovinati e io avevo bisogno di sentirmi diversa.

Il rientro al lavoro è stato piuttosto traumatico: ho cambiato team, manca l’aria condizionata e io riesco a dormire un po’ solo sul divano ma poi le mie ossa ne risentono. Ma va bene così: la mia vacanza è stata bella e stare a Milano a luglio e ad agosto mi piace moltissimo e poi per la prima volta  andrò al festival del cinema di Venezia e sono proprio curiosa.

In questo momento danno “paura d’amare” in tv, uno di quei film molto riusciti e dal romanticismo non  banale sui quali ho tentato di formare la mia educazione sentimentale. Me lo riguardo mentre ne ridimensiono la portata emotiva e consolido l’idea che non è affatto scontato non avere paura di amare o attribuire a qualcuno la capacità di farci sentire profondamente vivi.

Qualche volta faccio un giochino con un amico con cui condivido un sacco di cose tranne l’amore, anche perché credo che lui abbia cambiato quindici fidanzate da quando lo conosco. Faccio così: gli dico che mi piace uno, che flirtiamo, che usciamo...e lui ad un certo punto mi fa “non ti fidare” ,

lascia perdere”, “già da questo capisco che non siete compatibili”...cose così. È geloso senza amarmi. Credo che questa sarà sempre una delle mie condanne. O benedizioni, chi lo sa.

Il film è arrivato al punto in cui loro lo hanno fatto e sono felici. E a me pare soltanto un vecchio racconto in cui non ho più voglia di riconoscermi. Un po’ come ho fatto io durante tutti quegli anni che ho perso a farmi crescere i capelli solo per poi scoprire che in realtà corti mi piacciono di più