Sola andata

Sola andata

venerdì 27 settembre 2019

Di semi_seri. E di forza della natura

-...È che penso che ormai andrebbe aggiornato. Almeno in parte, ma sarebbe meglio del tutto...
- Cosa intendi dire? È la verità, io sono questo
- Ma non dire sciocchezze! È roba che hai fatto un sacco di anni fa. È passato remoto. Sei diventata altro: cancella e ricomincia da capo. A proposito, hai tagliato i capelli troppo corti, sei simpatica ma eri più carina prima. Allora? Lo facciamo assieme questo aggiornamento del profilo di questo strano spazio?
- Ma cosa non ti piace di preciso? Lo copiai quasi integralmente  dal mio primo blog, quello del 2008 che si chiamava “Semi_Seri - alla ricerca di un terreno fertile su cui germogliare”. Ho aggiunto solo che vivo a Milano.
-...sì, la città che ami in modo conflittuale...ma fammi il piacere! Sei attaccata a questo posto come una cicca sotto un banco delle medie. E poi a chi vuoi che importi che hai un dottorato in una materia che non ti è manco mai piaciuta...
- No, qui ti sbagli! Mi sono licenziata da un contratto a tempo indeterminato per quella cosa lì...
- Lucia...dilla tutta...volevi tornare dal tuo prof. quello per cui hai avuto una venerazione tanto assoluta quanto incomprensibile per un numero di anni pari quasi alla metà della tua vita. Se non ci fosse stato lui avresti cambiato rotta immediatamente. E saggiamente...
- Hai ragione. Lo adoravo. E quindi che devo fare?
- Riscrivi chi sei adesso. Dimentica ciò che è stato e che non ti rappresenta più, ammesso che lo avesse fatto prima. Sono passati più di 10 anni, come sei diventata nel frattempo, cosa ti interessa profondamente?
- Ok. Mi chiamo Lucia, vivo a Milano come se fosse stata sempre la mia città. Ho una laurea in economia ma vorrei che fosse in lettere, non viaggio più da sola da un po’ di anni e quando capita adesso voglio la colazione a buffet. Vivo sola, e continuo ad amare e onorare la mia solitudine. Le mie giornate sono scandite da un tempo non negoziabile fatto di attività fisica e film belli e di
faccende che a vario titolo stanno attorno a queste cose. Continuo a non essere un’ottimista ma grazie al fortissimo senso di colpa che questo mi procura faccio sforzi continui  di ironia. Spesso ne traggo enorme soddisfazione e l’illusione di non essere troppo antipatica e cupa.
Non leggo più così tanto come un tempo. In compenso sono diventata una buona ascoltatrice e un po’ più socievole di una volta. Continuo a non credere nell’amore eterno...e a sperare di essere smentita. Sono meno intollerante verso la volgarità ma auguro ogni male a chi accende il cellulare al cinema. Ecco, direi che se mi presentassi oggi direi questo. Non mi pare che sia troppo diversa da quello che ero.
- Beh, direi che sei cambiata un bel po’ invece. Apprezzo lo sforzo misto alle convinzioni che non ti abbandonano mai. Senti, hai visto che oggi i giovani hanno manifestato con Greta per l’ambiente?
- A me fa piacere. Nel 2008 io leggevo “la scommessa della decrescita” e mi infiammavo per una teoria che di fatto era una solenne boiata, oggi c’è una ragazzina appassionata e molto arrabbiata che raccoglie milioni di energie fresche richiamandole al senso di responsabilità e al ritorno all’idea di

futuro. Le contestano di essere una pedina nelle mai dei poteri forti e che sia un fenomeno mediatico ed economico. Solo un’altra faccia della stessa medaglia. Anche io penso questo. E penso che la strada sia questa: l’ambiente deve essere una questione economicamente conveniente, deve creare valore anche economico. Non è detto che l’altra faccia di una stessa medaglia sia una faccia sbagliata. Qualche giorno fa ho visto un documentario bellissimo, intitolato  “La fattoria dei nostri sogni”, nel quale si raccontava, tra le tante magnifiche cose, che l’armonia perfetta non è in fondo un traguardo realistico e forse neppure troppo interessante. Ciò che ha senso, nel complicato rapporto dell’uomo con la terra, è l’obiettivo di una “disarmonia sostenibile”. Una bella definizione, non trovi?
- Si è bella. Forse anche la tua vita è stata una vocazione realizzata ad una disarmonia sostenibile. E questo, se ci pensi bene è un gran bel risultato
- Concordo. I miei “Semi_Seri” forse un po’ di terreno fertile alla fine lo hanno trovato. Evviva!




domenica 22 settembre 2019

La ragione sta nella “mezza”

L’autunno ha fatto il suo ingresso a gamba tesa con una puntualità a cui non sono mai pronta visto che per le mezze stagioni sento dire, ormai da quando sono nata, che non esistono più. I ritmi sono tornati ad essere quelli di sempre dopo la “destabilizzante” estate, le temperature suggeriscono il consueto abbigliamento a strati per fronteggiare la variabilità delle giornate e io provo ad inventarmi, come al solito, qualche forma nuova di stupore per tutta questa prevedibilissima ciclicità sempre uguale a se stessa. Detta così pare una cosa triste ma in realtà io in questa condizione ci sto ancora parecchio comoda, forse perché in fondo continuo a desiderare le stesse cose, sempre quelle e tutte di facile accesso per fortuna. E poi più di tutto, durante i giorni che si fanno più rigidi, mi piace starmene su questo divano a “reimparare” a non dare nulla per scontato. Neppure l’indignazione apparentemente più sacrosanta.
È notizia di questi giorni il successo enorme che ha ottenuto il documentario sulla Ferragni. Perché dovrei giudicare questo fatto come il segnale inequivocabile di una decadenza etica e ideologica? Che strumenti si possiedono davvero per criticare l’ascesa senza precedenti di una giovanissima donna che ha intuito per prima un modo totalmente nuovo di concepire il marketing e la valorizzazione dei suoi brands  tramite il web? Ha semplicemente realizzato un’idea che ha avuto un enorme successo. Oltretutto paga regolarmente (tantissime) tasse e non è affatto vero che non lavori.

Pare  strano e invece il capitalismo funziona esattamente così. Da sempre: c’è chi arriva a diventare ricchissimo perché è un genio e la sua idea viene intercettata per creare nuovo valore, chi perché ha scommesso su titoli che sono andati benissimo contro ogni previsione, chi è arrivato per primo ad aggredire certi segmenti di mercato poi risultati vincenti, e poi c’è (anche) chi si è fatto da solo inseguendo ostinatamente un’idea e lavorandoci sopra senza mollare mai. Di contro, c’è anche chi pur avendo almeno uno dei requisiti accennati non ha comunque ottenuto quei risultati. Perché succede. Succede che il mercato obbedisca a regole totalmente proprie e del tutto insondabili, che non sia meritocratico e tagli fuori chi sulla carta potrebbe promettere e mantenere e questo solo perché la congiuntura non gli è, in quel momento, favorevole solo per una mera casualità, per una tempistica errata. Succede da sempre in un sistema concepito così e disattento a preservare l’equità e una redistribuzione attenta delle risorse.

È per tutte queste ragioni che trovo che l’accanimento contro la Ferragni sia ridicolo e inutile, oltre che mosso da evidente invidia. Di contro non mi piace neppure cadere nella trappola opposta di chiedermi se la colpa sia di chi la segue come un oracolo, come se fosse la prima volta che un sistema collettivo senta il bisogno di creare dei miti che garantiscano una visione comune e creino una forma anche fragile di collante e di senso di appartenenza. Chi ha davvero il diritto di contestare e giudicare simili processi? A me interessa di più osservare i cambiamenti per quello che sono, senza giudicarli, perché è inutile, sciocco e pretestuoso, e provare invece a decodificarli

A me della Ferragni importa poco solo perché non mi interessa l’ambito in cui opera, ma ho sentito
ragazze dire che per loro rappresenta la perfezione. Forse è così e sono io a non possedere questo nuovo strumento di misura. Chi lo sa. Però me lo devo ricordare più spesso che giudicare generazioni più giovani della mia, che ragionano con codici diversi, che rispondono alle richieste di un tempo diverso da quello in cui io mi autodeterminavo, non è un modo efficace di leggere la società. E poi io sono coetanea di gente come Renzi e Salvini...dovrei tacere anche solo per questo.

È arrivato l’autunno. È una stagione di passaggio proprio bella ora che ci penso bene. Pensare che possa non esistere più è veramente da folli.


martedì 17 settembre 2019

Di necessità superfluo

Otto bicchieri colorati per aperitivi estivi, delle formine per fare il ghiaccio a forma di animaletti, dei piattini per il sushi comprensivi di bacchette, una mug, delle posate per insalata, un set da sei di tazzine da caffè. Ho preso tutto, l’ho sistemato in una grossa borsa e l’ho regalato a chi avrebbe potuto gradire. È molto divertente privarsi delle cose di cui si pensava di avere necessità e scoprire che il vuoto che lasciano è in realtà uno spazio fatto di leggerezza o un posto lasciato libero per le cose nuove.
È incredibile quante cose si possano accumulare in una casa nel corso degli anni, anche in una piccola come questa. Per me si tratta soprattutto di piccoli ricordi, regali, oggetti buffi, scatole di latta con sopra dipinti soggetti vintage, strani accessori per la cucina...tutte cose di cui credo che non farei troppa fatica a liberami. Mi piacciono ma non mi ci sono affezionata davvero. E questo in fondo mi dispiace un po’. A volte mi chiedo come reagirei se andasse tutto perduto in un incendio. Soffrirei solo per un paio di libri sottolineati e molto vissuti e per certe collezioni di film che faticherei a ripescare...ma forse neppure in questo caso soffrirei più di tanto.

Una volta ascoltai un’intervista ad un antropologo. Lui raccontava che da molti anni andava in giro per il mondo a realizzare piccoli o ambiziosi progetti di aiuto nei villaggi più poveri del mondo: un scuola, un acquedotto, servizi di assistenza, costruzioni abitative...cose così. Ad un certo punto l’intervistatore gli chiese cosa si provasse a lasciare un luogo in cui si è vissuto così intensamente, tutte le persone del posto che si è deciso di aiutare. Gli si chiedeva quanto davvero pesasse il vuoto di un distacco da persone a cui si era dato tanto di sè. L’antropologo rispose così: “vede, io sono un anaffettivo. Una volta portato a termine un progetto è come se un vuoto si fosse già creato. L’esperienza si è conclusa e la sola cosa di cui sento la necessità è portare avanti un nuovo progetto e realizzarlo. Ciò che è stato fatto già non conta più”.
Che strana risposta. Davvero si può decidere di fare qualcosa di bello e di buono per l’umanità pur
non amandola?!?! Pare proprio di sì.
A volte anche io credo che l’affetto, i legami, l’amore siano in fondo un concetto sopravvalutato e spesso smentito dalla stessa impossibilità di riuscire a stabilirne una definizione netta. Penso al mio gatto: a lui importa solo di se stesso eppure ha fatto in modo di diventare un esserino  indispensabile per la mia famiglia. Non ama nessuno ma fa del bene a sua insaputa. Che strano paradosso.

Oggi mi sono liberata di cose che servono di più ad altri e stasera, rientrando in casa e vedendo quegli spazi ormai liberi mi è sembrato di respirare meglio.
E così ho pensato che non è una colpa non sentirsi legati alle cose, alle persone, alle esperienze, ai ricordi. Questo me lo disse il mio primo gatto l’ultima volta che ci siamo visti. Prima di sparire per sempre. E non farsi scordare mai più





giovedì 12 settembre 2019

Quando tutto torna mi metto in “ascolto”

Come è strano soffermarsi sulle cose che mi sono più familiari e che mi sembrano nuove solo perché mi ero allontanata da loro per un po’. Il rientro alla routine post vacanziera mi fa sempre questo effetto: la novità senza l’ignoto, la necessità di riabituarmi ai ritmi perduti e al rapido ritorno a certi automatismi senza imprevisti. È un po’ come rinascere ogni volta portandosi però dietro un pezzo di consapevolezza in più. In fondo credo che invecchiare sia esattamente questo: familiarizzare costantemente con ciò che solo in apparenza ritorna sempre uguale a se stesso come un destino ineluttabile ma che in realtà è, necessariamente, tutt’altro da ciò a cui eravamo abituati.
Dell’estate appena passata avevo già fissato qualche appunto, il tanto che mi è bastato per dire che è stata bella, varia, spesso memorabile e che questo mi pare essere stato un gran bel risultato. Ne farò tesoro da capitalizzare per l’inverno.

Per tutta questa settimana ho avuto una forte allergia agli occhi. Mi svegliavo con la faccia di un pugile molto sconfitto e, prima di essere presentabile senza dare adito a deduzioni improbabili, dovevo fare molti impacchi di acqua fredda. Poi è tutto passato con la stessa misteriosa modalità con cui era arrivato. Forse la calma con cui sono ritornata al mio quotidiano più familiare non poggiava su basi poi cosi solide e così una parte di me ha fatto resistenza impedendomi di “vederci” davvero chiaro. Vai a sapere...tanto poi alla fine tutto torna (torna come? Chiaro?).

È tornato pure l’irrinunciabile palinsesto invernale delle mie stazioni radiofoniche preferite, quelle senza le quali il silenzio domestico mi pare il peso più insostenibile che io possa immaginare. Matteo Caccia è passato di nuovo a radio 24 (da radio due): sono 15 anni che lo ascolto e quando ero ancora giù in Campania desideravo tanto conoscerlo e parlargli. Poi questa cosa è successa davvero e adesso mi commuovo sempre un po’ quando tutte le volte che lo incontro si ricorda il mio nome e mi saluta
 col bacetto.

Nell’albergo di Venezia invece ho fatto colazione al tavolo accanto a Lalaura, altra mia storica beniamina di radiodue. Una mattina l’ho avvicinata e le ho detto che la seguo da tanto tempo e che è bravissima. Ne è stata felice, ma io non mi perdonerò mai di essere stata così ineducata quando l’ho vista con le valige e non ho proprio pensato ad aiutarla un po’. Quella mattina non ho fatto altro che pensare a quanto devo averla delusa.
È tornato anche il mio idolo assoluto Gianluca Nicoletti più in forma che mai. Conosco anche lui: di solito mi prende in giro ma credo che sia molto compiaciuto del mio affetto.
Ecco, io credo che la radio renda più tollerabile il mio ritorno alle mie cose sempre uguali, ai risvegli solitari e con la vista appannata, al silenzio imposto, alla familiarità di uno spazio ostinatamente ristretto. Ma forse tollerabile non è la parola giusta. Ad un certo punto credo che il termine esatto da usare  sia “auspicabile”. Io credo che anche la vacanza più bella, la compagnia più piacevole,
l'esperienza più  sorprendente, il mare più cristallino, i tramonti più poetici, siano il pretesto saggio
di un desiderio di tornare qui, in mezzo a queste quattro cose che mi riguardano così tanto. Così più di tutto il resto.

La serata è fresca, mi sono struccata, ho appena visto un bel film e sono ritornata nel mio letto sotto il tetto. Non ho ripreso ad allenarmi, ma so che tornerò a fare anche questo a brevissimo. Tutto già “sentito”. Non mi resta che rimettermi in “ascolto”. Perché ogni vecchio programma, per continuare ad esistere, porta con sé delle novità invisibili agli occhi. Persino a quelli quasi del tutto sgonfi.



sabato 7 settembre 2019

Tra un’attesa e l’altra. Segni di un’estate

Stavolta ho davvero concluso. Sono alla stazione di Venezia ad aspettare il treno che mi porterà dritta dritta verso l’ultimo scorcio di un anno che mi ha visto in ferie in tempi (e posti) diversi a regalarmi occasioni preziose di scoperte, distanze da ciò che mi è inutile e mi ferisce, nuovi punti di osservazione, condivisione...
L'esperienza della mostra del cinema è stata molto al di sopra delle attese. Pare che sia stata una delle più belle degli ultimi anni e io non fatico a crederlo. Vorrei che vincesse “Ema”, un film che mi ha regalato delle suggestioni visive e una tale partecipazione emotiva che fatico ancora adesso a smaltire tutto quel groviglio di sensazioni così intense. Ma sono tantissimi i film che mi hanno profondamente convinto e potrei affermare che mai una sola volta ho pensato di aver sprecato il mio tempo, neppure per Assayas che ogni volta mi fa pensare che sia un regista piuttosto sopravvalutato. E poi ho capito una cosa di me che non mi era mica così chiara fino ad ora: io amo i documentari. Quelli che ho deciso di vedere, con tematiche inerenti il cinema horror, o quello erotico, persino uno sul funerale di Stalin (che mi ha tenuta incollata con la bocca aperta come una bambina a uno spettacolo di marionette) o su autori come Piero Vivarelli, Babenco, Tarkovsky (questo da pelle d’oca), sono stati una folgorazione continua di cui io stessa fatico a credere, visto che per me tutto ciò che ha a che vedere con la didattica finisce sempre per portare con sè qualcosa di maledettamente noioso.
E poi ci sono state le eccezionali compagne di avventura che hanno reso tanto più semplice e gioiosa questa mia epifania cinefestivaliera. Senza Cristina, Mirella, Serena e Pia non avrei saputo così presto e bene come muovermi, fissare un programma delle priorità, che strade percorrere per le passeggiate più belle...l’armonia è il risultato di un equilibrio delicato e intelligente delle componenti in gioco. Ne ho conferma.
È stata un’esperienza profonda ed è anche per questo che mi è difficile concepirne la replicabilità. Mi è piaciuto tutto. Per questo non tenterò di rifarlo.

Le mie vacanze sono state anche il mare della Grecia, il riposo profondo, il cibo buono, i luoghi antichi, quelli che ti ricordano meglio di tutto chi sei veramente.
Vacanze sono state le gite fuori porta in Trentino con Alessandra a girar per vigne. Io che sono più o meno astemia, e poi a Tortona, sempre con lei, a pranzo dai genitori o per una pizza in una cascina che pareva il set di un film di Bertolucci.

Io non so quale sia la definizione giusta di “vacanza” perché in fondo, in quanto lasso di tempo “vuoto”, ciascuno ha il potere e la fantasia di riempirlo come crede. Ho memoria di anni in cui avevo smesso di aver voglia di andare in un”altrove” solo per dover dire di averlo fatto. Non volevo nulla:
non il mare, nè la montagna, non i viaggi e neppure la compagnia. Aspettavo che i miei andassero via per stare da sola a casa. La mia ultima estate così la usai per scrivere la tesi.

Ecco. Ora sono sul treno. Faccio fatica a fare un resoconto. Sto impiegando uno sproposito per
scrivere questo post, ho problemi con la gestione di questo ultimo scorcio di tempo tutto mio, prima che Milano mi fagociti nella sua “routilante routine”.Sono pronta ma è come se fossi contrariata di questo, sono sazia e appagata da tutto eppure mi pare una colpa ripartire proprio da dove ho scelto di restare. È una sensazione strana e inedita che forse mi passerà non appena riprenderò le chiavi per entrare in casa.

Il treno sta partendo. Ciao Venezia.

Spero che vinca “Ema”. Ma se vincerà un altro andrà benissimo lo stesso

mercoledì 4 settembre 2019

In fila (a tessere le fila)

Ho camminato per due ore, è questo il tempo a piedi dall’albergo fin qui alla mostra. Sono le 9:39 ed è la prima volta da quando sono qui che vedo questo posto sgombro dalla folla oceanica che tiene sotto assedio lo spazio, in fondo molto limitato, nel quale fare file per qualsiasi cosa è uno “state of mind”. C'è un bel sole, una musica di sottofondo abbastanza orribile, io sono seduta su una specie di panchina di fronte al palazzo del casinò e sono già in ansia per la fila alla sala Volpi. Ieri dopo un’ora in attesa sotto un sole impietoso ci hanno detto che era già piena.

Venire alla Mostra è stata una bella idea. Una bella idea che non mi farò più venire. La verità è che sono contenta di tutto, persino dell’albergo totalmente inadeguato rispetto allo sproposito che è costato, mi sono piaciuti tutti i film e direi persino che benedico la scelta proprio di quelli che avrei potuto vedere soltanto qui. Mi sono fatta piacere pure quest’ansia perenne delle file dal mancato buon fine, delle attese per andare in bagno, del mangiare quello che capita e quando capita. Mi sono fatta piacere pure il glamour più tamarro e fesso che si possa immaginare, le gnocche senza fine sui tacchi dodici (esistono ancora i tacchi a spillo e qualcuno che li trova belli...). Ho tollerato la maleducazione dei veneziani che sugli autobus ti fanno appunti pure per il tuo respirare, e persino i panini a sette euro. Va bene tutto. Perché sonno stati giorni di totale astensione da tutto il mio mondo conosciuto, perché passare quasi tutto il tuo tempo vigile tra sale di cinema a vedere film bellissimi e a non dover pensare a nient'altro è stata un'esperienza di catarsi irripetibile, un’avventura totalizzante di vita “aliena” che non sarei stata capace di realizzare in nessun’altra maniera.

Infatti non la ripeterò. E neppure la scorderò. Non la rimpiangerò. Ma che gran peccato sarebbe stato perdermela.
Ora devo andare verso la sala Volpi. C'è un’ora di fila che mi aspetta sennò mi lasciano fuori. E fuori dalla sala garantisco che trovo solo storie meno belle