Sola andata

Sola andata

giovedì 26 dicembre 2019

Lumachina 2.0

Stavolta me lo merito. Decisamente. Non lo faccio mai, ma stavolta ho deciso che per una volta parlerò tanto bene di me. Non c'è pericolo che mi ci possa abituare: mi diverte molto di più prendermi in giro e deridermi del mio eterno incespicare piuttosto che decantare meriti che molto probabilmente sono solo frutto del caso o di una congiuntura particolarmente favorevole. Ma oggi me lo devo. Anzi è da ieri che me lo devo. Più precisamente dal pranzo di Natale.
A mia memoria credo di non aver mai cucinato così bene in tutta la mia vita. Era tutto perfetto dall’antipasto al dolce. Non ho sbagliato nulla dalla scelta dei piatti, condimento, sale, il punto di cottura della parmigiana al forno, financo la consistenza della crema al limone per la frolla alla vaniglia era esattamente come la sognavo. Persino il caffè mi è venuto più buono del solito.  La casa era perfettamente pulita e in ordine e io ho trovato il tempo di andare a correre all’alba, leggere e finire la serie de “La fantastica signora Maisel” che è una delle mie attuali ragioni principali di gioia e benessere. Ieri e oggi sono stati due giorni perfetti. Si può far festa anche così, lontani dalla famiglia ma senza nessun rancore, semplicemente sfruttando l’occasione di un tempo speciale per trovare una dimensione tutta propria e piena di tante cose. Oltre che di tanto silenzio. E di “tracce” da ripercorrere.

Dieci anni esatti che vivo in questa casa. Venni ad abitarci che avevo a disposizione solo il microonde e il letto. Mancava pure il riscaldamento, e all’epoca nevicava. Sì, dieci anni fa di questi tempi a Milano faceva veramente freddo. Solo dopo sono arrivati il divano, i mobili dell’ikea, la cucina montata da un signore marocchino che mi fece morire dal ridere per un pomeriggio intero. E poi tante cene affollate e che col tempo si sono diradate. E poi altre persone ancora, da cui mi sono lasciata ferire senza alcuna ragione. E poi la solitudine, di cui parlo sempre più spesso come se fosse la migliore consolazione da quando non riesco a perdonarmi i miei eccessi di ingenuità. Pensa che oggi
le ho dedicato un commento sull’huffington post che è arrivato a 110 like! Paradossalmente non sono sola.

Dieci anni esatti. Gli stessi che sto su fb, grazie al quale mi è più facile seguire la mia traiettoria proprio come la traccia lasciata da una lumachina che procede lenta ma inesorabile. È davvero molto comodo ripassare i ricordi così: foto, pensieri scemi, repost di articoli del tempo, arrabbiature , faccende buffe...un meltin’’ pot piuttosto efficace per ricostruire il mio spirito di quel tempo. Un percorso tutto sommato fedele quando si usano i social con la mia stessa costanza un po’ ottusa.
Non ho mai parlato di uomini già sposati o impegnati che confessavano di esserlo giusto un po’ in ritardo col candore di chi vorrebbe dirti “eh, ma mica me lo avevi chiesto”. E anche allora in fondo che problema c’era...se non cerchi marito e non vuoi riprodurti, che problema c’è. In effetti non fa una piega. Non ne ho mai parlato...ma riconosco le mie sottotracce e questo vale come promemoria corredato dalla dignità e dalla discrezione.

Dieci anni esatti. Sempre nello stesso ufficio e adesso il mio collega di stanza va in pensione.
All’inizio litigavamo sempre perché io lo trovavo un bigotto integralista davvero intollerabile. Poi ad un certo punto ho smesso. Ho capito che nessuno dei due avrebbe cambiato idea da quei litigi e così, per tutti questi ultimi anni, non abbiamo mai più  litigato e siamo stati sempre in armonia e in pace. E quando ci penso mi viene sempre in mente l’incipit di “velluto blu”...

Dieci anni esatti. Tutto soltanto per arrivare a questi ultimi due giorni perfetti. Volevo soltanto correre, leggere, mangiare molto bene, vedere per ore la mia serie preferita del momento e poi una casa perfettamente pulita e in ordine.
Ho impiegato un sacco di tempo solo per godermi esattamente questa cosa qui.
A Napoli, quando si tarda a fare gli auguri per le feste che verranno si dice una cosa assurda e apparentemente priva di significato come “buone feste fatte”. Se penso alle mie feste appena fatte credo proprio di starci dentro perfettamente.
Sono stata proprio brava. Quasi quanto quella lumachina che si porta sempre dietro la sua casa. E senza mai smettere di lasciare la sua traccia





venerdì 20 dicembre 2019

Io non ti conosco. Ma un po’ lo so chi sei

La metro rossa in questo periodo è una cosa davvero difficile da descrivere. Ero pronta alla folla oceanica, alla mancanza d’aria, alle micro risse da inevitabile intolleranza da eccesso di vicinanza, anche perché ormai sarebbe sciocco da parte mia sorprendermi ancora per questo carico di disagio legato ad una fase ciclica tanto prevedibile come questa. E così ho approfittato di quel tempo carico di mestizia per fare una cosa: recuperare ad ogni costo quel vecchio post. Sì, assolutamente. Come lo avevo intitolato? Quando lo avevo scritto? E perché all’epoca fui spinta così fortemente a parlare proprio di lui? Ma certo! Trovato. Era il 27 gennaio 2018.
Procederò per ordine. Premessa. Io sono una persona timida, pure quando faccio la disinvolta, anzi, soprattutto allora. Per questo odio la parte del mio lavoro che prevede il contatto col pubblico. Ma mi tocca e così per due volte a settimana sono costretta a stare giù allo sportello per quattro ore di fila. In questo periodo, che sono tutti in ferie, i due giorni diventano più o meno tutti i giorni. Per me è sempre una vera tortura e questo nonostante riceva spessissimo, e inopinatamente, complimenti per la mia calma, il sorriso, la pacatezza, la dolcezza...si sbagliano. Ma tant’è: mi godo una percezione altrui di me che io stessa non so spiegarmi. Vengo alla storia.

Mercoledi scorso. Si siede un intermediario per registrare degli atti e, prendendo a pretesto le ferie che nessuno di noi due farà per il Natale, ha cominciato a parlarmi delle sei volte che è stato in Perù e che però non è mai stato a Napoli e neppure a Firenze, che vorrebbe andare da Michele a mangiare la pizza più buona di Napoli, ma che in fondo anche Pizzium qui a Milano è un’ottima alternativa.
- Oh no, devi assolutamente rimediare. Napoli negli ultimi anni è diventata molto bella
-Certo, lo immagino. Ci andrò di certo. Il fatto è che conosco così bene il Perù solo perché la mia ex moglie viene da lì 
(Oh ma certo! Ora mi ricordo di lui. Mi parlò della sua storia tormentata di separazione, di una figlia che è morta, delle battaglie legali per l’affidamento del figlio, del judo a livello agonistico...ma certo
è lui! L’unico sconosciuto a cui abbia dedicato un mio post l’anno scorso. Non so neppure come si chiama. Chissà se si ricorda di me o mi sta dicendo queste cose pensando davvero che io non le sappia già)
-Il mio viaggio del cuore rimane quello in India, ma non perché sia tornata cambiata. È stato lì che ho
capito che la democrazia basata su una forma di sottomissione religiosa può essere deplorevole quanto quella americana basata sulla sottomissione al consumo illimitato
-Vero. Ma io per l’india non sono ancora pronto
Abbiamo continuato a chiacchierare di cose del tipo che aveva perso venti chili (ecco perché non l’ho subito riconosciuto!), del judo (eh si ora ricordo tutto) come secondo sport più faticoso al mondo anche se sembra totalmente statico e poi di altre cose che non ricordo ma per cui sorridevo mentre gli sbrigavo le pratiche per cui mi stava seduto di fronte. Gli ho detto che a febbraio andrò in Islanda e che mi auguro di vedere l’aurora boreale. Lui mi ha detto che è un’ottima idea. Poi ci siamo salutati e abbiamo sorriso. Non saprò mai se anche lui si sia ricordato di me mentre si chiacchierava.

Oggi 
-Ben ritrovato! 
- Ciao!
-Allora? Nel fine settimana hai stabilito una meta diversa dal Perù verso cui indirizzarti?
-Ma figurati io col Sud America ho chiuso. Però ti devo portare una cosa. Lunedì ci sarai?
-Ahimè sì. A Natale sono una tappabuchi per gli sportelli
-Allora ti porto delle foglie di coca
-Cosa!?!?
-Ma no! È del tutto legale. Serve per fare il mate. Vedrai. Quello che trovi nei supermercati non è la stessa cosa
- uh, allora grazie
-Allora chiedo di te e te la porto. Come ti chiami?
(guarda il timbro sull’atto). Lucia. Ok, ci vediamo lunedì

Era il 27 gennaio del 2018 e io scrivevo un post su una persona di cui non conoscevo neppure il nome e che pensavo che non avrei mai più rivisto. Se lunedì prossimo si ricorderà davvero di portarmi la coca per il mate saprò di non aver fatto male a dar tutto questo peso ad una persona con cui, in fondo,  ho condiviso giusto una manciata di minuti. Che spesso è proprio quello che basta per capire tutto.


venerdì 13 dicembre 2019

Venerdì 13. O del come farsi luce

Oggi è il mio onomastico. Mi dicono essere anche il giorno più corto dell’anno, credo perché fa buio molto presto. È curioso perché il 13 è pure il giorno in cui, ad agosto, compio gli anni, ma stavolta nel giorno più lungo dell’anno. Più precisamente, il giorno con più ore di luce. Io mi chiamo Lucia. E in qualche modo mi pare tutto estremamente sensato nella sua ovvia e indifferente casualità. Non ho preparato torte in mio “nome”, ho lavorato e parlato con troppe persone, ho visto un film di cui non saprei dire nulla, mangiato una roba vegana di cui non indovinerei neppure un ingrediente. È stata una buona giornata. A me l’aria natalizia milanese, soprattutto se attraverso certe strade con le lucine che mi incantano fino a farmi perdere la messa a fuoco, rilassa e pacifica. Sono anni che per me il Natale non esiste in quanto festa in famiglia e obblighi di reciproco scambio di beni. Sono anni che faccio di questo tempo un’occasione irripetibile per starmene in modalità gatto acciambellato, che vuol dire silenzio, fatti miei, riposo tendente all’ozio, si spera, creativo.

Qualche giorno fa mi ha contattato un mio amico di vecchissima data per delle problematiche relative ad una questione terribilmente spiacevole. È stata l’occasione per ricordare tantissimi episodi che ci hanno visto assieme alle prese con gli esami all’università. Credo di dovergli moltissimo. Tra i due, l’inguaribile ottimista era sempre lui: sopportava il mio sconforto per quegli argomenti che trovavo così ostici, le difficoltà ad affrontare gli esami, i nostri reciproci fidanzati improbabili...che anni assurdi. Che bello averlo risentito nonostante lo spiacevolissimo pretesto. Ad un certo punto gli ho detto, per consolarlo, che ero sempre stata io quella pessimista e ansiosa. Non lui. Perciò in un’ipotetica esortazione alla continuità dei ruoli, ho fatto in modo che ritornasse a ricoprire quello suo di più di venti anni fa. E lui mi ha detto che era bello da parte mia.
Non ci si perde mai davvero quando certi percorsi comuni, anche minimi, hanno significato qualcosa.

Nei miei propositi di quest’anno c’era anche quello di vedere tanti film e posso dire che la mia
missione si è più che decentemente compiuta. Sono giorni che tento una classifica ma mi risulta davvero difficile. E così ho pensato di fissare le mie preferenze non in base ad un criterio assoluto di gradimento quanto ad un ricordo o uno stato d’animo ad esso associato. E così i film del 2019 che ho voglia di portarmi dentro sono questi:
1) Dolor y gloria.
Visto due volte. La prima, doppiato, col mio papà che non ama affatto il cinema e che per questo film disse “proprio bello” lasciandomi di stucco ma molto contenta. La seconda volta, da sola, in lingua originale, in un piccolo cinema che amo alla follia. La sala era vuota e io ero completamente incantata dalla recitazione, dalla storia, dalla magnificenza di dettagli e colori che corrispondono esattamente a certa estetica che mi cattura. Un film indimenticabile
2) Parasite. 
Sono entrata in sala con tutto il carico di curiosità accumulato da giorni in cui leggevo recensioni
appassionate e in preda ad ogni esaltazione mistica. Quel tempo trascorso a ricevere delle esatte
conferme mi è parso non essere davvero passato. Un film ipnotico che ha segnato una svolta nel mio modo di concepire l’idea di spettatore

3) C’era una volta...a Hollywood.
Ero in pausa pranzo, ero molto stanca. Avevo sentito voci discordanti su questo film. Ma Tarantino te lo vedi a prescindere, pure se poi devi rientrare in ufficio e farti prendere a botte dalla realtà. Anzi, a maggior ragione. Ricordo di essere rientrata in ufficio e che mi pareva diverso. Ma ero io ad esserlo. Ricordo che in quel giorno ho avuto l’esatta percezione del potere curativo, rigenerativo e stabilizzatore che ha su di me un buon film. Gratitudine

I prossimi sono i film che ho amato perché ero con amici che mi sono molto cari, o perché incarnano tutto un sistema di valori che mi riguardano completamente e mi fanno pensare al futuro come un luogo possibile. E poi ci sono quelli che parlano di famiglie estremamente disfunzionali o di una
società sfilacciata e allo sbando. Tutte cose in cui io sguazzo molto allegramente. E questi film mi hanno generosamente assecondato. E allora potrei citare, in ordine casuale di preferenza:
- Glass
- La fattoria dei nostri sogni
- La vita invisibile di Euridice Gusmao
- Burning
- Ema
- J’accuse 
- Martin Eden
- La mafia non è più quella di una volta
- Tony story 4
- Il sindaco del rione sanità

Bene. Direi che ormai anche quest’anno ce lo siamo levati dal...e se ci penso bene vedo tanta luce proprio  col buio.  Meglio se in sala. Che importanza vuoi che abbia un  venerdì 13 che si propone come il giorno  più corto dell’anno, se ti chiami Lucia e ami pure il buio?


giovedì 5 dicembre 2019

A proposito dei propositi

Quante saranno ormai? Forse migliaia. Le volte in cui ho fatto questo tratto per arrivare a casa ne hanno fatto ormai  il tratto di strada più familiare che ho. Stasera il 45 non passava mai e la metro di S. Donato dopo le 9 di sera è davvero un bruttissimo posto. Non mi fa paura ma lo squallore del contesto è quello tipico delle stazioni metro che fanno anche capolinea, contornate da depositi di autobus, parcheggi enormi, campagna desolata, emarginati, ubriachi...ci sono abituata ormai. Le cinque fermate che mi separano da casa attraversano una strada molto isolata che ho sempre amato moltissimo: tutte le volte mi incanto a guardare dal finestrino uno scenario che si trasforma ad ogni cambio di stagione. Il mio papà, quando viene a trovarmi, mi dice sempre la stessa cosa “Ma come fai a stare qui? Non ti pare un postaccio tremendo?”. Non capirà mai. In questi dieci anni non ho mai desiderato di vivere altrove (tranne quando ho avuto un esercito di vandali al piano di sopra per alcuni mesi. Sono andati via il giorno che avrei dovuto vedere le case nuove in bicocca che ero decisissima a comprare pur di ritrovare il silenzio). Amo questo quartiere e questa piccola casa grazie alla quale ho realizzato il mio sogno di vivere in una specie di bottiglia di “Strega per amore”.

Sono a Milano perché è qui che ho un lavoro che avrebbe assecondato il mio bisogno di stabilità economica, è qui che ho comprato la mia prima casa, trovato un po’ di pace e impreziosito il mio tempo con quello che solo questo posto può offrire. So che un giorno forse tornerò davvero da dove son venuta. E che questo per me sarà un vero trauma. Ma per ora non voglio neppure pensarci.

Oggi ho deciso che non mi sottrarrò al momento di bilanci che dicembre impone come un esattore di propositi raggiunti da spuntare dalla lista di dodici mesi prima. Ricordo che ero stata molto attenta a non fare un elenco troppo lungo, a non eccedere in self-confidence, a trovare il mio ritmo interiore. E poi ad ammettere ambizioni di più lungo termine. E così ho pensato che ad ogni post, da oggi fino a fine anno, includerò uno, o più di un proposito raggiunto o meno. Parto dal primo: essere più inclusiva e meno solitaria. Star sola rimane la mia cifra esistenziale privilegiata e non ho mai pensato che sia un
fatto sbagliato. Ma frequentare poco mi impoverisce spiritualmente, mi preclude affetti e punti di vista differenti. E questo non è bene. Piaccia o no.

In tv c’è la Dandini. I suoi programmi sono uguali a quelli che faceva quando io ero adolescente e la guardavo mentre provavo a dare senso compiuto alle versioni di latino. All’epoca ero molto più sola di adesso, non sapevo proprio cosa fare di quell’eta assurda e avevo paura di tutto. Credo che questo ancora me lo porto addosso come marchio indelebile: forse è per questo che una volta una persona che frequentavo ad un certo  punto mi chiese “Lucia, ma come è stata la tua infanzia?” Chissà perché me lo chiese...in realtà è una domanda che mi hanno fatto più volte declinandola in tanti modi...chissà.

È stato un anno bello. Mi è sembrato non più lungo ma dilatato. Credo di aver sorriso molto più di un tempo. Di certo ho pianto meno. Ho alternato la tranquillità delle cose stabili e assodate
all’imprevisto di emozioni sorprendenti. Mi illudo più di prima, ma ormai so bene di farlo e neppure trovo sensato vedere esaudito ogni mio slancio. Nei miei propositi non c’era la felicità e neppure quel il suo surrogato assurdo non meglio definito di serenità. È troppo presto e sono cose che non sento di meritare ancora. E poi impigriscono e io non ho chiuso tutti i conti con quella adolescente inquieta che ho lasciato in silenzio laggiù. Forse dovrei riaprirli. Anzi, già che ci sono metto questo fin da ora fra i miei migliori propositi.

lunedì 2 dicembre 2019

“Post” ideologico (e commemorativo)

Che poi io lo so che mi toccherà farci i conti pure stavolta. Tanto più se mi rendo conto che mi fa sempre più piacere ritornare a quella volta per vedere l’effetto che fa al passare degli anni. È uno dei miei appuntamenti fissi col ricordo e con il misterioso potere terapeutico del tempo, che risolve quasi tutto, se si ha la pazienza e l’umiltà di lasciarlo fare. In questo momento sono seduta su una sedia che tengo attaccata al termosifone, alle spalle lascio una bella giornata di lavoro, di spesa al supermercato di cibi sani, uno dei miei corsi di cinema per cui ho ormai da tempo sviluppato una gioiosa dipendenza. È molto tardi, quasi l’una di notte e qui fuori c’è un micio che miagola alla luna (o forse soltanto ad una ciotola vuota). E io in questa situazione mi sento perfettamente in pace.
Un po’ di anni fa invece ero seduta su questa stessa sedia, persino il termosifone era acceso proprio come adesso, solo che non uscivo da tre giorni, non mangiavo quasi nulla e piangevo tutte le mie lacrime. Da allora ogni anno mi viene spontaneo onorare quei giorni, quel cuore, spezzato per ragioni che neppure ormai ricordo più, e quelle sensazioni a cui ho giurato a me stessa che non avrei mai più fatto nessuna concessione. Così è stato. Da allora è cambiato tutto e sono sicura che sia accaduto senza una mia volontà precisa. Però è successo: un bel giorno ho ripreso a sorridere e a dimenticare le ragioni del mio dolore. Una vera fortuna. Non so davvero cosa nel frattempo abbia perso, mi interessa solo aver disattivato dei meccanismi emotivi per preservarmi da vagonate di dolore. E per me questo conta davvero molto. Altro non voglio sapere.

Se non avessi avuto questo impegno solenne con la memoria di qualcosa che ormai è fortunatamente perduta per sempre, avrei scritto un “post” ideologico sul post ideologico (mi aspetto grasse usate su questa mirabilissima trovata lessicale ah...ah...ahhh...). Sì, mi sarei lasciata tentare dalle riflessioni che mi suscitavano le attuali piazze piene di sardine di ogni dimensione/generazione, che paiono presagire una rinascita delle energie sopite della sinistra,  o dall’epica dei giovani ambientalisti che urlano con porzioni multilple di big Mc in mano, o dai riders che portano il sushi nelle case di gente che non ha più voglia neppure di farsi un uovo o uscire per una pizza.

Mi sarei immaginata solita spettatrice spaesata di un mondo diviso tra chi sta in piazza incazzato nero, spesso senza spiegare davvero bene il perché, e chi rimane in casa a spaccarsi di serie in streaming e non ha neppure voglia di andare a buttare la spazzatura.
Perché poi lo so che alla fine io faccio così: quando esco e vado in piazza è per vedere perché c’è così tanta gente che urla tutta insieme cose che io non ho mai davvero saputo ripetere. Quando sto in casa passo pure io tutto il tempo a vedere le serie, però nel frattempo cucino per un intero esercito. E così non vale...no che non vale...
Forse è per questo che poi quello che mi piace fare più di tutto è ancora sedermi in un Mc Donald, fare colazione con il cornetto e il cappuccino, tra l’altro entrambi prodotti da industrie italiane, e che mi diverto ancora ad ancora alzarmi e pulirmi da sola il vassoio, sebbene ormai anche lì ci sia il servizio al tavolo, che ai miei occhi è la nota più stonata delle nuove offerte di servizi.
Io, nel mio Mc Donald con vista sul Duomo, costruisco la mia vera esperienza collettiva. E questa per me è a modo suo una forma nobile di socialismo.

Il capitalismo è così: pare malvagio. E spessissimo lo è. Poi però nessuno riesce ancora davvero a capire come farne a meno...se non sei abbastanza benestante da andare a mangiare a Eataly e gridare potere al popolo tra una pizza ai cereali antichi da quindici euro e una zuppa ai legumi dei germogli dell’antica Papuasia. Quando voti da una vita intera a sinistra e non ne hai mai tratto nessun appagamento, quando pensi che in un mondo ideale il profitto può esistere senza essere colpevole se è generato dalla creazione di un valore e non da una forma di sfruttamento, quando pensi che un’economia sana dovrebbe essere soltanto di tipo misto, con un modello di produzione privato efficiente  e un regolatore pubblico di redistribuzione...poi è normale che ti pare più utile metterti a commemorare quella volta che avevi il cuore completamente spezzato. Ma per quello mi è bastato il tempo.
Per il “post”ideologico forse il semplice passare del tempo per risolvere un problema potrebbe servire solo ad aggravarlo. Mah...Ci penserò meglio domani. A colazione. Con cornetto e cappuccino. Meglio se col Duomo di fronte.