Sola andata

Sola andata

lunedì 18 marzo 2024

Caffè del trimestre

 Ho ripreso a bere caffè dopo circa venti giorni di totale astinenza. Periodicamente ho bisogno di questo tipo di epifania: ripulisco il corpo da ogni residuo di sostanze che mi aiutino a tenermi tonica e chiedo esclusivamente a me stessa di compensare ogni carenza.Per me non è una cosa semplice, soprattutto perché il cambio di stagione è già di per sé un periodo problematico per la mia lucidità compromessa e la pressione bassa. Eppure mi ostino a procurarmi queste periodiche finestre temporali di sacrificio e di privazione perché è così che continuo a concepire la gioia pura: massimizzare il piacere trovandolo in un semplicissimo caffè. A parole non si può tradurre la sensazione esatta dell’alzarsi dal letto, riempire d’acqua la tazza rossa per il mio nescafe gold, metterla nel microonde, sentire fino in fondo l’attesa di quei due minuti esattiche mi separano dal bollore e poi la dose ideale di polvere di caffè, il cucchiaino che gira assieme al piccolo vortice di schiuma che si genera dal contrasto con l’acqua calda. Io, che annuso il profumo che si sprigiona con l’effetto potenziato dei sensi in astinenza, acutissimi e più ricettivi che mai ad accogliere ogni molecola di aroma che si sprigiona. Ancora un po’ di attesa per la temperatura ideale e finalmente il piacere e la pace che si ritrovano uniti in quel primo sorso. Un banalissimo caffe’ che si trasforma in rito di iniziazione, il sottofondo dei programmi radio dell’alba del tutto ignari del fatto che in quella mattina mi stanno raccontando un risveglio completamente diverso dai precedenti venti.

Se dovessi immaginare una sensazione di pura gioia penserei a me in quell’ora di transizione tra la notte e le prime luci dell’alba che compio quelle azioni da maniaca ossessiva prima di assaporare il piacere assoluto. Se non vivessi da sola mi troverei costretta a dover spiegare a qualcuno tutto questo oppure, peggio ancora, a doverlo condividere. E invece a me piace pensarlo come un momento esclusivamente mio, senza spiegarlo e neppure bipartirlo. Lo troverei meno efficace. 

Ogni tanto mi capita di fare un po’ di pulizia detox anche dei miei contatti social. Non ci sono categorie “incriminate” precise, mi limito a notare le scarse interazioni sia tra amici che parenti e decido che non c’è motivo di far sapere fatti e pensieri miei a persone che mi osservano comodamente senza restituirmi nulla di loro, in termini di pensieri e presenza . Ho scoperto che alcuni di questi ci fanno caso e si offendono, vanno in giro a chiedere agli altri il perchè di questa esclusione e cominciano ad insultarmi per vie traverse. Devo ammettere che questa è una conseguenza che non avevo considerato e che però mi diverte e, stavolta, mi racconta moltissimo: mi suggerisce molte cose sui tratti delle persone che solo in apparenza mantengono le distanze ma che, di fatto, scrutano ogni tua mossa a volte per semplice curiosità, altre per giudicarti, altre ancora per avere strumenti più efficaci per ferirti. Adesso che lo so adotterò il taglio “social” con ancor più diletto e strategia.

 

mental coach più stabili sulla frontiera del “saper vivere” contemporaneo (qualsiasi cosa voglia dire quando si tratti di professionisti del settore di età compresa tra i 30 e i 50 anni…) dicono che il primo trimestre è il più importante di tutto l’anno, quello che stabilisce l’assetto definitivo e il corretto orientamento degli obiettivi. A loro dire, se sei stato ligio alla tua tabella di marcia in questi primi 90 giorni, è altamente probabile che tutto quello che ti sei prefissato di fare durante quest’anno lo otterrai. E io non lo so se sentirmi in ansia oppure in pace o, più probabilmente, rassegnataPotrei affermare di aver portato a termine tutto quello che mi ero promessa di fare, ma forse solo perchè ho in realtà scordato di dirmi cosa avrei voluto ottenere entro quest’anno e così adesso vivo con l’incubo di aver fatto tutti i compiti senza essermi iscritta a nessuna scuola presso cui ritirare ritirare il mio attestato di merito.


Ho ancora le mie ferie intatte e ormailuce e temperatura agevolano stati d’animo più lievi. La lista degli amici si fa più sottile ma più resistente e lotterò finche posso per tornare ciclicamente al primo caffè della vita che si rigenera a comando. Il primo trimestre sta per esaurire il suo mandato e io per ora non vedo errori

martedì 5 marzo 2024

“Sei da sposare”

 interno

 

Finalmente un po’ di tregua da una pioggia di cui non ricordo più l’inizio. Ho mal di testa e la vista un po’ appannata. Mi succede sempre quando decido di smettere per qualche giorno di bere caffè. A dire la verità non sono neppure sicura dei reali benefici derivanti da una simile rinuncia, ma lo faccio lo stesso perché so già che una volta superati i primi due giorni tutto passa e ho almeno l’impressione di aver superato una piccola prova di resistenza. Ogni tanto ho bisogno di piccole, inutili sfide di questo tipo per ricordare a me stessa che in fondo basta poco per alimentare l’autostima.


Ieri una persona a cui ho fatto un piccolo favore mi ha detto “sei da sposare”. Erano anni che non sentivo un’espressione simile. Non l’ho mai considerata un complimento, neppure quando mi sentivo meno fuori dai giochi di quanto mi senta oggi, non solo perché non mi sono mai immaginata sposata ma perché mi pare persino offensivo. Sei utile, quindi sei da sposare. Del resto se non ho mai sognato di farlo è perché in fondo credo che funzioni all’incirca così. Come per qualsiasi contratto a prestazioni corrispettive.


Ho cominciato l’anno considerandolo una specie di lunga transizione verso cambiamenti radicali che richiedono passi piccoli ma sicuri e inarrestabili e così sento questo tempo come una specie di grosso contenitore quasi vuoto o da svuotare, nel quale le persone, le cose e i ricordi inutilmente ingombranti sono le prime cosa a dover uscire. E così ho cominciato con frantumare i ricordi delle amiche d’infanzia che non mi invitavano a giocare con loro, a liberarmi della volgarità delle scarpe col tacco 12, degli uomini che ti cercano senza volerti davvero. Cose, persone, ricordi…tempo e spazio che si aggrovigliano in mezzo a tutto quel ciarpame e io che resto imbrigliata in mezzo a quelle cose senza riuscire a muovermi.


Ci sono giorni al lavoro in cui mi capita di non parlare con nessuno e di tornare a casa senza aver incrociato alcuno sguardo. E’ bello, mi mette molta calma poter vivere giornate senza dover interagire con anima viva, senza frasi di circostanza o conversazioni di cui non avevo previsto i contenuti. Uscire di casa e rientrare dopo un’intera giornata riuscendo ad evitare tutte le maschere possibili. Mi rilassa anche solo il pensiero. Forse il bello è che se voglio compagnia ancora mi riesca di trovarla, mai come frutto di una mancanza ma di reciproco piacere. Sì, forse non mi sono mai immaginata sposata perché ho sempre pensato che sia innaturale persino convivere tra consanguinei e che sia davvero tanto insensata la paura che hanno alcuni di star soli.

 Pare che tra qualche ora riprenderà a piovere e io rivedrò vecchi amici dopo molti anni. Ma intanto indosserò scarpe comode. E parlerò poco. Come una perfetta sposa senza marito

domenica 18 febbraio 2024

Puntare la propria freccia

 Avevo paura. Mettere per iscritto le cose che ho dovuto fare in questo scarto temporale tra la pagina di diario precedente e questa sono state così importanti per me in vista di alcuni passaggi verso un futuro, non troppo prossimo ma neppure così distante da non poter essere pianificato con una certa precisione, che ho avuto paura a fissarne tracce di memoria. Poi ho pensato che non è necessario dover ricordare proprio tutte le fasi di un tentativo di cambiamento e che forse è molto più divertente accogliere la paura mista all’entusiasmo di una futura novità senza raccontarla nei suoi inutili dettagli preparatori. So che ricorderò questo febbraio come se fosse la freccina di Google maps che si riposiziona verso la direzione desiderata che si muove assieme a me con la sua pulsazione e mi aggiorna sul tracciato, la durata e la meta senza mettermi pressione e senza abbandonarmi se mi fermo o non capisco subito il punto esatto in cui trovo. Poche cose mi confortano allo stesso modo quando ho paura di sentirmi perduta.

Ho trascorso il San Valentino pensando che sono sempre stata consapevole che non è mai stata una festa destinata ad una come me anche quando non riuscivo ad accettarlo. Ho passato in rassegna tutte le persone assurde che ho amato solo perché, di fatto, ero sicura di non poterle avere: bulli di periferia, uomini già sposati/impegnati/innamorati di altre, trogloditi manifesti che non avevano mai letto un libro, anarchici spiantati, ambiziosi narcisi egoriferiti…tutte persone che non si sono rivelate dopo, erano sempre state chiare e limpide e a cui mi legavo proprio perché in fondo sapevo che non sarei approdata da nessuna parte. Mi piaceva soffrire e sentirmi viva immaginando di esserne innamorata. In realtà la parte più profonda e “silenziata a forza” di me voleva una vita senza qualcun altro con cui prendere decisioni e mediare libertà e autonomia. Oggi mi è naturale pensare di essere questo e nient’altro, da giovane e bisognosa di conferme, o di essere come la maggior parte delle persone,  è stato più complicato. Ma è passata anche questa. Forse un giorno mi innamorerò di qualcuno davvero e penserò che questa cosa possa invece riguardare anche me. Ma ad oggi questo mi pare del tutto improbabile.

Passerà anche questo febbraio, portandosi dietro la gioia di un rubinetto riparato di cui non si capiva bene la perdita, delle classi di yoga che mi hanno aperto un mondo sui miei limiti tutti psicologici nel realizzare certe posizioni, delle passeggiate lunghe per luoghi di Milano mai conosciuti prima e di limoni freschi di giù. Passerà spero pure tutta questa stanchezza accumulata in questo inverno tiepido ma freddo nei toni e nello spirito, dove i progetti sembrano sempre delle bozze approssimative che faticano a far tornare tutte le misure. 

Mi fanno male le ginocchia. Ma tanto la freccina di Google maps mi aspetta. So che prima o poi arriverò a destinazione

mercoledì 31 gennaio 2024

Lode ai trenta

 Tutto nuovo. Non solo l’anno, che in fondo di nuovo non ha proprio nulla: stessi giorni (più o meno) e quindi stesso identico contenitore da riempire. Tutto nuovo da cospargere sulle cose sempre identiche che ho scelto per comporre il mio strambo mosaico quotidiano ed esistenziale. E’ un periodo in cui mi faccio domande stranissime di cui non saprei neppure definire esattamente la matrice: quando è stato, fino ad ora un momento in cui sono stata proprio bene? Non felice. Essere felice implica una forma di compiutezza che richiede passaggi di maturazione e traguardi raggiunti da cui mi sento ancora troppo lontana. Stare bene per me equivale all’assenza di squilibri tra le cose che rendono significativo il presente, il “qui ed ora” che mette in relazione quella che mi ritrovo ad essere in un preciso momento e tutto ciò che mi sta intorno e che posso solo accogliere per ciò che è e che non posso modificare. E la risposta c’è. Io me lo ricordo come mi sentivo in quei mesi lì in cui sono rimasta a casa, con una laurea ormai vecchia di sei anni, un lavoro dal quale non ho esitato a licenziarmi dopo un paio d’anni di perplessità che ho creduto di rimpiazzare con un dottorato in una materia che non mi ha mai appassionato davveroe dopo nessun nuovo lavoro su cui ridefinire il mio progetto futuroSi trattò soltanto di pochi mesi ma io in fondo lo sapevo sin da allora che avrei presto risolto la mia situazione. eppure quella cosa lì, di un tempo tutto mio, vuoto e totalmente privo di obblighi, il non avere degli esami da sostenere e neppure delle responsabilità o degli orari dettati da obblighi lavorativi fu per me uno stato di grazia mai più raggiunto quando, poi, la mia vita si è “normalizzata” piegandosi al rassicurante modello sociale, in cui non fossi catalogata come parassita. Ci penso e vorrei sentirmi in colpa e invece mi ricordo di giornate piene ed intensissime, perfettamente programmate su tutto quello che ritenevo giusto fare per impegnare in modo costruttivo il mio tempo. Mi allenavo tantissimo, scrivevo, recuperavo tutto il cinema che mi mancava - sviluppando così la vera passione che mi accompagna tuttora - dormivo serena, leggevo cose che mi interessavano davvero. Quei mesi sono volati, o forse la mia percezione attuale di quel periodo cosi diverso da tutto quello che c’era stato prima e quello che mi ha portato ad oggi risente di quello stato di grazia irripetibile e unico. E così sono giorni che penso a quanto vorrei proprio riportarmi a quei momenti lì, dei miei 30 anni belli e tondi, quando commettere errori mi spaventava meno che starmene in attesa a ponderare ogni singolo passo o parola di cui temevo che mi sarei pentita. Eppure i problemi irrisolvibili che ho adesso me li portavo dentro pure allora. Che strano, ero felice nonostante avessi gli stessi problemi di adesso con l’aggravante della mancanza di lavoro e quella di una collocazione sociale apprezzabile. 

In questi giorni ho visto il film assurdo e strano di Lanthimos che ho creduto che mi piacesse tantissimo, in realtà mi è piaciuto in modo ragionevole e non in assoluto. Mi ha ricordato la colpa dell’essere adulti con la coscienza di un bambino, quando i sogni sono ancora embrionali o inadeguati rispetto ad una cronologia sociale che ti ritiene già troppo in ritardo per rimediare e riposizionarti nel lato giusto della considerazione collettiva. Il prezzo della mia parabola esistenziale per rimediare a questo sono state un po’ di lacrime e senso di ingiustizia. Poi le cose hanno ripreso il loro corso e l’unica cosa bella di quel ritorno all’autonomia piena è stato poter andar via e pensare a tutto da sola, dimenticare di aver perso per sempre i miei trent’anni e cominciare ad immaginare un intero futuro solo per adattarmi a questa mancanza. Non è vero che si può scegliere tutto sempre: esistono i tempi, le opportunità da cogliere, la nostra predisposizione del momento a farlo. E poi c’è la fortuna. Per me quel tempo è passato, me lo sono goduto. E so che non tornerà mai più. Ma il solo fatto che ci sia stato rende il mio presente – e il mio immaginare il futuro – un premio mica da poco. I miei trent’anni sono il mio grazie per tutto ciò che sarà e per quello che mai più riuscirà ad essere ma che è stato bello anche solo poter sognare

lunedì 1 gennaio 2024

Tanto per continuare, cominciamo

 Nessuna scusa. Se il primo dell’anno parte con il lunedì, allora tutto riparte davvero. Il reset è senza ambiguità: è questa la vera occasione di mettere subito in pratica i buoni propositi con un focus ben delineato da scadenze rotonde, blindate, senza sbavature cronologiche. Io sono ormai lontana da certi riti irrispettosi del proprio tempo interiore, del ritmo individuale che è inevitabilmente tarato su parametri differenti da quelli dettati dalla convenzione. Sono anni che non cedo alla trappola dei propositi per il nuovo anno e che ragiono in termini di crescita individuale di lungo periodo e cerco solo di mantenermi attenta e attiva in ogni secondo del mio quotidiano. Ho passato la vita a resistere, a portare a termine propositi di studio e poi di lavoro e di adeguamento sociale che non mi appartenevano assolutamente. Adesso basta. Sono scampata solo alla trappola della riproduzione e del matrimonio solo perché la sorte non ha favorito nè l’una nè l’altro, ma sono sicura che mi avrebbero apportato solo dolore e rogne non desiderati di cui ora benedico e ringrazio lo scampato pericolo con enorme sollievo. 

Ho salutato il 2023 con gratitudine perché non mi sono concessa sconti, mi ha garantito la forza della costanza e della disciplina e pure ampie parentesi di piacere e gratificazione. Ho conosciuto soltanto belle persone e tenuto a distanza quelle che nulla potevano aggiungere alla qualità della mia anima. Mi sono augurata il coraggio del sacrificio e l’ho accolto con grande gioia. 

A volte rifletto su una frase attribuita ad Einstein: “se fai sempre le stesse cose otterrai sempre gli stessi risultati”, attribuendole valenza negativa. Io credo che non solo sia falsa, ma che non sia neppure da condannare. La disciplina è la sola vera maniera di migliorare e perfezionarsi e spesso passa per rituali sempre identici a se stessi da protrarsi per l’intera vita. La routine è estenuante eppure, spesso, è proprio quella che fa tutta la differenza. Ma io sono una persona tremendamente noiosa e con una naturale tendenza alla pedanteria. Quindi è altamente probabile che io non abbia esattamente ragione…

In questo momento sto ascoltando una trasmissione alla radio condotta da Malika Ayane che si intitola “invece era un calesse”. È un programma sulla delusione, sul suo potere nell’aiutarci a comprendere la nostra vera strada quando riusciamo ad elaborare il fallimento in modo costruttivo. Il mio calesse sono stati i primi trent’anni della mia vita, ma solo oggi ritrovo e riesco a perdonare quella goffa tizia, che provava a laurearsi bene in una materia che le interessava niente ma in famiglia cosi si pretendeva (e c’ero solo io ad riscattare il loro ego mortificato), perché il prof.  adorato mi avrebbe finalmente trovato interessante, perché poi avrei trovato un lavoro di quelli stabili…perché avrei affascinato una persona degna proprio come lo sarei stata io…perché, perché…ma perché? Ero goffa e per nulla interessante neppure ai miei occhi, tanto era evidente il mio essere inadeguata al ruolo. Oggi quel fallimento nella ricerca di che potevo davvero essere mi ha portato in una città che amo, ad essere autonoma e lontana dalle aspettative altrui. Mi ha portato alla gioia dell’essere solitaria, ma non sola, a battezzare ogni nuovo anno non più con delle novità, ma con delle continuità: abbonamenti a tutti i corsi che amo tra cinema, filosofia, sport e altre cose che amo e che ormai faccio da anni. La vera novità è incarnata dall’entusiasmo con cui riesco a portare avanti passioni consolidate. E avere una certa età è bellissimo perché aiuta assai.

È tra pensieri simili che comincio il lunedì più lunedì che si possa immaginare: provando a pensare a cosa potrei davvero augurarmi se non la stessa salute che mi ha accompagnato fino ad oggi e che solo in parte dipende da me. Forse sarebbe bello avere sempre la stessa forza di portare a spasso questo calesse un po’ sbilanciato, che in fondo mi ha portato quasi al punto in cui vorrei trovarmi, senza troppe lacrime. Sì, quello che mi auguro più di tutto da qui alla meta, sarebbe di provare tenerezza per ogni mio singolo fallimento. Da quando ho cominciato fino a quando la smetterò

E così sia

giovedì 14 dicembre 2023

Sono andata a letto presto

 Sono andata a letto presto. Se dovessi riassumere tutto il senso del mio modo di occupare il 2023 direi che il fulcro centrale della mia più corposa routine quotidiana si sia basata su questa regola fondamentale: non fare tardi la sera. Lo dico con molto compiacimento perché sono da sempre biologicamente settata per cominciare presto, svegliarmi prima dell’alba, approfittare del silenzio assoluto del tempo che separa il risveglio dal catapultarmi in strada e cominciare il mio tempo “comandato”, quello fatto di obblighi più o meno sostenibili, di to-do-list da depennare, parentesi di evasione e decompressione, lunghissime passeggiate, che coincidono finalmente con l’agognato rientro in casa, ovvero il momento più desiderabile della mia giornata. È stato un anno gradevole. Credo di non aver pianto mai, mica come nel 2022, l’anno più sbagliato di sempre al punto che lo metto come benchmark per stabilire quanto brutti siano gli anni orrendi che metterei in una graduatoria tra i maledetti. Non aver pianto non è del tutto una bella cosa, però di solito se non mi succede perché sono commossa e molto emozionata per qualcosa di bellissimo, verso lacrime perché qualche caro è venuto a mancare, perché le persone a cui tengo non se la passano bene, perché - come sempre in tutta la mia vita - ho inutilmente amato persone che non erano lì per me. Tutto questo non succede da tanto tempo e mi è davvero difficile riuscire ad esprimere la sensazione di totale benessere che provo quando nessuno, per nessuna ragione, è per me motivo di sofferenza. Stare molto per conto proprio aiuta quando si fa troppa fatica a godere della compagnia. A volte penso che le persone che amerei frequentare assiduamente sono proprio i solitari e in questo beffardo paradosso ripongo tutta la mia residua fiducia nell’ umanità. Poi ci sono le persone a cui continuo a voler bene senza però frequentarle. Basta stimarle, sapere che ci sono, che diffondono intelligenza e spunti creativi anche a distanza. E va benissimo anche così. Frequentare poco vuol dire amare una minoranza di persone e in quel concentrato c’è tutto il necessario per sentirsi ancora parte di questo mondo. Ne sono sicura.

È stato un anno tollerabile, al netto di un periodo storico che mi pare in costante peggioramento ma del quale non mi sento responsabile e su cui non posso avere alcuna incidenza. Non credo più nella lotta collettiva, nel voto come strumento valido  a riorientare la rotta, non mi incantano più le manifestazioni dove neppure si sa davvero per cosa si sta urlando. È un’ingenuità a cui ormai mi pare insensato pure far finta di credere. La grande storia è totalmente fuori dal nostro controllo. Non siamo noi. Lei è lei, noi ci camminiamo dentro come in una camera oscura piena di trappole. Il caso Sumahoro è la storiaccia più squallida che ricorderò di quest’anno.

Sono andata a letto presto. Ma mi sono sempre svegliata prestissimo e non sono mai uscita di casa senza aver rifatto bene il letto, pulito il bagno, cucinato i pasti per tutta la giornata. Ho preso una sola decisione fondamentale (di cui non dirò) e mi auguro che vada tutto bene fino al suo momento di realizzazione, ho cercato di nutrire il mio spirito con i corsi e le scuoline varie che frequento con tutta la costanza che posso e ho passato la maggior parte del mio tempo in silenzio e in ascolto.

Sono andata a letto presto per rientrare in casa abbastanza stanca da sentire che la giornata è stata tutta spesa bene, tanto da meritare almeno di riaprire la mia porta di casa, una casa pulita e in ordine, ad accogliermi e la coscienza di non aver fatto niente di speciale, ma neppure di nulla orrendo, mentre provavo a portare avanti una quotidianità fatta di ambizioni “invisibili” eppure per fondamentali. 

Sono andata a letto presto perché ho smesso di cercare persone che mi hanno tolto il sonno senza neppure rendersene conto, perché ho smesso di preoccuparmi per questioni che non mi regalavano pace e non assecondavano i miei bisogni reali. Dormire quando per gli altri è ancora troppo presto è stata la mia protesta silenziosa a un dialogo mai avvenuto. Svegliarmi quando tutto ancora tace è stato il mio modo di capirlo davvero.

Cosa mi rimane di un anno così lineare, fluido, delicatamente monotono come vorrei che fosse una vita ben dosata? Forse poco in termini di ricordi o emozioni forti, poco pure in quanto a problemi vecchi che non risolverò mai. Ma non ho pianto mai. E ho dormito bene. Potrei volere di più. E invece no

giovedì 30 novembre 2023

Tra la fine e i tanti inizi

 E anche questo Novembre ce lo siamo levato dalle scatole. Me ne compiaccio perché sono stanca e un po’ disorientata: le cose accadono e io un po’ cerco di viverle meglio che posso e un po’ le rincorro per provare a non sottrarmi alle piccole sfide che mi suggeriscono. Sto cercando di realizzare dei cambiamenti “strutturali” nella mia vita e allo stesso tempo conservare quello che ho provato a fare fino a qui, in una città in cui amo vivere ma nella quale non è sempre facile far tutto da sola. Ma va bene così, finché la salute e un po’ di testa per restare autonoma mi assistono. Ma rimane il fatto che sono stanca e che conservare la metà delle ferie per riservarle all’anno prossimo mi pare un eccesso di ottimismo verso le magnifiche sorti che mi illudo di riservarmi in futuro. Per quasi tutto questo mese ho cercato scuse valide per non scrivere, non appuntarmi cose che forse potrei aver voglia di ricordare, anche perché era tanto tempo che non cambiavo così tante cose tutte assieme. Forse perché vorrei poter raccontare direttamente il risultato, quello finale, quello che segna il passaggio vero ad una fase successiva. E allora aspetto: se c’è una cosa che ho imparato da uno di quei divertentissimi corsi di mindfulness a cui mi approccio da un po’ è l’esercizio dell’attesa “consapevole”, della pazienza “attiva”, quella che separa ciò che vuoi adesso da quello che vuoi davvero. Però ci sono anche i piccoli cambiamenti, quelli che decidi di fare all’interno di una routine consolidata e rassicurante e che fanno da condimento piperito alla normalità che mi sono scelta: per esempio è da un anno che ho deciso di farmi crescere i capelli fino al compimento dei cinquant’anni, aggiustandoli semplicemente con una scalatura a V. E poi ho aggiunto dei piani di allenamento nuovi e diversificati che mi fanno un gran bene e mi divertono mille volte di più, tanto che quando esco di casa mi pare che tutto sia diverso e più accogliente verso la fatica che ho già fatto, pure la strada per andare al lavoro.

Manca solo un mese alla fine di quest’anno e io non avevo fatto altri propositi entro questa scadenza se non quello di fare tutto il possibile giorno dopo giorno. Stavolta forse penso di avere il diritto, ma pure il dovere, di pretendere un po’ di più da me stessa e così ho pensato che potrei usare questo mese residuo per respirare più lentamente e profondamente del solito, approfittando dei lunghi intervalli di tempo tra l’inspirazione e l’espirazione per soffermarmi su orizzonti un po’ più vasti, non troppo, ma un pochino sì. Perché se è vero che i cambiamenti veri sono quelli che ti cambiano la rotta e quelli piccoli ti sostengono nelle giornate, lo è altrettanto immaginare una piccola “oasi di mezzo”, fatta di mutamenti interiori che si realizzano pure quando tutto attorno sembra sempre uguale o peggiore, una percezione più ampia di se stessi e di quanto ci sentiamo centrati nella vita che ci è toccata, che è un tipo cambiamento importante alla stessa maniera, invisibile eppure sostanziale.

 Me lo devo ricordare, adesso che scendo dai miei e tutto mi sembrerà uguale e problematico, e forse peggiore, se non smetto di cambiare il mio sguardo e la mia reazione a quello che è per quel che è.

Lo so, non ho detto niente. Odio le persone fumose che credono di regalare pensieri profondi senza andare mai al punto. Ma questo è tutto quello che posso fare in questo 30 di Novembre che non so bene se sia la fine di qualcosa senza troppo significato o il preliminare di tutto il meglio che vorrei che arrivasse