Sola andata

Sola andata

venerdì 30 giugno 2023

Espandersi. Senza allargarsi

 La folgorazione avvenne in quel momento preciso. In modo insospettabile eppure come un lampo chiarificatore che mi fece dire “ma perché non ci ho pensato prima?”. In quella landa “desolante”, eppure a suo modo irresistibile, che è l’offerta streaming di apple tv+ mi capitò un giorno di imbattermi in una specie di docuserie intitolata “case d’avanguardia”: una sorta di viaggio concettuale e geografico sui differenti modi di intendere l’abitare domestico. Il criterio era di volta in volta lo spazio, i materiali, la collocazione territoriale, la disposizione delle stanze, la filosofia del vivere in una sorta di conciliazione tra vita privata, lavoro, famiglia, collegamento con la comunità di appartenenza. Ricordo che trovai ogni puntata a suo modo estremamente interessante ma quella che più di tutte mi colpì fu quella di un architetto giapponese che viveva al centro di Tokio in una casa di 31 metri quadri nella quale era riuscito ad includere persino una piccola sauna. Il principio su cui si basava la disposizione delle stanze era basato su un sistema di pareti basculanti che modulavano la casa in base alle esigenze della giornata e alle attività da svolgere. Una piccola meravigliosa casa di lusso in cui non mancava nessuna stanza. Per illustrare la sua idea così magnificamente realizzata aveva esordito dicendo “la mia fortuna è che sono da sempre abituato a rifarmi il letto subito dopo che mi sono svegliato. Da quel punto in poi la mia casa si apre alle infinite possibilità”. E di fatto era esattamente così: il suo letto a ribalta, una volta chiuso trasformava quella che fino a quel momento era una camera da letto, in un magnifico studio. Poi, con un sistema di pareti scorrevoli, in pochissimi secondi, ci si trovava in cucina, bagno, una immensa libreria, un salotto (nel quale durante la puntata stazionano tanti amicitanto altro ancora. una cosa fantastica che mi colpì moltissimo soprattutto perché la mia casa è pure un po’ più grande di quella e mai avrei pensato di poterci fare così tanto.

E ora veniamo alla post folgorazione. Sulla scorta di quel documentario, circa un anno fa ho comprato un bellissimo letto a ribalta anche io e, proprio come il brillante architetto giapponese, anche io rifaccio il letto appena mi alzo e lo richiudo trasformandolo in un bel mobile con ripiano che, da quel momento e per il resto della giornata, rientra a far parte della coreografia di un piccolo salotto che ha il compito di accogliermi al rientro a casa. Al posto del letto posiziono un pouf/poltroncina che si trasforma in letto pure lui se necessario e un piccolo tavolino con il vassoio per la cena davanti alla tv. La mia soluzione perfetta per le mie due stanze in una. Per la cucina avevo già da tempo trovato la combo cibo/palestra e quanto al soppalco, costruito apposta per il mio lettone, ormai è diventato un comodo deposito di stoccaggio per scatoloni che prima o poi smisterò tra pattumiera e viaggi al sud. Lo spazio è una mia ossessione: sono convinta che una casa grande sia inutile e persino dannosa quando si vive da soli e che uno spazio limitato, se intelligentemente sfruttato, sia tutt’altro che “limitante”. Arrivo a pensare che la felicità passi, forse inevitabilmente, proprio per questa idea. Lo spazio esteriore come manifestazione compiuta di una compatta condizione interiore. A patto che si sappia molto bene ciò di cui ha senso privarsi. Sì, perché in fondo la mia vera fatica sta nell’ammettere che ci sono soltanto due condizioni in cui io mi senta perfettamente a mio agio: la prima è appunto quando sono in casa da sola a leggere, cucinare, vedere film e allenarmi. E la seconda è quando sono in viaggio. Ovunque. Di solito con vestiti molto comodi, senza trucco e soltanto col bagaglio a mano. In mezzo a queste due situazioni c’è un intervallo più o meno faticoso e vasto di disagio profondo nel quale sono troppo timida o troppo espansiva, parlo poco o dico cose di cui poi in qualche modo mi pento, ho paura di essere noiosa, troppo debole, troppo accomodante o fastidiosamente spigolosa. E ogni volta sento con più forza quanto tutto questo impoverisca la qualità di ogni mia esperienza “all’esterno”. Non ho mai saputo che nome dare a questo strano disadattamento, e se tale è davvero, e quanto in realtà sia un mio alibi per ridurre al minimo le situazioni in cui mi sento responsabile del mio stare al mondo. Ma intanto questo è.


E così ho pensato che forse, per una volta, potrei anche smetterla di credere che tutte le volte che sto davvero bene perché me ne sto per i fatti miei dovrei sentirmi in colpa. So fin da ora che non potrò farlo per sempre e che prima o poi toccherà anche a me trovare la forza di accettare quello che non ho scelto e che pure mi riguarda perché mi sarà obbligatorio gestirlo. Nessuno potrebbe aiutarmi. E se pure esistesse passerei tutto il mio tempo ad esserne rammaricata ancor di più.

Intanto la mia casa è molto più spaziosa oggi rispetto a un tempo pur nella sua stessa dimensione di sempre. Che miracolo!

 

giovedì 22 giugno 2023

Cerco l’estate tutti gli anni

 Stavolta quasi non me ne sono accorta. E’ di nuovo estate e a me pare di aver semplicemente attraversato un segmento temporale indeciso in cui si ostinava a star dentro qualunque cosa: alluvioni, caldo torrido, cielo coperto che si prendeva pause a casaccio di luce. Intanto moriva Berlusconi, ma pure centinaia di persone anonime in mare, cominciava la solita immarcescibile piaga degli esami di maturità che mi mettono sempre quell’ansia tendente al panico totale come se dovessi rifarli ogni volta. La primavera invece non mi ha mai raccontato davvero molto, come tutte le cose che non ci riesce di definire in maniera netta e limpida, che si propongono come un mero transito verso ciò che percepiamo come pienamente bene o pienamentemale. Io vivo solo per l’estate. Per il resto dell’anno mi limito sostanzialmente ad attenderla. Il mio scopo è soltanto quel pleonasmo rassicurante e fulgido che è la bella estate. 

Eppure detesto il caldo esattamente nella stessa maniera il cui odio il freddo, la qualità della mia vita non migliora affatto, anzi faccio più fatica, mi si abbassa la pressione ai limiti dello svenimento, sogno il mare per il 90 per cento del tempo visto che, di fattoprendo sempre pochissimi giorni di ferie in questo periodo: non potrei accettare di arrivare alla fine dell’anno senza poter contare su giornate in cui posso non andare al lavoro semplicemente perché non ne ho voglia. L’estate è una magnifica promessa infame e tanto mi basta per ravvivarmi, accendermi fantasia e nuovi propositi.

Ho sempre avuto bisogno di una qualche estate “motivazionale”, credo che sia utile soprattutto a chi vive sempre “fuori sincrono” rispetto alla propria stagione interiore. L’ho capito quando ero al primo anno di università: non era quella la strada e io lo avevo capito subito ma non avevo il coraggio di ripensarci, di ammettere l’errore di aver ascoltato il suggerimento sbagliato dei miei. E allora feci così: mi impuntai che avrei chiesto la tesi proprio al prof. che mi fece ripetere l’esame per tre volte, condizionando tutto il mio percorso fino alla laurea. La strada era sbagliata, ma il progetto era più importante dell’errore iniziale. Non saprò mai come sarebbe andata se avessi mollato, se mi fossi data un tempo più comodo di riflessione su ciò che avrei potuto essere, ma aver vinto una sfida che in fondo, questa sì, avevo scelto io è qualcosa di estremamente confortante per il mio presente ormai troppo opaco e lineare. Potrei farne altri mille di esempi così che hanno costellato tutta la mia vita durante le “non belle” stagionisognare per anni e anni qualcuno, riuscire alla fine nell’intento, e in quell’esatto istante scoprire che non era lui. Impuntarsi per ottenere un lavoro in una realtà che hai sempre ammirato, riuscire ad entrarci e scoprire che era tutt’altro e provare così l’ebbrezza irripetibile e meravigliosa del licenziarsi senza sapere come poi sarebbe andata. Credo che esistano maniere molto “time consuming” , ma in fondo alla fine efficaci lo stesso, di autodefinirsi quando non si è esattamente consapevoli di quale talento si possiede o perché non siamo stati capaci di ribellarci quando era il momento. E comunque, se invecchiare serve davvero a qualcosa, è forse proprio la presa d’atto che incarognirsi col destino sia una miserevole perdita di tempo.

Rimane il fatto che stavolta resterò a Milano per tutto luglio, poi starò dai miei per la prima metà di agosto e soltanto dalla fine di ottobre in poi andrò in qualche posto. Stavolta vorrei che fosse in un posto caldo: ingannare la fine dell’inverno e garantirmi una fine d’anno estiva, calda, distopica, lontana come quelle di quando andavo in puglia e credevo che nessun altro luogo di vacanza fosse ipotizzabile. Non era vero niente. Non mi piaceva niente e in acqua c’erano troppe meduse. Un anno decisi che non avrei più messo piede in quella casa e rimasi sola al paese pur di non essere costretta a rivedere luoghi e persone che non mi facevano del bene. Fu così che la casa fu finalmente venduta. E fu così vidi finalmente altri luoghi e persone più belle. E poi imparai il gusto di viaggiare da sola, assieme a tutti i suoi rischi. Un giorno scriverò quanto esilaranti, assurde, persino pericolose, siano le cose che ti lasci capitare quando non ne puoi più di obbedire agli errori decisi dagli altri. Intanto è estate. Va già tutto meglio.


“Ogni fallimento è solamente un’opportunità per diventare più intelligente” Henry Ford

venerdì 9 giugno 2023

Vuoti ingombranti

 Le cose cambiano con una velocità così sconcertante che posso davvero rendermene conto soltanto se mi soffermo a fare un paragone con ciò che è stato fino a uno, due, tre anni fa, al netto della pandemia che è un segmento temporale di cui non voglio neppure più tenere conto. Da rimuovere e dimenticare come certe frequentazioni a cui ti costringevi da ragazza solo per dire che avevi pure tu il ragazzo. In ufficio è arrivato un certo numero di nuovi assunti, molti dei quali sono simpatici, freschi, giovani e pieni di buona volontà. Le ragazze sono particolarmente belle, con i capelli lunghi come piacerebbero a me, gentili e fin troppo rispettose, al punto da farmi sentire più stantìa di come già mi sento. E poi c’è uno, vestito troppo elegante per un ufficio come quello in cui è capitato, che non saluta mai, parla solo con chi ritiene utile farlo e che forse già si previsualizza in ruoli che dovrebbe meritare davvero solo chi si pone in modo sostanzialmente differente dal suo. Ma tant’è. Purtroppo temo che occuperà il ruolo che si sente già addosso grazie a quel suo piglio arrogante e piccolo borghese col sigaro (pure se sento ancora l’odore del latte che ha preso poco prima). Ma non di simili cambiamenti volevo rendere conto, visto che mi interessano troppo poco per finire nei “fundamentals” dei passaggi cruciali delle mie tappe esistenziali.

Sento che le cose cambiano quando trovo il coraggio di allontanarle da me in misura più che proporzionale a quanto le ho desiderate e, in questo periodo di “decluttering”- in cui mi piace svuotare casa sia di mobili che di cianfrusaglie, ricordi, libri brutti, scartoffie inutili, appunti vecchi che non rileggerò mai – l’esperienza tangibile della sottrazione ha un valore potenziato. È toccato persino a quella che per me ha sempre rappresentato la bambola per eccellenza: la mia barbie “viso d’angelo”. Sì perché nella vita io ho ricevuto un’unica barbie. L’avevo desiderata con tutte le mie forze perché i miei non volevano comprarmela, forse perché costava troppo o perché dirmi di no anche senza reali motivazioni è stato uno sport abbastanza praticato da loro quando ero piccola. E’ rimasta la cosa più bella che ho creduto di possedere per tutta l’infanzia e crescendo me la sono portata dietro ad ogni trasloco. Eppure non l’ho mai davvero associata a ricordi belli. Non mi è mai stato chiaro il motivo eppure è così: la amavo con sofferenza, avevo paura che si rompesse o che le mie amiche non la trovassero abbastanza bella. E poi avevo sempre paura di perderla. Non credo di essermela goduta nel modo giusto, ma sta di fatto che non sono mai riuscita a separarmene. Almeno prima d’ora, quando ho deciso che in realtà quella piccola meravigliosa donnina in miniatura dalle forme perfette, dovesse allontanarsi da me per sempre, portando con sé ogni cosa della mia infanzia, in parte perduta in parte mai pienamente vissuta. Pensavo fosse impossibile e invece è stato meraviglioso metterla nel grande sacco delle cose da lasciare andare: un senso di leggerezza e di liberazione mi ha pervaso, come se tutto il peso di questi ultimi anni fosse stato responsabilità soltanto sua.


Io non lo so se sia davvero sensato considerare gli oggetti alla stregua di scrigni di ricordi, che poi si mescolano a stati d’animo e che poi si assumono pure la responsabilità di accompagnarci anche quando il loro compito è finito. Mettere quella bambolina nel sacco, assieme ad una marea di altre cose che sono ripiombate da un passato meno lontano ma forse altrettanto “ingombrante” ha sortito effetti tangibili non solo nella mia concezione dello spazio da riservare ai ricordi. A me è parso che in quello stesso momento sia cambiato improvvisamente il ritmo stesso del mio respiro, come succede quando metti a terra una zavorra estenuante che trasportavi da troppo tempo. Perché il passato mi fa questo effetto? Era davvero tutto così cupo, sbagliato, imperfetto? O è il mio presente la vera lente distorta di tutto quanto? Vai a sapere…


E poi ho fatto lo stesso pure con le persone bloccando un po’ di amici storici, risalenti a infanzia e adolescenza, da FB. E’ successo quando, dopo qualche parola sbagliata persino risalente a mesi e addirittura anni fa che ho tollerato malvolentieri, ho deciso che non aveva più senso ritrovarsi e sapere ancora l’uno dell’altro. Bloccati senza neppure un saluto. Credo che certe volte il distacco drastico, netto, senza passaggi delicati, sia il solo possibile. Sparire e gettare via. Gesti puliti, netti. Cose e persone tenute lì perché tanto che male c’è. E invece le cose cambiano pur nella loro apparente immutabilità. E raccontano altre cose, si nutrono delle nostre malinconie, riaprono ferite curate male, parassitano pensieri e inibiscono un reale e più desiderabile cambio di passo. 


“Decluttering” è una bella parola. In italiano non ce n’è una esattamente equivalente. Non importa. Quando arriva il momento diventa chiarissima