Sola andata

Sola andata

martedì 24 ottobre 2023

Ritrovare il tempo perso…lasciandolo perdere

 Non c’è che dire, le ferie sono per me sempre un momento catartico capace di riconciliarmi con la fatica di una parte di quotidianità irrinunciabile ma che non ho scelto io. Mi piace stare lontana dall’ufficio, non vedere persone che spesso non mi interessano, si dimostrano scorrette, maleducate, immotivatamente ostili…c’è stato un tempo in cui mi chiedevo se questo dipendesse da me. Adesso so che invece può essere che sia proprio tutta colpa loro, oppure che non è sempre una questione di responsabilità: ci sono persone che non ci piacciono e a cui non piaciamo senza che per questo ci siano torti o ragioni da parte di qualcuno. È molto liberatorio e confortante rendersi conto di queste piccole eppure non sempre così evidenti verità. Sono tre anni che ho la mia stanzetta singola in ufficio. In precedenza condividevo il mio spazio di lavoro con altri due colleghi: una di loro all’improvviso decise di cambiare stanza per stare assieme ad un’altra collega. Lo fece senza avvisarci e senza che ci fossero stati motivi di screzio. Mi offesi molto, ma poi il suo posto fu rimpiazzato da un’altra collega più simpatica e gentile e così non ci pensai più. Oggi, quando ripenso ad episodi simili, irrilevanti eppure molto indicativi, capisco quanto sia stato spesso inutile il mio spreco di energie per sentirmi parte di un contesto in cui di fatto sono sempre stata considerata un po’ un’estranea: se solo penso a quelle volte che organizzavo cene in casa mia, ma poi quando le facevano gli altri a loro volta io non ero invitata. Forse loro capivano cose di me che mi sono chiare soltanto oggi che mi è tutto ormai così lieve, piacevole, non forzato perché starmene per conto mio, frequentare poco, è la cosa che mi piace di più in assoluto. Non mi sentirò mai davvero integrata in quel posto e va bene così perché invece ho imparato a percepire quando, dove e con chi mi io sento davvero a mio agio. Quanta fatica inutile che facciamo per raccattare il bene da persone che in fondo manco ci interessano davvero. 

Sono qui giù a casa da qualche giorno. Sono stata alle terme, riposato, pensato ad una cosa per me molto importante che vorrei fare entro il prossimo anno e mi sono ricordata di quanto sia stimolante avere un progetto di lungo termine su cui concentrarsi. Intanto incrocio le dita. Poi si vedrà. 

Qui fa ancora molto caldo e a me non dispiace affatto, mi sembra che l’anno non stia davvero finendo, che il tempo si stia dilatando dettando un ritmo più calmo alle cose da fare e da capire. Mi pare che persino questa breve vacanza stia durando un po’ di più e io assecondo questo piccolo inganno mettendomi al sole come se fosse giugno, a leggere i libri che non mi sono portata a Milano e che pensavo non fossero belli. Invece lo sono e sembravano aspettarmi persino un po’ offesi per il ritardo nell’essere scoperti. Quanto tempo che ho perso inutilmente, cercando di assecondare persone non importanti per me, mentre mi privavo di cose essenziali al mio bene. 

Nella prossima vita mi affretterò soltanto in una cosa. Ad imparare a scegliere quello che davvero conti. Tutto il resto è pura, imperdonabile, perdita di tempo.

giovedì 12 ottobre 2023

Un’ora sola. Non solo un’ora

 Sono ormai mesi che mi succede. Tutti i giorni, appena apro gli occhi e per almeno un’ora, prima di cominciare a fare qualunque altra cosa. Da mesi ormai mi capita di svegliarmi sempre con lo stesso pensiero in testa, accompagnato da una rabbia che non sono capace di placare se non dopo l’incursione prepotente degli obblighi quotidiani che, per fortuna, hanno la meglio su ogni altra forma di tribolazione basata su analisi interiori che volutamente ho tentato di rinnegare con tutta me stessa.

Quell’ora del mio primo mattino è un puro condensato di dolore inaccettabile (per quanto non sufficiente annientarmi del tutto. E forse anche di questo gli rendo demerito), una specie di rabbia mista ad una presa di coscienza con cui sento di cominciare a fare i conti ormai troppo tardi per poterne fare qualcosa di più costruttivo. Mi è impossibile trovare una formula adatta per raccontarne il contenuto: non saprei neppure da dove partire o trovare il coraggio e le parole giuste per riuscire restituire tutto il rammarico e il carico di sconforto che questi orrendi pensieri del mattino si portano dentro. Posso soltanto descriverne le conseguenze: succede che mi alzo già completamente sovraccarica di quel peso enorme - che pare essersi piazzato tra le tempie durante tutta la notte mentre ero totalmente priva di difese - poi accendo la moka preparata la sera prima, tiro fuori dal frigo il mio pranzo già pronto da portare in ufficio, mi alleno, faccio la doccia, rifaccio il letto (lo richiudo), metto in ordine. Ed esco. Tutto come sempre, tutto con lo stesso ritmo e cadenza delle abitudini consolidate, con l’aggiunta di quel peso enorme, quello che prima non c’era forse solo perché lo rinnegavo, lo escludevo, lo ignoravo. Perché in realtà deve sempre essere rimasto lì, latente, diluito tra i mille altri ingombri di cuore e cervello, ma ben presente in quegli interstizi e pronto a defluire con la potenza di uno tsunami appena la pressione diventasse sufficiente per farlo esondare.

Credo che ogni piccola o grande crisi individuale si componga di dinamiche del genere e in fondo ho sempre considerato periodi simili della mia vita come avvenimenti faticosi ma preziosi per accompagnarmi a cambiamenti significativi per la mia crescita personale, emotiva, consapevole. Ma stavolta è diverso. Non è il mio presente a spaventarmi e in fondo non ha a che fare neppure con una particolare ansia futura. Quello che mi affatica è la presa d’atto di un certo modo di aver subito il mio passato, un tempo ormai lontanissimo, che mi appare nitido e terribile soltanto adesso. E non posso farci più nulla. E invece si poteva fare così tanto, e così bene, se solo in quel passato lontanissimo fosse stato fatto tutt’altro. E non mi aiuta ripetermi che non è questo l’approccio giusto, che non ha senso cercare responsabili, colpe da attribuire, ragionare con i se e i ma…è andata così e pensarci adesso aggiunge solo veleno. No, non mi aiuta pensare a questo.

 E così io da mesi convivo con quell’ora lì della mattina, con quelle colpe che non ho avuto ma che prima o poi mi toccherà gestire e non so proprio come fare, con quello che un tempo mi sembrava normale e che invece oggi mi pare una cosa assimilabile ad un crimine.

Io, tutte le mattine, almeno per un’ora, nell’ambito di giornate in cui faccio sempre le stesse cose, e poi esco di casa e tento di assolvere ai miei soliti obblighi quotidiani, combatto con questa specie di demone silenzioso e beffardo con cui non posso neppure fare a pugni. Io, tutte le mattine, almeno per un’ora, mi chiedo quanta parte del mio passato remoto continuerà a disgregare, manipolare, cancellare, tutto il futuro, quello ormai già vissuto assieme quello che ancora mi rimane. Poi per fortuna quell’ora passa. E trovo un po’ di pace. Fino a domani