Sola andata

Sola andata

giovedì 12 ottobre 2023

Un’ora sola. Non solo un’ora

 Sono ormai mesi che mi succede. Tutti i giorni, appena apro gli occhi e per almeno un’ora, prima di cominciare a fare qualunque altra cosa. Da mesi ormai mi capita di svegliarmi sempre con lo stesso pensiero in testa, accompagnato da una rabbia che non sono capace di placare se non dopo l’incursione prepotente degli obblighi quotidiani che, per fortuna, hanno la meglio su ogni altra forma di tribolazione basata su analisi interiori che volutamente ho tentato di rinnegare con tutta me stessa.

Quell’ora del mio primo mattino è un puro condensato di dolore inaccettabile (per quanto non sufficiente annientarmi del tutto. E forse anche di questo gli rendo demerito), una specie di rabbia mista ad una presa di coscienza con cui sento di cominciare a fare i conti ormai troppo tardi per poterne fare qualcosa di più costruttivo. Mi è impossibile trovare una formula adatta per raccontarne il contenuto: non saprei neppure da dove partire o trovare il coraggio e le parole giuste per riuscire restituire tutto il rammarico e il carico di sconforto che questi orrendi pensieri del mattino si portano dentro. Posso soltanto descriverne le conseguenze: succede che mi alzo già completamente sovraccarica di quel peso enorme - che pare essersi piazzato tra le tempie durante tutta la notte mentre ero totalmente priva di difese - poi accendo la moka preparata la sera prima, tiro fuori dal frigo il mio pranzo già pronto da portare in ufficio, mi alleno, faccio la doccia, rifaccio il letto (lo richiudo), metto in ordine. Ed esco. Tutto come sempre, tutto con lo stesso ritmo e cadenza delle abitudini consolidate, con l’aggiunta di quel peso enorme, quello che prima non c’era forse solo perché lo rinnegavo, lo escludevo, lo ignoravo. Perché in realtà deve sempre essere rimasto lì, latente, diluito tra i mille altri ingombri di cuore e cervello, ma ben presente in quegli interstizi e pronto a defluire con la potenza di uno tsunami appena la pressione diventasse sufficiente per farlo esondare.

Credo che ogni piccola o grande crisi individuale si componga di dinamiche del genere e in fondo ho sempre considerato periodi simili della mia vita come avvenimenti faticosi ma preziosi per accompagnarmi a cambiamenti significativi per la mia crescita personale, emotiva, consapevole. Ma stavolta è diverso. Non è il mio presente a spaventarmi e in fondo non ha a che fare neppure con una particolare ansia futura. Quello che mi affatica è la presa d’atto di un certo modo di aver subito il mio passato, un tempo ormai lontanissimo, che mi appare nitido e terribile soltanto adesso. E non posso farci più nulla. E invece si poteva fare così tanto, e così bene, se solo in quel passato lontanissimo fosse stato fatto tutt’altro. E non mi aiuta ripetermi che non è questo l’approccio giusto, che non ha senso cercare responsabili, colpe da attribuire, ragionare con i se e i ma…è andata così e pensarci adesso aggiunge solo veleno. No, non mi aiuta pensare a questo.

 E così io da mesi convivo con quell’ora lì della mattina, con quelle colpe che non ho avuto ma che prima o poi mi toccherà gestire e non so proprio come fare, con quello che un tempo mi sembrava normale e che invece oggi mi pare una cosa assimilabile ad un crimine.

Io, tutte le mattine, almeno per un’ora, nell’ambito di giornate in cui faccio sempre le stesse cose, e poi esco di casa e tento di assolvere ai miei soliti obblighi quotidiani, combatto con questa specie di demone silenzioso e beffardo con cui non posso neppure fare a pugni. Io, tutte le mattine, almeno per un’ora, mi chiedo quanta parte del mio passato remoto continuerà a disgregare, manipolare, cancellare, tutto il futuro, quello ormai già vissuto assieme quello che ancora mi rimane. Poi per fortuna quell’ora passa. E trovo un po’ di pace. Fino a domani

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