Sola andata

Sola andata

venerdì 9 giugno 2023

Vuoti ingombranti

 Le cose cambiano con una velocità così sconcertante che posso davvero rendermene conto soltanto se mi soffermo a fare un paragone con ciò che è stato fino a uno, due, tre anni fa, al netto della pandemia che è un segmento temporale di cui non voglio neppure più tenere conto. Da rimuovere e dimenticare come certe frequentazioni a cui ti costringevi da ragazza solo per dire che avevi pure tu il ragazzo. In ufficio è arrivato un certo numero di nuovi assunti, molti dei quali sono simpatici, freschi, giovani e pieni di buona volontà. Le ragazze sono particolarmente belle, con i capelli lunghi come piacerebbero a me, gentili e fin troppo rispettose, al punto da farmi sentire più stantìa di come già mi sento. E poi c’è uno, vestito troppo elegante per un ufficio come quello in cui è capitato, che non saluta mai, parla solo con chi ritiene utile farlo e che forse già si previsualizza in ruoli che dovrebbe meritare davvero solo chi si pone in modo sostanzialmente differente dal suo. Ma tant’è. Purtroppo temo che occuperà il ruolo che si sente già addosso grazie a quel suo piglio arrogante e piccolo borghese col sigaro (pure se sento ancora l’odore del latte che ha preso poco prima). Ma non di simili cambiamenti volevo rendere conto, visto che mi interessano troppo poco per finire nei “fundamentals” dei passaggi cruciali delle mie tappe esistenziali.

Sento che le cose cambiano quando trovo il coraggio di allontanarle da me in misura più che proporzionale a quanto le ho desiderate e, in questo periodo di “decluttering”- in cui mi piace svuotare casa sia di mobili che di cianfrusaglie, ricordi, libri brutti, scartoffie inutili, appunti vecchi che non rileggerò mai – l’esperienza tangibile della sottrazione ha un valore potenziato. È toccato persino a quella che per me ha sempre rappresentato la bambola per eccellenza: la mia barbie “viso d’angelo”. Sì perché nella vita io ho ricevuto un’unica barbie. L’avevo desiderata con tutte le mie forze perché i miei non volevano comprarmela, forse perché costava troppo o perché dirmi di no anche senza reali motivazioni è stato uno sport abbastanza praticato da loro quando ero piccola. E’ rimasta la cosa più bella che ho creduto di possedere per tutta l’infanzia e crescendo me la sono portata dietro ad ogni trasloco. Eppure non l’ho mai davvero associata a ricordi belli. Non mi è mai stato chiaro il motivo eppure è così: la amavo con sofferenza, avevo paura che si rompesse o che le mie amiche non la trovassero abbastanza bella. E poi avevo sempre paura di perderla. Non credo di essermela goduta nel modo giusto, ma sta di fatto che non sono mai riuscita a separarmene. Almeno prima d’ora, quando ho deciso che in realtà quella piccola meravigliosa donnina in miniatura dalle forme perfette, dovesse allontanarsi da me per sempre, portando con sé ogni cosa della mia infanzia, in parte perduta in parte mai pienamente vissuta. Pensavo fosse impossibile e invece è stato meraviglioso metterla nel grande sacco delle cose da lasciare andare: un senso di leggerezza e di liberazione mi ha pervaso, come se tutto il peso di questi ultimi anni fosse stato responsabilità soltanto sua.


Io non lo so se sia davvero sensato considerare gli oggetti alla stregua di scrigni di ricordi, che poi si mescolano a stati d’animo e che poi si assumono pure la responsabilità di accompagnarci anche quando il loro compito è finito. Mettere quella bambolina nel sacco, assieme ad una marea di altre cose che sono ripiombate da un passato meno lontano ma forse altrettanto “ingombrante” ha sortito effetti tangibili non solo nella mia concezione dello spazio da riservare ai ricordi. A me è parso che in quello stesso momento sia cambiato improvvisamente il ritmo stesso del mio respiro, come succede quando metti a terra una zavorra estenuante che trasportavi da troppo tempo. Perché il passato mi fa questo effetto? Era davvero tutto così cupo, sbagliato, imperfetto? O è il mio presente la vera lente distorta di tutto quanto? Vai a sapere…


E poi ho fatto lo stesso pure con le persone bloccando un po’ di amici storici, risalenti a infanzia e adolescenza, da FB. E’ successo quando, dopo qualche parola sbagliata persino risalente a mesi e addirittura anni fa che ho tollerato malvolentieri, ho deciso che non aveva più senso ritrovarsi e sapere ancora l’uno dell’altro. Bloccati senza neppure un saluto. Credo che certe volte il distacco drastico, netto, senza passaggi delicati, sia il solo possibile. Sparire e gettare via. Gesti puliti, netti. Cose e persone tenute lì perché tanto che male c’è. E invece le cose cambiano pur nella loro apparente immutabilità. E raccontano altre cose, si nutrono delle nostre malinconie, riaprono ferite curate male, parassitano pensieri e inibiscono un reale e più desiderabile cambio di passo. 


“Decluttering” è una bella parola. In italiano non ce n’è una esattamente equivalente. Non importa. Quando arriva il momento diventa chiarissima

1 commento:

  1. molto interessante questo alleggerirsi non solo del superfluo ma anche di cose (o persone) che per quanto importanti una volta, ormai hanno superato il loro tempo e ci appesantiscono. Non mi piace il termine decluttering, personalmente lo sostituisco con "disciplina del bagaglio", la capacità cioè di non portarci appresso pesi inutili, facendo scelte anche dolorose, in quel nostro viaggio che è la vita.
    massimolegnani (orearovescio.wp)

    RispondiElimina