lunedì 30 dicembre 2024

Metto in agenda

 C’è una parte di colposa omissione nell’affermazione un po’ spavalda del mio non fare mai buoni propositi per l’anno nuovo. Non che non sia così: mi pare abbastanza pretestuoso delegare ad un anno (sempre il prossimo) la responsabilità della nostra svolta. Come se in quel susseguirsi sempre meno definito di quattro stagioni si insinuasse la perfetta combinazione di azioni e fortuna capace di traghettarci finalmente lì dove meritiamo di stare. No, io non sono dotata di questo ottimismo un po’ fatalista che si lascia contenere in un lasso temporale che la convenzione ha deciso per tutti.

Però mi piacciono le agendine. La mia personale svolta parte da quando ho cominciato a comprarne una all’anno e ad annotarla quotidianamente con la dedizione di un monaco certosino: ci sono dentro tutte le scadenze, le date di viaggi, i posti visitati e relative impressioni, tutti i corsi seguiti, i film che ho amato di più, gli allenamenti e la relativa durata, le frasi che ho letto o ascoltato e che voglio ricordare, persino alcune parole chiave che definiscono lo stato d’animo in un momento preciso…oggi ho ripreso quell’agendina verde  che mi ha accompagnato ovunque e che ormai è completamente logora. Non c’è giorno in cui non ci sia scritto qualcosa che mi pare più rivelatrice oggi di allora. Avrei potuto farlo in qualsiasi altro modo, per esempio segnandomelo sul cellulare o sull’ ipad. Ma senza la percezione tattile di pagine che rinnovano l’esperienza giornaliera e che nel frattempo si deformano, acquistano spessore, si logorano è come se mi mancasse la prova più tangibile di una vita che sta offrendo prova di sé. E a me questo conforta molto pure se a rileggere tutto non mi riesce di capire se quello che è successo, che ho provato a fare, che ho scelto…sia poco oppure abbastanza per quella parte di me che ci spera e ci prova sempre.

Non mi piacciono i bilanci, proprio come non mi piacciono i propositi eppure sfido chiunque a starne del tutto fuori quando si passa per questi giorni qua. Potrei provare a non farmi domande stupide del tipo “E’ stato un anno buono?” e ammettendo invece di essere stupida, cosa potrei rispondermi? Che non mi sono ammalata ma neppure ho vinto alla lotteria, che ho un buon lavoro ma che di certo non è quello dei miei sogni, che fino ad ora la brutta notizia che aspettavo non è arrivata ma non so quando arriverà quella bella in cui sto sperando, che ho conosciuto persone che mi piacciono ma che sono davvero troppo poche…cosa fa di un bilancio di un segmento di vita un tempo in attivo? Mi piace di più fidarmi del processo, pensare che sia un semplice e non definitivo tassello di una vita che ha una sua definizione più ampia che mi chiede solo di essere abbastanza abile da intuire e svelare.

Stanotte ho dormito per ben 14 ore. Ad un certo punto sono crollata come un sasso. Forse il mio corpo non ne poteva più e mi ha detto: “Stai vedendo Irma la dolce per la trecentesima volta. Dormi e recupera tutta l’assurda fatica che fai mentre procedi per tentativi in questa landa di solitudine e abitudini che ti sei scelta”. In mattinata avevo fatto l’ultimo massaggio dell’anno: le mani magiche della piccola signora tailandese devono aver toccato le corde più giuste di sempre. Poi ho camminato fino ad una casa museo di via Montenapoleone, dove, prima di entrare, ho visto persone incantate a fotografare Lamborghini viola e gialle che sfilavano senza alcun carisma e vetrine di Marchesi con panettoni che sembravano delle sculture da restituire alla storia più che allo stomaco. C’era un sole bellissimo e un’atmosfera magica che credo di aver attraversato per ore fino allo sfinimento. Sono arrivata a piedi fino a via Cadore e c’era il 66 che aveva soltanto me da portare via. Sono rientrata ad ora di pranzo e avevo fatto in modo che fosse già tutto pronto e in ordine. E’ stato forse in quel preciso momento che credo di aver pensato che tutto era come doveva essere e che il mio unico merito era stato quello di rendermi disponibile per tutto questo. E poi ho pensato che la felicità la capisci quando ti sfinisce tanto da suggerire il riposo come unica reazione possibile. Ho dormito 14 ore e non mi ricordo quando mi sia successo prima d’ora.

Niente bilanci e un’agendina nuova. Io mi sto preparando. Ma non è questa la novità

mercoledì 4 dicembre 2024

Di cambiamento e di stagioni

 Vivo a Milano esattamente da 15 anni e da quando abito nella mia attuale casa comincio sempre in questo modo qui: sveglia alle 4:35, accendo la radio, metto il caffè, vado in bagno, accendo il riscaldamento, mi siedo su una specie di pouf contenitore. E finalmente fisso il muro per tutto il tempo che sorseggio il caffè (tazza grande per fortuna). A volte, durante il giorno, quando le mie facoltà mentali sono meno precarie di quel momento lì, mi immagino ripresa da una videocamera con timing accelerato che mi riprende come se fossi un pupazzetto della lego che ripete questa sequenza di operazioni con ciclo infinito e sempre identico. Una specie di cricetino ossessivo che rincorre la sua routine mattutina. Chi mi conosce sa anche che subito dopo io stenderò un tappetino, prenderò dei pesi di portata variabile, aprirò la piattaforma degli allenamenti a cui sono abbonata e comincerò il workout che mi toccherà gestire mente ho ancora gli occhi gonfi di tutto il sonno del mondo. E’ una cosa tremendamente faticosa che non è vero che viene mitigata dall’allenamento, perché io nel frattempo invecchio e mi logoro, ma purtroppo non so ancora come fare per smettere. Perché si fa presto a dire che basterebbe semplicemente non farla e mettermi in doccia e uscire come credo facciano tutti, pure quelli che si allenano ma trovano normale farlo anche in altri orari. Per me questo è impossibile: se io comincio la giornata senza fare questo sforzo smisurato prima di cominciare la giornata vera e propria sento di aver già fallito su tutto il resto, è come essere certa che tutto andrà male, che non merito nulla di buono e di bello che potrebbe accadermi da qui ai prossimi trent’anni. Credo che ci sia qualcosa di vagamente patologico in un simile atteggiamento, tanto più se penso che non ho alcun tipo di obiettivo atletico o di forma fisica: ne ho avuti, ma adesso proprio no. Ho passato anni a ripetermi che la disciplina è fondamentale per stare al mondo e adesso non so come uscire da questo loop così estenuante…ma vabbè…finchè il ginocchio destro non deciderà di esplodere definitivamente mi farò ancora urlare dal tablet “forza non mollare proprio adesso” da una strafiga che avrà almeno vent’anni meno di me. 

Da un po’ di giorni ripenso ad un film stupendo visto al festival di Longtake che mi ha stimolato una considerazione su quello che accade quando dentro di noi avviene un cambiamento di cui non ci accorgiamo perché avviene indipendentemente da un nostro preciso intendimento. Ci pensavo anche stamattina, mentre venivo al lavoro (completando la mia routine dei 4 km a piedi…manco a dirlo) e mi sono chiesta quanto nella mia vita da adulta e ormai autodeterminata ho desiderato essere in un certo modo applicando delle modalità precise per cambiare e quanto invece sono cambiata senza accorgermene ma semplicemente perché il tempo è passato e mi ha attraversato lasciando il suo segno senza che io potessi farci niente. Succede davvero? E’ possibile che cambiamo senza rendercene conto? Oppure siamo totalmente responsabili di quello che diventiamo? Anche come soggetti consapevoli e non più degli adolescenti a cui perdonare ogni scelleratezza?


Il film stupendo di cui parlavo si intitola “Le occasioni dell’amore” (ma tradotto dal francese sarebbe stato un più corretto “fuori stagione”) che raccontava di due che si ritrovano dopo 15 dalla fine della loro storia d’amore. Lui l’aveva lasciata per inseguire il sogno (poi avveratosi) di affermarsi come attore e lei, soffrendo, ha poi provato a realizzare se stessa nella famiglia e insegnando il piano. Ritrovarsi riaccende la passione. In realtà, forse, è stato altro. Forse quell’incontro non era esattamente un ritrovarsi, ma conoscersi e innamorarsi per quello che sono diventati in quel preciso momento, certamente diversi da quello che erano al tempo di quella prima separazione. Oppure hanno amato il loro tempo perduto, le occasioni mancate, quel che erano al confronto quello che sono oggi grazie ad un tempo che li ha plasmati e forgiati, lavorando anche per questo loro ritrovarsi? 


 E’ sempre strano per me pensare al destino e ai suoi scherzi e chiedermi come cambia le carte o se in qualche modo noi stessi disegniamo le traiettorie a nostra insaputa illudendoci che ciò che non è successo è solo perché la sorte alla fine ha deciso per noi e non ha voluto accontentarci. Quei due 15 anni prima non erano fatti per stare assieme. Ma dopo 15 anni forse sì. E allora perché non provarci stavolta? E’ lecito impedire all’amore di approfittare del suo tempo giusto malgrado la stagione sbagliata? E’ lecito provare a raggiungere qualsiasi obiettivo quando tutto pare contraddirci? Ma che ne so. Ma che me ne importa, oggi, dopo 15 anni che vivo qui e che tutto mi pare diverso tranne me. Cosa ne posso sapere io che se non faccio sempre esattamente la stessa cosa per ogni prima mattina che apro gli occhi mi viene da andare a costituirmi…

 

Ricomincio da più o meno chissà

  Primi tre mesi andati. Non che questo voglia dire chissà cosa, ma almeno l’inverno è superato, i prossimi obiettivi sembrano prendere form...