Me ne accorgo da dettagli impercettibili, come l’acquisto compulsivo di integratori dal nome improbabile che mi fanno pensare a delle iniezioni di energia simili a quelle illegali, dal rientro a casa che coincide con l’urgenza di andare a dormire prima possibile, oppure dall’organizzazione delle giornate in modo da minimizzare la dispersione di energia e le cose da mettere a posto, il bisogno potenziato di silenzio e isolamento. Questo inizio anno mi ha trovato stanca in quella maniera per la quale mi sento colpevole persino ad ammetterlo visto che è senza una spiegazione reale. Non lavoro in miniera, non faccio un lavoro stressante, non gareggio per le Olimpiadi. Però è così, mi sento come svuotata e priva di ogni slancio. Ho lasciato intatte solo le cose che non riesco a smettere di fare: allenarmi secondo il calendario, andare al lavoro, coltivare le mie due o tre passioni residue fatte di MUBI e libri di poche pagine. Per il resto ho solo bisogno di dormire e non cedere alla tentazione di fare qualsiasi cosa di nuovo. Se non mi conoscessi penserei che è così che cominciano le depressioni striscianti, quelle che colpiscono soprattutto persone dall’indole malinconica e che col tempo finiscono per conviverci senza l’urgenza di venirne a capo facendosi aiutare da qualcuno. Mi conosco e so di non attraversare quella condizione perché ho troppo rispetto per la fragilità di un depresso per permettermi di lamentarmi della mia abulia da transito verso un anno che non sento ancora come nuovo. Forse è solo questo Blue Monday che mi fa parlare, o la tristezza infinita che provo per la morte di Lynch a cui non ero affatto pronta e che mi ha addolorato oltre le previsioni. Il fatto è che c’è qualcosa dentro questi giorni strani che mi respinge altrove, come se volesse escludermi e mi facesse pesare il fatto che io ci sia ugualmente. E io vorrei pure poter farmi da parte, ma non mi è davvero possibile.
Ogni tanto fb, che ormai pare conoscermi piuttosto bene, mi proporne pagine di “self-improvement” (di solito si tratta di elenchi motivazionali per lo più destinati a sportivi o a persone poco integrate nel consesso sociale che devono potenziare aspetti del loro carattere considerati fragili) e di solito l’esortazione maggiormente declinata è quella di imparare a stare da soli il più possibile. L’idea di fondo è che gli altri siano solo una distrazione dispersiva e che soltanto restando concentrati e totalmente focalizzati sui propri obiettivi si possa migliorare come persone, così che soltanto dopo il proprio percorso di evoluzione e di crescita in solitaria si possa tornare nel mondo ed essere d’aiuto e di esempio per qualcun altro. Devo dire che questa cosa mi ha sempre convinto molto: anche io credo che il concetto di uomo come “animale sociale” abbracci un malinteso senso del ruolo di ciascuno di noi nelle relazioni umane: è vero che nessuno sopravvive senza l’altro perché siamo inevitabilmente il frutto di una rete di relazioni di dipendenza “organizzativa”, ma essere un animale sociale non vuol dire necessariamente essere un animale “socievole” ed è per questo che esistono i solitari e quelli che hanno deciso di rompere il patto sociale in nome di una vita fatta di isolamento per connettersi meglio con se stessi. Io credo che questo sia assolutamente possibile sia come scelta esistenziale che, a maggior ragione, per periodi temporanei della propria vita.
Ho pensato a lungo a questa cosa perchè solo qualche sera fa sentivo Bersani in un talk affermare esattamente il contrario. Lui diceva che la destra (ormai) “globale” sta affermando una pericolosissima idea di individualismo che a sua volta è fonte non solo di guerre e odio tra i popoli ma anche, nelle coscienze dei singoli, delle forme di individualismo e di diffidenza esasperata nei confronti dell’altro. Perché è questo il modo in cui opera il tardo capitalismo e chi vede in una società sfilacciata e fragile un modo facilitato di esercitare il potere. Ovvio che questo sia assolutamente vero. Eppure rimane il fatto che io non ce la faccio, che sento di aver bisogno vitale di pensarmi sola per quanto più mi sia possibile per poter ricaricare le energie e che non riuscirei ad offrire tempo di qualità tale da accrescere il valore del confronto dialettico rispetto alla mera riflessione individuale. Non è facile ammetterlo, eppure ci sono tempi in cui la fuga da tutto, almeno per un po’, appare come la sola salvezza possibile. Se non per tutti, probabilmente per qualcuno. Sicuramente per me.
fa impressione la lucidità di questo post che non è un piangersi addosso nè tantomeno una richiesta d'aiuto. E' semmai una narrazione stoica, alla Seneca che con distacco nota la possibile imminente frattura della propria gamba, ma tu non subirai alcuna frattura, saprai trovare il modo di uscire dall'apatia, anzi mi pare che già stai utilizzando quella stessa apatia per ricaricare le batterie.
RispondiEliminabrava!
massimolegnani
(orearovescio.wp)