Sola andata

Sola andata

domenica 18 ottobre 2020

Farsi spazio senza aggiungere nulla

 Devo riabituarmi ad uno spazio già mio. È abbastanza strano sentirsi come in una nuova casa nonostante sia variata solo la disposizione dei mobili (il bagno vive una storia a parte, molto travagliata e traumatica, ma tutta sua). Mi piace moltissimo la nuova soluzione: ho recuperato molto spazio, è tutto più razionale e a me pare di aver cambiato casa al punto che i miei gesti automatici mi fanno sentire smarrita perché nulla è al posto di prima e per questo mi muovo come se fossi un’ospite un po’ impacciata. Una sensazione bellissima. Respira di nuovo e di mistero..

Qui a Milano la situazione è ripiombata nello stato di allerta pre estivo, reso stavolta più mesto proprio dai colori freddi della stagione rigida. Io ho smesso di prendere i mezzi ed esco solo se strettamente necessario, come per andare in ufficio e fare la spesa. Come da molto tempo a questa parte, non mi sento triste ma neppure felice, condizione questa che nella mia classifica degli stati d’animo rientra nello stato ideale. In un’altra vita devo essere stata una qualche pianta.

Cosa mi aspetto da questo inverno? Ho appena ordinato una sedia a dondolo: ora che il divano è nella stanza meno praticata ho in quella principale lo spazio sufficiente per realizzare un mio vecchio capriccio: credo che passerò molto tempo seduta lì, coperta dal più classico dei plaid, a vedere un buon film e col pensiero a chi mi manca.. In un’altra vita, oltre ad una pianta devo essere stata una persona anziana dalla nascita...

Oggi, mentre riassettavo e liberavo i miei nuovi spazi, è spuntata una vecchia foto di una persona che ho molto amato. Non avevo mai avuto il coraggio di buttarla via. Lui non significa più nulla per me da tanto tempo, eppure mi pareva sbagliato cestinare quel suo ricordo. La forza dell’abitudine a volte rimane la cosa più forte di tutto, pure dell’assenza di partecipazione emotiva, anzi ne è il più grave deterrente. Buttare quella foto nella pattumiera è stato enormemente liberatorio.

Cosa mi manca veramente? Forse l’idea stessa di pianificare un viaggio, la possibilità di flirtare con qualcuno pur sapendo che starò molto attenta a non andare oltre. Forse mi manca la frenesia sciocca di questa città, che però contagia vitalità e slanci. Mi manca persino rassegnarmi alla volatilità dei rapporti. Non so come leggere questa progressiva perdita della possibilità di pianificare. Non ne trovo la logica. L’ho pensato anche per l’incidente di Zanardi: uno così lo avvicini a Dio. Non andrebbe contemplato Per lui l’epilogo che gli è toccato.

Quando scrivo su questo spazio non rileggo mai (per questo mi scuso continuamente per i refusi che lasciano intendere forti digiuni grammaticali), perché ho paura di “riposizionare” i pensieri in modo meno sincero. Ma credo sia un errore: l’autenticità passa anche per una ricollocazione del pensiero, per sforzi successivi di decodifica, per sottrazioni e aggiunte prima di raggiungere la piena convinzione di qualcosa. Proprio come uno spazio domestico che decidi di modificare per sentirlo più familiare. A volte è un rischio, un lavoro faticoso, spesso fa riemergere un ricordo sopito e
ingombrante. Quasi sempre è una cosa bella.

Cosa mi manca allora? Credo sempre le stesse cose. Ma forse ora occupano semplicemente degli spazi diversi. E può darsi che la vera fortuna di questo tempo sia quella di doverle cercare di nuovo tutte.  Una ad una.


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