- Hey, è un po’ che ti vedo immotivatamente serena. Sei sicura di star bene?
giovedì 27 gennaio 2022
La sostenibile pesantezza del mio essere
venerdì 21 gennaio 2022
Far presente, al futuro, che c’è un bello spazio
La verità è che forse non me ne importa proprio niente. Ormai è un po’ di tempo che fingo di accalorarmi su una questione che in realtà mi tocca solo in minima parte, dal momento che a me della prova di come si stia davvero risolvendo il problema della pandemia, di fatto, non potrebbe importarmi di meno. Non lo dico per cinismo, ma ormai è fin troppo evidente che non ha senso nessuna modalità di confronto ragionevole, possibile, realistica. Da quando tutto è cominciato io vivo della certezza che sia tutto sbagliato e che se non mi fossi vaccinata non mi sarebbe accaduto nulla (verità indimostrabile eppure si è ben radicata in me questaconvinzione) proprio come persone vaccinate hanno finito per ammalarsi in modo anche preoccupante. Tutto questo non mi appassiona davvero perché alla fine, nella parte più profonda di me domina un fatalismo “assolutorio” che mi spinge a ritenere che ogni cosa, anche la più apparentemente assurda e inaccettabile, riguardante questa vita, ogni vita, sia “giusta” in sé. Quando me ne rendo conto, un po’ mi spavento. E un po’ mi calmo. Per le stesse identiche ragioni.
Sto liberando piano piano la mia casa dai mobili che non ritengo indispensabili o che non mi piacciono più. Voglio fare spazio, ritinteggiare, cambiare la cucina e prendere un divano più comodo. Ogni tanto sento come necessario “occuparmi” dello spazio che occupo J, credo sia terapeutico, mi predispone a forme nuove di accoglienza possibile e a circondarmi di uno spazio e forme nuove in cui gestirmi. Mi piace. Mi diverte.
Sono tornata solo da pochi giorni dalla Campania. Sono andata sempre alle terme, ho corso moltissimo, ho visto morire il mio amatissimo Pablito e con lui tutta la tenerissima storia che ci siamo portati dietro da quella volta che sono andata a prendermelo dopo che mi era saltato in braccio battendo il suo fratellino. E ho già ricomprato i biglietti per tornare. Non mi era mai successo, da quando vivo qui, di pensare di tornare a casa praticamente ogni mese. La mia media annuale, da tredici anni ormai, è sempre stata al massimo un paio di volte e invece è bello anche questo fitto alternarsi tra luoghi, case, attività e condivisione, perché mi fa avvertire meno il senso delle distanze e delle assenze e mi aiuta a non pensare che in tutto questo tempo ho fallito nella costruzione di rapporti stabili e duraturi, nella creazione di amicizie consolidate e forse pure nell’efficace radicamento in una città che pure amo immensamente e nella quale vorrei continuare a pensare di vivere per sempre. Tutto, in questi anni, è sfumato nell’indistinto. Che peccato, ma pure quanta libertà e infinite possibilità di movimento.
Questo è tutto quello che so: mi sono vaccinata ultima tra gli ultimi senza mai ammalarmi. Ho fatto due dosi senza accusare alcun malessere. Se avessi potuto scegliere sarei ancora non vaccinata e poi avrei pure venduto casa l’estate scorsa a causa di un vicino rumoroso che per fortuna non sento più da mesi, avrei cercato un compagno fisso (e liberissimo di cuore e di fatto)invece di trovare più accomodante chiudermi a ogni sentimento trovando la mia pace in una formula atipica di accettazione fatta di contemplazione e riconoscenza per quello che ho, senza cercare altro. Come sarebbe andata se davvero avessi potuto scegliere secondo istinto e volontà? Mi piacerebbe davvero saperlo? Forse no. Se posso ancora fare tutto quello che il presente mi suggerisce vuol dire che forse quella che chiamavo limiti alla mia libertà di scelta era solo una piccola somma di irrilevanti pretese da non soddisfare, scelte di pancia che meritavano la pazienza che ho loro concesso, dilemmi che avrebbero avuto risposta solo col tempo econ il non fare nulla. E’ stato un bene quel mio sentirmi imprigionata perché oggi un sacco di quei problemi si sono risolti da soli.
E così ho pensato che il futuro è proprio come quello spazio che ci creiamo mentre sentiamo di averne troppo poco. Proprio come la mia piccola casa, che si libera di tutto il superfluo per predisporsi a nuovi spazi da occupare meglio. Con altro. Con altri. O proprio con nulla di più
sabato 15 gennaio 2022
Un’età ancora tutta da dimostrare
L’ha chiamata “età del ristagno”. Mi convince, non l’avevo mai considerata in questi termini. E invece funziona esattamente così. Rivedere con tutta l’attenzione e l’infinito amore che merita l’intera serie di Bojack mi ha fatto tornare a questo concetto espresso da uno dei suoi personaggi. Si arriva all’età del ristagno in un tempo non identico per tutti ma al quale prima o poi si finisce per approdare: per esempio quando si sposa qualcuno che ci ama così come siamo e non ci stimola più a cambiare e progredire, o quando si raggiunge il successo in qualcosa e ci si assesta su quella gloria cavalcando l’onda e vivendo di quella facile rendita, o quando ci rassegniamo ad un percorso esistenziale mediocre ma tutto sommato accettabile. L’età del ristagno arriva un po’ per chiunque e rappresenta per ciascuno di noi il miglior pretesto possibile per autosabotarci, illanguidire nei rimpianti per ciò che non è stato senza attribuirci troppe colpe, perdonarci una resa che in fondo è solo una forma di pigrizia in incognito. In fondo credo che sia un fenomeno piuttosto diffuso, ma considerarlo in questa strana forma legata ad un tempo esatto nella cronologia individuale, come a qualcosa di personalizzabile, fatto di scelte ragionate come se quel momento stesso rappresentasse una meta, mi ha fatto impressione. E così mi sono chiesta in che tipo di età io sia, se quel ristagno sia già stato raggiunto e quanto sia stato determinante il mio contributo in fatto di scelte per arrivarci. Come posso fare a saperlo, io che non ho mai sfiorato l’idea di sposarmi e pretendere che qualcuno mi accettasse così come sono, quanto al contrario di essermi continuamente di ispirazione, che ho volutamente inseguito un lavoro normale nel quale non fosse necessario farmi notare o avanzare nella carriera, io che non potrei perdonarmi neppure un allenamento saltato per quanto sono disciplinata è inamovibile nelle cose che mi interessano profondamente? A che punto della mia età dentro, o verso, il ristagno mi trovo? Se sapessi dell’esistenza di parametri che non conosco e nei quali non rientrare ne sarei davvero felice.
Una volta ho sentito un’attrice di cui non ricordo il nome (è stata Lucia nel vecchio sceneggiato dei promessi sposi) che in un intervista raccontava del bellissimo rapporto che ha con il suo ex marito, tanto che un giorno lei gli chiese “ma tu te lo ricordi perché ci siamo lasciati?” e continuava dicendo che lui le diede una risposta bellissima. Le disse “per evolverci”. Mi pare la più sensata ricetta contro ogni forma di ristagno dell’età. Evolversi allontanandosi soprattutto da ciò che in apparenza ci sembra adeguato, giusto, sano. E invece è solo statico e devitalizzato. E ho pensato a quanto sia difficile riconoscere per tempo questa condizione, più pericolosa persino di quelle dolorose e palesemente da cambiare. Bisogna fare attenzione.
Ieri Pablito è morto. Forse ha avuto un incidente in una delle sue scorribande notturne e così aveva le viscere in poltiglia. Quando ce ne siamo resi conto era troppo tardi. Otto anni e mezzo con noi, prima con me a Milano per due anni e poi con i miei qui in Campania. Da allora mi sono resa conto che non ho fatto altro che abituarmi a pensare che un giorno non sarebbe più stato con noi. Per tutti questi anni ho provato ad esorcizzare il dolore che avrei provato perdendolo. E quando è successo davvero mi sono sorpresa io stessa di quanto in fondo sia stato tutto così normale. Ho pianto moltissimo, ho avuto paura mentre lo portavano dal veterinario, quell’iniezione mi ha devastato. Poi l’ho ripreso in braccio in quella busta rosa e l’ho tenuto stretto così fino al ritorno. Poi ho pranzato e ho smesso di provare dolore. Non saprò mai come giudicare una reazione simile.
A volte la sola cosa che riesco a pensare è che vorrei essere pronta ad affrontare qualunque cosa e che per farlo mi occorra tempo, esercizio, la possibilità di elaborare una qualche “attitudine” che mi eviti il dolore per ciò che non posso evitare nel mio futuro più o meno prossimo. Ma forse l’età del ristagno è proprio così che comincia. Oppure è tutta colpa di questo tempo qui che mi fa sentire ogni cosa sempre piu lontana ed estranea. Mi ci sto abituando solo perché so che durerà ancora a lungo, con questi vaccini che funzionano poco e per poco, con i contagi che aumentano in modo esponenziale e un delirante dibattito collettivo in cui affermare tutto e il contrario di tutto possibilmente urlando pare lo strumento più efficace di questa propaganda di azzeramento del pensiero critico.
Strana età la mia. Tecnicamente potrei essere idonea per una “sana” età del ristagno, fatta di affetti consolidati, obiettivi raggiunti, maturità emotiva, equilibrio “statico” ma in fondo stabile, salute ancora buona. Per fortuna è quasi tutto abbastanza vero. E per identica fortuna è quasi tutto altrettanto abbastanza falso. Ho un’età. Ma non ancora “quell’età”. Ne sono quasi certa.
giovedì 6 gennaio 2022
Il buon fine degli inizi
Io un’idea me la sono già fatta. E per questo ho deciso di giocare d’anticipo. Quest’anno si preannuncia rognoso quanto il precedente, almeno per l’aspetto riguardante la sorte comune che ci è toccata come se fosse una gigantesca cloaca dalle pareti viscide in cui ci sentiamo tutti inghiottiti allo stesso modo. Viene meno pure l’effetto sorpresa ormai. La rassegnazione mista ad una sempre vigile cautela rimane l’unica ricetta possibile per affrontare la situazione senza perdere completamente il senno. La vera scoperta invece riguarda me: ho deciso di dare voce al mio lato cinico, quello meno educato e più dispettoso e drastico. Ho scoperto quanto sia liberatorio rispondere male a chi mi offende o dimostra di non capire, a chi mi delude e vanifica anni di stima e affetto. Non mi interessa il litigio, la discussione, il confronto continuo ed estenuante. Io fuggo dal conflitto da sempre e non per vigliaccheria, ma perché lo trovo metodologicamente inefficace per la reciproca comprensione. Lo trovo totalmente inutile. Non ho più bisogno del conforto della dialettica per raggiungere un punto di vista comune. Mica è sempre necessario. Io credo che esistano delle verità assodate che trovano il loro senso semplicemente in se stesse, non nel dibattito basato su opinioni, sensibilità o temperamenti differenti. Sono stanca e poi ho scoperto che non mi importa nulla di perdere per strada pure vecchie amicizie e affetti di lungo corso. Non mi importa davvero nulla e questo impressiona pure me. Più che spallucce non mi riesce di far nulla. Sono una brutta persona. La strada per l’amore universale è più lontana di quanto immaginassi.
In questi giorni fa notizia il mancato bonus per la salute mentale. In effetti è abbastanza indicativo sia della sottovalutazione del problema in un tempo assurdo come questo, che per la sua malcelata intenzione nell’assecondare addirittura certe problematiche. Per quanto mi riguarda non saprei in che misura correlare quello che ho deciso di fare con questa pubblica decisione eppure non credo sia del tutto casuale che tra i numerosi corsi on line che mi sono regalata per quest’anno ne abbia incluso anche uno di psicologia. Devo dire che mi si è aperto un mondo e credo che concentrarsi sulle proprie risorse interne, sul proprio controllo mentale, in un momento così anaffettivo e individualista, sia assolutamente necessario, doveroso, vitale. Per tutto il resto ci sono le mie immancabili corse dell’alba, gli esercizi di respirazione, i mega frullati proteici, le pagnotte lievitate. E soprattutto il rientro a casa dal lavoro, quando tutto è ormai quasi finito, tranne la parte migliore del giorno, quella da vivere in tuta, accanto al termosifone, nel silenzio più profondo o in compagnia della seconda stagione di Cobra kai. La continuità di una vita fatta di cose minime, di ricerca attenta di pace e accettazione che si sposa con un atteggiamento tutto nuovo verso gli altri, le loro ragioni e la mia insospettabile indifferenza verso di esse. Sarà un anno glaciale? Cattivo? Forse. Io devo proteggermi e per ora considero una fortuna tutto quello che ho e quello di cui ho deciso di fare a meno. Se non c’è abbastanza amore preferisco il niente.
Sto per tornare di nuovo a casa. Succede molto più spesso di un tempo. Proprio oggi fanno 12 anni che vivo in questa casa e comincia a farmi un po’ impressione tornare a quel giorno in cui ho scelto il portachiavi e inaugurato io mio primo ingresso come proprietaria di questa piccola casa che è tanto cambiata da allora è in tutti questi anni: quel giorno c’erano solo il letto e il microonde, niente riscaldamento, un ufficio che all’epoca era lontano più di un’ora di viaggio. Una follia. Eppure come mi diverte ricordare, assieme a tutto quello che è successo dopo e che non saprò mai se sia stato abbastanza o in fondo quasi nulla.
Sono così stanca. Credo sia un buon segno in fondo. Direi un ottimo inizio.
Ricomincio da più o meno chissà
Primi tre mesi andati. Non che questo voglia dire chissà cosa, ma almeno l’inverno è superato, i prossimi obiettivi sembrano prendere form...
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Me ne accorgo da dettagli impercettibili , come l’acquisto compulsivo di int egratori dal nome improbabile che mi fanno pensare a delle ...
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Pioggia, poca luce, aria umida e appiccicosa, starnuti a caso, abbigliamento ineluttabilmente inadeguato, poco sonno, ansia mattutina ch...