Sola andata

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martedì 6 dicembre 2022

Otto meno tre (e di altre certezze positive)

 Otto giorni senza. Forse per chi ci è abituato non vuol dire nulla. Per me invece rientra nella sfera delle piccole grandi sfide che provo ad impormi e a superare anche solo per vedere l’effetto che fa. Io, di prassi, bevo tanto caffè, sebbene limiti il mio consumo solo nell’arco della mattinata e non perché sia particolarmente appassionata di questa bevanda ma solo perché nella mia percezione rappresenta una fonte immancabile di energia e di qualche  barlume di lucidità. Sono otto giorno che non prendo caffè e tutte le volte che succede mi stupisco di quanto il mio corpo reagisca sempre nella stessa identica maniera: per i primi tre giorni ho un mal di testa cosi forte che la vista mi si appanna, faccio fatica ad alzarmi in piedi, ho i crampi alle gambe per i primi dieci minuti di camminata e sono accompagnata da una sonnolenza acuta e insidiosa per l’intero giorno. Poi la svolta. Dopo tre giorni il mal di testa passa completamente, assieme a tutte le strane anomalie da astinenza correlate, i pensieri si fanno lucidi (compatibilmente a quello che posso “produrre” io di lucido), dormo molto profondamente (anche se sempre molto poco), ritrovo energia per fare qualunque cosa e la pelle è più luminosa. Questo fatto mi colpisce sempre molto perchè ogni volta mi chiedo come mi sentirei se non avessi abbastanza forza per sopportare quei primi terribili tre giorni. In fondo mi basterebbe prendere un caffè proprio quando mi manca di più e il mal di testa mi passerebbe immediatamente. Ma io mi ero imposta di non farlo e questo significherebbe punti in meno nell’autostima e nella capacità di porsi degli obiettivi e di portarli a termine. Quando cerco scuse per mollare di solito mi dico cose del tipo in fondo chi mi assicura che starò davvero meglio se continuo a resistere? Nessuno. E’ un piccolo test, se vuoi un atto di fede, una cosina così ma faticosa abbastanza da metterti alla prova per testare quanto è davvero grande la tua forza di volontà. Per me ha senso ma poi ho bisogno anche del risultato. E ormai lo so che per me arriva soltanto dopo quei tre giorni. In realtà assieme al caffè smetto di assumere moltissime altre cose perché questa prova di fatto si inserisce in un percorso detox molto restrittivo e dal quale esco sempre conoscendo qualcosa di diverso di me. Tre giorni di agonia, più qualcuno di forte restrizione alimentare in cambio della mia piccola rinascita. Credo che ne valga la pena.

Alla radio sta passando il report del Censis, quello che annualmente “fotografa” il Paese basandosi su parametri che restituiscano in qualche misura lo spirito del tempo. E’ emersa la parola malinconia. Siamo un paese bloccato non tanto nella sua possibilità di crescita economica, quanto perchè emotivamente congelato, immobilizzato dai traumi recenti e dall’incapacità di osservare il futuro in modo creativo e curioso. In fondo nessuna sorpresa, anzi, ci si stupirebbe del contrario. Eppure, sempre il Censis, ci ricorda che non siamo mai stati meglio di cosi: il paradosso vero del contemporaneo è che, nonostante il covid, le guerre, la crisi ambientale…in realtà le condizioni (in media) di salute, l’aspettativa di vita, le condizioni economiche sono migliori che in qualunque altro passato della nostra storia. Ad essere malato è solo lo sguardo sul futuro, le aspettative e questo dato, assolutamente aleatorio e non realmente basato su alcun fenomeno fattuale, ha un potere di compressione emotiva così forte da impedire all’ottimismo di guidarci. Una roba che a pensarci bene mette i brividi. Eppure è proprio così. E così ho pensato che è bello imporsi delle sfide che ci fanno un po’ paura perché sono quelle che ci danno la misura delle possibilità raggiungibili e della forza da dosare per ottenerle e che questo dovrebbe valere anche per un paese intero che sceglie di star fermo solo perché ormai ha troppa paura di non farcela.


Di questo ultimo scorcio di anno, che non ho esitato a definire uno dei più faticosi e oscuri per me, vorrei provare, proprio imponendomela come sfida, a trovare qualche ragione per esercitare, stavolta, la riconoscenza e tutto il buono che si cela nei momenti percepiti come ingiustamente complicati. E così mi sono detta che la vera riconoscenza sta tutta qui, sta proprio nell’abitare la complessità del mio tempo allenandomi a viverlo senza paragoni con un passato spesso ingannevole. Perché non è vero che sono stata meglio di adesso e non perché me lo dice il Censis. Ma perché sono otto giorni che non bevo caffè. E dopo i primi tre sono rinata. Come previsto 

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