Sola andata

Sola andata

martedì 7 febbraio 2023

Malesseri passeggeri

 Pare che tutto sia tornato normale. La scorsa settimana sono stata poco bene. Molto poco bene. Niente febbre, niente raffreddore, niente malattie tipiche di questo tempo infausto, ma abbastanza fuori gioco per gettarmi nella disperazione di chi da sempre teme il momento in cui potrebbe non farcela più da sola. In tredici anni che vivo qui a Milano, tranne che durante la lunga notte dopo la (inutile) terza dose, non ho mai avuto malesseri o situazioni in cui non potessi cavarmela senza chiedere aiuto. Invece per tutta la scorsa settimana sono letteralmente rimasta piegata in due da dolori lancinanti allo stomaco. Notte e giorno tra nausea, crampi, dolori addominali non meglio precisati, disperazione, stanchezza. Eppure ho continuato a far tutto, quasi come sfida estrema e bisogno di dimostrare a me stessa che potevo ancora conservare il controllo sulle cose. E così mi sono trascinata lo stesso al lavoro, ho fatto la spesa, mi sono persino portata agonizzante al cinema. Tutto tranne allenarmi, perchè questo mi era davvero impossibile, e scrivere. Non so bene per quale ragione mi risultasse impossibile raccontare quello che mi stava capitando e perché avessi così paura di fissare le sensazioni legate ad un momento che appare tanto problematico soprattutto quando vivi da sola e immersa in una rete sociale piuttosto fragile. Credo che sia qualcosa di legato al fare i conti con quello che mi prefiguro sarà il mio futuro, quando davvero non potrò più contare sulle mie risorse perché né la tempra né la lucidità saranno più sufficienti per riuscirci. In realtà è una cosa a cui ho pensato spesso, senza tuttavia troppa preoccupazione perché in fondo il futuro non è mai scritto e ipotecare la libertà presente (e presunta) in nome di affetti “appositamente” costruiti per garantirsi attenzioni future mi è sempre sembrata una cosa alquanto meschina. Non si cerca un compagno per non stare soli, non si fanno figli per la stessa ragione, non si costruiscono amicizie fondate su interessi di tipo opportunistico…e così via. Se proprio devo dirla tutta la vecchiaia ideale per me sarebbe finire in una casa di riposo extra lusso con vista mare, salutata da personale specializzato, e accudente perché ben pagato, che potesse garantirmi degna sepoltura senza rotture di scatole a carico di nessun congiunto, senza lacrime amare o (perché può essere pure questo) sospiri di sollievo liberatori. Una vita spesa bene accompagnata da una morte silenziosa, dignitosa e anonima. Se dovessi pensare alla perfezione penserei a questo…ma vabbè, basta pensare a cose che mi auguro accadano in un tempo troppo lontano per essere anche solo ipotizzato. In fondo questa settimana di pena alla fine è passata, i dolori pure e io ho ripreso la mia amatissima routine, fatta di allenamenti, tanto buon cibo, cinema goduto in pieno, silenzio, lavoro, un colore dei capelli ancora più chiaro e un nuovo taglio pensato per capelli che vogliono essere lunghi.

Di tutto, e di questo mi sono sorpresa io stessa, mi resta il ricordo di certi pensieri assurdi maturati durante le mie fasi di delirio più acuto. Per esempio una notte ho cominciato a chiedermi cosa avesse più di me la compagna di una persona che stimo molto per essere oggetto di tanto amore. Non c’è un motivo, non sono innamorata di quella persona e in fondo non ho nulla contro la sua compagna che peraltro quasi non conosco. Però ho pensato a questo fatto. Poi mi sono ricordata che durante la proiezione di un film l’ho vista consultare il cellulare e che mi fosse bastato questo per declassarla in un precipizio di bassa stima, pur confermando a me stessa l’idea che l’amore sia giustamente fatto di cieca adorazione, più che di meriti effettivi. E poi ho pensato a quella volta che uno, a cui avevo detto che non ero innamorata di lui e che non intendevo avere alcuna relazione, un bel giorno mi invita ad una cena dicendomi così: “Non ti preoccupare, tanto io sono ancora innamorato della mia ex. Mi fa piacere che ci sia anche tu perché sei bella e simpatica, ma non ti preoccupare non voglio niente da te”. Mi ha detto proprio questo. E così ho pensato a quanto fosse assurda la gente, ma che poi in realtà non è vero: è che forse la gente è assurda soltanto con me. Oppure il mio karma vuole che io venga in contatto con certe tipologie umane, oppure che sono io ad ispirare simili atteggiamenti per ragioni che mi sono ancora del tutto oscure. Mi chiedo spesso quanta parte di me abbia volutamente rotto il patto sociale, oppure se me ne sia sentita costretta dall’esperienza e dalla mesta sensazione di questo eterno ritorno dell’uguale. Ad un tratto ho capito che quello che mi spaventa davvero non è il futuro ma l’elaborazione faticosa del passato e soprattutto la delusione per tutte le parole dette male, per i piccoli e piccolissimi gesti indicativi di moltissimo altro, per i sottotesti di frasi che raccontavano di tutto un gigantesco equivoco sulla natura di un legame. Ferite che amano farsi trovare sempre aperte e che io sono incapace di curare se non con una rassegnazione progressiva e inesorabile alla lontananza. 


C’è di buono che da due mesi in casa mia regna il silenzio vero, quello in cui i capricci e l’inarrestabile irrequietezza di un bambino rappresentano per me la vera maledizione, un attentato impunito al mio bisogno di pace. Pare poco. E invece per me è più o meno la sola cosa che conta.


E’ colpa mia. Lo so. Ma se non posso rimediare, forse, non è proprio tutta tutta tutta mia

Nessun commento:

Posta un commento