mercoledì 29 maggio 2024

L’elenco nascosto

 Finalmente un paio di giorni senza pioggia. Pare che non ci si possa ancora illudere e che con buona probabilità il prossimo week end si presenterà di nuovo nuvoloso e piovoso. È stato un maggio anomalo, faticoso, fin troppo carico di insidie per essere un mese che ha in sè un cumulo già consistente e gravoso di mesi dell’anno in corso. Confesso di essere parecchio stanca: ho caricato molto con gli allenamenti e trascorro buona parte del tempo del mio risveglio a cercare di gestire i pensieri nerissimi che da un po’ di mesi mi accompagnano senza nessuna possibilità di contenimento e risoluzione. Per fortuna dopo quelle ore drammatiche, le cose da fare secondo la routine classica in cui vanno incastrate riescono a distogliermi dai miei traumi fissi del primo mattino. E poi c’è di bellissimo che il mese prossimo prevedo ben due blocchi di interruzione dal lavoro e mi auguro vivamente di riuscire a garantirmi un po’ di benessere e di distacco da tutto. 

Ho capito una cosa durante questo mese infausto e anticiclico: quando attraverso periodi complicati mi piace svuotare la testa con gli elenchi. Prendo un foglio di carta, una penna con un tratto morbido e che scorre in modo che mi riesca una grafia bella, mi siedo comoda, comincio a passare mentalmente in rassegna tutto quello che mi provoca un sorriso automatico e mi metto a scrivere tutto quello che mi ha fatto bene. Parto dal presente, ma poi, come sempre mi succede in questo periodo, sfoglio ricordi del passato che mi hanno dato piena soddisfazione. Di solito si tratta di cose cose semplici e in fondo banalissime del tipo :

I pancakes del sabato mattina con annesse decorazioni

Una sessione di yoga particolarmente impegnativa che mi è riuscita fino alla fine

Una visita guidata in un posto bello di Milano 

Un prodotto che volevo comprare che ho trovato in offerta super speciale

L’incontro con Zerocalcare in combo con Neri Marcorè 

Scadenze lavorative rispettate 

Ogni gatto che ho incrociato

Il collega viscido, scorretto, maleducato, arrogante di Foggia che da anni non lavora più a Milano (e il fatto che lui sappia di questa mia felicità)

Gli allenamenti del mattino che hanno una fine nel sudore, le gambe che bruciano, il cuore che esplode

La depilazione definitiva che ho fatto dieci anni fa

Laurearmi col massimo dei voti in una disciplina che mi ha sempre fatto schifo

La mia lista delle cose belle più facile e immediata è quasi sempre una cosa molto simile a questa: non credo che approderò mai alla felicità pura, ma mi piace pensare che la mia stabilità si faccia bastare pochi elementi per conservare un suo dignitoso equilibrio. Il problema, semmai, è un altro. È quando la penna si blocca proprio per via dell’ inconsistenza delle mie strategie di consolazione rapida: ho ancora paura di non essere abbastanza per meritare di stare in pace e che in realtà stia solo mascherando un disagio dovuto a dolori che non riesco ad ammettere e ad affrontare. Credo che questa sensazione corrisponda al vero, perché quando mi abbandono a ricordi dolorosi, anche lontani e lontanissimi, mi accorgo che non ce la faccio ancora a sopportarne il peso. Stanno tutti lì, quei rancori mai sopiti, i torti subiti e mai elaborati, le parole sbagliate che sembrano tatuate in qualche piega strettissima della memoria, persino i semplici sguardi fin troppo eloquenti usati come lame che squarciano un budino.

Tutto il non detto, tutto quello che ho capito troppo in ritardo per potermi difendere, tutto quello che ho accettato perché pensavo di non essere meritevole di stare meglio o di ricevere un trattamento migliore, è rimasto come sospeso, lontano dalle fondamenta solide su cui oggi vorrei appoggiare la mia presunta tranquillità raggiunta. Non ci riesco. Non riesco ad elencare quello che mi fa ancora troppo male per riuscire pure a leggerlo in bella copia e provare finalmente a svuotarmi di tutto quel peso tossico, quello che mi fa pulsare le tempie e mi impedisce di vedere le cose per quello che davvero sono: passato da superare, meglio ancora da dimenticare. Dovrei raccontarlo. Forse mi serve solo una penna ancora più bella di questa.

Maggio è quasi finito. Gli è mancata la grazia leggera della primavera inoltrata. Oppure ha pure lui un elenco di piccole gioie e non me lo dice


martedì 14 maggio 2024

Strada facendo

 Ancora non albeggiava, però la temperatura era ideale. Caffè preso, letto rifatto, pranzo per l’ufficio pronto. Non sono riuscita a trovare neppure una scusa per non andare: un’ora di corsa all’aperto, in silenzio, senza spingere troppo, in mezzo alla natura, a pensare. E così ho fatto: quindici minuti di pesi, un po’ di riscaldamento e via. Di solito non mi capita di pensare a niente di speciale mentre corro, perché sono quasi per tutto il tempo concentrata a combattere con la fatica e a cadenzare il respiro. Oggi però mi è riuscito di coordinare bene il passo con il ritmo cardiaco e respiratorio e così ho provato a vivere un’esperienza anche meditativa. Mi sono accorta che è un sacco di tempo che non ho voglia di scrivere niente, né della mia vita né di quello che ho visto al cinema o sentito ai miei corsi. La vita scorre senza il bisogno di essere descritta, raccontata, decodificata attraverso l’unico strumento che conosca per provare ad unire i punti necessari a comporre una figura comprensibile con i miei passi random. Forse non è una cosa tanto brutta: se non scrivo è anche perché non sto soffrendo per qualcosa, che non ci sono lati oscuri del mio mondo interiore che confliggono con lo spazio che occupo e nel quali sono costretta a muovermi, spesso mio malgrado. Mentre correvo ho provato a riprendere il filo di quest’ultimo periodo che in fondo ritrova proprio nella calma la fonte della sua felicità. Ho pensato a quanto sia prezioso un cuore libero, non logorato da sentimenti passeggeri, deboli, distorti. Credo di essere stata innamorata per ogni istante della fase iniziale della mia vita fino a qualche anno fa. Poi, in un solo, fulgido istante, mi è stato tutto chiaro. Meravigliosamente chiaro: non ho mai capito l’amore e neppure l’ho mai davvero cercato per via di una convinzione più radicata della mia stessa volontà di smentirla. Per me l’amore esiste, eccome se esiste, ma è talmente raro che se davvero avessimo contezza di quanto piccola sia la sua probabilità di effettiva manifestazione per ciascuno di noi perderemmo pure la voglia di immaginarlo e augurarcelo. Ad un tratto mi è stato chiaro che il mio tempo e la mia pace meritavano scopi differenti. Se l’avessi capito prima adesso forse sarei meno indaffarata con la ricostruzione della mia autostima.

Cosa mi piace fare più di tutto? La tentazione di rispondere niente sarebbe fortissima. Nel fare nulla c’è per me tutta la gamma possibile degli stati di grazia: quello che si prova dopo una fatica, mentre si guarda un bel film direttamente dal letto, mentre ci si fa fare un massaggio, in riva al mare nei primi giorni di ferie, in aereo o in treno per un viaggio lungo. Fare nulla è il valore esatto di quello che sarei disposta a pagare ciò che credo di meritare. Pensavo a questo mentre correvo senza troppa fatica, ma sempre con l’intento di continuare ancora per molto, e ad un certo punto mi è tornato in mente quanto mi rilassi cucinare, cosa ha significato la scoperta dello yoga così in ritardo e quanto sia ossessionata da alcune posizioni ancora troppo difficili. Ho pensato ai miei silenzi prolungati e ai vecchi film che sto recuperando con calma perché le serie tv hanno malauguratamente preso il sopravvento nel mio tempo sempre troppo ridotto (detective Monk è una serie adorabile che non avevo mai intercettato. Le ossessioni maniaco-compulsive di Monk sono diventate anche tutte le mie). Ho pensato a quanto ami il venerdì pomeriggio ma che in realtà dovrei riuscire a pensare ad ogni istante della mia vita come ad un unico e continuo venerdì pomeriggio. E’ in questo flusso di coscienza, confluito nel sacro valore dell’armoniosa staticità, che ho portato a termine la mia lunga corsa all’aperto. Dieci km in scioltezza, una bella sudata, il cuore attivo ma senza affanno. Come tutto il resto. Che pace

Cosa mi invece piacerebbe fare più di tutto? Forse soltanto conservare questo stato d’animo, in fondo così insolito nell’economia della mia intera esistenza fino ad oggi, con l’aggiunta di qualcosa di veramente indimenticabile da raccontare. In mancanza, va bene anche così

mercoledì 1 maggio 2024

Piacere, Eramnesia

 Si chiama eramnesia. È la condizione che si prova quando si sente di essere nati nell’epoca sbagliata e ci si identifica con un periodo bene preciso del passato per valori, estetica del linguaggio, del vestire, delle architetture…una volta ho letto di un luogo dell’Inghilterra dove alcune signore si incontrano periodicamente per riprodurre esattamente una tipica giornata del periodo vittoriano:dall’abbigliamento, ai mezzi di trasporto, al cibo, alle ambientazioni domestiche…un intero set allestito non per fingere ma, al contrario, per darsi l’opportunità di essere finalmente se stessi in un contesto che si percepisce come proprio, familiare, adeguato alla propria identità. Lo trovai un esperimento molto affascinante. Forse vale per ognuno di noi, un po’ disagiati rispetto al presente e poco inclini all’accettazione delle anomalie del contemporaneo. Probabilmente è illusorio anche essere convinti che esistano mondi perfetti solo in quanto differenti dall’unico che ci è dato di conoscere, eppure, il fatto stesso di pensarsi altro, e altrove, mi pare già indicativo di una armonia faticosa con quello che ci è toccato come mondo in dotazione. Chissà.

Un giorno mi fu tutto chiaro. Un giorno mi sono resa conto che fin a quel momento avevo sempre preferito, forse addirittura scelto, lamentarmi per cose per le quali non mi andava di lottare, che trovavo normale essere ossessionata dalle persone a cui mi affezionavo e soffrire come un cane quando non ero ricambiata oppure data per scontata. Un giorno ho smesso. Così, senza pianificarlo: mi è sembrato naturalissimo passare dal dolore al disprezzo, dalla mortificazione all’indifferenza, dal lamento un po’ vile alla disciplina necessaria per raggiungere un obiettivo preciso. Ad un certo punto ho capito che, più che gli altri, io non mi piacevo abbastanza, che da un lato provavo a compiacere tutti pur di essere amata e apprezzata e dall’altro cercavo scappatoie assolutorie per evitare di affrontare gli ostacoli utili per autodefinirmi e amarmi il giusto che mi dovevo. Un giorno l’ho fatto e ho cominciato a pensare a tutti gli esseri assurdi e improbabili per i quali sono stata anche ossessionata per anni e li ho idealmente salutati col sorriso e l’imbarazzo di chi stenta a credere di aver potuto anche solo vagamente provato certe emozioni per persone che non significano più niente per me. E poi ho pensato a tutto quello che ho dovuto fare per arrivare a trovare questo lavoro, e anche quello precedente, e anche quello che c’è stato tra il primo e questo…e mi sono chiesta quando di preciso l’ho deciso e veramente voluto e perché poi è andata così e non in un altro modo. Un giorno ho capito quanto fosse tutto sbagliato - e che in fondo lo sapessi anche allora - e mi sono ricordata di quel disagio enorme a cui non sapevo dare un nome, mentre mi lasciavo umiliare da persone e situazioni che non mi sentivo addosso e dalle quali non riuscivo a scappare. Io me lo ricordo. Ricordo tutto intero quel carico di malessere, eppure c’era qualcosa di paralizzante che mi impediva di uscire da quella specie di gorgo che è stata la traccia appena abbozzata del mio destino fino ad oggi. Oggi quel disagio per fortuna è scomparso, forse solo perché ormai è troppo tardi per cambiare le cose e io mi sento assolta ormai dalla storia e dal suo epilogo. Il mio riscatto è nell’ anestesia emotiva di cui ho imparato a farmi scudo e che sento ormai come affine per un tempo che non sento mio e che mi interessa sempre di meno. 

Si chiama eramnsesia, la nostalgia di un tempo che non è quello presente. Eppure, se è vero che per me non riguarda neppure gli anni della giovinezza, sarei davvero curiosa di sapere, finalmente, quale sarebbe stato il tempo della mia perfetta aderenza tra quello che sono e quello in cui avrei potuto farlo sapere a tutti senza soffrirne


Ricomincio da più o meno chissà

  Primi tre mesi andati. Non che questo voglia dire chissà cosa, ma almeno l’inverno è superato, i prossimi obiettivi sembrano prendere form...