Sola andata

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mercoledì 1 maggio 2024

Piacere, Eramnesia

 Si chiama eramnesia. È la condizione che si prova quando si sente di essere nati nell’epoca sbagliata e ci si identifica con un periodo bene preciso del passato per valori, estetica del linguaggio, del vestire, delle architetture…una volta ho letto di un luogo dell’Inghilterra dove alcune signore si incontrano periodicamente per riprodurre esattamente una tipica giornata del periodo vittoriano:dall’abbigliamento, ai mezzi di trasporto, al cibo, alle ambientazioni domestiche…un intero set allestito non per fingere ma, al contrario, per darsi l’opportunità di essere finalmente se stessi in un contesto che si percepisce come proprio, familiare, adeguato alla propria identità. Lo trovai un esperimento molto affascinante. Forse vale per ognuno di noi, un po’ disagiati rispetto al presente e poco inclini all’accettazione delle anomalie del contemporaneo. Probabilmente è illusorio anche essere convinti che esistano mondi perfetti solo in quanto differenti dall’unico che ci è dato di conoscere, eppure, il fatto stesso di pensarsi altro, e altrove, mi pare già indicativo di una armonia faticosa con quello che ci è toccato come mondo in dotazione. Chissà.

Un giorno mi fu tutto chiaro. Un giorno mi sono resa conto che fin a quel momento avevo sempre preferito, forse addirittura scelto, lamentarmi per cose per le quali non mi andava di lottare, che trovavo normale essere ossessionata dalle persone a cui mi affezionavo e soffrire come un cane quando non ero ricambiata oppure data per scontata. Un giorno ho smesso. Così, senza pianificarlo: mi è sembrato naturalissimo passare dal dolore al disprezzo, dalla mortificazione all’indifferenza, dal lamento un po’ vile alla disciplina necessaria per raggiungere un obiettivo preciso. Ad un certo punto ho capito che, più che gli altri, io non mi piacevo abbastanza, che da un lato provavo a compiacere tutti pur di essere amata e apprezzata e dall’altro cercavo scappatoie assolutorie per evitare di affrontare gli ostacoli utili per autodefinirmi e amarmi il giusto che mi dovevo. Un giorno l’ho fatto e ho cominciato a pensare a tutti gli esseri assurdi e improbabili per i quali sono stata anche ossessionata per anni e li ho idealmente salutati col sorriso e l’imbarazzo di chi stenta a credere di aver potuto anche solo vagamente provato certe emozioni per persone che non significano più niente per me. E poi ho pensato a tutto quello che ho dovuto fare per arrivare a trovare questo lavoro, e anche quello precedente, e anche quello che c’è stato tra il primo e questo…e mi sono chiesta quando di preciso l’ho deciso e veramente voluto e perché poi è andata così e non in un altro modo. Un giorno ho capito quanto fosse tutto sbagliato - e che in fondo lo sapessi anche allora - e mi sono ricordata di quel disagio enorme a cui non sapevo dare un nome, mentre mi lasciavo umiliare da persone e situazioni che non mi sentivo addosso e dalle quali non riuscivo a scappare. Io me lo ricordo. Ricordo tutto intero quel carico di malessere, eppure c’era qualcosa di paralizzante che mi impediva di uscire da quella specie di gorgo che è stata la traccia appena abbozzata del mio destino fino ad oggi. Oggi quel disagio per fortuna è scomparso, forse solo perché ormai è troppo tardi per cambiare le cose e io mi sento assolta ormai dalla storia e dal suo epilogo. Il mio riscatto è nell’ anestesia emotiva di cui ho imparato a farmi scudo e che sento ormai come affine per un tempo che non sento mio e che mi interessa sempre di meno. 

Si chiama eramnsesia, la nostalgia di un tempo che non è quello presente. Eppure, se è vero che per me non riguarda neppure gli anni della giovinezza, sarei davvero curiosa di sapere, finalmente, quale sarebbe stato il tempo della mia perfetta aderenza tra quello che sono e quello in cui avrei potuto farlo sapere a tutti senza soffrirne


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