lunedì 28 ottobre 2024

Beata te!

 


 

“Beata te!”. Così mi disse, con una convinzione così categorica che ancora oggi riesco a sentire il peso specifico di quell’esclamazione. Era il 2002 e io alla mia prima esperienza lavorativa. All’epoca abitavo nelle marche, in un piccolo paese della provincia di Ascoli. La mia inesperienza del tempo mi portava a pensare che mi sarebbe piaciuto lavorare nella grande distribuzione e così mi feci assumere in coop adriatica grazie adun master con attività di stage dopo il quale mi avrebbero assunto. Sarei rimasta lì per poco più di due annicon la delusione di essermi molto sbagliata su quello che credevo di volere e che nella realtà era parecchio diverso, prima di realizzare che se non avessi trovato il coraggio di cambiare strada a 27 anni sarebbe stato sempre più complicato provare a farlo dopo. Su quello che stavo per fare invece non mi sbagliavo e ancora oggi penso a quella giovane temeraria che ero che, senza alcuna alternativa di futuro a disposizione, salì all’ufficio del personale e diede preavviso che se ne sarebbe andata, nonostante un contratto indeterminato, un luogo meraviglioso in cui vivere a pochi minuti dal mare, dalle colline e dalla natura più bella che potessi sperare, assieme a persone belle con cui lavorare e uscire…


Non ero a mio agio e molto semplicemente me ne andai. Eppure,quel “beata te” di una collega di quel tempo, come reazione al mioaverle detto di vivere da sola da anni, mi colpì molto. Lei, sposata con due figli, invidiava il mio stare lontana dalla mia casa d’origine e la mia solitaria gestione del quotidiano. Mi colpì perchè in quel preciso momento cominciai a capire che l’assenza di solitudine può essere una mancanza rilevante anche per chi ha apparentemente una vita risolta nel più classico dei modi, mentre io a quel tempo ero nell’attesa fiduciosa del grande amore che sarebbe arrivato al momento giusto. Oggi so che quella di allora era soltanto paura di ammettere che star sola mi piaceva già tantissimo e che non sarebbe stato improbabile desiderare di restarlo anche per il resto del mio futuro. Quel “beata te” ha ora per me una valenza profondamente assertiva, come a ricordarmi che da allora non è successo nulla di sbagliato, perché esistono anche le persone che restano sole, prima per necessità, poi per scelta sperabilmente temporanea e poi per compiaciuta decisione definitiva. E io faccio parte di queste. Dopo aver incontrato imbroglioni, bugiardi, manipolatori, ma anche brave persone con cui non avevo troppo da condividere, legami cominciati bene e poi sfumati senza un perché, miei errori di valutazione perché, dai, in fondo fa parte del gioco…ho tutto superato, tutto accettato e bene accolto con lo sguardo sereno di chi osserva il proprio karma senza fare troppi capricci. 


Da oggi sono in ferie e come sempre ho preparato una ambiziosa lista di tutte le cose che devo assolutamente fare tra sport, letture, film da recuperare, cose da scrivere, podcast da ascoltare, nuove ricette da sperimentare e tutta una serie di altre cose che dovrebbero essermi utili per le mie utopie a lungo termine. L’idea non scritta è quella di provare a realizzare almeno il 30% di tutto con la speranza che sia sufficiente perché parte di un progetto che ammette anche la gradualità, la lentezza, il fidarsi del processo.

Ma, di fatto, vorrei solo avere il coraggio dei miei 27 anni e andarmene via da tutto così, senza un vero perché. Giusto per il gusto di “ricominciarmi” daccapo mentre mi dico un enorme “beata te” urlato alla persona che davvero vorrei/dovrei/potrei essere

mercoledì 16 ottobre 2024

Alla (poca) luce degli anni passati. E a quella dei giorni a venire

  

Pioggia, poca luce, aria umida e appiccicosa, starnuti a caso, abbigliamento ineluttabilmente inadeguato, poco sonno, ansia mattutina che mi vede per almeno mezz’ora dal risveglio sempre nella stessa posizione: seduta su una specie di sgabello contenitore troppo basso per riuscire a rialzarmi comodamente, sguardo fisso verso la zona lavandino, l’attesa che il caffè raggiunga una temperatura “bevibile”, il pensiero di tutto quello che dovrò fare una volta uscita, il desiderio costante che faccia di nuovo sera, accarezzando una ad una tutte le magnifiche sensazioni da fine giornata, quando tutto quello che mi aspetta è il rituale di benessere doccia/cena/tv/letto. Non è sano. Me ne rendo conto da sola eppure i limiti di questo periodo dell’anno stanno tutti nel suo straniante corto circuito “tempo che manca per fare bene qualunque cosa vs tempo che non passa mai neppure in uno stato ipnotico perpetuo”. E così mi ritrovo a far tardi in ufficio pure se sono in piedi dalle 4:30, pure se nel frattempo ho cucinato, fatto pesi e poi yoga, pulito casa, rifatto il letto…tutto entro le 6. Ad un certo punto ho bisogno di stare seduta a guardare di fronte e sentirmi come bloccata in quella posizione fino a quando il richiamo della mia giungla metropolitana non ha la meglio sull’”ormai è troppo tardi”. Ho idea che si possa stare meglio, ma fino a quando non capisco in che modo, mi piace sapere che ogni giorno di resistenza in più è un tassello verso un pieno benessere futuro. 


Senza sapere come, mi sono ritrovata a seguire un programma che mai avrei pensato così divertente e interessante. Ho cominciato a vedere “Matrimonio a prima vista”tra lo stupore e l’incredulità, osservando delle coppie che si sposano senza essersi mai viste prima. L’idea di fondo, mi pare di capire, è che per innamorarsi e pensare di passare tutta una vita assieme, non occorre conoscersi da tempo ma solo rientrare in una sorta di algoritmo che tiene conto di parametri di compatibilità puntualmente rispettati. L’esperimento mi pare tanto più interessante in quanto tiene conto delle valutazioni di esperti come mental coach, antropologi, psicologi, sessuologi…che non si basano esclusivamente su dati quantitativi, ma che tengono conto di aspetti più articolati e sfumati necessari per comprendere davvero il grado di compatibilità reciproca. Se tutto fosse vero (esperti, “concorrenti”, conversazioni, esperienze condivise sul momento e senza preparazioni a monte) sarebbe un esperimento interessantissimo. Io parto dal presupposto che non ci siano inganni ed è appassionante osservare la curiosa parabola di queste coppie-cavia che si sposano, vanno in viaggio di nozze, poi a convivere, che si scontrano, si divertono, fanno succedere cose…il tutto sotto la supervisione dei vari “Cupido” esperti che li hanno uniti e mi convinco che forse è proprio così che funzionano le coppie riuscite: non c’è nulla di casuale, bisogna rientrare in certi quozienti ed è un vero e proprio lavoro trovare la combinazione esatta per determinarli. Non che la cosa mi riguardi: io ho già fallito l’algoritmo quando rientravo anagraficamente come fattore della sperimentazione, per fortuna. Non ho più bisogno di interrogarmi al riguardo. Però bello. Ora voglio solo sapere come si evolvono quelle tre storie così diverse, eppure così allineate a modelli predefiniti precisi.


Cosa potrei ancora aspettarmi da questo ultimo scampolo di anno? Qualcosa di sorprendente? Sinceramente spero di no. Esattamente 15 anni fa venivo ad abitare a Milano, presso un’anziana signora appena abbandonata dal marito dopo 40 anni di matrimonio. Di quel tempo lì ricordo la mia totale inconsapevolezza verso ogni cosa che stavo per affrontare mista alla curiosità di quello che avrei vissuto, ora che finalmente avevo un lavoro vero e la possibilità di fare tutto a modo mio. Oggi osservo quella tizia che fui con un misto di perplessità e indifferenza. Mi pare un progetto per lo più fallito e dimenticabile, ma non credo di dovermene fare una colpa. Ho fatto quello che ho potuto con gli strumenti che avevo. Va bene lo stesso ma mi piaccio di più oggi, meno affettuosa, meno socievole, più contenuta.


Mi pare ieri e invece mi porto addosso 15 anni di più. Si sta così tanto meglio adesso senza  più smanie e neppure novità da fronteggiarese riuscissi a fare pace pure col risveglio, le albe, lo sguardo fisso e il peso di uscire quando non vorrei, avrei risolto tutto

mercoledì 2 ottobre 2024

Non detto d’autunno

 Mi piace che Settembre sia volato. Mi piace che tutto quest’anno stia passando con la stessa fretta che gli ho messo da quando è cominciato. Non riesco a definire le ragioni esatte di questa mia gioiosa percezione: credo che sia per tutte le cose che mi è toccato fare in questi mesi e che non sono “concludenti” ma solo preparatorie, predisponenti verso cambiamenti più significativi ma in realtà ancora lontani da venire. E’ bello fare progetti con l’animo pacificato di chi ormai sa che piega ha preso la propria vita, assieme alla coscienza dei propri limiti, di quello che si cerca di limare senza necessariamente stravolgere del tutto. E’ bello fare pace con tutto quello che si immaginava di desiderare e invece non è successo e che ormai si mescola con ansie, lacerazioni, accanimenti finalmente silenziati dall’accettazione consapevole o dalla divertita rassegnazione. Anche soltanto per queste piccole tappe di evoluzione personale si dovrebbe essere felici di invecchiare: tutto quello che mi sembrava una sconfitta o un mancato traguardo assume le sembianze della necessità inevitabile. Tutto è esattamente come deve essere e non ha senso immaginarselo diverso.

L’autunno è finalmente arrivato anche climaticamente, dopo un’estate in cui fin troppe volte ho pensato che non avrei superato indenne tutte quelle nottate infuocate. In realtà non c’è nulla di romantico, ai miei occhi, nella diminuzione di luce e nelle temperature che si avviano a diventare sempre più rigide: l’inverno per me rimane comunque il periodo dell’anno peggiore di tutti, almeno fin quando non riuscirò a rendere le fluttuazioni di umore del tutto indipendenti dal disagio di una stagione ostile. E vabbè, mi attrezzerò anche in tal senso, ma a questa estate bisognava assolutamente porre rimedio in qualche modo e pare che l’unico sia ancora il cambio di stagione, qualsiasi cosa si ostini a voler rappresentare.


In questo mese mi è capitato spesso di fare una cosa a cui non sono troppo abituata come fare colazione/brunch in locali diversi di Milano e ho capito una cosa importante riguardo al mio modo di osservare gli altri. Mi piacciono le coppie che se ne stanno in silenzio a mangiare. Capita che non si dicano nulla per tutto il tempo in cui stanno al tavolo ma si capisce anche così che esistono anche i silenzi “di qualità”, quelli fatti di una comunicazione che ha raggiunto un altro livello, in cui ci si comprende senza la necessità di verbalizzare più nulla. Lo capisci dal modo disteso con cui quel silenzio viene vissuto, che non lascia spazio ad alcuna disattenzione reciproca ma ad un intendersi ormai naturale, consolidato, fatto di intima connessione. Ho passato la vita a notare con malinconia solo i silenzi “sbagliati”, quelli in cui davvero la comunicazione si era interrotta in modo irreversibile, che distraevo lo sguardo dall’immaginepotentissima di due persone che non fanno altro che dirsi ogni cosa attraverso la magia eloquente dei loro magnifici silenzi.


Di questo mio principio di autunno mi piace il cuore libero e i ricordi storti che mi ha lasciato quando immaginavo cose e persone che di fatto non c’erano state mai. Mi piace l’idea che tutto quello che credevo non passasse più invece è passato e mi ha cambiato per sempre (e per fortuna). Di questo mio piccolo autunno mi porto la soluzione dei brutti pensieri di certe mattine d’estate, quando camminavo per chilometri e chilometri per non lasciarmi aggredire dai dolori che non posso estirpare e che piano piano comincio a plasmare in forme che posso maneggiare un po’ meglio. Di questo autunno incipiente provo ad esercitare la semplice gratitudine di esserci ancora e senza troppe esitazioni, conservando lo stesso silenzio luminoso delle coppie che stanno assieme senza doverselo dire a parole, che quelle si sa, sono sempre troppo povere. 


È autunno. Manca poco per ricominciare, finalmente, tutto daccapo 

Ricomincio da più o meno chissà

  Primi tre mesi andati. Non che questo voglia dire chissà cosa, ma almeno l’inverno è superato, i prossimi obiettivi sembrano prendere form...