sabato 15 marzo 2025

Quanto sono dieci anni?

 E sono dieci. Me la ricordo quella sera. Abitavo già in questa casa da un sacco di tempo, avevo preso un micio, al tempo invitavo ancora persone a cena pensando che fosse un metodo infallibile per costruirsi una rete di relazioni e radicarsi in un luogo dove non avevo nessuno, mi allenavo tanto ma ero molto più fuori forma di oggi, viaggiavo da sola già da un po’ di anni ma avrei preferito farlo con persone simpatiche e gioiose con cui condividere esperienze. Ma più di tutto sapevo che c’era qualcosa che non andava e non sapevo come sbrogliare matasse di perplessità, ansia, rapporti umani non soddisfacenti, solitudini antiche. E così quella sera mi ricordai che nel 2008 avevo già dato vita ad un blog che mi aveva dischiuso mondi del tutto nuovi e del quale avevo capito subito lo spirito e il mood che avrei voluto raccontare. Poi, con l’avvento di fb tutti noi militanti della scrittura “fluviale” ci disperdemmo nei mille rivoli delle connessioni insignificanti, basate sulle micro battute e le riflessioni da mezzo minuto, sui filtri alle foto e i meme. Tutto bellissimo (mai pensato male di nessun social al mondo. Lo trovo stupido come pensar male dei coltelli perché possono anche uccidere), ma il blog mi faceva proprio bene. E ricominciare ad averne uno mi ha fatto ricordare cosa intendevo. Nel frattempo avevo cambiato ogni cosa della mia vita, eppure il bisogno di mettere dentro uno spazio come questo fatti, pensieri storti, sventure o percezioni del mondo era lo stesso. Ho scritto anche cose così volutamente cattive che quando mi sforzo di essere una persona migliore ritorno a episodi precisi per avere riferimenti sulla mia parte malefica che sento di dover preservare.

Per esempio proprio oggi mi sono stupita quando ho constatato che sono esattamente nove anni da quella volta che scrissi tutto il mio disprezzo per il viscido collega foggiano per quella volta che gli feci gli auguri per la primogenita e lui col piglio di chi la sapeva lunga sulla vita mi diceva cose tipo “tu non puoi capire” e simili squallide amenità. E io, sapendo che colleghi professionisti della maldicenza avrebbero letto questo blog, gli scrissi tutto il mio disprezzo. Il giorno dopo venne a sapere anche lui quello che avrei voluto dirgli senza abbassarmi a litigarci dal vivo e mi finsi stupitissima. Che goduria, pari solo al giorno in cui se ne è andato dall’ufficio. Che meraviglia scrivere quel che si pensa evitando il confronto diretto con chi si disprezza. Ho usato questo metodo anche altre volte per le problematiche d’ufficio e i risultati sono sempre stati quelli voluti. Non è vigliaccheria, è dignità, eleganza, presa d’atto che c’è una umanità a cui non ha senso prestare ascolto. È strategia di sopravvivenza.

Ma scrivere è soprattutto liberatorio. Ci sono giorni in cui penso di considerarlo alla stregua di una seduta di analisi, al punto che qualche volta l’equivalente in moneta di quello che avrei pagato per lo psicologo e mi ci compro una sorta di piccolo premio di “consolazione”, dagli amori tossici, da quelli solo immaginati, da un lavoro che forse non sarà mai giusto per me, da quelli che facevano rumore al piano di sopra e poi ad un certo punto sono andati via e a me non pareva vero, dai lavori per il bagno nuovo, da una città che mi affatica e che però non potrei mai lasciare, dalle “mancanze”, dai ricordi orrendi, dai problemi che non potrò mai risolvere, dalla me tutta sbagliata e che non ho amato e dalla quale vorrei fuggire o che vorrei ridisegnare senza quelle parti. Dai ricordi pesanti e dalle colpe di cui sono responsabile. Dalla fatica di accettare che buona parte di tutti gli sforzi compiuti erano inutili, evitabili, dai risultati irrisori. Come faccio a saperlo? Lo sento e questo mi basta.

Il blog ha dalla sua la magia di illudermi di essere sola e senza filtri e allo stesso tempo mi consente di tenere una porta socchiusa per chiunque abbia voglia di sbirciare. Non che questo cambi la vita di nessuno. Eppure, non so come e neppure perché, in qualche modo funziona



mercoledì 5 marzo 2025

Giù dalla torre

 Quanto tempo. Quando non metto insieme un po’ del mio tempo in parole ho sempre come l’impressione che la vita di cui vorrei tener conto mi scivoli via prima che possa accorgermi di lei. E invece credo che sia bastato anche semplicemente esserci, godermi (letteralmente) il viaggio assieme a tutti i timori da avventuriera maldestra eppure curiosa, che si prefigura gli scenari peggiori possibili per poi calmarsi quando scopre che è tutto meno complicato di quanto immaginasse. Ma pure più bello e sorprendente di come sperasse. Ma ormai sono qui, in una Milano più calda e luminosa di quando l’avevo lasciata, di nuovo al lavoro e alle prese con le serie che avevo lasciato incompiute, con i pranzi da preparare per la settimana e questa piccola casa che prova a contenermi come meglio può. Sono tornata alle mie cose forse rendendomi conto soltanto ora delle proporzioni e delle altezze con cui mi sono misurata in una città che pure è così semplice da percorrere ed esplorare. Ad un certo punto ero di fronte alla Trump Tower e ho pensato che è ovvio che uno che possiede questa specie di piramide stilizzata poi gli viene naturale pretendere qualunque cosa.

Non ero pronta alle temperature così miti che ho trovato qui a Milano. Ho ancora le coperte sul letto e vestiti troppo pesanti nell’armadio e sono tornata troppo in fretta ai miei focus soliti. Dovrei ritinteggiare casa ma la sola idea mi devasta. Eppure ci penso da mesi. È strano come basti allontanarsi un po’ dal proprio abituale perimetro per ristabilire priorità e aspettative che prima parevano irrinunciabili

L’azienda che produce gli integratori che consumo abitualmente ha annunciato di punto in bianco che chiuderà  a giugno e la cosa mi ha fatto un effetto stranissimo: ti abitui a qualcosa, fino al punto di dare per scontato che l’avrai per sempre a disposizione, e poi all’improvviso questa sparisce senza che tu abbia minimamente pensato a una simile eventualità. Chissà come troverò l’alternativa e quanto impiegherò per convincermi che mi faccia altrettanto bene.

Ho recuperato la serie degli 883 e mi è piaciuta moltissimo, trovando la conferma che siamo bravi solo quando raccontiamo la piccola provincia paranoica e un po’ sfigata. Ma è con “the withe lotus” che sento che a scrivere certe storie e a definire quei personaggi sono stati talenti che hanno fatto tutt’altre scuole.

Sono stata via due settimane e mi sono accorta solo di quanto siano cambiate certe cose. Per fortuna ho già sonno e sono soltanto le 9 e mezza. Almeno questa non mi è nuova. Menomale



“Pensavo peggio” non è niente male

  “Pensavo peggio”. Ricorderò questa estate per il numero insospettabile di volte in cui me lo sono ripetuto. A volte  mi  basta pescare dal...