E sono dieci. Me la ricordo quella sera. Abitavo già in questa casa da un sacco di tempo, avevo preso un micio, al tempo invitavo ancora persone a cena pensando che fosse un metodo infallibile per costruirsi una rete di relazioni e radicarsi in un luogo dove non avevo nessuno, mi allenavo tanto ma ero molto più fuori forma di oggi, viaggiavo da sola già da un po’ di anni ma avrei preferito farlo con persone simpatiche e gioiose con cui condividere esperienze. Ma più di tutto sapevo che c’era qualcosa che non andava e non sapevo come sbrogliare matasse di perplessità, ansia, rapporti umani non soddisfacenti, solitudini antiche. E così quella sera mi ricordai che nel 2008 avevo già dato vita ad un blog che mi aveva dischiuso mondi del tutto nuovi e del quale avevo capito subito lo spirito e il mood che avrei voluto raccontare. Poi, con l’avvento di fb tutti noi militanti della scrittura “fluviale” ci disperdemmo nei mille rivoli delle connessioni insignificanti, basate sulle micro battute e le riflessioni da mezzo minuto, sui filtri alle foto e i meme. Tutto bellissimo (mai pensato male di nessun social al mondo. Lo trovo stupido come pensar male dei coltelli perché possono anche uccidere), ma il blog mi faceva proprio bene. E ricominciare ad averne uno mi ha fatto ricordare cosa intendevo. Nel frattempo avevo cambiato ogni cosa della mia vita, eppure il bisogno di mettere dentro uno spazio come questo fatti, pensieri storti, sventure o percezioni del mondo era lo stesso. Ho scritto anche cose così volutamente cattive che quando mi sforzo di essere una persona migliore ritorno a episodi precisi per avere riferimenti sulla mia parte malefica che sento di dover preservare.
Per esempio proprio oggi mi sono stupita quando ho constatato che sono esattamente nove anni da quella volta che scrissi tutto il mio disprezzo per il viscido collega foggiano per quella volta che gli feci gli auguri per la primogenita e lui col piglio di chi la sapeva lunga sulla vita mi diceva cose tipo “tu non puoi capire” e simili squallide amenità. E io, sapendo che colleghi professionisti della maldicenza avrebbero letto questo blog, gli scrissi tutto il mio disprezzo. Il giorno dopo venne a sapere anche lui quello che avrei voluto dirgli senza abbassarmi a litigarci dal vivo e mi finsi stupitissima. Che goduria, pari solo al giorno in cui se ne è andato dall’ufficio. Che meraviglia scrivere quel che si pensa evitando il confronto diretto con chi si disprezza. Ho usato questo metodo anche altre volte per le problematiche d’ufficio e i risultati sono sempre stati quelli voluti. Non è vigliaccheria, è dignità, eleganza, presa d’atto che c’è una umanità a cui non ha senso prestare ascolto. È strategia di sopravvivenza.
Ma scrivere è soprattutto liberatorio. Ci sono giorni in cui penso di considerarlo alla stregua di una seduta di analisi, al punto che qualche volta l’equivalente in moneta di quello che avrei pagato per lo psicologo e mi ci compro una sorta di piccolo premio di “consolazione”, dagli amori tossici, da quelli solo immaginati, da un lavoro che forse non sarà mai giusto per me, da quelli che facevano rumore al piano di sopra e poi ad un certo punto sono andati via e a me non pareva vero, dai lavori per il bagno nuovo, da una città che mi affatica e che però non potrei mai lasciare, dalle “mancanze”, dai ricordi orrendi, dai problemi che non potrò mai risolvere, dalla me tutta sbagliata e che non ho amato e dalla quale vorrei fuggire o che vorrei ridisegnare senza quelle parti. Dai ricordi pesanti e dalle colpe di cui sono responsabile. Dalla fatica di accettare che buona parte di tutti gli sforzi compiuti erano inutili, evitabili, dai risultati irrisori. Come faccio a saperlo? Lo sento e questo mi basta.
Il blog ha dalla sua la magia di illudermi di essere sola e senza filtri e allo stesso tempo mi consente di tenere una porta socchiusa per chiunque abbia voglia di sbirciare. Non che questo cambi la vita di nessuno. Eppure, non so come e neppure perché, in qualche modo funziona
sì, liberatorio come una seduta d'analisi, senza dubbio, e poi c'è l'analista, no, scusa, c'è il lettore che, come l'analista, il più delle volte tace, annuisce silenziosamente, non visto da chi giace sul lettino, e solo raramente interviene, fa notare, sottolinea un passaggio, incanala il detto e il non detto.
RispondiEliminaPS una menzione d'onore per il titolo del blog: quel "passami il sale" è accattivante, fa pensare a una tavolata tra amici, con una richiesta semplice e schietta ad insaporare la pietanza.
massimolegnani
Grazie! Il detto e il non detto dei lettori sono la connessione, non tacita o meno, sempre preziosa e che si avverte in ogni caso quando si viaggia su frequenze comuni.
EliminaP.s. Il mio primo blog si chiamava Semi_Seri, con sottotitolo “alla ricerca di un terreno fertile su cui germogliare” ☺️🙏
preferisco il titolo di adesso :)
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