venerdì 25 luglio 2025

“Pensavo peggio” non è niente male

 “Pensavo peggio”. Ricorderò questa estate per il numero insospettabile di volte in cui me lo sono ripetuto. A volte mi basta pescare dalla voragine di aspettative negative per le quali mi ero predisposta per ritrovarmi a danzare dentro spazi di meraviglia fatti solo del peggio che non c’è stato. Mi ero preparata a rivivere nottate di liquefazione da clima torrido milanese tipico degli ultimi sette otto anni e invece fino ad ora soltanto temperature gioiosamente in linea con quelle da sopravvivenza umana. Ero rassegnata a farmi una ragione di un progetto andato a monte e sul quale fantasticavo da circa due anni, ho provato ad avere fiducia in questa città e lei mi ha risposto di nuovo e con più precisione a quello che cercavo. Prometto che questa poi la racconto con dovizia di dettagli ma non prima che tutto sia compiuto perché di scaramanzia nessuno è mai morto. Ho rinnovato il mio abbonamento ai musei della Lombardia e ho trascorso gli ultimi due mesi a sentirmi ogni volta più fortunata a vivere in una città vittima incolpevole della retorica facile e approssimativa sul suo essere diventata elitaria, senza pensare che la sua parte migliore è accessibile a tutti, assieme alle stesse case quando non le cerchi in pieno centro in mezzo a quartieri già saturi da almeno vent’anni. Ma questa è un’altra storia.

“Pensavo peggio” ha in sé il respiro di sollievo di quelli che non vorrebbero altro che evitare l’apocalisse augurandosi, nel caso, di soffrire il meno possibile. E’ la rassegnazione di quelli che non hanno mai avuto pretese ma poi si accorgono che ci hanno provato così tanto e con tale intensità che alla fine va bene, meglio di quanto potessi sperare. A volte addirittura benissimo. Fiduciosi che in fondo “aiutati che Dio ti aiuta vale pure se non sei credente.

“Pensavo peggio” quando faccio i conti con i miei anni che si sommano e mi chiedo per quanto ancora riuscirò a fare cardio e pesi senza, un bel mattino, ritrovarmi a terra con un corpo che ha deciso di smettere di assecondarmi. In realtà me lo dico pure quando mi riescono certe posizioni bizzarre dello yoga di cuiprima o poi riuscirò a capire e apprezzare l’essenza profondaperché i miei “pensavo peggio” hanno uno spettro amplissimo che spazia tra le alte prestazioni decrescenti alla tranquillità dell’anima forse mai nata.

 

Ho attraversato questo mese con una temperatura amica che mi ha consentito di muovermi tra una quantità di cose che non avevo neppure vagamente preventivato, traghettando tra eventi di pura fortuna e la riprogrammazione repentina di cose che (forse!)accadranno a breve. Se pure agosto diventasse un mese rovente potrei dirmi comunque contenta persino per tutto quello che non è stato.

“Pensavo peggio” è il gusto di non avere ragione mentre eravamo già pronti alla delusione. Se dovessi pensare alla felicità me la racconterei proprio così

lunedì 14 luglio 2025

Conservarsi. In luogo fresco

 Non mi riesce mai. Quando decido di sbrinare il frigo ogni voltadevo fare i conti con quelle due o tre cose che non posso tirare fuori altrimenti vanno a male. E allora mi tocca aspettare rimandare il mio progetto di vuoto incontaminato da riempire con cose diverse, nuove, fresche. Che pare niente e invece per me il frigo pulito è una specie di piccola epifania, una ripartenza sana, fatta di ingredienti nuovi con cui sperimentare ricette legate alla stagione e alla nuova filosofia alimentare che si accorda con la nuova te che hai deciso di diventare.

Mi capita tutte le volte che tento di azzerare uno spazio di transito in cui attingo alle mie possibilità domestiche, anche con la dispensa tutte le scatole a lunga conservazione con cui fisso i miei bisogni e le mie piccole voglie. Quello però lo considero un progetto di più lungo termine, proprio come le scadenze che portano sopra. Nella dispensa c’è quello che ho deciso di essere quando mi auguro di non cambiare idea, quando ho chiara la mia missione prima di abbracciare un progetto nuovo. Nel frigo invece ci sono le scelte veloci come lo yogurt, sempre rigorosamente bianco, le uova, i pomodorini pachino, l’insalata in busta. Una volta ci tenevo pure un sacco di piatti pronti, prima che sposassi la causa della lotta ai cibi processati: troppo buoni e troppo comodi per essere pure giusti e sani. Stavolta in frigo sono rimasti soltanto mezzo barattolo di conservalatte d’avena, una confezione di pesto fresco e una di formaggio fresco a fette. Mi basterebbero un paio di giorni per finire tutto.

Ma non avevo considerato il congelatore. Il vero vincolo è lui. Lì dentro ci metto cose che durano fin quando il freddo decide di volerle proteggere. Non le si può tirar fuori senza poi consumarle immediatamente. E liberarsi di quelle non è così automatico: ci sono le porzioni destinate ai pranzi in ufficio per l’intera settimana, le fette di cheese cake che vuoi portarti giù per farle assaggiare a quegli assopiti senza troppo spirito di iniziativa che ti hanno generato, ci sono le foglie di basilico mummificate frescheda mettere sulla pizza quando avrai un po’ di tempo per farne una come si deve, ci sono gli avanzi delle sere precedenti, quando ad un certo punto hai preferito virare per un frullato proteico relegando il rustico ripieno ai momenti più difficili. 

, il congelatore è una storia a parte e parecchio più complicata da gestire, ma tanto lo sapevo che alla fine mi tocca sempre aspettare, anche le piccole rivoluzioni dal basso, quelle svolte un po’ metaforiche che avrebbero un valore proprio nell’isteria del gesto che le innesca, io le devo attendere come la reunion degli Oasis. E in questo struggimento mi concedo il lusso di avere un pretesto valido per continuare ad attingere alle mie vecchie abitudini, ai miei schemi sempre uguali che, mi illudo, mi proteggano dagli imprevisti e, nei fatti, mi escludono soltanto dalle sorprese. In quel congelatore ci sta un tupperware gignateche trabocca di sensi di colpa mai risolti, di paura di intaccare le riserve di coraggio mai tolto dal suo sottovuoto, c’è l’istinto alla conservazione di merce già scaduta da tempo e che hai preferito non consumare. 

Tra qualche giorno dovrò tornare dai miei. Fino ad allora i pranzi per il lavoro saranno tutti consumati. Il resto diventerà bagaglio senza ritorno. Quel giorno il frigo sarà vuoto, sbrinato e pulito. Senza di me. Poi si vedrà

Nel frattempo

    E alla fine pure quest’estate ci saluta assieme al suo carico di retorica da nuovi inizi, di buoni propositi, di ripartenze, di rivoluzi...