Non mi riesce mai. Quando decido di sbrinare il frigo ogni voltadevo fare i conti con quelle due o tre cose che non posso tirare fuori altrimenti vanno a male. E allora mi tocca aspettare rimandare il mio progetto di vuoto incontaminato da riempire con cose diverse, nuove, fresche. Che pare niente e invece per me il frigo pulito è una specie di piccola epifania, una ripartenza sana, fatta di ingredienti nuovi con cui sperimentare ricette legate alla stagione e alla nuova filosofia alimentare che si accorda con la nuova te che hai deciso di diventare.
Mi capita tutte le volte che tento di azzerare uno spazio di transito in cui attingo alle mie possibilità domestiche, anche con la dispensa e tutte le scatole a lunga conservazione con cui fisso i miei bisogni e le mie piccole voglie. Quello però lo considero un progetto di più lungo termine, proprio come le scadenze che portano sopra. Nella dispensa c’è quello che ho deciso di essere quando mi auguro di non cambiare idea, quando ho chiara la mia missione prima di abbracciare un progetto nuovo. Nel frigo invece ci sono le scelte veloci come lo yogurt, sempre rigorosamente bianco, le uova, i pomodorini pachino, l’insalata in busta. Una volta ci tenevo pure un sacco di piatti pronti, prima che sposassi la causa della lotta ai cibi processati: troppo buoni e troppo comodi per essere pure giusti e sani. Stavolta in frigo sono rimasti soltanto mezzo barattolo di conserva, latte d’avena, una confezione di pesto fresco e una di formaggio fresco a fette. Mi basterebbero un paio di giorni per finire tutto.
Ma non avevo considerato il congelatore. Il vero vincolo è lui. Lì dentro ci metto cose che durano fin quando il freddo decide di volerle proteggere. Non le si può tirar fuori senza poi consumarle immediatamente. E liberarsi di quelle non è così automatico: ci sono le porzioni destinate ai pranzi in ufficio per l’intera settimana, le fette di cheese cake che vuoi portarti giù per farle assaggiare a quegli assopiti senza troppo spirito di iniziativa che ti hanno generato, ci sono le foglie di basilico mummificate frescheda mettere sulla pizza quando avrai un po’ di tempo per farne una come si deve, ci sono gli avanzi delle sere precedenti, quando ad un certo punto hai preferito virare per un frullato proteico relegando il rustico ripieno ai momenti più difficili.
Sì, il congelatore è una storia a parte e parecchio più complicata da gestire, ma tanto lo sapevo che alla fine mi tocca sempre aspettare, anche le piccole rivoluzioni dal basso, quelle svolte un po’ metaforiche che avrebbero un valore proprio nell’isteria del gesto che le innesca, io le devo attendere come la reunion degli Oasis. E in questo struggimento mi concedo il lusso di avere un pretesto valido per continuare ad attingere alle mie vecchie abitudini, ai miei schemi sempre uguali che, mi illudo, mi proteggano dagli imprevisti e, nei fatti, mi escludono soltanto dalle sorprese. In quel congelatore ci sta un tupperware gignateche trabocca di sensi di colpa mai risolti, di paura di intaccare le riserve di coraggio mai tolto dal suo sottovuoto, c’è l’istinto alla conservazione di merce già scaduta da tempo e che hai preferito non consumare.
Tra qualche giorno dovrò tornare dai miei. Fino ad allora i pranzi per il lavoro saranno tutti consumati. Il resto diventerà bagaglio senza ritorno. Quel giorno il frigo sarà vuoto, sbrinato e pulito. Senza di me. Poi si vedrà
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