Sola andata

Sola andata

giovedì 22 agosto 2024

“Se ne parla a Settembre”. Sicuro?

 Ho bisogno di sdrammatizzare. Ho avuto troppo caldo per riuscire ad inventarmi che restare a Milano per quasi un’intera estate sia stata un’idea felice. E non mi basta neppure sapere che nel mio condominio c’ero soltanto io, i latinos e pochi altri silenziosi umani troppo indeboliti dalle temperature per riuscire pure ad infastidire il prossimo. La quiete di una città che concentra tutto il proprio caos nel suo centro può non bastare quando non hai l’aria condizionata e non ti pare opportuno passare tutti i pomeriggi al reparto surgelati di un supermercato.

Negli anni precedenti avevo distribuito le mie ferie in modo che almeno un po’ di giorni tra luglio e agosto fossero destinati al mare a venti minuti da casa: una spiaggia dimenticata da Dio e dalla civiltà, col parcheggiatore abusivo che ti fa trovare pure la tanica di acqua per sciacquarti i piedi quando te ne vai. Quest’anno ho deciso che le ferie residue saranno un po’ a Settembre, un po’ ad Ottobre e un po’ a Novembre. A Dicembre starò di nuovo buona e ferma, stavolta al freddo presumo, conservando la coerenza da sfasamento temporale rispetto all’ortodossia delle feste comandate o delle vacanze di massa. Non lo faccio per fare la snob o l’eccentrica. Credo che sia una specie di inconsapevole comportamento strategico: mi insinuo nei vuoti cercando di accaparrarmi i benefici dell’essere controtendenza: la città desertica e silenziosa, i mezzi pubblici con i posti a sedere, i treni più affidabili e puntuali quando sono in pochi a partire, l’ufficio tranquillo e meno carico di lavoro, i prezzi calmierati degli alberghi quando nessuno prenota, nessun pericolo di overtourism…mi piace, mi aiuta a sopportare le lunghe parentesi in cui non mi è possibile scappare dalla routine collettiva neppure con gli incastri più acrobatici per smarcarmi. Quest’anno è così, gli metto fretta più degli altri perché nel prossimo ci sono delle cose che devo fare e che mi auguro mi facciano sentire, finalmente, nel cerchio giusto da chiudere. 


In queste ultime mattine di agosto sono uscita per andare a correre immediatamente prima che l’aria diventasse troppo calda. Esco sempre senza le cuffie: ho imparato ad apprezzare le sensazioni che mi restituisce la falcata quando è ben sincronizzata con il respiro. Di solito impiego un po’ di tempo e solo quando ci riesco mi sento autorizzata a pensare ad altro, che è poi sempre la stessa cosa, una cosa che penso soltanto al mattino, tutte le mattine da almeno un anno e poi non più per il resto della giornata. E’ una cosa brutta, che riguarda il mio essere stata bambina poco compresa (forse anche poco amata, ma vabbe’) e che avrei voluto capire prima, arrabbiarmi prima, almeno per difendermi e ribellarmi prima. E’ incredibile come certi piccoli o grandi traumi irrisolti non trovino mai una quadra se non ci fai davvero pace o non li si lascia andare perché distratti da impegni più urgenti. Il primo mattino per me è un grosso guaio anche per questo: è il mio momento migliore e più promettente, ma pure quello più vuoto in cui di prepotenza emergono dolori atavici che poi accartoccio per il resto del giorno ma che non riesco mai a strappare definitivamente. E così mi capita di correre con questo pesofaccio i conti con la fatica e combatto con entrambi lungo l’intero anello di Linate. A modo suo un cerchio (vero e proprio) che provo a chiudere e invece…


Ma più di tutto di questa estate ricorderò l’affondamento di una nave di lusso nel mediterraneo, dove – per una volta – a morire sono stati dei miliardari. Perché si può morire in mare anche senza essere dei disperati che fuggono dalla guerra e dalla fame, ma esattamente per il motivo opposto. E io non capisco se in questo macabro gioco delle compensazioni ci sia qualche lezione di giustizia cosmica da apprendere o semplicemente uno spietato livellamento dell’epica individuale nel gioco tutto casuale del destino.


Saluto agosto con la placida consapevolezza di non aver fatto troppo, ma quasi il giusto, che finalmente sta rinfrescando e si tornerà a respirare e soprattutto che ho ancora un sacco di ferie su cui contare. E così chi a giugno aveva sentenziato un “se ne parla a settembre” potrà, con calma, cominciare a sentirsi autorizzato a dire “ormai se ne parla l’anno prossimo” senza sentirsi troppo in colpa. Perché rimandare non è sempre pigrizia o scarso senso di responsabilità. A volte è solo la percezione che il futuro abbia sempre la meglio su tutto. Su un presente scadente e a maggior ragione su un passato immutabile e qualche volta fin troppo doloroso

 

2 commenti:

  1. "A volte è solo la percezione che il futuro abbia sempre la meglio su tutto. Su un presente scadente e a maggior ragione su un passato immutabile e qualche volta fin troppo doloroso." Te lo sottoscrivo con decisa consapevolezza.

    RispondiElimina