giovedì 25 settembre 2025

Un anno (a) folle

 La cosa bella degli anni che ho deciso di battezzare come “di passaggio” da una fase che - sempre io - ho deciso che si è conclusa e un’altra che - ancora io - ho deciso che sta per iniziare, hanno il vantaggio di non dover dimostrare nulla. Non includono obiettivi o traguardi definitivi, non determinano nuove traiettorie esistenziali o progetti da implementare, non pretendono di determinare delle svolte deflagranti. Se ne stanno lì come la nottata che deve passare, come un allenamento per la definizione e non per la massa, come quegli orrori non meglio definiti come le diete di mantenimento o l’antipasto a base di cetriolini. Ci sono fasi neutre che procedono senza picchi di entusiasmo e per fortuna pure senza abissi di disagio estremo. Sono gli anni che mi scelgo per dare alla tregua diritto di asilo in un tempo di cui non riesco a cogliere le logiche. I primi nove mesi di quest’anno li ho voluti proprio cosi come ho deciso che andassero. Il programma è  semplice, da applicarsi ogni volta che se ne sente la necessità: parto dall’assunto che senza una routine quotidiana molto rigida io non posso sopravvivere a lungo. Poi mi dico che ad un certo punto è assolutamente necessario che me ne allontani per concedere all’imprevisto e al nuovo di dischiudermi spazi inesplorati di meraviglia. E così parto per un viaggio che mi consenta di rompere ogni mio schema. Il viaggio fa il suo dovere e io posso tornare alle mie rigidità fatte di cose ripetute identiche ogni giorno e con la disciplina di sempre. Durante questo tempo io sostanzialmente sono in una condizione di attesa e pianificazione. Che pare niente e invece è un’attività piuttosto energivora perché mi obbliga a prefigurare scenari che sono ancora del tutto fuori dal mio controllo e dalle mie azioni. Ma tant’è: sempre meglio pensare che certi periodi siano inutili piuttosto che brutti e cattivi. O forse è il contrario, non saprei.



Da gennaio ad oggi il mio tempo pare pieno soltanto di cose “da riempire”. Mai per esempio avrei immaginato di andare per due volte in America e sperimentare una stessa città in modi completamente differenti e neppure che un progetto a cui tenevo si sgretolasse all’improvviso per poi essere rimpiazzato da qualcosa di molto meglio quasi immediatamente.

Da gennaio ad oggi non faccio che buttar via cose e cercare di fare spazio, come se tutto quello che davvero conta fosse soltanto ciò che ancora non c’è ma avesse già il suo posto pronto ad accoglierlo.

Da gennaio ad oggi mi esercito a dimenticare, che pare una cosa impossibile perché come fai a decidere di scordare proprio mentre stai ricordando? E poi ho capito che il dimenticare presuppone l’accogliere e l’accettare. Con queste premesse depotenzi il dolore fino a renderlo così insignificante da dimenticarlo. E a quel punto lo spazio per nuovi “da ricordare” lo hai creato.

Sono già passati nove mesi. In che modo potrei ancora giocare con questa specie di anno jolly in cui posso rimescolare le carte? Tra le mani ho un po’ di giorni di ferie residui, degli ingressi al museo, qualche ottimo film da vedere, ancora un po’ di cose da buttar via, qualche allenamento cardio che tra poco mi manderà al creatore…penso di potermi divertire ancora un po’ girando a vuoto. Se la fortuna mi assiste.

Quando sono tornata a New York per la seconda volta sapevo già cosa avrei fatto e visto. Ho rispettato il calendario in ogni minimo dettaglio, rispettando una scaletta che partiva dalle 6 del mattino fino alle 10 di sera per una settimana. Sono partita senza aver fatto l’assicurazione sanitaria. Un po’ per dispetto e senso di ingiustizia,  un po’ per fatalismo, sapendo che se mi fossi fatta male anche poco l’avrei pagata carissima. E mi ricordo che quando ho affittato la bicicletta per andare a central park non ho messo neppure il caschetto che avevo in dotazione, sempre in ottemperanza al principio che avrei adottato tutta la mia attenzione e cautela. Il resto lo pretendo dalla buona sorte. Mi è andata bene e prometto di non ripetere l’esperienza in questi termini. Però il concetto era questo: permettere al mio anno di transizione di accompagnarmi verso tutto quello che mi sto preparando ad affrontare, che non sarà solo passiva sottomissione agli eventi, ma una gestione attiva, con i muscoli tonici e un atteggiamento lucido verso quello che vorrei attrarre. Per questo bisogna ricaricare le batterie, farsi trovare pronti. E “pretendere” che la fortuna faccia poi tutto il resto.


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