mercoledì 19 novembre 2025

Un poco di quasi nulla mi pare già abbastanza

 Ieri pomeriggio percorrevo una via Torino a tal punto inondata dal sole che trovavo complicato persino mettere a fuoco la gente e fissare le distanze. Stavo andando a vedere il film di Panahi (bellissimo) e ripensavo alle prime volte che mi era capitato di passare per questa strada sempre troppo affollata, costantemente in manutenzione, con negozi che aprono e chiudono con una frequenza che non so mai se valutare come dinamismo e vivacità imprenditoriale o una somma in negativo di progetti improvvisati e dal fiato troppo corto. Via Torino sarebbe in realtà una strada in sè bruttina, storta, in cui è scomodo transitare, troppo affollata, senza punti verdi, con le palazzine storiche occupate solo da super ricchi o uffici notarili. Eppure se dovessi stabilire delle connessioni tra i miei primi ricordi significativi in questa città e i luoghi percorsi è quasi automatico cominciare da quella bizzarra diramazione con vista sul Duomo che battezzai tra le prime mete delle mie esplorazioni cittadine. Forse il ricordo non sempre si compone di valide ragioni o esperienze concrete. Spesso è il risultato di suggestioni impalpabili, di bagliori inattesi, di un ritmo che ha sottolineato un pensiero preciso o un’intenzione testarda. Il carisma di certi luoghi qualche volta prescinde da loro stessi. 

Ho appena abbandonato un gruppo su wa che si proponeva di convogliare tutti noi ex studenti di liceo e reincrociare i nostri destini dopo anni di percorsi intermedi fatti di totale silenzio e dimenticanza. Non mi piaceva la loro prossimità all’epoca e non comprendo le ragioni per cui le cose dovrebbero essere cambiate adesso. Non ne faccio una questione di colpe. Credo che il problema sia soprattutto mio: ho una percezione sempre distorta del mio passato e delle dinamiche relazionali con le persone che hanno affollato il mio tempo “migliore” (mai capito perché la giovinezza sia il meglio che ci possa capitare. Io ero così incompleta e irrisolta che avrei preferito gli acciacchi della sciatica  a quel mood di irrequietezza e impotenza). Oggi mi piacciono cose diverse, tipo incrociare la collega brutta e cattiva e non salutarla, perché se c’è qualcosa di veramente bello del crescere è comprendere che se ci sono persone che non ti piacciono non fai più lo sforzo titanico e inutile di compiacerle perché altrimenti quella cattiva sei. No. Lo sono loro e basta tenerle lontane.

E’ inverno e quando è inverno io non ho voglia di fare altro che vedere film dal mio letto con la copertina elettrica già calda sotto la schiena. Ogni sera porto la TV in camera, appoggio la testolina sul cuscino del mio letto preriscaldato e penso che cosa troppo bella sia alzarsi presto, aprire le finestre per rinfrescare subito l’aria, rifare per bene il letto per trovarlo bello per la sera, cominciare così la giornata e le mie meschine battaglie quotidiane solo per tornare di nuovo lì dove tutto ricomincia ogni mattina. Solo questo l’inverno ha di bello. Il tepore ritrovato in mezzo a giorni che non ispirano, non accompagnano, non facilitano l’iniziativa e il coraggio intraprendente. Me lo faccio bastare perché il tepore è una bella ricompensa proprio come una certa sonnolenza simile al rincoglionimento dentro giornate che sono corte solo in apparenza. 

La verità è che vorrei essere di nuovo a New York e gironzolare ancora per la città che ora si predispone all’opulenza pacchiana e luminosa del Natale. Mi farei andar bene pure il freddo e il cappuccino a 12 euro pur di sentirmi come una specie di esserino sottodimensionato che si sente sballottato in un gigantesco flipper in funzione. E poi in fondo è quasi fatta. Anche quest’anno è quasi portato a casa e non ci sono bilanci o risultati da rendicontare: i progetti non dovrebbero mai dirsi davvero conclusi e bisognerebbe farsi bastare il fatto che, fino ad ora, anche stavolta le cose in fondo non siano andate troppo storte. Almeno non per tutti.

Sono pronta. Sono quasi pronta. A tutto il poco ma buono che già vorrei per l’anno che verrà

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