martedì 19 agosto 2025

E tu cosa usi per le superfici?

 


Con lui non ti puoi distrarre. E’ subdolo perché lavora in silenzio, fa ostruzionismo anche quando non ti ricordi che  ci condividi elementi delicati di spazio comune. Eppure poche cose restituiscono il conto della noncuranza distratta come quella specie di fantasma immateriale che vince proprio nell’istante in cui si manifesta. Il calcare fa così, ti illude di non essere un problema fino a quando non lo vedi e farai più fatica a liberartene, ammesso di riuscirci.
Tantissimi anni fa, durante una trasmissione radiofonica che trattava temi di cuore (uh, quanto ero giovane per dedicarmi ancora a certe cose) il conduttore ad un certo punto paragonava la qualità dei rapporti al tipo di cura che si riserva al calcare: puoi impedire che ostruisca il libero flusso dell’acqua di cui esso stesso è composto solo quando ancora non ci sono insidie, quando pulisci le impurità giorno dopo giorno con la stessa ossessione di chi adotta precauzioni contro pericoli che preferisce scongiurare piuttosto che affrontare. Per me la doccia con i buchini ostruiti è un grande classico a cui non sono mai sfuggita, così come il lavabo pulito ma opaco, le goccioline random sul vetro della doccia. Tutte le volte lo stesso senso di sconfitta per una battaglia che dimentico ogni volta di combattere.
E’ così che pare funzionino pure i rapporti: ad un certo punto perdono luce e quel piano inizialmente scintillante e levigato su cui scivolava un quotidiano che si confrontava soltanto con superfici lisce e intonse ad un tratto mostra il suo lato opaco, degli attriti prima inesistenti, aloni di incomprensione (solo apparentemente) provenienti dal nulla e del tutto inattesi. È così che pare prendano il sopravvento il soave esercizio di volontaria incoscienza degli abissi oscuri dell’incomprensione reciproca, il lavoro subdolo, tacito e apparentemente invisibile di una disattenzione, di un vivere di rendita con la luce abbagliante di legami che implorano una cura speciale proprio quando funzionano meglio.
Non l’ho mai scordato quel bel paragone in frequenze medie di un sacco di anni fa, quando ancora non vivevo per conto mio e manco mi ero mai posta il problema, poi diventato mia principale ossessione domestica, di combattere il calcare con ogni arma chimica o naturale possibile. Confesso che a volte l’ho lasciato fare, ormai forte dei miei strumenti potenti per combatterlo, per poi poter vivere la gloria del rinnovato splendore proprio quando tutto sembrava perduto: si diventa meno intransigenti quando si è sicuri dei propri metodi di soluzione. Chissà se nel frattempo hanno inventato prodotti altrettanto portentosi e dai rapidi risultati pure per far brillare le relazioni opache o almeno preservarle dall’appannamento futuro. E se sì, quanto costano? E chi le compra? E quanto durano?

lunedì 11 agosto 2025

Cose che avrei voluto sapere di sapere

 




Ci sono cose che avrei voluto sapere molto prima. Ma proprio prima prima. Tipo dopo il diploma, prima dei vent’anni, prima degli occhioni lucidi e quell’espressione da Labrador lasciato ad ad aspettare fuori dal supermercato, quando le aspettative e la fiducia negli altri avevano trovato parcheggio in zona vietata. Per chi come me si ritrova spesso a ripensare ai propri traumi giovanili e ancora prova ad elaborarli è veramente consolatorio darsi dei consigli postumi per demolire almeno un poco la portata di quell’inutile fardello che ancora ci si porta dentro come una scatola degli orrori che batte ancora colpi dall’interno. Che poi non che mi sia mai successo chissà che eppure a volte lo sento prepotente il senso frustrante di una consapevolezza troppo tardiva.

Ripenso alla paura che avevo di certi prof di liceo che rivisti dopo il diploma mi hanno restituito il senso della loro piccolezza e dell’infimo cinismo di un ruolo non ben gestito. Avrei voluto sapere per tempo che la scelta del proprio futuro non va assolutamente delegata a nessuno e se al momento non si sa cosa fare va bene anche darsi un tempo di riflessione di cui non dover rendere conto a nessuno. Avrei voluto sapere per tempo che essere innamorati è bello ma che sarebbe stato infinitamente meglio non esserlo mai e che troppo tempo, pensieri e concentrazione ho riservato a cose che sono passate senza lasciare alcuna traccia. È brutto dirlo ma io lo volevo sapere prima che per l’amore non ho mai avuto alcuna attitudine e ostinarmi a pensarla diversamente credo mi abbia fatto fare tali e tante sciocchezze che mi chiedo cosa mi sia davvero persa di bello e di buono se avessi pensato ad altro. 

Che poi in realtà le cose che avrei voluto sapere prima sono che:

Il salmone, se non è quello selvaggio, non fa bene manco per idea

Che anche dopo due anni di yoga la sola posizione che mi piace è lo savasana. E basta

Sorridere e cercare di compiacere continuamente gli altri si rivelerà essere una fatica titanica, dissociante, frustrante e alla fine completamente inutile. Chi ti vuole bene lo fa a prescindere da quanto ti spertichi oppure no

Viaggiare da sola non ha paragoni con niente al mondo. Tutte le volte che avrai provato in altri modi a volte è andata benino, altre meno, altre ma proprio no. Il viaggio vero è da sola, con tutti gli imprevisti e l’assoluta libertà di un’esperienza folle e unica

Lynch un giorno mi avrebbe completamente cambiato la percezione delle cose. Si trattava solo di farmelo spiegare come si deve. Perché se non te lo spiegano ti illudi soltanto di averlo capito

Avrei venduto tutto l’oro dalla prima comunione ad oggi. Che bello non avere roba che hai sempre paura che ti venga derubata e che ad un certo punto ha raggiunto quotazioni altissime

Avrei pianto per tre giorni di seguito per qualcuno e poi mai più per nessuno. Mai più 

Non mi sarei mai pentita di non aver mai voluto dei figli, pure se mi hanno sempre detto che prima o poi sarebbe successo. Non è successo. Perché se davvero i figli non li vuoi, allora non li vorrai mai. Mai

Un buon cappuccino e un’ora di cammino risolvono. Non so come. Ma ci riescono 


In fondo non sono tante le cose che avrei voluto sapere prima. Eppure ho come l’impressione che una diversa tempistica nella consapevolezza avrebbe fatto tutta la differenza nella mia vita. E adesso?

lunedì 4 agosto 2025

Perché guardarmi se non ti sento?

 


 Quando decido di fare stories su fb o su wa c’è solo un motivo: sapere chi e perché si prende la briga di andare a vedere i fatti miei. Perché pure quando succede di capitarci giusto per caso magari mentre stava sbirciando altro, di fatto, se mi ritrovo sempre le stesse persone a passare da me alla fine sono interessate a sapere proprio i fatti miei. Non lo dico io, lo dice la statistica, le visualizzazioni, la pervicacia delle solite presenze sul mio profilo. E non temo di essere smentita. Lo considero in verità pure un fatto bello perché quando le persone che passano mi vogliono bene mi ricordano che le connessioni sono fatte di materiale variabile, sono frammentarie,  discontinue e che pure pensarsi per pochi secondi è un modo per tenersi assieme e vicini, sapere che condividiamo lo stesso cielo e che possiamo persino dircelo guardandoci per un attimo durante le 24 ore senza “sfruculiarci” a parole in ogni momento.

Quello che invece mi pare meno ovvio è il perché mi tengano d’occhio pure le persone (di solito colleghə) con cui manco mi saluto quando ci incrociamo dal vivo. Mi chiedo perché decidano di dover sapere quando e quanto mi sono allenata, quanto faccio la cianciosa con un vestitino nuovo, come mi piace far vedere angoli belli della mia mansarda…cioè tutte cose che non dovrebbero riguardare proprio mai chi non mi considera. Di loro io so giusto il fatto che non mi amano, che non hanno mai avuto parole buone per me, che alcune leggono pure il mio blog e lo portano in giro per diffondere odio per dire quanto sono meritevole dell’inferno…

Mi stimola questa curiosità morbosa, il pedinamento capriccioso giusto per sapere per tempo se e quando fallirò , o quando finalmente sarò meno in forma (almeno di loro), quando mi capiterà una disgrazia su cui fregarsi le mani e dire “finalmente ha avuto quel che merita”. A me certe forme gratuite di cattiveria dietro le quinte divertono sempre parecchio perché mi raccontano molto della vigliaccheria che spesso si nasconde dietro certe forme meschine di odio e di mancanza di pace interiore. Ha a che fare con il livore immotivato verso chi non corrisponde alla nostra personalissima visione del mondo e non avendo alcun diritto di farcelo sapere ci augura il male per vie traverse, aspettando, rimanendo ad osservare. È così che io percepisco gli “spioni” delle mie storie su wa, sperando ogni volta di sbagliarmi e che in realtà ci sia dell’amore non dichiarato nei miei confronti, condito da una curiosità costante e certosina verso le fonti di ispirazione che ritrovano nei miei scatti gioiosi. Sì, sì…certamente…

È da quando non ho più bisogno di conferme che piacere agli altri ha smesso di essere una mia priorità, eppure tenere conto della misura della forbice tra quello che ho deciso di essere o diventare e gli standard ritenuti normali da una società  mi aiuta a stabilire l’entità di tutta la fatica necessaria ad ammettere che tutto quello che ci allontana da noi stessi non può essere definito normale, desiderabile, obbligatorio per tutti. E così tanto meglio sentirsi quella “strana” piuttosto che far pace col disagio perenne di chi si adegua per non essere additata. Meglio confessare allegramente di non avere mai sognato marito e figli piuttosto che averne avuti e sentire il peso di una condivisione mai davvero ricercata, degli affetti forzati, delle delusioni non calcolate. Eh, dice che non lo si può davvero sapere come sarebbe andata se avessi abbracciato il sacro mondo di una vita dove la norma contiene la verità del trend tradizionale. Sarebbe andata che mi sarei pentita, perché ognuno di noi sa nel profondo del proprio cuore a che patti è intenzionato scendere e a quali giammai.

È agosto, non fa troppo caldo, non è ancora il mio compleanno, colleghə maldicenti si mettono a guardare le mie stories invece di pensare soltanto alla loro di estate. Io un po’ ci godo. E un po’ penso alla statistica, alla media, alla varianza. E a tutti quelli che fanno del loro meglio. Sotto gli occhi di tutti

venerdì 25 luglio 2025

“Pensavo peggio” non è niente male

 “Pensavo peggio”. Ricorderò questa estate per il numero insospettabile di volte in cui me lo sono ripetuto. A volte mi basta pescare dalla voragine di aspettative negative per le quali mi ero predisposta per ritrovarmi a danzare dentro spazi di meraviglia fatti solo del peggio che non c’è stato. Mi ero preparata a rivivere nottate di liquefazione da clima torrido milanese tipico degli ultimi sette otto anni e invece fino ad ora soltanto temperature gioiosamente in linea con quelle da sopravvivenza umana. Ero rassegnata a farmi una ragione di un progetto andato a monte e sul quale fantasticavo da circa due anni, ho provato ad avere fiducia in questa città e lei mi ha risposto di nuovo e con più precisione a quello che cercavo. Prometto che questa poi la racconto con dovizia di dettagli ma non prima che tutto sia compiuto perché di scaramanzia nessuno è mai morto. Ho rinnovato il mio abbonamento ai musei della Lombardia e ho trascorso gli ultimi due mesi a sentirmi ogni volta più fortunata a vivere in una città vittima incolpevole della retorica facile e approssimativa sul suo essere diventata elitaria, senza pensare che la sua parte migliore è accessibile a tutti, assieme alle stesse case quando non le cerchi in pieno centro in mezzo a quartieri già saturi da almeno vent’anni. Ma questa è un’altra storia.

“Pensavo peggio” ha in sé il respiro di sollievo di quelli che non vorrebbero altro che evitare l’apocalisse augurandosi, nel caso, di soffrire il meno possibile. E’ la rassegnazione di quelli che non hanno mai avuto pretese ma poi si accorgono che ci hanno provato così tanto e con tale intensità che alla fine va bene, meglio di quanto potessi sperare. A volte addirittura benissimo. Fiduciosi che in fondo “aiutati che Dio ti aiuta vale pure se non sei credente.

“Pensavo peggio” quando faccio i conti con i miei anni che si sommano e mi chiedo per quanto ancora riuscirò a fare cardio e pesi senza, un bel mattino, ritrovarmi a terra con un corpo che ha deciso di smettere di assecondarmi. In realtà me lo dico pure quando mi riescono certe posizioni bizzarre dello yoga di cuiprima o poi riuscirò a capire e apprezzare l’essenza profondaperché i miei “pensavo peggio” hanno uno spettro amplissimo che spazia tra le alte prestazioni decrescenti alla tranquillità dell’anima forse mai nata.

 

Ho attraversato questo mese con una temperatura amica che mi ha consentito di muovermi tra una quantità di cose che non avevo neppure vagamente preventivato, traghettando tra eventi di pura fortuna e la riprogrammazione repentina di cose che (forse!)accadranno a breve. Se pure agosto diventasse un mese rovente potrei dirmi comunque contenta persino per tutto quello che non è stato.

“Pensavo peggio” è il gusto di non avere ragione mentre eravamo già pronti alla delusione. Se dovessi pensare alla felicità me la racconterei proprio così

lunedì 14 luglio 2025

Conservarsi. In luogo fresco

 Non mi riesce mai. Quando decido di sbrinare il frigo ogni voltadevo fare i conti con quelle due o tre cose che non posso tirare fuori altrimenti vanno a male. E allora mi tocca aspettare rimandare il mio progetto di vuoto incontaminato da riempire con cose diverse, nuove, fresche. Che pare niente e invece per me il frigo pulito è una specie di piccola epifania, una ripartenza sana, fatta di ingredienti nuovi con cui sperimentare ricette legate alla stagione e alla nuova filosofia alimentare che si accorda con la nuova te che hai deciso di diventare.

Mi capita tutte le volte che tento di azzerare uno spazio di transito in cui attingo alle mie possibilità domestiche, anche con la dispensa tutte le scatole a lunga conservazione con cui fisso i miei bisogni e le mie piccole voglie. Quello però lo considero un progetto di più lungo termine, proprio come le scadenze che portano sopra. Nella dispensa c’è quello che ho deciso di essere quando mi auguro di non cambiare idea, quando ho chiara la mia missione prima di abbracciare un progetto nuovo. Nel frigo invece ci sono le scelte veloci come lo yogurt, sempre rigorosamente bianco, le uova, i pomodorini pachino, l’insalata in busta. Una volta ci tenevo pure un sacco di piatti pronti, prima che sposassi la causa della lotta ai cibi processati: troppo buoni e troppo comodi per essere pure giusti e sani. Stavolta in frigo sono rimasti soltanto mezzo barattolo di conservalatte d’avena, una confezione di pesto fresco e una di formaggio fresco a fette. Mi basterebbero un paio di giorni per finire tutto.

Ma non avevo considerato il congelatore. Il vero vincolo è lui. Lì dentro ci metto cose che durano fin quando il freddo decide di volerle proteggere. Non le si può tirar fuori senza poi consumarle immediatamente. E liberarsi di quelle non è così automatico: ci sono le porzioni destinate ai pranzi in ufficio per l’intera settimana, le fette di cheese cake che vuoi portarti giù per farle assaggiare a quegli assopiti senza troppo spirito di iniziativa che ti hanno generato, ci sono le foglie di basilico mummificate frescheda mettere sulla pizza quando avrai un po’ di tempo per farne una come si deve, ci sono gli avanzi delle sere precedenti, quando ad un certo punto hai preferito virare per un frullato proteico relegando il rustico ripieno ai momenti più difficili. 

, il congelatore è una storia a parte e parecchio più complicata da gestire, ma tanto lo sapevo che alla fine mi tocca sempre aspettare, anche le piccole rivoluzioni dal basso, quelle svolte un po’ metaforiche che avrebbero un valore proprio nell’isteria del gesto che le innesca, io le devo attendere come la reunion degli Oasis. E in questo struggimento mi concedo il lusso di avere un pretesto valido per continuare ad attingere alle mie vecchie abitudini, ai miei schemi sempre uguali che, mi illudo, mi proteggano dagli imprevisti e, nei fatti, mi escludono soltanto dalle sorprese. In quel congelatore ci sta un tupperware gignateche trabocca di sensi di colpa mai risolti, di paura di intaccare le riserve di coraggio mai tolto dal suo sottovuoto, c’è l’istinto alla conservazione di merce già scaduta da tempo e che hai preferito non consumare. 

Tra qualche giorno dovrò tornare dai miei. Fino ad allora i pranzi per il lavoro saranno tutti consumati. Il resto diventerà bagaglio senza ritorno. Quel giorno il frigo sarà vuoto, sbrinato e pulito. Senza di me. Poi si vedrà

martedì 10 giugno 2025

Quando si nasce?

 Credo che ad un certo punto quel momento lì arrivi per tutti. C’è una specie di intuizione folgorante che ti pone, senza che tu davvero ti ci fossi impegnato, nella prospettiva esatta e perfettamente tarato rispetto al tuo racconto. A me è successo. Ci sono riuscita da sola ma mi è  servito un sacco di tempo. Ad un certo punto mi sono svegliata e ho riposizionato tutti i ricordi, le parole sbagliate, le offese, le spiegazioni fasulle, le umiliazioni…tutto quanto. E così ho capito. Ho capito che io non sono stata mai una priorità per nessuno. Neppure da piccola per i miei genitori. Non c’erano le condizioni per esserlo, magari in un clima e un contesto più sereno sì, ma in quel momento non ero altro che un freno e un intralcio fastidioso con cui poter al massimo giocare al ribasso. E sai cosa? Rendermene conto dopo così tanto tempo, ha azzerato ogni lacerazione. Sapere di non essere stata amata come si deve senza per questo puntare il dito contro nessuno ha qualcosa di liberatorio, come se esonerasse finalmente anche me stessa dal dovere di amare a mia volta e assumermi la responsabilità della gratitudine. Un giorno mi sono svegliata e mi sono detta che io a questi devo molto meno di quel che loro in modo ricattatorio mi hanno lasciato intendere: dai risultati a scuola, alla velocità con cui mi si imponeva di trovare un lavoro, al non poter chiedere mai una lira, al presentare fidanzati in linea con le loro aspettative. È stato solo pochi giorni fa, ben più tardi di quando avrei dovuto capire tutto quanto, ma ho fatto un lungo respiro lo stesso e mi è sembrato che mi rotolasse dalla schiena un macigno che avevo lasciato crescere da tutta una vita. È liberatorio pensare che non ha più importanza sapere se e quanto abbia giocato la malafede o se in fondo è andata così perché non si poteva far niente di meglio. Quel che conta è esserci finalmente arrivata con gli strumenti giusti e cominciare a tenere per me ciò che è mio. Quando scopri che sei anche un po’ più sola di quanto pensassi sviluppi un senso più acuto dell’orgoglio o perlomeno attivi uno strano mix di risorse che cerchi di far luccicare il più possibile contro tutte le tristezze che per il momento non puoi permetterti.

Ho deciso che a luglio resterò a Milano. Ho bisogno di godermi un po’ di ferie senza ansia di novità o di stravolgimenti del quotidiano affrontando viaggi e soggiorni. Ho voglia di gironzolare per i quartieri, andare per musei e stare al fresco in qualche parco a ipotizzare un nuovo futuro possibile accompagnato a qualcosa che mi assecondi. 

Da qualche tempo ho preso la decisione di comprare una nuova casa. La situazione qui a Milano è drammatica per due ordini di motivi: hanno bloccato la costruzione di 150 cantieri e quelli finiti hanno un valore proibitivo anche per i più solidi economicamente. Non sarà facile ma voglio provare a guardarmi intorno e pensarmi in questa città in un altro quartiere, in una casa nuova nuova e bella bella. Quale maniera migliore per sentirsi punto e a capo se non quella di mettere radici in un posto diverso, anche se nella stessa città di sempre, con le cose da fare ormai familiari e con poco da reimparare su come muoversi e cosa fare? 

A volte mi pare di non essere mai nata davvero, altre che vorrei solo rifarlo meglio al netto dei dolori e delle imperfezioni già vissute, altre ancora mi piacerebbe ricominciare azzerando ogni cosa e ridisegnando da subito la vita giusta per me, senza tentativi o prove fallimentari da cui rialzarsi e andare avanti.

A volte vorrei semplicemente non aver perso tempo, tra dolori inutili e inconsapevolezze, tra strade sbagliate e nuovi tentativi per trovare il sentiero corretto. A volte, ma solo a volte, vorrei scordare di sentirmi così irrilevante

domenica 1 giugno 2025

Il buongiorno si vede dopo

 E alla fine maggio è passato davvero e io, mai come stavolta, non vedevo l’ora che accadesse per via di quelle risposte che attendevo e che in effetti sono arrivate. Sapevo che in ogni caso la strada sarebbe stata in salita ma confesso che l’idea di ripartire da zero, come di fatto sarà, in fondo mi piace moltissimo. Mi riservo il racconto appena ci capisco qualcosa io stessa. Nel frattempo mi faccio bastare le giornate tiepide e i massaggi tailandesi, gli allenamenti di gruppo e la giornata Lynch. Me lo faccio bastare ma mica lo so quanto basti davvero. La mattina decisamente non funziona ancora: i pensieri cupi necessitano almeno di tre ore prima di stemperarsi e posso garantire che non c’è niente che possa fare per stare un po’ meglio durante quel misto di tachicardia, voglia di rompere piatti e bicchieri e malessere non meglio precisato da gestione dei compiti quotidiani. Un dramma vero che detta così mi pare ai limiti del ridicolo. Spero che l’estate agevoli un po’ il cambio di ottica.

“Ma ti è mai capitato di parlare di piena guarigione nei tuoi casi clinici?”. Ho fatto questa domanda ad uno psichiatra che ho conosciuto ad una delle mie lezioni e lui mi ha detto così “Mah, in realtà il più delle volte si cerca solo di tenere in piedi la baracca” che poi è esattamente quello che penso io quando si trova il coraggio di ammettere di aver bisogno di un supporto, una cura, una terapia, un percorso di analisi. Io credo che dal disagio esistenziale non si guarisca mai, che certe questioni già basta se riesci a conviverci e che anzi di questi tempi sentirsi felici sia persino una specie di colpa, come se al senso di impotenza nei confronti delle catastrofi mi pare almeno doveroso provare dolore e compassione rispetto a realtà che non ci riguardano solo per pura fortuna.

Ho deciso che mi devo appuntare tutte le cose belle che mi succedono nell’arco di una settimana, perché mica esistono solo le colleghe brutte e cattive che girano con gli screenshot dei miei post tra le stanze dell’ufficio, o i risvegli del mattino pieni di ricordi pesanti e paure per un futuro non ancora scritto, mica esistono solo gli squat bulgari e la cronaca nera.

Io per esempio di questa settimana premio

Il film di Martone, che sfugge a tutte le regole del biopic, ma pure del racconto carcerario, della Roma che t’aspetti, del cinema dell’impegno e di tutto quello che ti aspetteresti e che invece non c’è. Perché è meglio

I miei muffin proteici al cioccolato. Uno dei miei miracoli sugarfree che però mica te ne accorgi

Il massaggio thai con la mia mani di fata preferita. Sono tutte bravissime…ma lei…

Gli allenamenti di gruppo con la Hunziker all’arco della pace. Quanto porta bene i suoi anni lei...che poi sarebbero pure i miei…

Un libro di Varga Llosa che non avevo letto ed è stupendo

La brutta notizia che secondo me è un’ottima occasione per un “ritenta sarai più fortunata”

Le prime ciliegie della stagione

Un complimento carino di quelli che alla mia età non si usano più 

Domani è ancora festa

Ora che ci penso. Mi pare pure troppo. Non credo di meritarlo o che mi sia dovuto. Ma è il mio modo di praticare la gratitudine quando finalmente passano le prime tre ore della mattina e la giornata può cominciare per davvero


 

lunedì 19 maggio 2025

Una vita in panchina

 “Ah, vedo che hai riaperto la stagione della meditazione su panchina al parco. Mi sei mancata. Sono almeno un paio d’anni che non occupavi questo spazio col piglio di chi pare averci messo un recinto inaccessibile anche solo per transitarci”

“Credo che siano passati almeno tre anni. E sì è vero, hai ragione, mi è sempre sembrato un posto tutto mio, dove far decantare le sensazioni sempre indecifrabili che mi accompagnano da quando ho imparato a fare i conti con la mia inadeguatezza. Ma ti assicuro che sono molto cambiata da quelle ultime volte, quando ero ancora alla ricerca di conferme o quando credevo di amare e invece ero soltanto ossessionata. E quando mi è passata e ti chiedevo se lo sapevi già che io con uno così ma quando mai e con quali occhi mi ostinavo a guardarlo? E quando la solitudine era un obbligo e io ho scoperto che stare davvero con se stessi, per tanto tempo e così profondamente, può essere un fatto davvero bello”

“Eh già. Mi ricordo di quegli anni in cui provavi a stare a Milano facendo tutto quello per cui si viene in una città come questa: gli aperitivi, gli allenamenti di gruppo, quelle week vattelappesca molto cool e per le quali rientravi a casa senza sapere bene che avevi fatto. A volte ti ho visto divertita. Altre inutilmente affaticata. Poi non ce l’hai fatta più. Non è colpa di Milano. È che tu proprio non funzioni in mezzo agli altri: non perché sei antipatica e neppure timida. È che la gente ad un certo punto lo capisce”

“Lo capisce? Cosa capisce?”

“Che ti manca la connessione. Mantieni una distanza di fondo che ad un certo punto si avverte. Stai nel gruppo, ma non sei davvero dei loro. Non te ne faccio una colpa, ma hai fatto bene a non insistere. Non funziona e non funzionerà mai. C’è di buono che ti vedo più tranquilla, meno smaniosa di conferme, pacificata nella tua incapacità di amare come si deve, più focalizzata sui tuoi piccoli obiettivi di lungo termine, ma soprattutto più rilassata”

“…mi manca la connessione…questa me la segno. Ma almeno riesci a predirmi se riuscirò a fare un altro viaggio entro l’anno o almeno se smetterò di fare brutti pensieri al mattino? Se vuoi ti vengo a trovare tutti i giorni. Mi siedo qui, sto zitta e ti ascolto per tutto il tempo che vuoi”

“Vorrei poterti dire che te la caverai con ogni certezza e che ci sono tutti i presupposti per sentirti come desideri. Ma ho capito che mi noti di più se non ti dico niente, se ci ritroviamo qui su questa panchina in silenzio e senza giudizio per tutto il tempo che ti riesce. Credo di avertelo detto anche altre volte che le cose, non dico belle ma quelle più intense e costruttive, accadono quando conserviamo l’orientamento verso di loro e accogliamo anche i piccoli e impercettibili passaggi che ci conducono dove non avevamo neppure immaginato. Rimani tranquilla, fai tesoro di quello che ormai ti è chiaro e che non ti è più dovuto. Accetta tutto come buono e giusto”

“Insomma non sai dirmi niente”

“Come al solito, sorella. Eppure…poi mi dirai”


lunedì 5 maggio 2025

Di giornate andate e tornate. Di radio, di crostate e di piantane. Di disegni tutti da completare

 Pochi giorni. Così, giusto per accorgermi un po’ meno di quanto manca alle prossime ferie vere e proprie e per stare un po’ in questa casa troppo diversa da me ma che pure prova ancora a contenere un po’ delle cose che mi riguardano. Sarei volentieri andata alle terme ma il meteo non mi aiuta. Dormo troppo poco anche qui e penso a cose bruttissime che mi mettono paura e dipingono scenari nella mia testa a cui non so  dare riscontro. In questo momento alla radio ci sono i miei beniamini dell’alba, quelli a cui una mattina - a fine puntata - portai una crostata alla crema con sopra scritto il titolo della trasmissione…certo che io proprio testa gloriosa livello top…

Non lo so. Vorrei dare un nome preciso a questa specie di ansia senza una vera ragione. Mi passa solo quando faccio un workout molto molto intenso, ma ho un dolore fortissimo al ginocchio e questo aggiunge paura alla paura. E così mi tocca pure fare i conti con lo sforzo di sdrammatizzare, meditare, respirare…e tutte quelle tecniche molto sagge - e ahimè per me inefficaci - per godermi queste piccole oasi di tempo libero. In fondo non ho scelta e forse se mi impegno una buona selezione di cose meritevoli del presente le trovo persino io.

Passeggio da una stanza all’altra, passo ad uno ad uno in rassegna i quadri che al tempo sistemai alle pareti, la disposizione dei mobili che non è mai stata quella definitiva, la scelta delle piastrelle di quella che non diventò mai la mia cucina. E poi i sanitari del bagno per gli  ospiti che credo di non aver mai usato, la scrivania dove ebbi giusto il tempo di preparare il concorso che mi avrebbe poi sfrattato per sempre…il piano di questa casa con cui ho giocato ad immaginare un futuro che si è realizzato solo a piccoli pezzettini sparsi mi fa sempre questo effetto di cose soltanto accennate e mai davvero accadute, come di un disegno che puoi riconoscere ma che è rimasto soltanto abbozzato, pure quando ogni tanto torni ad aggiungere dettagli. Va bene così. Stavolta ho portato una piantana che nel mio bilocale a Milano non aveva alcun senso e invece qui mi pare fatta apposta. In fondo potrei considerarla un’unica casa che parte da qui e finisce chissà dove nel disegno poco chiaro che mi impone il mio andare e venire senza una ragione chiara.

Oggi davano cattivo tempo, ma per ora c’è un sole già bello alto. Se il ginocchio me lo permette faccio l’ultimo allenamento di una specie di corso per militari che ho cominciato un mese fa e che forse non mi ha fatto così bene. Ma ormai mi pare assurdo non arrivare fino alla fine. 

Chissà se per quella crostata furono davvero contenti. Io tantissimo. Lo rifarei anche adesso se non fossi qui

domenica 20 aprile 2025

Camminare nell’attesa

 “Fa bene. Ma non è allenante”. Provo a ricordarmelo ogni volta che posso perché penso che mi sia utile. Una volta un allenatore con cui correvo mi parlò dei benefici enormi del camminare ma pure della sua completa inutilità come strumento di potenziamento nella corsa. È curioso in fondo che, a parità di gesto compiuto, a fare tutta la differenza è l’intensità con cui viene esercitato. Eppure rimane il fatto che camminare fa bene, che è irrinunciabile per creare le premesse di ogni buon allenamento. Ma allora è utile o inutile? Non è allenante però se non cammini poi non corri come si deve. Perché mica mi è poi così chiaro se a conti fatti sia un preliminare necessario che poi puoi abbandonare o, al contrario, un’attività complementare che permane pure quando impari a correre più veloce che puoi. 

Esistono davvero i progressi, le cose di cui ti liberi per fare spazio a quelle più evolute e complesse? O invece conserviamo tutto quello che siamo e che abbiamo imparato assieme a tutte le altre che acquisiamo per farci forza e continuare a crescere? Che poi in realtà a me questo importa poco: io cammino perché è l’unico modo che ho di stare tranquilla assieme alle mie fissazioni mentre provo a non restare ancorata alla terra con entrambi i piedi come una zavorra. 

Oggi è Pasqua e a me di questo piace solo il fatto che domani è un lunedì di festa e che tra poco è maggio e che il giro di boa di quest’anno, per me di mera transizione, si avvicina a grandi passi. Sì, è da quando è iniziato quest’anno che vivo come se fossi in modalità “attesa” perché quello che sto aspettando non riguarda questo arco temporale ma, forse, il prossimo o quello ancora successivo. E così lo tratto come quella camminata che fa bene ma non è allenante, che è necessaria, preparatoria, ossigenante…ma che alla fine non restituisce risultati. In fondo sono belli pure gli anni così, quelli che sembrano non dirti nulla e darti ancora meno e che puoi solo sperare di riempire con quello che hai già,  quelli che non contemplano sorprese ma che alimentano le attese e ti fanno immaginare meglio la meta. 

Sono le tre del pomeriggio. E io non ho ancora fatto un passo. Entro le sette devo uscire a camminare. Non è allenante ma fa tanto bene. Come il lunedì dopo Pasqua. Come il tempo che ci vuole per essere pronti a correre 

E tu cosa usi per le superfici?

  Con lui non ti puoi distrarre. E’ subdolo perché lavora in silenzio, fa ostruzionismo anche quando non ti ricordi che  ci condividi elemen...