sabato 15 marzo 2025

Quanto sono dieci anni?

 E sono dieci. Me la ricordo quella sera. Abitavo già in questa casa da un sacco di tempo, avevo preso un micio, al tempo invitavo ancora persone a cena pensando che fosse un metodo infallibile per costruirsi una rete di relazioni e radicarsi in un luogo dove non avevo nessuno, mi allenavo tanto ma ero molto più fuori forma di oggi, viaggiavo da sola già da un po’ di anni ma avrei preferito farlo con persone simpatiche e gioiose con cui condividere esperienze. Ma più di tutto sapevo che c’era qualcosa che non andava e non sapevo come sbrogliare matasse di perplessità, ansia, rapporti umani non soddisfacenti, solitudini antiche. E così quella sera mi ricordai che nel 2008 avevo già dato vita ad un blog che mi aveva dischiuso mondi del tutto nuovi e del quale avevo capito subito lo spirito e il mood che avrei voluto raccontare. Poi, con l’avvento di fb tutti noi militanti della scrittura “fluviale” ci disperdemmo nei mille rivoli delle connessioni insignificanti, basate sulle micro battute e le riflessioni da mezzo minuto, sui filtri alle foto e i meme. Tutto bellissimo (mai pensato male di nessun social al mondo. Lo trovo stupido come pensar male dei coltelli perché possono anche uccidere), ma il blog mi faceva proprio bene. E ricominciare ad averne uno mi ha fatto ricordare cosa intendevo. Nel frattempo avevo cambiato ogni cosa della mia vita, eppure il bisogno di mettere dentro uno spazio come questo fatti, pensieri storti, sventure o percezioni del mondo era lo stesso. Ho scritto anche cose così volutamente cattive che quando mi sforzo di essere una persona migliore ritorno a episodi precisi per avere riferimenti sulla mia parte malefica che sento di dover preservare.

Per esempio proprio oggi mi sono stupita quando ho constatato che sono esattamente nove anni da quella volta che scrissi tutto il mio disprezzo per il viscido collega foggiano per quella volta che gli feci gli auguri per la primogenita e lui col piglio di chi la sapeva lunga sulla vita mi diceva cose tipo “tu non puoi capire” e simili squallide amenità. E io, sapendo che colleghi professionisti della maldicenza avrebbero letto questo blog, gli scrissi tutto il mio disprezzo. Il giorno dopo venne a sapere anche lui quello che avrei voluto dirgli senza abbassarmi a litigarci dal vivo e mi finsi stupitissima. Che goduria, pari solo al giorno in cui se ne è andato dall’ufficio. Che meraviglia scrivere quel che si pensa evitando il confronto diretto con chi si disprezza. Ho usato questo metodo anche altre volte per le problematiche d’ufficio e i risultati sono sempre stati quelli voluti. Non è vigliaccheria, è dignità, eleganza, presa d’atto che c’è una umanità a cui non ha senso prestare ascolto. È strategia di sopravvivenza.

Ma scrivere è soprattutto liberatorio. Ci sono giorni in cui penso di considerarlo alla stregua di una seduta di analisi, al punto che qualche volta l’equivalente in moneta di quello che avrei pagato per lo psicologo e mi ci compro una sorta di piccolo premio di “consolazione”, dagli amori tossici, da quelli solo immaginati, da un lavoro che forse non sarà mai giusto per me, da quelli che facevano rumore al piano di sopra e poi ad un certo punto sono andati via e a me non pareva vero, dai lavori per il bagno nuovo, da una città che mi affatica e che però non potrei mai lasciare, dalle “mancanze”, dai ricordi orrendi, dai problemi che non potrò mai risolvere, dalla me tutta sbagliata e che non ho amato e dalla quale vorrei fuggire o che vorrei ridisegnare senza quelle parti. Dai ricordi pesanti e dalle colpe di cui sono responsabile. Dalla fatica di accettare che buona parte di tutti gli sforzi compiuti erano inutili, evitabili, dai risultati irrisori. Come faccio a saperlo? Lo sento e questo mi basta.

Il blog ha dalla sua la magia di illudermi di essere sola e senza filtri e allo stesso tempo mi consente di tenere una porta socchiusa per chiunque abbia voglia di sbirciare. Non che questo cambi la vita di nessuno. Eppure, non so come e neppure perché, in qualche modo funziona



mercoledì 5 marzo 2025

Giù dalla torre

 Quanto tempo. Quando non metto insieme un po’ del mio tempo in parole ho sempre come l’impressione che la vita di cui vorrei tener conto mi scivoli via prima che possa accorgermi di lei. E invece credo che sia bastato anche semplicemente esserci, godermi (letteralmente) il viaggio assieme a tutti i timori da avventuriera maldestra eppure curiosa, che si prefigura gli scenari peggiori possibili per poi calmarsi quando scopre che è tutto meno complicato di quanto immaginasse. Ma pure più bello e sorprendente di come sperasse. Ma ormai sono qui, in una Milano più calda e luminosa di quando l’avevo lasciata, di nuovo al lavoro e alle prese con le serie che avevo lasciato incompiute, con i pranzi da preparare per la settimana e questa piccola casa che prova a contenermi come meglio può. Sono tornata alle mie cose forse rendendomi conto soltanto ora delle proporzioni e delle altezze con cui mi sono misurata in una città che pure è così semplice da percorrere ed esplorare. Ad un certo punto ero di fronte alla Trump Tower e ho pensato che è ovvio che uno che possiede questa specie di piramide stilizzata poi gli viene naturale pretendere qualunque cosa.

Non ero pronta alle temperature così miti che ho trovato qui a Milano. Ho ancora le coperte sul letto e vestiti troppo pesanti nell’armadio e sono tornata troppo in fretta ai miei focus soliti. Dovrei ritinteggiare casa ma la sola idea mi devasta. Eppure ci penso da mesi. È strano come basti allontanarsi un po’ dal proprio abituale perimetro per ristabilire priorità e aspettative che prima parevano irrinunciabili

L’azienda che produce gli integratori che consumo abitualmente ha annunciato di punto in bianco che chiuderà  a giugno e la cosa mi ha fatto un effetto stranissimo: ti abitui a qualcosa, fino al punto di dare per scontato che l’avrai per sempre a disposizione, e poi all’improvviso questa sparisce senza che tu abbia minimamente pensato a una simile eventualità. Chissà come troverò l’alternativa e quanto impiegherò per convincermi che mi faccia altrettanto bene.

Ho recuperato la serie degli 883 e mi è piaciuta moltissimo, trovando la conferma che siamo bravi solo quando raccontiamo la piccola provincia paranoica e un po’ sfigata. Ma è con “the withe lotus” che sento che a scrivere certe storie e a definire quei personaggi sono stati talenti che hanno fatto tutt’altre scuole.

Sono stata via due settimane e mi sono accorta solo di quanto siano cambiate certe cose. Per fortuna ho già sonno e sono soltanto le 9 e mezza. Almeno questa non mi è nuova. Menomale



giovedì 6 febbraio 2025

Finte luci d’inverno. Di veri motivi di gioia

 Oggi c’è un sole pazzesco qui a Milano. Sono uscita in pausa pranzo con la precisa intenzione di assorbire più luce e calore possibili e illudermi così che fosse una breve interruzione anche per un inverno, in fondo piuttosto mite, ma pur sempre grigio e per me da sempre portatore sano di carichi aggiunti di fatica e cattivi pensieri. Tra un paio di settimane farò un viaggio che sognavo da tempo. È un posto un po' lontano e con diverse tappe. Speriamo bene.

Quando mi capita di camminare in zone molto silenziose e poco frequentate faccio strane connessioni tra quello che mi ritrovo ad osservare e le cose che mi passano per la testa quando mi riproietto nel passato. Oggi ho ripensato a quando abitavo a Suzzara (ormai 16 anni fa) e mi pareva che mi sarebbe piaciuto restarci per sempre pur essendo una cittadina piccola e nella quale non succedeva quasi niente. Avevo conosciuto un prof di filosofia che organizzava un cineforum che prevedeva la scelta di film anticipata da dibattito e lettura del corrispondente libro da cui era tratto. Diventammo amici e tanti furono anche i pomeriggi di lunghe camminate e racconti che ci videro assieme in quei gelidi sei mesi nella bassa padana. Quando sono partita non c’è stato modo di restare in contatto (colpa mia, non sono brava in certe cose) eppure lui, dopo otto anni, mi ricontattò per dirmi che si era gravemente ammalato e che io ero tra le cose care che voleva conservare di quegli ultimi scampoli di vita. Ora non c’è più e quando penso a lui sento addosso la spiacevole sensazione di non essergli stata abbastanza grata per l’affetto davvero troppo grande che mi aveva concesso durante quei pochi mesi di reciproca compagnia. Ma ho imparato a fare più attenzione al valore di certi gesti.


Da quest’anno faccio smart working anche io. Non me lo sono concesso prima perché avevo il timore di rompere una routine e quindi la certezza dei passaggi per fare tutto quello che devo. E a me questo spaventava moltissimo. E così, proprio per questa ragione, ho pensato che fosse doveroso rimodulare il mio quotidiano in nome di una minore rigidità nelle abitudini e nell’approccio alle giornate in generale. Essere flessibili può essere un facilitatore dell’esistenza e io devo cominciare a capire che non c’è colpa in questo e approfittarne prima o poi.


C’è il sole ma è ancora inverno. E io d’inverno vorrei solo mettermi in stand by in attesa di periodi nei quali mi sento come con i vestiti comodi. L’inverno è pieno di cuciture che mi segnano la pelle e per quanto mi copra c’è sempre una parte di me (le mani, il collo, la testa) che ha più freddo del resto del corpo. Non c’è armonia di sensazioni. C’è qualcosa che rimane inconsolabile. L’inverno è stonato per definizione. Lo so che questo può capitare anche alle altre stagioni per altri motivi. Ma io ho un problema con questa fase dell’anno che parte dalla carenza di vitamina D, si estende alle colpe del passato per arrivare dritta ai geloni alle mani. E quando tutto questo passa è già troppo tardi. I segni restano addosso per sempre, pure quando l’abbronzatura estiva li copre e il caldo mi distrae dai loro effetti o la luce mi ricorda che non esiste solo il grigio. Eppure io ho bisogno dell’inganno delle altre stagioni per riprendermi dalle crude verità dell’inverno. Ma anche una giornata di finta estate come quella di oggi, alla fine, non mi pare mica un regalo da poco  

lunedì 20 gennaio 2025

La solitudine. Prima dei numeri

 Me ne accorgo da dettagli impercettibilicome l’acquisto compulsivo di integratori dal nome improbabile che mi fanno pensare a delle iniezioni di energia simili a quelle illegali, dal rientro a casa che coincide con l’urgenza di andare a dormire prima possibile, oppure dall’organizzazione delle giornate in modo da minimizzare la dispersione di energia e le cose da mettere a posto, il bisogno potenziato di silenzio e isolamento. Questo inizio anno mi ha trovato stanca in quella maniera per la quale mi sento colpevole persino ad ammetterlo visto che è senza una spiegazione reale. Non lavoro in miniera, non faccio un lavoro stressante, non gareggio per le Olimpiadi. Però è così, mi sento come svuotata e priva di ogni slancio. Ho lasciato intatte solo le cose che non riesco a smettere di fare: allenarmi secondo il calendario, andare al lavoro, coltivare le mie due o tre passioni residue fatte di MUBI e libri di poche pagine. Per il resto ho solo bisogno di dormire e non cedere alla tentazione di fare qualsiasi cosa di nuovo. Se non mi conoscessi penserei che è così che cominciano le depressioni striscianti, quelle che colpiscono soprattutto persone dall’indole malinconica che col tempo finiscono per conviverci senza l’urgenza di venirne a capo facendosi aiutare da qualcuno. Mi conosco e so di non attraversare quella condizione perché ho troppo rispetto per la fragilità di un depresso per permettermi di lamentarmi della mia abulia da transito verso un anno che non sento ancora come nuovo. Forse è solo questo Blue Monday che mi fa parlare, o la tristezza infinita che provo per la morte di Lynch a cui non ero affatto pronta e che mi ha addolorato oltre le previsioni. Il fatto è che c’è qualcosa dentro questi giorni strani che mi respinge altrove, come se volesse escludermi e mi facesse pesare il fatto che io ci sia ugualmente. E io vorrei pure poter farmi da parte, ma non mi è davvero possibile. 

Ogni tanto fb, che ormai pare conoscermi piuttosto bene, mi proporne pagine di “self-improvement (di solito si tratta di elenchi motivazionali per lo più destinati a sportivi o a persone poco integrate nel consesso sociale che devono potenziare aspetti del loro carattere considerati fragili) e di solito l’esortazione maggiormente declinata è quella di imparare a stare da soli il più possibile. L’idea di fondo è che gli altri siano solo una distrazione dispersiva e che soltanto restando concentrati e totalmente focalizzati sui propri obiettivi si possa migliorare come persone, così che soltanto dopo il proprio percorso di evoluzione e di crescita in solitaria si possa tornare nel mondo ed essere d’aiuto e di esempio per qualcun altro. Devo dire che questa cosa mi ha sempre convinto molto: anche io credo che il concetto di uomo come “animale sociale” abbracci un malinteso senso del ruolo di ciascuno di noi nelle relazioni umane: è vero che nessuno sopravvive senza l’altro perché siamo inevitabilmente il frutto di una rete di relazioni di dipendenza “organizzativa”, ma essere un animale sociale non vuol dire necessariamente essere un animale “socievole” ed è per questo che esistono i solitari e quelli che hanno deciso di rompere il patto sociale in nome di una vita fatta di isolamento per connettersi meglio con se stessi. Io credo che questo sia assolutamente possibile sia come scelta esistenziale che, a maggior ragione, per periodi temporanei della propria vita.


Ho pensato a lungo a questa cosa perchè solo qualche sera fa sentivo Bersani in un talk affermare esattamente il contrario. Lui diceva che la destra (ormai) “globale” sta affermando una pericolosissima idea di individualismo che a sua volta è fonte non solo di guerre e odio tra i popoli ma anche, nelle coscienze dei singoli, delle forme di individualismo e di diffidenza esasperata nei confronti dell’altro. Perché è questo il modo in cui opera il tardo capitalismo e chi vede in una società sfilacciata e fragile un modo facilitato di esercitare il potere. Ovvio che questo sia assolutamente vero. Eppure rimane il fatto che io non ce la faccio, che sento di aver bisogno vitale di pensarmi sola per quanto più mi sia possibile per poter ricaricare le energie e che non riuscirei ad offrire tempo di qualità tale da accrescere il valore del confronto dialettico rispetto alla mera riflessione individuale. Non è facile ammetterlo, eppure ci sono tempi in cui la fuga da tutto, almeno per un po’, appare come la sola salvezza possibile. Se non per tutti, probabilmente per qualcuno. Sicuramente per me.    

lunedì 30 dicembre 2024

Metto in agenda

 C’è una parte di colposa omissione nell’affermazione un po’ spavalda del mio non fare mai buoni propositi per l’anno nuovo. Non che non sia così: mi pare abbastanza pretestuoso delegare ad un anno (sempre il prossimo) la responsabilità della nostra svolta. Come se in quel susseguirsi sempre meno definito di quattro stagioni si insinuasse la perfetta combinazione di azioni e fortuna capace di traghettarci finalmente lì dove meritiamo di stare. No, io non sono dotata di questo ottimismo un po’ fatalista che si lascia contenere in un lasso temporale che la convenzione ha deciso per tutti.

Però mi piacciono le agendine. La mia personale svolta parte da quando ho cominciato a comprarne una all’anno e ad annotarla quotidianamente con la dedizione di un monaco certosino: ci sono dentro tutte le scadenze, le date di viaggi, i posti visitati e relative impressioni, tutti i corsi seguiti, i film che ho amato di più, gli allenamenti e la relativa durata, le frasi che ho letto o ascoltato e che voglio ricordare, persino alcune parole chiave che definiscono lo stato d’animo in un momento preciso…oggi ho ripreso quell’agendina verde  che mi ha accompagnato ovunque e che ormai è completamente logora. Non c’è giorno in cui non ci sia scritto qualcosa che mi pare più rivelatrice oggi di allora. Avrei potuto farlo in qualsiasi altro modo, per esempio segnandomelo sul cellulare o sull’ ipad. Ma senza la percezione tattile di pagine che rinnovano l’esperienza giornaliera e che nel frattempo si deformano, acquistano spessore, si logorano è come se mi mancasse la prova più tangibile di una vita che sta offrendo prova di sé. E a me questo conforta molto pure se a rileggere tutto non mi riesce di capire se quello che è successo, che ho provato a fare, che ho scelto…sia poco oppure abbastanza per quella parte di me che ci spera e ci prova sempre.

Non mi piacciono i bilanci, proprio come non mi piacciono i propositi eppure sfido chiunque a starne del tutto fuori quando si passa per questi giorni qua. Potrei provare a non farmi domande stupide del tipo “E’ stato un anno buono?” e ammettendo invece di essere stupida, cosa potrei rispondermi? Che non mi sono ammalata ma neppure ho vinto alla lotteria, che ho un buon lavoro ma che di certo non è quello dei miei sogni, che fino ad ora la brutta notizia che aspettavo non è arrivata ma non so quando arriverà quella bella in cui sto sperando, che ho conosciuto persone che mi piacciono ma che sono davvero troppo poche…cosa fa di un bilancio di un segmento di vita un tempo in attivo? Mi piace di più fidarmi del processo, pensare che sia un semplice e non definitivo tassello di una vita che ha una sua definizione più ampia che mi chiede solo di essere abbastanza abile da intuire e svelare.

Stanotte ho dormito per ben 14 ore. Ad un certo punto sono crollata come un sasso. Forse il mio corpo non ne poteva più e mi ha detto: “Stai vedendo Irma la dolce per la trecentesima volta. Dormi e recupera tutta l’assurda fatica che fai mentre procedi per tentativi in questa landa di solitudine e abitudini che ti sei scelta”. In mattinata avevo fatto l’ultimo massaggio dell’anno: le mani magiche della piccola signora tailandese devono aver toccato le corde più giuste di sempre. Poi ho camminato fino ad una casa museo di via Montenapoleone, dove, prima di entrare, ho visto persone incantate a fotografare Lamborghini viola e gialle che sfilavano senza alcun carisma e vetrine di Marchesi con panettoni che sembravano delle sculture da restituire alla storia più che allo stomaco. C’era un sole bellissimo e un’atmosfera magica che credo di aver attraversato per ore fino allo sfinimento. Sono arrivata a piedi fino a via Cadore e c’era il 66 che aveva soltanto me da portare via. Sono rientrata ad ora di pranzo e avevo fatto in modo che fosse già tutto pronto e in ordine. E’ stato forse in quel preciso momento che credo di aver pensato che tutto era come doveva essere e che il mio unico merito era stato quello di rendermi disponibile per tutto questo. E poi ho pensato che la felicità la capisci quando ti sfinisce tanto da suggerire il riposo come unica reazione possibile. Ho dormito 14 ore e non mi ricordo quando mi sia successo prima d’ora.

Niente bilanci e un’agendina nuova. Io mi sto preparando. Ma non è questa la novità

mercoledì 4 dicembre 2024

Di cambiamento e di stagioni

 Vivo a Milano esattamente da 15 anni e da quando abito nella mia attuale casa comincio sempre in questo modo qui: sveglia alle 4:35, accendo la radio, metto il caffè, vado in bagno, accendo il riscaldamento, mi siedo su una specie di pouf contenitore. E finalmente fisso il muro per tutto il tempo che sorseggio il caffè (tazza grande per fortuna). A volte, durante il giorno, quando le mie facoltà mentali sono meno precarie di quel momento lì, mi immagino ripresa da una videocamera con timing accelerato che mi riprende come se fossi un pupazzetto della lego che ripete questa sequenza di operazioni con ciclo infinito e sempre identico. Una specie di cricetino ossessivo che rincorre la sua routine mattutina. Chi mi conosce sa anche che subito dopo io stenderò un tappetino, prenderò dei pesi di portata variabile, aprirò la piattaforma degli allenamenti a cui sono abbonata e comincerò il workout che mi toccherà gestire mente ho ancora gli occhi gonfi di tutto il sonno del mondo. E’ una cosa tremendamente faticosa che non è vero che viene mitigata dall’allenamento, perché io nel frattempo invecchio e mi logoro, ma purtroppo non so ancora come fare per smettere. Perché si fa presto a dire che basterebbe semplicemente non farla e mettermi in doccia e uscire come credo facciano tutti, pure quelli che si allenano ma trovano normale farlo anche in altri orari. Per me questo è impossibile: se io comincio la giornata senza fare questo sforzo smisurato prima di cominciare la giornata vera e propria sento di aver già fallito su tutto il resto, è come essere certa che tutto andrà male, che non merito nulla di buono e di bello che potrebbe accadermi da qui ai prossimi trent’anni. Credo che ci sia qualcosa di vagamente patologico in un simile atteggiamento, tanto più se penso che non ho alcun tipo di obiettivo atletico o di forma fisica: ne ho avuti, ma adesso proprio no. Ho passato anni a ripetermi che la disciplina è fondamentale per stare al mondo e adesso non so come uscire da questo loop così estenuante…ma vabbè…finchè il ginocchio destro non deciderà di esplodere definitivamente mi farò ancora urlare dal tablet “forza non mollare proprio adesso” da una strafiga che avrà almeno vent’anni meno di me. 

Da un po’ di giorni ripenso ad un film stupendo visto al festival di Longtake che mi ha stimolato una considerazione su quello che accade quando dentro di noi avviene un cambiamento di cui non ci accorgiamo perché avviene indipendentemente da un nostro preciso intendimento. Ci pensavo anche stamattina, mentre venivo al lavoro (completando la mia routine dei 4 km a piedi…manco a dirlo) e mi sono chiesta quanto nella mia vita da adulta e ormai autodeterminata ho desiderato essere in un certo modo applicando delle modalità precise per cambiare e quanto invece sono cambiata senza accorgermene ma semplicemente perché il tempo è passato e mi ha attraversato lasciando il suo segno senza che io potessi farci niente. Succede davvero? E’ possibile che cambiamo senza rendercene conto? Oppure siamo totalmente responsabili di quello che diventiamo? Anche come soggetti consapevoli e non più degli adolescenti a cui perdonare ogni scelleratezza?


Il film stupendo di cui parlavo si intitola “Le occasioni dell’amore” (ma tradotto dal francese sarebbe stato un più corretto “fuori stagione”) che raccontava di due che si ritrovano dopo 15 dalla fine della loro storia d’amore. Lui l’aveva lasciata per inseguire il sogno (poi avveratosi) di affermarsi come attore e lei, soffrendo, ha poi provato a realizzare se stessa nella famiglia e insegnando il piano. Ritrovarsi riaccende la passione. In realtà, forse, è stato altro. Forse quell’incontro non era esattamente un ritrovarsi, ma conoscersi e innamorarsi per quello che sono diventati in quel preciso momento, certamente diversi da quello che erano al tempo di quella prima separazione. Oppure hanno amato il loro tempo perduto, le occasioni mancate, quel che erano al confronto quello che sono oggi grazie ad un tempo che li ha plasmati e forgiati, lavorando anche per questo loro ritrovarsi? 


 E’ sempre strano per me pensare al destino e ai suoi scherzi e chiedermi come cambia le carte o se in qualche modo noi stessi disegniamo le traiettorie a nostra insaputa illudendoci che ciò che non è successo è solo perché la sorte alla fine ha deciso per noi e non ha voluto accontentarci. Quei due 15 anni prima non erano fatti per stare assieme. Ma dopo 15 anni forse sì. E allora perché non provarci stavolta? E’ lecito impedire all’amore di approfittare del suo tempo giusto malgrado la stagione sbagliata? E’ lecito provare a raggiungere qualsiasi obiettivo quando tutto pare contraddirci? Ma che ne so. Ma che me ne importa, oggi, dopo 15 anni che vivo qui e che tutto mi pare diverso tranne me. Cosa ne posso sapere io che se non faccio sempre esattamente la stessa cosa per ogni prima mattina che apro gli occhi mi viene da andare a costituirmi…

 

mercoledì 20 novembre 2024

Non è che se…

 Non è che se decido di non scrivere quello che mi fa male poi sto meglio solo perché non analizzo quello che mi capita. L’inverno non mi fa bene: moltiplica il senso di affaticamento, di insoddisfazione, di indefinitezza di ogni mia azioneSaranno le poche ore di luce e la sensazione che le giornate siano tremendamente corte per fare tutto quello che si vorrebbe e allo stesso tempo infinite per le mille incombenze che sembrano accavallarsi tutte assieme e senza scampo, ma ho come la perenne sensazione di sentirmi inconcludente.

Se dovessi sintetizzare tutto quello che mi è successo dall’ultima volta che ho appuntato il mio diario potrei dire che:


Quelli di Matrimonio a prima vista sono rimasti assieme solo per i 2/3. La coppia in cui lui aveva lasciato il lavoro e che se ne è andato via da Milano per tornare in Salento non ha retto. Mi pare normale in fondo. Il grande quesito che rimane è: cosa sarebbe accaduto se lui fosse rimasto? Se avesse trovato un nuovo lavoro e se lei lo avesse aiutato piuttosto che aver paura che lui volesse solo piazzarsi in casa sua e magari fare il mantenuto per un tempo indefinito? Non lo sapremo mai. L’esperimento è saltato per cause di forza maggiore non strettamente legate ad incompatibilità caratteriali. Le altre due hanno retto: una è andata liscia come l’olio del tipo “moglie e buoi dei paesi tuoi” e l’altra ha resistito alle distanze e alle iniziali incomprensioni. Questa è quella che ho amato di più perché si è posta in modo critico e problematico nei confronti di un rapporto che chiedeva disperatamente di essere costruito e accompagnato non solo dalla passione iniziale ma pure dalla volontà e dall’intelligenza. Faccio il tifo per loro. Spero che funzionino

 

Mi sono incistata con una serie coreana per cui ho sviluppato una dipendenza ipnotica. Alla pulizia del racconto si affianca una costante ambiguità di fondo dei personaggi impostata in modo così abile che non mi riesce mai di fare il tifo per qualcuno contro qualcun altro. Il confine tra bene e male nell’inarrestabile complessità delle cose che accadono è così debole che la sola cosa da fare è porsi in un atteggiamento non giudicante e lasciarsi avvolgere dal flusso degli eventi,senza prendere mai una posizione netta. Stupenda nella sua apparente semplicità. Ma sono i coreani ad essere superiori nella loro ineffabile capacità di raccontare la vita in maniera multidimensionale

 

Sono stata molto in giro per le zone centrali di Milano ma per ragioni in realtà tutt’altro che piacevoli e mi sono resa conto che il Natale ormai abbraccia uno spettro temporale sempre più ampio che si estende da Ottobre a gennaio inoltrato dettando non soltanto l’intera estetica “commerciale” e urbana ma pure tutto un mood fatto di programmazione di viaggi, di decorazioni domestiche in forte anticipo, atmosferedi normale quotidianità…persino nella programmazione televisiva ormai credo di avvertire che ogni cosa è fatta della sostanza del natale da almeno due mesi. Per la prima volta ho come la sensazione che ci sia una specie di necessità “sociale” (e non solo commerciale) nel sentirsi immersi nello spirito natalizio. E’ come se questo strisciante individualismo intriso di solitudine spesso non voluta ma solo subita, il sentirsi sempre in guerra (reale e metaforica) avesse creato il proprio anticorpo nell’ancestrale conforto ovattato del natale, come un dolce accompagnamento verso la fine di un anno decisamente “prepotente”. Pensarla così mi rende meno ostile questa farsa tutto sommato un po’ patetica che vede nei mercatini di natale la forma più pura della mia noia esistenziale.

 

Ho ricevuto una notizia non bella che però riceverà eventuale conferma solo all’inizio del prossimo anno, che è come dire intanto è solo una brutta notizia, poi potrebbe non esserlo ma hai dovuto aspettare e stare in ansia, oppure potrebbe esserlo e hai pure aspettato per averne conferma. Ci perdo in ogni caso…ma tant’è

 

Sto lasciando scivolare quest’anno strano, un po’ bello e un po’ chi può dirlo, senza aver pianto mai, con solo due o tre propositi da mantenere e sempre mantenuti, rispettando il principio di stare il più possibile per conto mio senza rinunciare a fare qualcosa di buono per le persone a cui tengo, provando ad impegnarmi sempre e a stare in salute. Niente di più. 

 

Sarà che è Natale da circa due mesi. Sarà che il vero bello e il vero brutto forse devono ancora venire a darmi la vera misura del mio essere fortunata o meno. Sarà che veder rimpiccioliti i giorni mi rende ancora più semplice conservare il minimo indispensabile…ma stavolta ho deciso che faccio così: tutto quello che di buono mi avanza di questo tempo vissuto e consumato solo in parte lo punto tutto sul 2025. In fondo non credo sia molto. Se lo perdo forse neppure me ne accorgo. Come sempre. Fino ad ora

lunedì 28 ottobre 2024

Beata te!

 


 

“Beata te!”. Così mi disse, con una convinzione così categorica che ancora oggi riesco a sentire il peso specifico di quell’esclamazione. Era il 2002 e io alla mia prima esperienza lavorativa. All’epoca abitavo nelle marche, in un piccolo paese della provincia di Ascoli. La mia inesperienza del tempo mi portava a pensare che mi sarebbe piaciuto lavorare nella grande distribuzione e così mi feci assumere in coop adriatica grazie adun master con attività di stage dopo il quale mi avrebbero assunto. Sarei rimasta lì per poco più di due annicon la delusione di essermi molto sbagliata su quello che credevo di volere e che nella realtà era parecchio diverso, prima di realizzare che se non avessi trovato il coraggio di cambiare strada a 27 anni sarebbe stato sempre più complicato provare a farlo dopo. Su quello che stavo per fare invece non mi sbagliavo e ancora oggi penso a quella giovane temeraria che ero che, senza alcuna alternativa di futuro a disposizione, salì all’ufficio del personale e diede preavviso che se ne sarebbe andata, nonostante un contratto indeterminato, un luogo meraviglioso in cui vivere a pochi minuti dal mare, dalle colline e dalla natura più bella che potessi sperare, assieme a persone belle con cui lavorare e uscire…


Non ero a mio agio e molto semplicemente me ne andai. Eppure,quel “beata te” di una collega di quel tempo, come reazione al mioaverle detto di vivere da sola da anni, mi colpì molto. Lei, sposata con due figli, invidiava il mio stare lontana dalla mia casa d’origine e la mia solitaria gestione del quotidiano. Mi colpì perchè in quel preciso momento cominciai a capire che l’assenza di solitudine può essere una mancanza rilevante anche per chi ha apparentemente una vita risolta nel più classico dei modi, mentre io a quel tempo ero nell’attesa fiduciosa del grande amore che sarebbe arrivato al momento giusto. Oggi so che quella di allora era soltanto paura di ammettere che star sola mi piaceva già tantissimo e che non sarebbe stato improbabile desiderare di restarlo anche per il resto del mio futuro. Quel “beata te” ha ora per me una valenza profondamente assertiva, come a ricordarmi che da allora non è successo nulla di sbagliato, perché esistono anche le persone che restano sole, prima per necessità, poi per scelta sperabilmente temporanea e poi per compiaciuta decisione definitiva. E io faccio parte di queste. Dopo aver incontrato imbroglioni, bugiardi, manipolatori, ma anche brave persone con cui non avevo troppo da condividere, legami cominciati bene e poi sfumati senza un perché, miei errori di valutazione perché, dai, in fondo fa parte del gioco…ho tutto superato, tutto accettato e bene accolto con lo sguardo sereno di chi osserva il proprio karma senza fare troppi capricci. 


Da oggi sono in ferie e come sempre ho preparato una ambiziosa lista di tutte le cose che devo assolutamente fare tra sport, letture, film da recuperare, cose da scrivere, podcast da ascoltare, nuove ricette da sperimentare e tutta una serie di altre cose che dovrebbero essermi utili per le mie utopie a lungo termine. L’idea non scritta è quella di provare a realizzare almeno il 30% di tutto con la speranza che sia sufficiente perché parte di un progetto che ammette anche la gradualità, la lentezza, il fidarsi del processo.

Ma, di fatto, vorrei solo avere il coraggio dei miei 27 anni e andarmene via da tutto così, senza un vero perché. Giusto per il gusto di “ricominciarmi” daccapo mentre mi dico un enorme “beata te” urlato alla persona che davvero vorrei/dovrei/potrei essere

mercoledì 16 ottobre 2024

Alla (poca) luce degli anni passati. E a quella dei giorni a venire

  

Pioggia, poca luce, aria umida e appiccicosa, starnuti a caso, abbigliamento ineluttabilmente inadeguato, poco sonno, ansia mattutina che mi vede per almeno mezz’ora dal risveglio sempre nella stessa posizione: seduta su una specie di sgabello contenitore troppo basso per riuscire a rialzarmi comodamente, sguardo fisso verso la zona lavandino, l’attesa che il caffè raggiunga una temperatura “bevibile”, il pensiero di tutto quello che dovrò fare una volta uscita, il desiderio costante che faccia di nuovo sera, accarezzando una ad una tutte le magnifiche sensazioni da fine giornata, quando tutto quello che mi aspetta è il rituale di benessere doccia/cena/tv/letto. Non è sano. Me ne rendo conto da sola eppure i limiti di questo periodo dell’anno stanno tutti nel suo straniante corto circuito “tempo che manca per fare bene qualunque cosa vs tempo che non passa mai neppure in uno stato ipnotico perpetuo”. E così mi ritrovo a far tardi in ufficio pure se sono in piedi dalle 4:30, pure se nel frattempo ho cucinato, fatto pesi e poi yoga, pulito casa, rifatto il letto…tutto entro le 6. Ad un certo punto ho bisogno di stare seduta a guardare di fronte e sentirmi come bloccata in quella posizione fino a quando il richiamo della mia giungla metropolitana non ha la meglio sull’”ormai è troppo tardi”. Ho idea che si possa stare meglio, ma fino a quando non capisco in che modo, mi piace sapere che ogni giorno di resistenza in più è un tassello verso un pieno benessere futuro. 


Senza sapere come, mi sono ritrovata a seguire un programma che mai avrei pensato così divertente e interessante. Ho cominciato a vedere “Matrimonio a prima vista”tra lo stupore e l’incredulità, osservando delle coppie che si sposano senza essersi mai viste prima. L’idea di fondo, mi pare di capire, è che per innamorarsi e pensare di passare tutta una vita assieme, non occorre conoscersi da tempo ma solo rientrare in una sorta di algoritmo che tiene conto di parametri di compatibilità puntualmente rispettati. L’esperimento mi pare tanto più interessante in quanto tiene conto delle valutazioni di esperti come mental coach, antropologi, psicologi, sessuologi…che non si basano esclusivamente su dati quantitativi, ma che tengono conto di aspetti più articolati e sfumati necessari per comprendere davvero il grado di compatibilità reciproca. Se tutto fosse vero (esperti, “concorrenti”, conversazioni, esperienze condivise sul momento e senza preparazioni a monte) sarebbe un esperimento interessantissimo. Io parto dal presupposto che non ci siano inganni ed è appassionante osservare la curiosa parabola di queste coppie-cavia che si sposano, vanno in viaggio di nozze, poi a convivere, che si scontrano, si divertono, fanno succedere cose…il tutto sotto la supervisione dei vari “Cupido” esperti che li hanno uniti e mi convinco che forse è proprio così che funzionano le coppie riuscite: non c’è nulla di casuale, bisogna rientrare in certi quozienti ed è un vero e proprio lavoro trovare la combinazione esatta per determinarli. Non che la cosa mi riguardi: io ho già fallito l’algoritmo quando rientravo anagraficamente come fattore della sperimentazione, per fortuna. Non ho più bisogno di interrogarmi al riguardo. Però bello. Ora voglio solo sapere come si evolvono quelle tre storie così diverse, eppure così allineate a modelli predefiniti precisi.


Cosa potrei ancora aspettarmi da questo ultimo scampolo di anno? Qualcosa di sorprendente? Sinceramente spero di no. Esattamente 15 anni fa venivo ad abitare a Milano, presso un’anziana signora appena abbandonata dal marito dopo 40 anni di matrimonio. Di quel tempo lì ricordo la mia totale inconsapevolezza verso ogni cosa che stavo per affrontare mista alla curiosità di quello che avrei vissuto, ora che finalmente avevo un lavoro vero e la possibilità di fare tutto a modo mio. Oggi osservo quella tizia che fui con un misto di perplessità e indifferenza. Mi pare un progetto per lo più fallito e dimenticabile, ma non credo di dovermene fare una colpa. Ho fatto quello che ho potuto con gli strumenti che avevo. Va bene lo stesso ma mi piaccio di più oggi, meno affettuosa, meno socievole, più contenuta.


Mi pare ieri e invece mi porto addosso 15 anni di più. Si sta così tanto meglio adesso senza  più smanie e neppure novità da fronteggiarese riuscissi a fare pace pure col risveglio, le albe, lo sguardo fisso e il peso di uscire quando non vorrei, avrei risolto tutto

mercoledì 2 ottobre 2024

Non detto d’autunno

 Mi piace che Settembre sia volato. Mi piace che tutto quest’anno stia passando con la stessa fretta che gli ho messo da quando è cominciato. Non riesco a definire le ragioni esatte di questa mia gioiosa percezione: credo che sia per tutte le cose che mi è toccato fare in questi mesi e che non sono “concludenti” ma solo preparatorie, predisponenti verso cambiamenti più significativi ma in realtà ancora lontani da venire. E’ bello fare progetti con l’animo pacificato di chi ormai sa che piega ha preso la propria vita, assieme alla coscienza dei propri limiti, di quello che si cerca di limare senza necessariamente stravolgere del tutto. E’ bello fare pace con tutto quello che si immaginava di desiderare e invece non è successo e che ormai si mescola con ansie, lacerazioni, accanimenti finalmente silenziati dall’accettazione consapevole o dalla divertita rassegnazione. Anche soltanto per queste piccole tappe di evoluzione personale si dovrebbe essere felici di invecchiare: tutto quello che mi sembrava una sconfitta o un mancato traguardo assume le sembianze della necessità inevitabile. Tutto è esattamente come deve essere e non ha senso immaginarselo diverso.

L’autunno è finalmente arrivato anche climaticamente, dopo un’estate in cui fin troppe volte ho pensato che non avrei superato indenne tutte quelle nottate infuocate. In realtà non c’è nulla di romantico, ai miei occhi, nella diminuzione di luce e nelle temperature che si avviano a diventare sempre più rigide: l’inverno per me rimane comunque il periodo dell’anno peggiore di tutti, almeno fin quando non riuscirò a rendere le fluttuazioni di umore del tutto indipendenti dal disagio di una stagione ostile. E vabbè, mi attrezzerò anche in tal senso, ma a questa estate bisognava assolutamente porre rimedio in qualche modo e pare che l’unico sia ancora il cambio di stagione, qualsiasi cosa si ostini a voler rappresentare.


In questo mese mi è capitato spesso di fare una cosa a cui non sono troppo abituata come fare colazione/brunch in locali diversi di Milano e ho capito una cosa importante riguardo al mio modo di osservare gli altri. Mi piacciono le coppie che se ne stanno in silenzio a mangiare. Capita che non si dicano nulla per tutto il tempo in cui stanno al tavolo ma si capisce anche così che esistono anche i silenzi “di qualità”, quelli fatti di una comunicazione che ha raggiunto un altro livello, in cui ci si comprende senza la necessità di verbalizzare più nulla. Lo capisci dal modo disteso con cui quel silenzio viene vissuto, che non lascia spazio ad alcuna disattenzione reciproca ma ad un intendersi ormai naturale, consolidato, fatto di intima connessione. Ho passato la vita a notare con malinconia solo i silenzi “sbagliati”, quelli in cui davvero la comunicazione si era interrotta in modo irreversibile, che distraevo lo sguardo dall’immaginepotentissima di due persone che non fanno altro che dirsi ogni cosa attraverso la magia eloquente dei loro magnifici silenzi.


Di questo mio principio di autunno mi piace il cuore libero e i ricordi storti che mi ha lasciato quando immaginavo cose e persone che di fatto non c’erano state mai. Mi piace l’idea che tutto quello che credevo non passasse più invece è passato e mi ha cambiato per sempre (e per fortuna). Di questo mio piccolo autunno mi porto la soluzione dei brutti pensieri di certe mattine d’estate, quando camminavo per chilometri e chilometri per non lasciarmi aggredire dai dolori che non posso estirpare e che piano piano comincio a plasmare in forme che posso maneggiare un po’ meglio. Di questo autunno incipiente provo ad esercitare la semplice gratitudine di esserci ancora e senza troppe esitazioni, conservando lo stesso silenzio luminoso delle coppie che stanno assieme senza doverselo dire a parole, che quelle si sa, sono sempre troppo povere. 


È autunno. Manca poco per ricominciare, finalmente, tutto daccapo 

martedì 17 settembre 2024

Transito settembrino

 Piccola vacanza, breve rientro, più altra piccola vacanza ancora da fare si sono rivelati un modo efficace per non accorgersi che settembre è un mese essenzialmente fatto di nostalgia e proiezione verso nuovi traguardi, un mix alquanto impegnativo di demolizione e consolidamento nel quale regna quasi sempre la lieve perplessità di non aver riposato abbastanza, viaggiato quanto si sperava, essersi divertiti quanto ci si aspettava prima che la vacanza cominciasse…e ora tocca pure raggiungere gli obiettivi top che abbiamo puntualmente listato ad inizio anno, quando i propositi erano ancora soltanto buoni (e non anche difficili) per poi procrastinare perché “tanto c’è tempo”. Io mi illudo sempre di salavrmi da tutto questo perché anticipo e/o posticipo spostamenti, riposo e obiettivi rispetto alle date comandate. Ma credo si tratti solo di illusione ottica. La verità è che provo a fare quello che fanno tutti, solo che lo faccio prima che comincino loro o quando hanno già finito, così mi sembra di avere più spazio a disposizione.

Del mio piccolo tour in terra nativa penso che sia andato tutto abbastanza bene, se lo considero al netto del confronto con compagni di viaggio che sostengono la mia incapacità di apprezzare l’umanità nella sua interezza. Sono la conferma, per me ormai superflua, che esistono punti di vista, logiche e argomentazioni che trovo del tutto incompatibili con il privilegio immeritato di stare al mondo. Però ho conosciuto anche personeinteressanti e simpatiche che per fortuna sono rientrate a Milano con me e che ritroverò presto e volentieri. In fondo essere selettivi non è mica una colpa in un tempo cupo, individualista e imbarbarito come questo. E poi ho visto gli scavi di Pompei, mi sono fatta raccontare la storia di Napoli mentre passeggiavo per Spaccanapoli, mangiato una pizza magnifica come una turista qualsiasi proprio a trenta metri dal posto in cui ho studiato per cinque anni e dove sono andata a discutere la tesi, ho fatto sport in una palestra bellissima e il bagno in piscina alle sei del mattino per tutte le mattine che ho trascorso in quel magnifico albergo. E poi mi sono resa conto che l’abbazia di Montecassino è un posto in cui potrei vivere felice, benedettina tra i benedettini, se solo mi concedessero di lavorare senza pregare.


Domani tornerò di nuovo giù. Ogni volta mi ripeto che riposerò e farò soltanto quello che voglio. In realtà so che non accadrà perché tornare a casa, dopo una lunga assenza, vuol dire in buona parte rifare il punto di una condizione che non smetterà mai di appartenermi ma di cui mi sono persa delle tappe, che ci sono delle cose da fare e anche da dire, che quello spazio mi chiede di essere altro da quello che immagino sempre quando sono aMilano. Si tratta soltanto di pochi giorni e non so bene se sia un bene o un male. Cosa farò quando rientrerò e sarà davvero settembre anche per me, che non ho fatto vacanze a luglio e ad agosto, che non ho liste da rispettare se non la speranza di non diventare mai pigra e rispettare i giorni per quello che vogliono ispirarmi di volta in volta? Cosa sarà di questo autunno con la pedalata assistita, che vorrei pacato e indolore e a cui chiedo soltanto di non essere né caldo né freddo?

Quanto sono dieci anni?

 E sono dieci. Me la ricordo quella sera. Abitavo già in questa casa da un sacco di tempo, avevo preso un micio, al tempo invitavo ancora pe...