Quando decido di fare stories su fb o su wa c’è solo un motivo: sapere chi e perché si prende la briga di andare a vedere i fatti miei. Perché pure quando succede di capitarci giusto per caso magari mentre stava sbirciando altro, di fatto, se mi ritrovo sempre le stesse persone a passare da me alla fine sono interessate a sapere proprio i fatti miei. Non lo dico io, lo dice la statistica, le visualizzazioni, la pervicacia delle solite presenze sul mio profilo. E non temo di essere smentita. Lo considero in verità pure un fatto bello perché quando le persone che passano mi vogliono bene mi ricordano che le connessioni sono fatte di materiale variabile, sono frammentarie, discontinue e che pure pensarsi per pochi secondi è un modo per tenersi assieme e vicini, sapere che condividiamo lo stesso cielo e che possiamo persino dircelo guardandoci per un attimo durante le 24 ore senza “sfruculiarci” a parole in ogni momento.
Quello che invece mi pare meno ovvio è il perché mi tengano d’occhio pure le persone (di solito colleghə) con cui manco mi saluto quando ci incrociamo dal vivo. Mi chiedo perché decidano di dover sapere quando e quanto mi sono allenata, quanto faccio la cianciosa con un vestitino nuovo, come mi piace far vedere angoli belli della mia mansarda…cioè tutte cose che non dovrebbero riguardare proprio mai chi non mi considera. Di loro io so giusto il fatto che non mi amano, che non hanno mai avuto parole buone per me, che alcune leggono pure il mio blog e lo portano in giro per diffondere odio per dire quanto sono meritevole dell’inferno…
Mi stimola questa curiosità morbosa, il pedinamento capriccioso giusto per sapere per tempo se e quando fallirò , o quando finalmente sarò meno in forma (almeno di loro), quando mi capiterà una disgrazia su cui fregarsi le mani e dire “finalmente ha avuto quel che merita”. A me certe forme gratuite di cattiveria dietro le quinte divertono sempre parecchio perché mi raccontano molto della vigliaccheria che spesso si nasconde dietro certe forme meschine di odio e di mancanza di pace interiore. Ha a che fare con il livore immotivato verso chi non corrisponde alla nostra personalissima visione del mondo e non avendo alcun diritto di farcelo sapere ci augura il male per vie traverse, aspettando, rimanendo ad osservare. È così che io percepisco gli “spioni” delle mie storie su wa, sperando ogni volta di sbagliarmi e che in realtà ci sia dell’amore non dichiarato nei miei confronti, condito da una curiosità costante e certosina verso le fonti di ispirazione che ritrovano nei miei scatti gioiosi. Sì, sì…certamente…
È da quando non ho più bisogno di conferme che piacere agli altri ha smesso di essere una mia priorità, eppure tenere conto della misura della forbice tra quello che ho deciso di essere o diventare e gli standard ritenuti normali da una società mi aiuta a stabilire l’entità di tutta la fatica necessaria ad ammettere che tutto quello che ci allontana da noi stessi non può essere definito normale, desiderabile, obbligatorio per tutti. E così tanto meglio sentirsi quella “strana” piuttosto che far pace col disagio perenne di chi si adegua per non essere additata. Meglio confessare allegramente di non avere mai sognato marito e figli piuttosto che averne avuti e sentire il peso di una condivisione mai davvero ricercata, degli affetti forzati, delle delusioni non calcolate. Eh, dice che non lo si può davvero sapere come sarebbe andata se avessi abbracciato il sacro mondo di una vita dove la norma contiene la verità del trend tradizionale. Sarebbe andata che mi sarei pentita, perché ognuno di noi sa nel profondo del proprio cuore a che patti è intenzionato scendere e a quali giammai.
È agosto, non fa troppo caldo, non è ancora il mio compleanno, colleghə maldicenti si mettono a guardare le mie stories invece di pensare soltanto alla loro di estate. Io un po’ ci godo. E un po’ penso alla statistica, alla media, alla varianza. E a tutti quelli che fanno del loro meglio. Sotto gli occhi di tutti
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