Sola andata

Sola andata

venerdì 12 maggio 2023

Pausa senza riflessione

 Dovevo soltanto infornare. Avevo già tutto pronto, sia la crostata preparata la sera prima che il pan brioche che avevo fatto lievitare tutta la notte. Mi ero alzata come sempre poco prima delle cinque e avevo subito infornato tutto. Poi, come legge morale impone ormai da secoli, ho fatto i miei esercizi, sistemato il letto, lavato i piatti, pulito il bagno, fatto una doccia veloce. Come sempre, anche stavolta ero pronta alle 6:50 per andare al lavoro. Soltanto dopo aver chiuso la porta mi ero resa conto che stava piovendo. Prendo l’ombrello, metto l’impermeabile. Esco di nuovo. No, non ce la faccio. Rientro in casa immediatamente. Poso l’ombrello, infilo la tuta, mi strucco e corro a mettermi sulla mia poltrona/letto con la ferma intenzione di stare tutto il giorno in casa per recuperare i film della wishlist e finire una serie. Così ho avvisato in ufficio che non sarei andata. E’ successo l’altro ieri: sono stata tutto il giorno su quella specie di pouf gigantesco e tanto comodo piazzato proprio di fronte alla televisione. Tutto era immerso in un silenzio quasi commuovente, forse anche grazie alla pioggia o semplicemente al fatto che finalmente i vicini di casa orrendi non ci sono più, almeno fino ad ora, provvidenzialmente, ma non canto mai vittoria su questa questione che mi fa sempre tanta tenerezza, perché mi pare quasi mettermi a confronto con la mia paura del prossimo anche quando le ragioni stanno solo nella mia testa. La realtà era che io potevo disporre di tutta quella giornata sapendo che tutto in casa era già a posto.

Certe volte è un po’ straniante avere del tempo di cui poter disporre esclusivamente a proprio piacimento: il piacere è smorzato dall’ansia di rischiare di sprecarlo facendo scelte di piacere meno vincenti di altre. Però stavolta avevo le idee chiare. Volevo solo stare seduta per tutto il tempo a vedere film e pure leggere l’ultimo Ammaniti (che è stupendo). E così è stato. Credo di non aver detto neppure una parola per tutto il giorno e di non aver pensato ad altro che a quello che in quel momento mi stavo regalando. Il pranzo era già nel contenitore precedentemente destinato per l’ufficio ed in più c’era una crostata calda ai mirtilli che avrebbe potenziato il mio benessere.

“Perché me lo merito” questo mi sono ripetuta per un paio di volte a giustificazione di un giorno di ferie bruciato senza una reale ragione né premeditazione. Non era vero: ho fatto da poco un bel viaggio e la prossima settimana torno un po’ giù per un usufruire del mio secondo blocco di ferie di quest’anno e in generale, mai come in questo periodo, non ho ragioni per dirmi particolarmente stanca. Ho visto tempi peggiori, anche di recente. E così ho pensato che il bello di gustarsi una giornata così, imprevista e anarchica, sta proprio nel suo essere totalmente gratuita, priva di meriti e premi per uno sforzo imposto. Che male c’è? Nessuno si è fatto male per questo ed io mi sono concessa il diritto, per una volta, di respirare al mio ritmo naturale, facendo caso a come possa essere percepito in modo profondamente diverso il tempo quando decidi di non pianificarlo e piuttosto che pensare alla vita che hai davanti, ti accontenti di gustarti tutta la giornata, perché in fondo è un progetto pure questo, ma con risultati visibili a più corto giro.

Non sono una persona felice, direi neppure serena. Non credo che questi siano diritti acquisiti, però continuo a fare dei tentativi, a correggere comportamenti e punti di vista, a trovare il coraggio di provare vergogna per tutte le cose sbagliate che ho detto e fatto in passato, a fare sforzi per ottenere quello che vorrei perché mi pare una condotta intimamente sensata e giusta. Però qualche volta, e senza che diventi un’abitudine, ho bisogno di deviare in modo scellerato e inconsulto dalle mie regole, di non controllare niente e assecondare un approccio totalmente selvatico al fare le cose. Fa parte dei tentativi ad essere felice. E per ora mi sembrano loro i più riusciti

2 commenti:

  1. Quando vivevo da solo - breve periodo a dir la verità -, a chi mi chiedeva il senso dell'agire in solitaria, raccontavo questa storiella (poi realmente verificatasi una volta ed a suo modo, illuminante): vivere da solo significa che ti alzi una mattina e ti sovviene l'idea di prepararti per la sera una gustosissima carbonara. Quindi ti sistemi, lavi, vesti, esci e durante il giorno culli questo proposito gastronomico, a pranzo ti tieni leggero, il pomeriggio dopo ufficio passi a comprare il necessaire, con oculatezza appassionata, arrivi a casa, ti metti comodo, pregusti il da fare, metti su l'acqua, cerchi la padella esatta e ad un certo punto, proprio quando siamo al punto di non ritorno, dici no. Puoi dire no. Non la voglio più. Facciamo altro. Ed è questa l'essenza del vivere da solo. Lo puoi fare. Non devi rendere conto a nessuno se non te, un te col quale devi ovviamente avere un ottimo rapporto iniziative/aspettative. Un te che se cambi idea così repentinamente ti dice serenamente ok. Potresti farlo vivendo con un altra persona? Magari qualcuno che hai delegato insistentemente per la ricerca del guanciale, della pasta, del parmigiano? No. Non potresti farlo, ovvero sì, ma a fronte di infinite scuse e giustificazioni.
    Se sei da solo no. Puoi cambiare idea su tutto in un amen. E nessuno avrà mai da ridire.
    Eccola la bellezza del vivere da solo. Ti pare poco?

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