Sola andata

Sola andata

giovedì 28 settembre 2023

Ora. E allora?

 Faccio un po’ fatica ad ammetterlo, eppure i fatti sono qui a raccontarmi che c’è poco da discutere: i social sono invecchiati presto e male e quella che pensavo sarebbe diventata la vera dipendenza contemporanea, con tutte le ricadute del caso, si è trasformata in un luogo sempre più scialbo, desolante, privo di guizzi e di quel grado minimo necessario per stabilire almeno un legame di appartenenza ad un contesto in cui ci si senta finalmente riconosciuti. E così, a parte gente che dispensa pillole di saggezza col piglio del mental coach appena tornato da un viaggio di quindici giorni con avventure nel mondo, oppure il polemico perennemente incazzato, o quelli che (come me) fotografano piatti e tentano la via dell’ironia per sopportare la banalità del proprio quotidiano, i social sono ormai allo stadio terminale della loro in fondo breve iperbole esistenziale. Forse non moriranno mai veramente, ma io li trovo ormai svuotati del loro fascino degli inizi, quando davvero pareva di sentirsi meno soli perché qualcuno, chissà dove, aveva contezza di te e del tuo pensiero e ti dimostrava di aver davvero compreso il senso persino del tuo non detto. Si è persa la “connessione” di chi ancora si soffermava sulla scelta di un termine, del tema dominante, di un dolore appena accennato eppure pienamente intercettato. Tutto questo per me è finito.

E allora cosa resta? Cosa ci faccio ancora qui? Per me è ancora bello poter dire questo proprio su un social, perché in fondo per noi solitari è ancora il posto migliore in cui confidarsi e far sapere quanto mi sia piaciuto il film appena visto, perché svegliarmi e scoprire di avere un archivio di ricordi che riaffiorano e scansionano il tempo aiutandomi a conservare la rotta mi pare ancora un pretesto simpatico per fissare le coordinate di un giorno nuovo che ricomincia, fosse anche solo per decidere di deviare. Non mi piacerebbe non avere più un profilo fb, mi sembrerebbe di non avere più riferimenti o un contenitore spazioso nel quale custodire un pensiero, una sensazione, un’esperienza. Eppure ho comunque la sensazione che qualcosa si sia definitivamente concluso. Non mi dispiace e non mi fa piacere, che è un po’ il sentimento che mi domina in quasi tutte queste sfocate giornate di transizione.

Quando è morta la Birkin ho recuperato al cinema il documentario che la figlia Charlotte le ha dedicato riportandola nelle case e nei luoghi in cui era vissuta in quel magico periodo che l’ha resa eterna per la sua bellezza fuori da ogni canone e quel modo lieve eppure potentissimo di definirsi attraverso le scelte artistiche e gli amori. Una vita pazzesca raccontata in un omaggio che non ho apprezzato perché “osava” vederla nel suo essere diventata una donna fragile, appesantita, malata, spogliata del fascino misterioso che l’aveva, senza che lei lo avesse fatto con precisa volontà, accompagnata per tutta la sua vita. Non credo che sia del tutto lecito intaccare le icone mostrandone un’autenticità che è tale solo per gli impietosi meccanismi del tempo e delle atmosfere che si sono perdute. Non so perché dico questo mentre penso al precoce “invecchiamento” dei social. Forse in qualche modo le ragioni sono le stesse: scrivere, fotografarsi, condividere pensieri e luoghi su un social vuol dire immortalare un momento ogni singola volta che ci si espone, ma ricordare quello stesso momento dopo molti anni è la prova di come le cose cambino in modo prepotente e al tempo stesso impercettibile, mentre la fatica di riconoscersi contrasta con la coscienza che in fondo siamo ancora inequivocabilmente noi stessi, la sensazione di non aver fatto veri progressi, anzi di aver perso tasselli importanti delle nostre solidità.

Scrivo un po’ di meno perché è così tanto tempo che lo faccio che dispongo di una “coda” di ricordi ormai così lunga che comincio a faticare a crederlo. Ero diversa. Ma ero proprio io. E faccio sempre più fatica ad accettarlo. Ma scriverlo mi pare ancora consolatorio

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