Sola andata

Sola andata

martedì 8 settembre 2020

pausa pranzo

 Come quando ti buttano senza preavviso in piscina per la prima volta quando sei troppo piccolo per ribellarti. Superi quel timore (qualche volta è un vero trauma) soltanto vivendoti meglio che puoi una situazione a cui non puoi opporti. Un atto di prepotenza che ha in sè l’ineluttabile dolore che affianca la crescita. Così mi sono sentita io quando ho varcato la soglia della mia cuccia milanese, quella da cui mi sono assentata per un tempo che non mi ero mai concessa da quando sono qui. Avevo persino rimosso l’odore  di calce dovuto al lavoro lasciato in sospeso per rinnovare il bagno. Che delusione pure questa. Gli errori di progettazione imporranno un ulteriore prolungamento dei tempi, io sarò costretta a lavorare da casa e tutti i benefici effetti del sole e del mare saranno inesorabilmente azzerati. Tutto in perfetto mood 2020 direi. In fondo la sto prendendo bene.

Dicevo che mi ritrovo catapultata nel mio ufficio con le mia carte, intatte come le avevo lasciate, e con altri documenti appoggiati sulla sedia a testimonianza del passaggio di chi era qui mentre io cercavo di fissare un ricordo accettabile di me in bikini, o di qualcosa di appassionante o mentre guardavo un film per esorcizzare la noia del tapis roulant. Chi lo sa cosa viveva Milano mentre non mi  tratteneva a sè.

 In fondo io ho semplicemente trascorso le ferie a casa mia, non ho esplorato posti nuovi in cui testare le colazioni e il mare cristallino. L’anno scorso ero a Venezia e provavo a mediare lo stupore per un’esperienza bella come quella della mostra col disagio delle file, della folla e di  una città che trovo ostile e avida, prima che bella e poetica. 

È da ieri che non faccio che pensare a un film che ho visto su Netflix per due volte di seguito. “Sto pensando di finirla qui” di Charlie Kaufman mi ha letteralmente lasciato senza ossigeno, pietrificato come non mi capitava da tanto tempo. Forse per questo il viaggio di ritorno mi è parso brevissimo. Ci sono tanti modi di giocare con la “sregolatezza temporale“ e Nolan non è l’unico a cimentarsi con questo genere di esperienza narrativa, onirica e legata ai temi dell’esistenza e della condizione umana. Per fortuna. Lo stile di Kaufman tocca corde differenti ma che mi riguardano molto più da vicino. Dopo ogni suo film sento che l’infelicità abbia il diritto di rientrare a pieno titolo nell’atteggiamento razionale di un individuo e che, come tale, esso non sia nè colpevole nè vittimistico. Un lavoro di scrittura e di adattamento a cui mi inchino con ogni riverenza.

Ho ricominciato. Era tutto tranquillo qui in ufficio. Ma io lo so già che in realtà ho un sacco di cose da fare. La mia cuccia milanese mi pare più piccola del solito. Il bagno è ancora da finire e io proverò a lavorare da casa come gli altri colleghi. 

Stanno per cambiare un sacco di cose


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