martedì 1 aprile 2025

Ricomincio da più o meno chissà

 Primi tre mesi andati. Non che questo voglia dire chissà cosa, ma almeno l’inverno è superato, i prossimi obiettivi sembrano prendere forme meno indefinite e la luce racconta un umore che cerca a tutti i costi di rifiutare la cupezza. Rinnegare categoricamente la trappola dei buoni propositi senza smettere di fare cose, andare, muoversi, fuggire in ogni modo dal vuoto…tutto aiuta in questa perenne condizione di transito inarrestabile finché si hanno abbastanza risorse per farlo. Cosa è successo? Potrei anche soltanto farmi bastare un bel viaggio in America con la voglia di ritornarci quanto prima, perché mica sapere che Trump è l’uomo sbagliato in un tempo che pare cucito apposta per lui mi fa pensare automaticamente che certi luoghi non meritino il mio incanto e la voglia di esplorarli ancora e ancora.

E poi continuo a sperare che si sblocchi una situazione che mi sta molto a cuore e per la quale ho deciso che non taglierò i capelli per tutto il tempo che sarà necessario. E’ una cosa stupida lo so, ma quando tieni tanto a qualcosa la superstizione, o se si vuole un qualche piccolo atto di fede, sono molto consolatori. Chissà. Per il resto mi pare che la vita proceda secondo i canoni di una gioiosa prevedibilità, fatta di routine, menu preparati per tutta la settimana, allenamenti seguiti con la disciplina di chi deve andare a vincere tutto (mentre di fatto stramazzo a terra ogni volta pensando che sia ormai l’ultima). Il mio problema è che penso troppo ai domani. A tutti i miei possibili domani troppo carichi di cose che non saprei dove trovare nei miei oggi. E così non faccio altro che cercare di creare tutto lo spazio possibile per accoglierli al meglio, predisporli esaltando un vuoto senza sapere bene in che modo riuscirò a riempirlo. E mi accorgo chesenza ammetterlo, anche io sono cascata nella trappola dei propositi per l’anno nuovo secondo un automatismo che ci vuole sempre tutti proiettati verso qualcosa d’altro o di aggiuntivo rispetto al nostro presente. E invece io vorrei amare il mio qui ed ora, vorrei non volere altro che quello che mi è toccato adesso, pur nella sua insensata incompiutezza, semplicemente perché è già assai meglio di quello che mi è toccato ieri e in tutto il mio passato anche meno recente. In fondo è questa la vera forza di chi non ha ancora capito bene niente di niente di sé e di quello che gli è toccato fare: non avere nostalgie e trovare assurdo anche solo ipotizzare di tornare a qualche momento del passato. Io neanche per idea. Però mi ricordo con tenerezza di certe mie ossessioni ormai scomparse e della forza incontenibile che generavano:che ne so, per esempio credo di essermi laureata soltanto perché pensavo che il mio prof fosse un supereroe da conquistare a tutti i costi…ed altre inenarrabili burinate esistenziali della mia giovinezza. Già, sui sentimenti non raggiungerò mai il livello minimo di alfabetizzazione e per fortuna non c’è modo di rimediare ormai. Oggi mi rimane la venerazione per Moretti, Vasco, Lady Oscar, Lynch…cose innocue per le quali posso ancora riprodurre struggimento infantile senza nulla pretendere. 

E’ bello non assumersi l’impegno di fare propositi, perché tanto in qualche modo una strada per nascere crescere e farsi riconoscere quelli la trovano sempre. Pure in primavera. Persino se hanno bisogno di me per venire al mondo. Vedremo…                               

sabato 15 marzo 2025

Quanto sono dieci anni?

 E sono dieci. Me la ricordo quella sera. Abitavo già in questa casa da un sacco di tempo, avevo preso un micio, al tempo invitavo ancora persone a cena pensando che fosse un metodo infallibile per costruirsi una rete di relazioni e radicarsi in un luogo dove non avevo nessuno, mi allenavo tanto ma ero molto più fuori forma di oggi, viaggiavo da sola già da un po’ di anni ma avrei preferito farlo con persone simpatiche e gioiose con cui condividere esperienze. Ma più di tutto sapevo che c’era qualcosa che non andava e non sapevo come sbrogliare matasse di perplessità, ansia, rapporti umani non soddisfacenti, solitudini antiche. E così quella sera mi ricordai che nel 2008 avevo già dato vita ad un blog che mi aveva dischiuso mondi del tutto nuovi e del quale avevo capito subito lo spirito e il mood che avrei voluto raccontare. Poi, con l’avvento di fb tutti noi militanti della scrittura “fluviale” ci disperdemmo nei mille rivoli delle connessioni insignificanti, basate sulle micro battute e le riflessioni da mezzo minuto, sui filtri alle foto e i meme. Tutto bellissimo (mai pensato male di nessun social al mondo. Lo trovo stupido come pensar male dei coltelli perché possono anche uccidere), ma il blog mi faceva proprio bene. E ricominciare ad averne uno mi ha fatto ricordare cosa intendevo. Nel frattempo avevo cambiato ogni cosa della mia vita, eppure il bisogno di mettere dentro uno spazio come questo fatti, pensieri storti, sventure o percezioni del mondo era lo stesso. Ho scritto anche cose così volutamente cattive che quando mi sforzo di essere una persona migliore ritorno a episodi precisi per avere riferimenti sulla mia parte malefica che sento di dover preservare.

Per esempio proprio oggi mi sono stupita quando ho constatato che sono esattamente nove anni da quella volta che scrissi tutto il mio disprezzo per il viscido collega foggiano per quella volta che gli feci gli auguri per la primogenita e lui col piglio di chi la sapeva lunga sulla vita mi diceva cose tipo “tu non puoi capire” e simili squallide amenità. E io, sapendo che colleghi professionisti della maldicenza avrebbero letto questo blog, gli scrissi tutto il mio disprezzo. Il giorno dopo venne a sapere anche lui quello che avrei voluto dirgli senza abbassarmi a litigarci dal vivo e mi finsi stupitissima. Che goduria, pari solo al giorno in cui se ne è andato dall’ufficio. Che meraviglia scrivere quel che si pensa evitando il confronto diretto con chi si disprezza. Ho usato questo metodo anche altre volte per le problematiche d’ufficio e i risultati sono sempre stati quelli voluti. Non è vigliaccheria, è dignità, eleganza, presa d’atto che c’è una umanità a cui non ha senso prestare ascolto. È strategia di sopravvivenza.

Ma scrivere è soprattutto liberatorio. Ci sono giorni in cui penso di considerarlo alla stregua di una seduta di analisi, al punto che qualche volta l’equivalente in moneta di quello che avrei pagato per lo psicologo e mi ci compro una sorta di piccolo premio di “consolazione”, dagli amori tossici, da quelli solo immaginati, da un lavoro che forse non sarà mai giusto per me, da quelli che facevano rumore al piano di sopra e poi ad un certo punto sono andati via e a me non pareva vero, dai lavori per il bagno nuovo, da una città che mi affatica e che però non potrei mai lasciare, dalle “mancanze”, dai ricordi orrendi, dai problemi che non potrò mai risolvere, dalla me tutta sbagliata e che non ho amato e dalla quale vorrei fuggire o che vorrei ridisegnare senza quelle parti. Dai ricordi pesanti e dalle colpe di cui sono responsabile. Dalla fatica di accettare che buona parte di tutti gli sforzi compiuti erano inutili, evitabili, dai risultati irrisori. Come faccio a saperlo? Lo sento e questo mi basta.

Il blog ha dalla sua la magia di illudermi di essere sola e senza filtri e allo stesso tempo mi consente di tenere una porta socchiusa per chiunque abbia voglia di sbirciare. Non che questo cambi la vita di nessuno. Eppure, non so come e neppure perché, in qualche modo funziona



mercoledì 5 marzo 2025

Giù dalla torre

 Quanto tempo. Quando non metto insieme un po’ del mio tempo in parole ho sempre come l’impressione che la vita di cui vorrei tener conto mi scivoli via prima che possa accorgermi di lei. E invece credo che sia bastato anche semplicemente esserci, godermi (letteralmente) il viaggio assieme a tutti i timori da avventuriera maldestra eppure curiosa, che si prefigura gli scenari peggiori possibili per poi calmarsi quando scopre che è tutto meno complicato di quanto immaginasse. Ma pure più bello e sorprendente di come sperasse. Ma ormai sono qui, in una Milano più calda e luminosa di quando l’avevo lasciata, di nuovo al lavoro e alle prese con le serie che avevo lasciato incompiute, con i pranzi da preparare per la settimana e questa piccola casa che prova a contenermi come meglio può. Sono tornata alle mie cose forse rendendomi conto soltanto ora delle proporzioni e delle altezze con cui mi sono misurata in una città che pure è così semplice da percorrere ed esplorare. Ad un certo punto ero di fronte alla Trump Tower e ho pensato che è ovvio che uno che possiede questa specie di piramide stilizzata poi gli viene naturale pretendere qualunque cosa.

Non ero pronta alle temperature così miti che ho trovato qui a Milano. Ho ancora le coperte sul letto e vestiti troppo pesanti nell’armadio e sono tornata troppo in fretta ai miei focus soliti. Dovrei ritinteggiare casa ma la sola idea mi devasta. Eppure ci penso da mesi. È strano come basti allontanarsi un po’ dal proprio abituale perimetro per ristabilire priorità e aspettative che prima parevano irrinunciabili

L’azienda che produce gli integratori che consumo abitualmente ha annunciato di punto in bianco che chiuderà  a giugno e la cosa mi ha fatto un effetto stranissimo: ti abitui a qualcosa, fino al punto di dare per scontato che l’avrai per sempre a disposizione, e poi all’improvviso questa sparisce senza che tu abbia minimamente pensato a una simile eventualità. Chissà come troverò l’alternativa e quanto impiegherò per convincermi che mi faccia altrettanto bene.

Ho recuperato la serie degli 883 e mi è piaciuta moltissimo, trovando la conferma che siamo bravi solo quando raccontiamo la piccola provincia paranoica e un po’ sfigata. Ma è con “the withe lotus” che sento che a scrivere certe storie e a definire quei personaggi sono stati talenti che hanno fatto tutt’altre scuole.

Sono stata via due settimane e mi sono accorta solo di quanto siano cambiate certe cose. Per fortuna ho già sonno e sono soltanto le 9 e mezza. Almeno questa non mi è nuova. Menomale



giovedì 6 febbraio 2025

Finte luci d’inverno. Di veri motivi di gioia

 Oggi c’è un sole pazzesco qui a Milano. Sono uscita in pausa pranzo con la precisa intenzione di assorbire più luce e calore possibili e illudermi così che fosse una breve interruzione anche per un inverno, in fondo piuttosto mite, ma pur sempre grigio e per me da sempre portatore sano di carichi aggiunti di fatica e cattivi pensieri. Tra un paio di settimane farò un viaggio che sognavo da tempo. È un posto un po' lontano e con diverse tappe. Speriamo bene.

Quando mi capita di camminare in zone molto silenziose e poco frequentate faccio strane connessioni tra quello che mi ritrovo ad osservare e le cose che mi passano per la testa quando mi riproietto nel passato. Oggi ho ripensato a quando abitavo a Suzzara (ormai 16 anni fa) e mi pareva che mi sarebbe piaciuto restarci per sempre pur essendo una cittadina piccola e nella quale non succedeva quasi niente. Avevo conosciuto un prof di filosofia che organizzava un cineforum che prevedeva la scelta di film anticipata da dibattito e lettura del corrispondente libro da cui era tratto. Diventammo amici e tanti furono anche i pomeriggi di lunghe camminate e racconti che ci videro assieme in quei gelidi sei mesi nella bassa padana. Quando sono partita non c’è stato modo di restare in contatto (colpa mia, non sono brava in certe cose) eppure lui, dopo otto anni, mi ricontattò per dirmi che si era gravemente ammalato e che io ero tra le cose care che voleva conservare di quegli ultimi scampoli di vita. Ora non c’è più e quando penso a lui sento addosso la spiacevole sensazione di non essergli stata abbastanza grata per l’affetto davvero troppo grande che mi aveva concesso durante quei pochi mesi di reciproca compagnia. Ma ho imparato a fare più attenzione al valore di certi gesti.


Da quest’anno faccio smart working anche io. Non me lo sono concesso prima perché avevo il timore di rompere una routine e quindi la certezza dei passaggi per fare tutto quello che devo. E a me questo spaventava moltissimo. E così, proprio per questa ragione, ho pensato che fosse doveroso rimodulare il mio quotidiano in nome di una minore rigidità nelle abitudini e nell’approccio alle giornate in generale. Essere flessibili può essere un facilitatore dell’esistenza e io devo cominciare a capire che non c’è colpa in questo e approfittarne prima o poi.


C’è il sole ma è ancora inverno. E io d’inverno vorrei solo mettermi in stand by in attesa di periodi nei quali mi sento come con i vestiti comodi. L’inverno è pieno di cuciture che mi segnano la pelle e per quanto mi copra c’è sempre una parte di me (le mani, il collo, la testa) che ha più freddo del resto del corpo. Non c’è armonia di sensazioni. C’è qualcosa che rimane inconsolabile. L’inverno è stonato per definizione. Lo so che questo può capitare anche alle altre stagioni per altri motivi. Ma io ho un problema con questa fase dell’anno che parte dalla carenza di vitamina D, si estende alle colpe del passato per arrivare dritta ai geloni alle mani. E quando tutto questo passa è già troppo tardi. I segni restano addosso per sempre, pure quando l’abbronzatura estiva li copre e il caldo mi distrae dai loro effetti o la luce mi ricorda che non esiste solo il grigio. Eppure io ho bisogno dell’inganno delle altre stagioni per riprendermi dalle crude verità dell’inverno. Ma anche una giornata di finta estate come quella di oggi, alla fine, non mi pare mica un regalo da poco  

lunedì 20 gennaio 2025

La solitudine. Prima dei numeri

 Me ne accorgo da dettagli impercettibilicome l’acquisto compulsivo di integratori dal nome improbabile che mi fanno pensare a delle iniezioni di energia simili a quelle illegali, dal rientro a casa che coincide con l’urgenza di andare a dormire prima possibile, oppure dall’organizzazione delle giornate in modo da minimizzare la dispersione di energia e le cose da mettere a posto, il bisogno potenziato di silenzio e isolamento. Questo inizio anno mi ha trovato stanca in quella maniera per la quale mi sento colpevole persino ad ammetterlo visto che è senza una spiegazione reale. Non lavoro in miniera, non faccio un lavoro stressante, non gareggio per le Olimpiadi. Però è così, mi sento come svuotata e priva di ogni slancio. Ho lasciato intatte solo le cose che non riesco a smettere di fare: allenarmi secondo il calendario, andare al lavoro, coltivare le mie due o tre passioni residue fatte di MUBI e libri di poche pagine. Per il resto ho solo bisogno di dormire e non cedere alla tentazione di fare qualsiasi cosa di nuovo. Se non mi conoscessi penserei che è così che cominciano le depressioni striscianti, quelle che colpiscono soprattutto persone dall’indole malinconica che col tempo finiscono per conviverci senza l’urgenza di venirne a capo facendosi aiutare da qualcuno. Mi conosco e so di non attraversare quella condizione perché ho troppo rispetto per la fragilità di un depresso per permettermi di lamentarmi della mia abulia da transito verso un anno che non sento ancora come nuovo. Forse è solo questo Blue Monday che mi fa parlare, o la tristezza infinita che provo per la morte di Lynch a cui non ero affatto pronta e che mi ha addolorato oltre le previsioni. Il fatto è che c’è qualcosa dentro questi giorni strani che mi respinge altrove, come se volesse escludermi e mi facesse pesare il fatto che io ci sia ugualmente. E io vorrei pure poter farmi da parte, ma non mi è davvero possibile. 

Ogni tanto fb, che ormai pare conoscermi piuttosto bene, mi proporne pagine di “self-improvement (di solito si tratta di elenchi motivazionali per lo più destinati a sportivi o a persone poco integrate nel consesso sociale che devono potenziare aspetti del loro carattere considerati fragili) e di solito l’esortazione maggiormente declinata è quella di imparare a stare da soli il più possibile. L’idea di fondo è che gli altri siano solo una distrazione dispersiva e che soltanto restando concentrati e totalmente focalizzati sui propri obiettivi si possa migliorare come persone, così che soltanto dopo il proprio percorso di evoluzione e di crescita in solitaria si possa tornare nel mondo ed essere d’aiuto e di esempio per qualcun altro. Devo dire che questa cosa mi ha sempre convinto molto: anche io credo che il concetto di uomo come “animale sociale” abbracci un malinteso senso del ruolo di ciascuno di noi nelle relazioni umane: è vero che nessuno sopravvive senza l’altro perché siamo inevitabilmente il frutto di una rete di relazioni di dipendenza “organizzativa”, ma essere un animale sociale non vuol dire necessariamente essere un animale “socievole” ed è per questo che esistono i solitari e quelli che hanno deciso di rompere il patto sociale in nome di una vita fatta di isolamento per connettersi meglio con se stessi. Io credo che questo sia assolutamente possibile sia come scelta esistenziale che, a maggior ragione, per periodi temporanei della propria vita.


Ho pensato a lungo a questa cosa perchè solo qualche sera fa sentivo Bersani in un talk affermare esattamente il contrario. Lui diceva che la destra (ormai) “globale” sta affermando una pericolosissima idea di individualismo che a sua volta è fonte non solo di guerre e odio tra i popoli ma anche, nelle coscienze dei singoli, delle forme di individualismo e di diffidenza esasperata nei confronti dell’altro. Perché è questo il modo in cui opera il tardo capitalismo e chi vede in una società sfilacciata e fragile un modo facilitato di esercitare il potere. Ovvio che questo sia assolutamente vero. Eppure rimane il fatto che io non ce la faccio, che sento di aver bisogno vitale di pensarmi sola per quanto più mi sia possibile per poter ricaricare le energie e che non riuscirei ad offrire tempo di qualità tale da accrescere il valore del confronto dialettico rispetto alla mera riflessione individuale. Non è facile ammetterlo, eppure ci sono tempi in cui la fuga da tutto, almeno per un po’, appare come la sola salvezza possibile. Se non per tutti, probabilmente per qualcuno. Sicuramente per me.    

Ricomincio da più o meno chissà

  Primi tre mesi andati. Non che questo voglia dire chissà cosa, ma almeno l’inverno è superato, i prossimi obiettivi sembrano prendere form...