“Pensavo peggio”. Ricorderò questa estate per il numero insospettabile di volte in cui me lo sono ripetuto. A volte mi basta pescare dalla voragine di aspettative negative per le quali mi ero predisposta per ritrovarmi a danzare dentro spazi di meraviglia fatti solo del peggio che non c’è stato. Mi ero preparata a rivivere nottate di liquefazione da clima torrido milanese tipico degli ultimi sette otto anni e invece fino ad ora soltanto temperature gioiosamente in linea con quelle da sopravvivenza umana. Ero rassegnata a farmi una ragione di un progetto andato a monte e sul quale fantasticavo da circa due anni, ho provato ad avere fiducia in questa città e lei mi ha risposto di nuovo e con più precisione a quello che cercavo. Prometto che questa poi la racconto con dovizia di dettagli ma non prima che tutto sia compiuto perché di scaramanzia nessuno è mai morto. Ho rinnovato il mio abbonamento ai musei della Lombardia e ho trascorso gli ultimi due mesi a sentirmi ogni volta più fortunata a vivere in una città vittima incolpevole della retorica facile e approssimativa sul suo essere diventata elitaria, senza pensare che la sua parte migliore è accessibile a tutti, assieme alle stesse case quando non le cerchi in pieno centro in mezzo a quartieri già saturi da almeno vent’anni. Ma questa è un’altra storia.
“Pensavo peggio” ha in sé il respiro di sollievo di quelli che non vorrebbero altro che evitare l’apocalisse augurandosi, nel caso, di soffrire il meno possibile. E’ la rassegnazione di quelli che non hanno mai avuto pretese ma poi si accorgono che ci hanno provato così tanto e con tale intensità che alla fine va bene, meglio di quanto potessi sperare. A volte addirittura benissimo. Fiduciosi che in fondo “aiutati che Dio ti aiuta” vale pure se non sei credente.
“Pensavo peggio” quando faccio i conti con i miei anni che si sommano e mi chiedo per quanto ancora riuscirò a fare cardio e pesi senza, un bel mattino, ritrovarmi a terra con un corpo che ha deciso di smettere di assecondarmi. In realtà me lo dico pure quando mi riescono certe posizioni bizzarre dello yoga di cuiprima o poi riuscirò a capire e apprezzare l’essenza profondaperché i miei “pensavo peggio” hanno uno spettro amplissimo che spazia tra le alte prestazioni decrescenti alla tranquillità dell’anima forse mai nata.
Ho attraversato questo mese con una temperatura amica che mi ha consentito di muovermi tra una quantità di cose che non avevo neppure vagamente preventivato, traghettando tra eventi di pura fortuna e la riprogrammazione repentina di cose che (forse!)accadranno a breve. Se pure agosto diventasse un mese rovente potrei dirmi comunque contenta persino per tutto quello che non è stato.
“Pensavo peggio” è il gusto di non avere ragione mentre eravamo già pronti alla delusione. Se dovessi pensare alla felicità me la racconterei proprio così