Sola andata

Sola andata

venerdì 15 marzo 2019

Un riflesso da trenta secondi

Direi che non mi convince molto. Non mi ha mai convinto molto la frangia sul mio viso così ovale. Lo sapevo già ma avevo proprio voglia di cambiare in modo rapido e senza conseguenze irreversibili. I capelli crescono, oppure faccio la piega ai lati e metto un po’ di fermagli...insomma, all fine il buon vecchio luogo comune che se una donna taglia i capelli...beh insomma...quelle fesserie lì che si dicono per sottolineare le paturnie femminili senza fondamento. E così se è vero che mi piacevo un po’ di più prima, lo è altrettanto che mi dispiaccio un po’ meno adesso.

Tra un po’ fanno dieci anni che sono a Milano. Un paio di settimane fa mi ha contattato l’anziana signora presso cui ho abitato per tre mesi successivi al mio arrivo in questa città. Quando andai via le feci presente la mia difficoltà a conservare i rapporti quando viene meno la continuità o una frequentazione dettata da necessità e le chiesi scusa se l’eventualità che non ci saremmo più riviste si sarebbe poi rivelata fondata. Lei capì. Ci augurammo il meglio e poi ognuno per sè. E invece mi ha cercato per dirmi che la piantina che le regalai ormai tanti anni fa, continua a darle fiori tutti gli anni in questo periodo e che tutte le volte che succede mi pensa e si chiede come me la stia passando. Credo che sia una cosa molto tenera che restituisce almeno in parte il senso di certe distanze che considero come parte necessaria di un percorso concluso. Non credo che io la contatterò mai.

Quando vado in metro mi capita sempre più spesso di osservare il mio viso nel riflesso del vetro del vagone. Tra una fermata e l’altra osservo i segni di espressione sempre più profondi che scorgo in modo ancora più evidente di quando mi specchio a casa. Forse perché è un riflesso grigiognolo, su un vedremo con lo sfondo nero, in un contesto dove di solito non ho espressioni facciali significative, o sono concentrata a conservare un equilibrio sufficiente a non pestare i piedi a chi mi sta davanti. È in metro che prendo davvero atto di tutto il tempo che è passato e che il mio cambio di
vita è coinciso con l’abitudine a considerare la metro il vero simbolo di questa rivoluzione toponomastico-esistenziale. Ricordo perfettamente il riflesso del mio volto sulle mie prime metro, quelle di dieci anni prima per l’appunto, avevo la frangia anche allora ma poi per il resto ero abbastanza diversa da oggi. Non più bella, neppure più espressiva, ma ero davvero tutt’altro nella mia percezione di me stessa. E quel vetro, quel maledetto vetro non riesce a farmi capire cosa sia così diverso a parte il collagene che devo aver espulso ad ogni nuovo abbonamento annuale urbano.

Il mio unico guru di sempre, quello per cui sono totalmente acritica sia che parli di principi escatologici che di tubi per sturare cessi otturati, è Gianluca Nicoletti. Di lui mi appassiona il modo di ordinare il pensiero e poi di tradurlo in splendido eloquio. Credo che potrebbe chiedermi qualsiasi cosa ed io mi attiverei in ogni modo per assecondarlo.
Alla radio qualche volta propone un giochino: chiede ai radio ascoltatori di raccontare la propria
epica individuale in trenta secondi. Non di più nè di meno. Lui sostiene, e poi lo dimostra, che sia un
tempo più che sufficiente per raccontare un episodio, una delusione forte, un’intuizione, una svolta dell’esistenza...capaci di dire praticamente tutto di noi.
Il giochino funziona sempre, eppure, se lo chiedesse a me non so bene cosa prenderei davvero in
considerazione. Vediamo un po’...
(...cronometro...)

Ho trascorso tutta la perte iniziale della mia esistenza in una famiglia piuttosto rigida e anaffettiva, sofferto di solitudine, di disturbi alimentari, per mia sorella, per uomini che mi hanno trattato tutti allo stesso modo, per la provincia. Poi mi sono allontanata da tutto, ho ricominciato tutto da capo. Ma, a parte la metro al posto della provincia, trovo ancora conferma di tutto quanto era già stato.
E così mi concentro ancora una volta sul mio viso riflesso sul vetro con lo sfondo nero e mi chiedo come faccia a sembrarmi così diverso da quello di dieci anni fa se poi sono sufficienti trenta miserrimi secondi per poterne dare contezza. Che mistero...
(...sì...direi che nei trenta secondi rientro alla grande...)

2 commenti:

  1. Nei 30 secondi ci rientri, ma devi leggere velocemente il paragrafo finale.

    Bella l'idea di riassumere in 30 secondi un evento significativo.
    Del tipo (rimanendo in tema):

    "Dieci anni fa passavo il tempo in metro osservando il ciuffo dei miei capelli castani. Ora non più."

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