Sola andata

Sola andata

lunedì 27 luglio 2020

Era proprio necessario? La domanda è mal posta

C’è una cosa che mi imbarazza moltissimo e della quale sono la prima a stupirmi. Da un po’ di tempo ho scoperto che qualche avventore legge dei miei post risalenti al 2015. Mi sono persino incuriosita per quei titoli ormai estranei anche a me stessa, ci clicco sopra e mi metto a rileggerli. Il più delle volte mi ritrovo catapultata in questioni ormai sopite da tantissimo tempo, a rivivere sensazioni evaporate e rimpiazzate da tutt’altro, risolte in una bolla assieme a tutti gli equivoci dipanati molto banalmente dalla prova dei fatti. È tutto così strano ciò che viene osservato con gli occhi e la consapevolezza del poi. Ma quello a cui non avevo proprio pensato è il mio imbarazzo attuale: vorrei dire al mio lettore di oggi che quelle cose sono tutt’altro da come le vivevo io a quel tempo, che oggi potrei giurare che non mi soffermerei con quei termini su certi episodi. Addirittura si è messo a leggere un post dove raccontavo di aver dato un bacio a tradimento a uno. Sì, so di averlo fatto davvero (e fu l’unica volta in tutta la mia vita in cui mi sono ritrovata a fare una cosa tanto assurda) ma detta così come l’avevo scritta mi dipinge come una pazza bisognosa d’affetto. In realtà fu una cosa molto buffa, tenerissima, dettata da sentimenti che ho deciso di non provare mai più perché non rappresentano più la mia attuale grammatica dei sentimenti. Vorrei dirgli che adesso sono proprio un’altra persona e che faccio i conti con dilemmi di tutt’altra natura che mi tormentano già da un po’ e che sembrano chiedermi più o meno sempre questo: “Ne valeva la pena?”.

Tranne che per le questioni sentimentali mi definirei un’assoluta testarda: se la mia motivazione è seria io proprio non mollo. Posso starne certa. Invece per tutto il resto, quello che non concerne la volontà, mi rendo preda esclusiva degli avvenimenti. È stato così che ho subito senza strappi la mia destinazione lavorativa: prima nelle Marche, poi nel mantovano. E poi a Milano. Mete mai scelte che ho sempre considerato frutto di un destino da assecondare. È stato così che ho deciso di comprare la casa in cui vivo e poi di trovarmi a subire il vocione di un detestabile uomo grassissimo che parla tutto il tempo con chissà chi dall’altra parte del mondo per notti intere. È stato così che la mia naturale attitudine alla tranquillità e al silenzio viene indebitamente compromessa da mesi.

Tantissimi anni fa ho avuto un fidanzato (l’unico che abbia presentato ai miei come tale e del quale conoscevo a mia volta la sua famiglia) che mi invitava a casa dei suoi solo perché sua madre mi insegnasse a cucinare come lei e che una volta, al telefono, mi illustrò un decalogo sulla buona moglie: si raccomandava che non mi trascurassi mai e a tenere sempre in ordine la casa. Giuro che questo mi è successo davvero. Ero molto giovane ma quella cosa fu per me un vero trauma. Con gli anni ho conosciuto uomini anche peggiori e oggi so che forse incappare in certi soggetti sia in qualche modo tutta colpa mia, nel senso che con altre donne sarebbero degli uomini meravigliosi. Come me invece diventano terrificanti. Continuo ad essere fatalista ma su questa cosa qui vivo di rassegnazione ormai pacificata.

Vorrei dire al mio lettore dei miei cinque anni fa che oggi ho risolto un sacco di quelle questioni. Che certi problemi non me li pongo neanche più, che altri li affronto con una risolutezza che sorprende persino me e che questi anni si confrontano con una persona sempre meno entusiasta del prossimo e del futuro, con la nuova dotazione di una buffa e pacificata perplessità sul presente.
Vorrei fargli sapere che il mio entusiasmo per Milano oggi mi appare progressivamente ingiustificato, che sono meno infelice di cinque anni fa ma infinitamente più stanca, che ho creduto un paio di volte di innamorarmi e invece ho scordato tutto e tutti senza considerarmi vittoriosa per questo.

“Ne valeva la pena?” La risposta esatta è no. Oggi so che la pena non vale mai niente di niente. Come un sacco di cose necessarie. Ma del tutto inutili.

P.S.ho detto all’amministratore che il vicino è insopportabile. Mi ha detto che adesso glielo dice lui. Quanto è normale pretendere di stare un po’ in pace? A proposito di domande poste male...

2 commenti:

  1. Pensa fra cinque quando in un post ti rivolgerai al lettore che leggerà i post di cinque anni prima e gli dirai:
    "Il vicino sudamericano è un problema che non mi pongo più. Pensa lettore, per persuaderlo a non urlare, in segno di amicizia e di buon vicinato, gli offro una fetta della mia torta allo zenzero, limone e arsenico, e lui che fa? La divora, ci beve insieme mezza bottiglia di Chicha de Muko e oplà... si affloscia".

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