Sola andata

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domenica 11 novembre 2018

-Come lo senti il male? - Male, ma con piacere

Sono solo pochi anni che lo considero un prodotto irrinunciabile. Credo che la generale avversione all’uso di medicinali e palliativi mi abbia portato a sottovalutarne la assoluta necessità che oggi gli attribuisco a pieno titolo. Io non voglio vivere senza almeno un antidolorifico in casa. Cominciai per via di un mal di denti per cui arrivai a svenire per il dolore e da allora ho capito che noi poveri mortali saremo anche nati per soffrire ma che sarebbe il caso di limitare le casistiche alle volte in cui possa davvero valerne la pena: direi quasi mai, oppure se la sofferenza è una forma di allenamento fisico, spirituale, intellettuale, emotivo per plasmare quel dolore in piacere. Tutto il resto è “banalmente” male.
Dopo quel mal di denti il dolore fisico mi ha colpito nella forma di infortuni, mal di schiena, mal di testa, contratture...e tutte le volte c’erano degli Oki a darmi un sollievo quasi immediato e io me ne stavo lì ad intercettare il momento esatto in cui cominciava a fare effetto, pregustando le ore in cui avrei di nuovo fatto movimenti fluidi e tutte le normali attività che tali non sono quando stai male e non puoi sottrarti alle cose da fare. 

C’è qualcosa di miracoloso nei palliativi, e in generale nelle anestesie, hai un male ma non lo senti, puoi tenertelo facendo quello che ti piace o che è necessario e che altrimenti non ti sarebbe possibile. Aspetta...ecco...la sento l’obiezione...come dici? Ah già, il palliativo non è una soluzione, è solo una specie di inganno temporaneo, anche rischioso se non stai attento. Ah già, mi stai dicendo che senza la percezione del dolore potrei fare cose che peggiorano la causa del male e poi i palliativi, come le droghe, creano dipendenza. Eggià, bisogna stare attenti...bisogna stare attenti agli inganni che ci raccontiamo per stare meglio, siano essi intrugli di chimica ben assortiti o le cose che ci raccontiamo per consolarci di un’evidenza che ci rema contro, o la speranza che ci colora le attese pure se non si capisce bene quando si realizzeranno effettivamente, o un bel film che ti toglie dal quotidiano almeno per un paio d’ore, o persino un libro che ti racconta il finale giusto. 


Chi stabilisce davvero cosa sia davvero consolatorio e curativo e cosa invece ingannevole e di piacere passeggero? No, ti prego no, non mi scomodare gli epicurei e gli stoici, non voglio dire questo, non propriamente almeno. Io vorrei solo sapere cosa renda vile la fuga dal dolore e cosa no, se un mal di denti meriti di essere negato e un mal d’amore o un tormento esistenziale invece vadano vissuti fino in fondo perché dopo saremo persone davvero migliori. Mah, alla fine mi rispondo che forse è improbabile immaginare la possibilità di una vita intera senza dolore, ma che sia del tutto legittimo ipotizzare una sorta di diritto a non soffrire che bisogna far valere...al costo di tutto il dolore possibile. E del paradosso che lo regola...

Esattamente sette anni fa facevo il mio primo viaggio intercontinentale. Andai in India e fu un’esprienza irripetibile. Il tour che feci mi restituì esattamente il luogo che avevo immaginato: la più grande democrazia (finta, fintissima come tutte le democrazie del mondo)  regolata da una religione che legittima le caste come cosa buona e giusta, mica pure necessaria per la conservazione di una società cristallizzata e controllabile. E così ho pensato che esistono davvero un sacco di modi di evitare il dolore, consolarsi e provare piacere ovunque si desidera che ci sia. Non credi? No, veramente non credo. E questa mancanza di fede, infatti, mi addolora.











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