Sola andata

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sabato 27 aprile 2019

una pastiera “proustiana”

Non vi è pentimento che valga a privarmi di un simile piacere. E in ogni caso ho fatto in modo di meritarmelo. È stato il mio unico pensiero durante tutto il tragitto verso casa, dopo aver visto un piccolo film francese un po’ snob sulle nuove dinamiche amorose, tema sul quale io ho smesso di avere competenze già da molto tempo. Dicevo, ho camminato in una Milano splendida, luminosissima, calda e desertica fino alla biblioteca, ho ritirato delle cose da rivedere e poi mi sono allungata fino al cinemino per il film di cui sopra. Mi ero portata dietro un po’ di cose ipocaloriche per non svenire e perché avevo intenzione di preservare un appetito sufficiente ad alimentare il desiderio. Sì, perché il piacere di cui parlo è quello che mi procura una fetta della mia pastiera scongelata al microonde e gustata rigorosamente calda. È successo alle tre del pomeriggio ed è stato magnifico. La mia pastiera mi piace più di qualunque altra mai assaggiata. E mi chiedo sempre se sia una forma di presunzione ingiustificata, visto che la ricetta è fedelmente riprodotta, oppure è perché in realtà la mia variante senza l’acqua ai fiori d’arancio faccia una differenza davvero sostanziale. Ma credo che la ragione vera sia sempre la stessa e cioè che la pastiera è fatta sempre per qualcuno che non sono io. A me al massimo restano gli avanzi, che poi congelo per farmi un regalo quando conto bene le calorie. È una cosa diversa dal preparare il pranzo per qualcuno, perché in quel caso includo una certa idea di condivisione. La pastiera no. Lei rappresenta la propensione all’altro o il peccato che presuppone un’autorizzazione gestita in solitaria.

Era squisita, morbida e profumata. Mentre affondavo il cucchiaino pensavo a come è strano che oggi faccia così caldo e che Milano sia così silenziosa e poi mi sono ricordata di una Pasqua in cui il mio papà era venuto a trovarmi qui e noi camminavamo verso la metro. Ad un tratto si era accorto di un piccolo leprotto rimasto imbrigliato in una rete verde di recinzione e l’aveva aiutato a liberarsi. È stato bellissimo vederlo scorrazzare felice lontano. Qualche giorno fa, a telefono, mi ha detto, “ti ricordi quel leprotto? Chissà che fine ha fatto adesso”. Non lo so perché mi sono un po’ commossa.
E poi mi è tornata in mente quella volta che la pastiera l’avevo fatta per uno con cui stavo ma non ero felice. Venne bruciata da un lato e io non me ne rammaricai troppo. Ora forse capisco.
Adesso mi trovo alla mia solita panchina vicino a casa, mi sento un po’ appesantita ma non abbastanza da pentirmi pensando ai miei fianchi. Preferisco ricordare ancora qualcosa. Ho fatto la pastiera anche l’anno scorso, per persone che non vedo più e a cui ho voluto un bene non confermato dal tempo, eppure ancora non ho scordato tutto l’affetto che ci avevo messo dentro. Ci sono ricordi che sono destinati a sbiadire con calma inesorabile e sono quelli che apprezzo di meno. Ma tant’è. E poi c’è la pastiera di quest’anno (e quella di oggi ne era, appunto, il suo avanzo) e ho provato ancora lo stesso piacere, stavolta aggiunto alla speranza che i suoi destinatari siano belli così come li vedo.

Sarà che ho visto un film un po’ sentimentale, che mi aiuta ad accettare la mia inattitudine ad un rapporto profondo traducendo l’affetto in un dolce, che poi diventa ricordo. Sarà l’avanzo di un piacere da consumare da sola. Sarà che Milano è bellissima oggi e invece soltanto ieri pioveva e si gelava e perciò non era il caso di scongelare la mia fetta di pastiera. Sarà tutto questo, o proprio nulla di tutto questo, ma oggi quella magnifica fetta di dolce era il mio unico desiderio. Realizzato solo grazie a qualcun altro che neppure lo sa.


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