Sola andata

Sola andata

sabato 17 marzo 2018

Di appunti presi e poi ripresi dall’”evidenza”

Ammetto che rimane una cosa rischiosa. Ma mi diverte ancora abbastanza e poi fare i conti con la parte più buffa, fragile o attaccabile di me un po’ mi diverte e in buona parte mi aiuta a capire su cosa potrei lavorare per gestire meglio le mie debolezze. Raccontare dei fatti miei, negli ultimi quasi tre anni, mi è servito a questo, oltre al tentativo di provare a trovare degli spunti di identificazione in chi ha la curiosità/bontà di leggere le cose che mi succedono. A dirla proprio tutta quando mi capita di rileggere certi post molto vecchi provo spesso un certo imbarazzo perché ce ne sono alcuni in cui racconto di sensazioni, emozioni, entusiasmi che meritavano quantomeno una qualche cautela, perché in buona parte svaniti sotto la coltre di fatti rivelatisi molto meno romantici, perché ho smesso di frequentare luoghi e contesti che avrebbero richiesto impegno e continuità maggiori da parte mia, oppure, al contrario ho considerato amici quelli che poi tali non si sono dimostrati.

Confesso che qualche volta è proprio bello ripescare nel mucchio delle pagine di un diario virtuale e ricordare ancora quello che provavo mentre scrivevo, pure se erano cose che avrei visto in modo nitido soltanto molto dopo. C’e una tale tenerezza nella descrizione di un nuovo incontro, nel pianto per una delusione cocente, nella descrizione di un lavoro che non è per nulla nelle tue corde ma che comunque provi a farti piacere in tutti i modi possibili, in un litigio ricomposto con un’amica...che può valere la pena sentirsi anche un po’ ridicola nel confronto asettico con la realtà, quella che si è manifestata solo dopo a smentire quasi ogni cosa.

Appunto, quasi. Perché poi per fortuna mi capita di scovare anche degli elementi fissi e immutabili nel mio procedere a tentoni. Chesso ‘, cose del tipo che Gianluca Nicoletti è come sempre il mio principale guru del contemporaneo, o che Matteo Caccia sia ancora l’unico per cui giustifichi l’esistenza di un’espressione assurda come story telling. E poi cammino ancora molto e faccio ancora dolci per me e per le persone che mi piacciono.

Non lo so perché oggi mi sento in dovere di darmi delle spiegazioni su quello che ero e che credevo di volere e pensare. Forse è colpa di un post che ho riletto che mi ha un po’ imbarazzato, oppure perché la scorsa settimana ho cambiato la caldaia e i miei vicini, che credevo essere innanzitutto degli amici, mi hanno contestato delle irregolarità che per fortuna non ci sono. Ma io ci sono rimasta tanto male lo stesso. Forse perché mi mancano i miei amici della scuola di running ma non ho ancora la forza di tornare a correre assieme a loro. Ma preferisco pensare che tutto dipenda da una realtà che qualche volta è più generosa di certe mie sconnesse aspirazioni, soprattutto quando mi dice le cose come stanno senza chiedermi il permesso ma poi mi asciuga lacrime inutili, mi offre l’occasione di non perdere altro tempo prezioso, alimenta nuovi desideri e mi fa dimenticare senza più alcuna pena le persone che non ci sono mai state davvero. Credo che si chiami semplicemente crescere, ma preferisco pensare che sia un gigantesco regalo che il tempo pensa ogni tanto di farmi.
La realtà dei fatti solo a questo mi è utile: è l’evidenziatore di appunti da riscrivere. Possibilmente tutte le volte che servirà a renderli sempre più leggibili. A me che li scrivo e all’utopia che prova ad interpretarli in una lingua tutta sua.

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