Sola andata

Sola andata

mercoledì 7 marzo 2018

Trovare lo spazio in un tempo non perduto

L’ho sempre detto. Io non faccio testo. Sulle questioni riguardanti il sud io passo sempre per quella che disprezza le proprie radici rinnegando se stessa e il dato di fatto di essere totalmente figlia di un sistema di valori differente da quello del nord. In realtà non è vero: ho sempre considerato un privilegio il fatto di essere nata in un posto e poi soltanto dopo capitata altrove e poi ancora altrove, sostando per anni, mesi o anche solo qualche giorno in luoghi lontani e poco familiari. Di indole sarei stanziale, pigra, metodica e prevedibile, ma per fortuna ho sempre gloriosamente parteggiato per uno spirito di contraddizione che mi aiutasse a diventare ciò che volevo essere per stimarmi un po’.
Fin da ragazzina ho dato per scontato che avrei trovato lavoro lontano da casa e non ho mai pensato che fosse una condanna. Per me era semplicemente il passaggio obbligato che compie chi vuole affrancarsi dalla famiglia, da una mentalità rispettabile ma lontana dalla visione del mondo che sta maturando, non volevo contare su altri che sulle mie forze e liberarmi dal controllo e condizionamento inevitabile dei vincoli di sangue. Trovavo strano che non tutti quelli che conoscevo trovassero normale un percorso simile. Andare via dal sud per me ha significato solamente questo. Nulla a che fare con la miseria o la carenza di opportunità del sud. Solo una cosa normale, tanto più se penso che ho lasciato una condizione francamente molto più comoda e privilegiata di quella che mi sono scelta.

Ormai vivo a Milano da più di otto anni: ho comprato una casa che ho più volte ristrutturato, ho spesso fatto i conti con frequentazioni sbagliate, solitudini e difficoltà varie ed eventuali e certe volte lo sconforto mi ha visto vacillare e dubitare del senso reale di certe mie scelte e davvero non saprei dire perché pensi ancora di aver fatto la cosa giusta. No, forse lo so ma in questo momento forse non ha ancora molta importanza.

Credo che tutto parta da una certa forma di fastidio per il concetto di “pragmatismo” come approccio unico al saper vivere, al problem solving e alla gestione delle emergenze...io credo che ci sia un tempo per essere “risoluti” e riuscire a svoltare senza soffermarsi a pensare troppo o darsi un numero eccessivo di ipotesi alternative. Ma penso che debba pure necessariamente esistere il tempo dei tentativi, anche di quelli a vuoto, della riflessione, del confronto prolungato per la risoluzione di problemi complessi, quando si vuole tentare di ipotizzare assetti nuovi. Per quel tempo lì la fretta, le scorciatoie, l’efficienza...sono concetti pericolosi e frenanti. Non ha senso la praticità o la tentazione facile di applicare ricette già collaudate. Io ho bisogno di tentare e di farlo lontano da tutto quello che mi appare giusto e che invece è semplicemente ovvio, comodo, “ragionevole” come una casa molto grande, un luogo familiare e prevedibile, una rendita, un meridione sonnacchioso e rassegnato, un clima mite e la parmigiana tutte le domeniche.
Stasera,  mentre il papà che è venuto a trovarmi e per l’ennesima volta mi dice quanto meglio potrei stare a casa mia, senza gente che mi cammina rumorosamente sulla testa, vivendo in un contesto fatto di radici e di persone su cui contare, mi chiedo se questo eterno mio incespicare tra continui tentativi ed errori, di cui in fondo non mi pento mai, sia in realtà solo l’occasione perduta per un benessere più immediato e a portata di mano. Poi ho pensato che tutto ciò che ho perduto, tra persone, cose, occasioni hanno finito per lasciare un vuoto, che poi sono sempre riuscita a far diventare spazio. Da ristrutturare ogni volta che ho necessità di dimensioni nuove. E io, in tutta questa ostinata assenza di pragmatismo, ritrovo persino tutto il mio tempo perduto altrove



Nessun commento:

Posta un commento