Sola andata

Sola andata

venerdì 23 marzo 2018

Di bagagli (e qualche fardello)

La valigia è quasi pronta. Torno a casa con un certo piacere e tutta gongolante per le vittorie “trasversali” del cinema partenopeo ai David. Di ammore e malavita ebbi già modo di dire tutto il meglio possibile per un film costruito apposta per mettere d’accordo più o meno tutti, riuscendovi alla perfezione. Io però gioisco soprattutto per Renato Carpentieri, attore meraviglioso ma soprattutto uno di quegli uomini che vorrei tenere a portata di mano a farmi compagnia nelle fasi complicate della vita. Mi legano al suo viso e a quella dolce pacatezza da uomo saggio e pacificato soprattutto due ricordi, nessuno dei quali legato ad una interpretazione. Il primo riguarda un suo discorso accorato, soffocato da un pianto sincero e disperato, al funerale di Gian Maria Volonte e riportato in un lungo documentario sulla carriera di questo altro gigante assoluto del cinema che amo di più. Rimasi così colpita che da allora associo sempre Carpentieri a quel momento così ommuovente. Il secondo ricordo è legato invece ad una sua partecipazione come ospite ad elisir. Mirabella gli chiese quale fosse un piatto che lui amava più di tutti. E lui disse “gli spaghetti alla poverello”, credo il piatto più banale dell’alimentazione di tutti i tempi, ma quando lui ne spiegò la ricetta mi pareva che nessuno potesse desiderare altro che friggere un uovo senza cuocerne il tuorlo e mischiarlo agli spaghetti. Ecco, Renato Carpentieri per me è questo: poetica semplicità mista a quella tenerezza rivoluzionaria che ha evocato pure durante i ringraziamenti per il premio.

La valigia è abbastanza leggera, credo che andrò di nuovo alle terme, mi farò schiavizzare da Pablito, mangerò tanto senza pentirmi troppo e proverò a dormire un po’ di più. Intanto, come sempre mi capita negli ultimi tempi, penserò a Milano e al senso del mio continuare a stare in questa città che mi interessa ancora così tanto, ma che trovo sempre più ostile e faticosa, nella quale sono diventate davvero troppe le cose che faccio da sola e che tale mi fanno sentire. Nessuno mi obbliga, conosco tante persone e non mi sarebbe per nulla difficile allargare la cerchia. È che non mi viene più così naturale e non mi rendo neppure conto che gli altri possano notarlo, chiedendomi cosa ci sia che non va. La verità è che non c’è nulla che non vada, eppure c'è qualcosa che proprio non mi torna e che mi fa avvertire certe fasi come cariche di insostenibile banalità. A volte penso che questi periodi funzionino come il plank, l’esercizio apparentemente più elementare che esista eppure, dopo il secondo minuto che stai in quella posizione ti pare di stare sostenendo tutto il peso del mondo. Il mio record è 3 minuti e mezzo, ma dovrei rimanere in quella posizione per quattro minuti. Per me per ora è un tempo impossibile e così mollo lasciandomi precipitare sul pavimento sotto il peso del mio stesso peso. Forse è proprio così: in certi momenti non ti viene richiesto niente di speciale. Se non di resistere nella posizione in cui ti trovi a prescindere da una tua scelta. Pare facile e invece certe volte è più difficile di quattro minuti di plank, o di un piatto di spaghetti alla poverello fatto come si deve e, addiritttura, in un posto che non è neppure Napoli.

2 commenti:

  1. Ciao Lucia,
    ti linko un tutorial che insegna a rimanere fermi nella posizione non solo per 4 minuti, ma per ore, ore, giorni, settimane...

    https://www.youtube.com/watch?v=lJOkMuBHy2s

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  2. Ahahah ne farò tesoro! Grazie 🤣🤣🤣

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