Sola andata

Sola andata

domenica 21 ottobre 2018

La lettera, le motivazioni. E il guardaroba

Tutto come da programma. Mi sono resa conto quasi subito che ha funzionato. Quando stamattina ho tentato di inseguire la sveglia delle sei, che tengo volutamente  in cucina così sono costretta ad alzarmi, avevo dolori praticamente in ogni punto calpestabile del mio corpo. Lo sapevo. Sono strisciata fino al pulsante per spegnere l’allarme (che di sabato e domenica si dorme un’ora in più), ho acceso la radio per ascoltare il risveglio della Lusenti e poi mi sono ritrascinata a letto, accompagnata da un’orchestra di dolori e scricchiolii ossei che potrei giustificare solo con un rullo compressore che mi è passato addosso mentre dormivo. 
In realtà sapevo bene che dopo i venti km di scalata di ieri avrei avuto contezza di quella bella esperienza  proprio in questi termini. Ed era esattamente quello che volevo: impormi il letto anche standomene sveglia ad ascoltare la radio, non fare attività fisica, immaginare e attendere la colazione che avrei fatto più di in’ora dopo. Ho fatto proprio così: per una volta sono partita dai suggerimenti di un corpo dolorante per arrivare a capire cosa mi facesse davvero piacere fare. Il disagio è quasi sempre più efficace di ogni programmazione elaborata in condizioni favorevoli.

A metà mattina mi ha scritto un’amica per ringraziarmi di una cosa strana che avevo fatto per lei e che pare abbia dato un primo risultato. È andata così: un giorno mi dice che sta provando a cambiare lavoro e che la nuova società in cui vorrebbe lavorare, dopo aver letto il suo curriculum, le ha chiesto una lettera motivazionale che rendesse chiare le ragioni per cui si sente qualificata per quel lavoro, quali aspettative coltiva, le ragioni per cui ha scelto quella realtà aziendale e non altre. Ad un certo  punto mi dice: “Lucia, me la scrivi tu?”. Io rimango perplessa rispondendo che il senso di una lettera motivazionale sta proprio nel suo essere strettamente e autenticamente personale. E lei mi dice: “È vero. Allora mettila così: mi conosci da tempo, ti ho parlato tante volte del mio bisogno di cambiare e delle ragioni per cui voglio farlo. Sai tutto. È solo che poi tu metti per iscritto cose che a me non verrebbero mai in mente e che poi sono proprio quelle che penso io. Sono convinta che se la lettera me la scrivi tu sarà più vera di come potrei costruirla io”. La guardo perplessa e per un attimo penso che la sua potrebbe chiamarsi semplice pigrizia o forse insicurezza. Ma decido che voglio assecondarla. Le scrivo la lettera sulla scorta di tutto quello che so di lei, gliela invio. E non ci penso più. Fino ad oggi, quando mi ha detto che è stata ricontattata e che potrà accedere al colloquio finale per essere assunta. Ne sono stata felice e ho pensato che me la devo ricordare più spesso la storia che lo sforzo di mettersi nei panni degli altri, o se si vuole l’empatia, ha il formidabile vantaggio di farti vivere vite diverse dalla tua senza il peso e il vincolo dell’esperienza diretta. E questa mi pare una gran cosa davvero.

Poi ho deciso che era giunta l’ora di alzarmi dal letto perché ormai non potevo più stare senza cose come il caffè, il pane valtellinese con lo stracchino, la frutta, gli integratori di magnesio per i crampi lancinanti. Mi sono presa il diritto di fare tutto piano, di prolungare il mio stato di distensione stavolta sul divano e di cantare a squarciagola una canzone dei Baustelle. Quando era ormai ora di pranzo mi sono vestita comoda, preso un pacchetto di patatine e uscita (con enorme sforzo) a prendere l’autobus senza avere una meta precisa, solo per sentimi come in carrozza per la città. È come se avessi chiesto anche a me stessa di mettermi nei miei panni, ma quelli che non indosso mai, stanno lì da sempre e che non scelgo senza conoscerne i motivi, che magari hanno persino ancora il cartellino, e verificare se mi stanno bene, anche solo per un’occasione speciale. Credo sia empatia anche questa. È che con me funziona soltanto a certe condizioni, quelle fatte di autolimitazioni e strategie macchinose per deragliare dalla consuetudine. 
Con gli altri mi viene più naturale, mi basta conoscerli, trovarli simpatici, affezionarmici. E poi vederli bene proprio per quello che sono.
E questa mi pare proprio una bella cosa. O anche semplicemente una lettera di motivazione da tenere in seria considerazione. Mica nulla!


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