Sola andata

Sola andata

martedì 2 ottobre 2018

Un cono gelato in un cono d’ombra

Me lo sono concesso ieri pomeriggio. Prima della mia seconda lezione sul cinema horror. Faceva un freddo a cui non ero pronta, piovigginava e mi trovavo alla stazione Cadorna. Il mio ultimo gelato della stagione è stato quello di cioccolati italiani, dove prima di dire che gusto vuoi ti scegli la fontanella di cioccolato sotto cui passerà il cono. Mi piacerebbe sempre vedere la mia espressione mentre assisto a quell’operazione. Non avevo nessun desiderio di gelato, me lo sono quasi imposto. E poi avevo l’ombrello che mi dava noia e portavo pure una borsa piena di gadget sportivi che mi aveva appena regalato il mio ex coach: mi ha perdonato del mio non essserci quest’anno agli allenamenti del sabato mattina. Sono contenta che mi abbia pensato lo stesso e avuto voglia di salutarmi.
La piazza aveva un’aura troppo malinconica, c’erano tre o quattro ubriachi che bivaccavano sul bordo delle scalinate, indossavo abiti troppo leggeri, il gelato era buonissimo ma io non avevo abbastanza appetito. Poi ho preso la metro per andare a porta Genova, dove si tiene il corso, ma l’idea che sarei tornata a casa molto tardi non mi allettava per nulla. A me succede spesso di fare cose che mi piacciono e al contempo di pensare che le condizioni non siano le migliori per poterle apprezzare in pieno. E questo mi fa arrabbiare, perché mi pare uno spreco.

Ad un certo punto ho buttato via una parte del mio gelato traboccante di cioccolato e di variegato alla nutella, ho preso la metro con troppo anticipo e quando sono arrivata per la lezione era ancora tutto chiuso. Nel frattempo mi ha chiamato un amico che ha chiacchierato con me per il tempo dell’attesa e mi ha regalato la possibilità di vedere una cosa bella domenica prossima. Poi finalmente mi sono accomodata in prima fila. Andrea mi ha portato il foulard che avevo scordato alla lezione la settimana scorsa. Che fortunata circostanza! Nelle due ore successive ho preso un sacco appunti da “paura” per film che non ho mai avuto il coraggio di affrontare. Sono rientrata molto tardi, ma stavolta avevo il foulard che mi teneva protetta la gola e ormai non avevo più nessun bisogno di cenare. Ho aggiunto delle coperte sul letto e mi sono addormentata senza temere che i fantasmi tormentassero il mio riposo.

Ormai ho freddo ma non ho ancora tirato fuori nulla di adeguato da indossare ed è come se lo facessi apposta a non ritirarmi subito sul nuovo assetto di una stagione che si fa rigida senza preavviso. È un po’ come se intendessi rispettare una fisiologia che ha bisogno di un tempo diverso da quello esterno per poter assorbire il cambiamento. O forse coltivo la speranza folle di trovare proprio nel disagio una risposta nuova.

Oggi, come ieri, non è successo nulla di speciale, eppure come ieri e come sempre, penso a quello che non ho mai avuto il coraggio di raccontarmi davvero e che in origine fu la vera causa della genesi di questo blog e di ogni mio “resoconto”, tormento, senso di colpa, paura del futuro, dubbio e di ogni giornata grigia su cui provare a mettere colori e buone ragioni. Mi è così facile parlare dei fatti miei, confessare uno stato d’animo, esprimere una riflessione, persino stilare la lista infinita delle mie fragilità. Mai detto bugie, mai sovradimensionato entusiasmi o emozioni. Eppure neppure per una volta ho contemplato la reale possibilità di dirmi a chiare lettere come stanno le cose, quelle che non posso risolvere perché sono una condizione di fatto indipendente da tutto e che però muovono ogni mio passo, lacrima, sorriso e orrore. Stasera penso che sia davvero strano saperlo da sempre ma farci davvero caso solo quando comincia a fare freddo. E il silenzio si fa sentire proprio forte.

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