Sola andata

Sola andata

venerdì 25 gennaio 2019

Al prossimo il futuro

Direi niente male. Se dovessi dare un’opinione basata sul nulla, se non una vaga intuizione, di questo primissimo scorcio d’anno direi proprio niente male. Di solito, a parte con gli uomini, la mia intuizione è stata la mia vera, infallibile salvezza. Forse è stata soltanto fortuna, ma secondo me invece era proprio vero quello che diceva il mio prof di economia (“Lucia, tu hai un intuito che devi ascoltare sempre perché ti porta dalle parti buone”). È partito con un aumento di stipendio per gli arretrati di uno scatto di anzianità. E fin qui direi bene. Ho ripreso a correre con quel meraviglioso gruppo fatto di adorabili persone che non hanno smesso di aspettarmi da quando ho deciso di fermarmi per un po’. Ho scovato nuovi corsi di cinema di cui ho subito sviluppato una gioiosa dipendenza e ho al contempo accettato senza tensioni ogni incomprensibile distanza, ho stretto nuove amicizie e sono persino diventata, inopinatamente, oggetto di un delicato corteggiatore. Fino a qui direi tutto bene.

Del vecchio anno mi porto ancora una cronica carenza di ferro che non riesco proprio a fronteggiare e che mi procura una stanchezza cronica che qualche volta mi preoccupa. Ma tant’è, io non posso sottrarmi alle cose da fare, da quelle che mi piacciono e da quelle che non voglio perdermi per una certa ingordigia esistenziale di cui amo compiacermi. Preferisco essere stanca piuttosto che spenta.
In realtà non ho una precisa idea di cosa mi stia davvero riservando quest’anno: ho imparato a non avere la presunzione di pretendere a tutti i costi delle belle sorprese o che riesca sempre a trovare la maniera di ottenere cose a cui tengo. In amore ovviamente non mi permetto di fare neppure i più vaghi pronostici. In quel campo non ci prendo ancora, o forse sì ma con tempi o modi che non sono quelli opportuni. Eppure sono ancora fortemente fiduciosa che arriverà. In qualche modo arriverà. E sarà per sempre. 

Tra qualche giorno tornerò un po’ a casa. So già che i miei mi diranno di tornare, so già che proveranno a farmi stare bene, che penseranno che sia un vero peccato non aver dato loro dei nipoti, che parlerò per notti intere con Pablito e che farò sport. Tutto sempre così, in una casa troppo grande e piena di cianfrusaglie inutili che non capisco come possano piacere a qualcuno minimamente dotato di senso estetico, con mio padre che fa ragionamenti di destra e mia madre che mi racconta episodi riferiti a persone che non conosco. Tutto così nel mio strano e assurdo paese dell’hinterland a nord di Napoli, conosciuto solo perché menzionato come culla di malavita organizzata in Gomorra. Ci sono nata, c’ho vissuto per più di vent’anni, ci sono sempre stata malissimo. Che colpa sarebbe questa? Perché dare per scontato il senso delle radici? Per la verità perché dare per scontato anche il senso dell’essere genitore? Qualche volta, quando penso che con i miei sia mancato un fondamentale codice comune di comprensione, mi viene in mente una battuta di un film di Allen, forse “Hannah e le sue sorelle”, quando fa dire a Mia Farrow “gli piaceva l’idea di avere dei figli, non anche quella di doverli crescere”. Con i miei ho idea che sia andata proprio così, oltre alla gestione non preventivabile di più seri problemi legati alla gestione di prole problematica...ma direi di smetterla: era un post sull’ottimismo, proiettato in un futuro prossimo alla gioia, alle intuizioni vincenti, alla fiducia negli incontri propizi. Il passato ha già fatto la sua parte, lasciando tracce in fondo non troppo profonde, il presente si propone nella sua lieve fuggevolezza con qualche chiave di lettura per aprire chissà quale porta. Forse ne avrei già aperta qualcuna, di quelle già socchiuse dove scorgi pure le lucine colorate. È che sono sempre così maledettamente stanca...

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